Anime & Manga > Slayers
Ricorda la storia  |      
Autore: Ilune Willowleaf    11/02/2008    4 recensioni
Alla fine di Slayers TRY, Philia decide di prendersi cura di Valgarv rinato, assieme a Gourabos e Jiras. Ma se Valgarv esistesse ancora, prigioniero nel corpo dei neonato Drago Ancestrale? Se il solitario guerriero dall'animo ferito e vendicativo dovesse osservare tutto, impotente, attraverso gli occi del neonato Val? Dedicato a chi ama la coppia PhiliaxValgarv
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Philia Ul Copt, Valgarv
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
TRIANGOLO
Premessa: io AMO la coppia Philia-Valgarv. Siete avvisati. Mi sono sempre chiesta "E se in Val rinato ci fosse ancora Valgarv, magari impossibilitato a manifestarsi? Se la rinascita fosse una pena, e non un premio?". Così è nata questa fic.
Il sesto capitolo ha un vaghissimo accenno lime, niente che un ragazzino di 13 anni già non abbia intuito, ma per sicurezza metto la storia con raiting giallo (ma ci sono dei minori di anni 16 che ancora ricordano Slayers? a volte mi sento un po' un dinosauro...)
I commenti sono molto graditi!
Ilune

TRIANGOLO
TRIANGOLO - 1
Era trascorsa un’altra giornata come tante, al negozio di porcellane e mazze ferrate di via dei Fiori, ad Argenteuil, graziosa cittadina non lontana da Zephilia. Il gigantesco uomo-lucertola stava chiudendo le imposte, mentre la proprietaria, Philia, riordinava.
Nel retrobottega che era cucina e tinello, una donna-volpe stava cucinando al cena, mentre il marito, si, il vecchio volpone, Jiras, portava dentro la legna appena tagliata, aiutato da Palu, figlio adottivo, primo figlio di Irina.
Nella culla che fino a sei mesi prima aveva ospitato un piccolo uovo con dentro l’ultimo Drago Ancestrale, ora frignava un robusto bebé di sei mesi.
-Su, su, piccolo… che c’è?- Philia tirò su il bambino, che da tutti veniva chiamato semplicemente Val.
C’era un tacito accordo, per il quale nessuno si riferiva a lui come a quello che era stato un tempo, il principe demone drago Valgarv, allievo del Re Demone Drago Garv, ma semplicemente come a Val, il piccolino.
Era da tutto il giorno che Val frignava, non voleva mangiare, non dormiva…
-Secondo me sono coliche. Anche Palu ne soffriva spesso da piccolo. Succede spesso quando i bambini mangiano con voracità. - affermò Irina.
-Dici?-
-Si. Si calma quando lo tieni in braccio tenendogli il pancino al caldo, no?-
-Si…-
-Allora sono coliche. -
Pur essendo Philia molto più vecchia della volpina, in fatto di neonati era completamente nuova, mentre la donna volpe aveva già allevato un figlio, e quindi le era un preziosissimo aiuto, oltre ad essere ora la moglie di Jiras.
Philia tirò quindi su il fagottino caldo e urlante, lo poggiò su un braccio, e iniziò a passeggiare su e giù per il negozio, canticchiando una nenia a mezza voce, per calmare il bambino.
Forse fu l’effetto del calore sul pancino, forse la nenia o il movimento, o una somma di esse, che il piccolo Val s’acquietò un po’.
A ottobre, la sera cala presto, e alle nove e mezza, quasi tutti nella graziosa casetta dietro e sul negozio di porcellane e mazze erano andati a dormire.
Non proprio tutti, eh.,..
Val aveva di nuovo le coliche: con la sua abitudine di trangugiare il latte dal biberon come chi non vede cibo da mesi (Philia prese nota: aumentare le quantità: in fondo, un drago mangia più di un umano), inghiottiva anche tanta aria, e poi… mal di pancia.
Quindi, Philia era seduta sulla poltrona, accanto al fuoco, col bambino in braccio, una coperta addosso, una tazza di tè sul tavolino a fianco, e un libro in grembo.
Lentamente, cullata dal calore del camino e dalla tranquillità del bambino, sprofondò in un dolce sonno, col capo reclinato sul petto e il bambino poggiato sul seno.
Buio.
Tutto intorno a lei, buio.
Un tintinnio.
Un suono che la riportò indietro di un anno.
Un suono che aveva sentito in un posto buio come quello.
Due fessure dorate si aprirono nell’oscurità.
Philia si sentiva osservata, esaminata, messa a nudo e studiata come una lucertola da uno scienziato…
Umh, forse non era un gran bel paragone, quello che le era venuto in mente. Quello della lucertola.
In fondo, una certa persona che avrebbe voluto pestare a sangue, per farla infuriare, la chiamava proprio "stupida lucertola"…
La rabbia al sol ricordo le dette la forza di scuotersi da quella paralisi che la certezza di essere osservata le aveva indotto.
Calma, Philia, si era detta. Qualunque cosa possa essere, tu hai affrontato il peggio del peggio. Quindi, stai calma.
Si voltò lentamente, scrutando le tenebre.
Esse erano così fitte che faceva male guardarle, davano l’impressione di essere ciechi, di avere gli occhi sigillati e che comunque al di là degli occhi sigillati c’era ombra, e ancora solo ombra.
Erano spaventose.
Poi, lo scintillio dorato.
Non sapeva se era qualcosa di buono o cattivo. Beh, seguire quello scintillio dorato era sempre meglio che restarsene lì nell’ombra, no?
Si incamminò verso quel bagliore, non sapendo dire se era piccolo e vicino, o grande e lontano…
Lontano. Era senza dubbio lontanissimo.
Per quanto camminasse, non riusciva a raggiungerlo…
La ragazza si accasciò a terra, esausta.
Le pareva di aver camminato per ore… anzi, per secoli.
"Che strano," pensò. "io attorno a me vedo tutto nero… però le mie mani… il mio corpo posso vederlo!".
Si. Non era un buio normale. Era qualcosa di…
Ecco.
Adesso si ricordava dove aveva visto quel buio così strano, in cui poteva vedere il suo corpo, eppure tutto attorno a lei era così nero, da fare male a guardarlo.
Dark Star.
"È un sogno. È senza dubbio un sogno… adesso mi sveglierò, porterò il bambino nella sua culla e me ne andrò a letto… magari berrò del latte caldo…" pensò, convulsamente.
Ma non riusciva a svegliarsi.
Di solito, quando si rendeva conto di sognare, entro poco si svegliava… oppure il sogno finiva.
Ma qui non finiva.
Philia aveva paura.
Si rannicchiò su sé stessa, cercando di concentrarsi su qualcosa che non fosse quel buio terribile.
Poteva vedere il suo corpo… la camicia da notte. Fissò i fiorellini ricamati nella camicia da notte, finché non le parve che tutto il suo campo visivo non fosse stato coperto da un prato rosa cosparso margherite bianche.
In un raggio di un metro attorno a lei, sbocciò un piccolo prato di erba rosa, cosparsa di margherite bianche.
Philia si era appena sentita sollevata da questo insolito fatto, che qualcos’altro le fece battere forte il cuore per la pausa.
Passi.
Passi lunghi e decisi.
Passi che echeggiavano in un silenzio di tempio vuoto dalle colonne spezzate…
-Vattene. -
… e una voce che emergeva dai ricordi di appena un anno prima.


TRIANGOLO - 2
-Vattene. -
Quella voce.
Come dimenticare quella voce?
Ma non era… non era possibile. O forse si? In fondo, non era un sogno?
Un incubo. Uno degli incubi peggiori della sua vita.
Quella era la voce venata di follia che era uscita dalle labbra del drago ancestrale, Valgarv, in quella grotta dove si era rifugiato, straziato nel corpo e nell’anima da poteri contrastanti, un anno prima…
Come evocata dai suoi ricordi, la tenebra lasciò posto alla grotta, umida e buia, d’accordo, ma non buia come quella tenebra opprimente.
Seduto su un masso caduto e levigato dall’umidità dei secoli, il Drago Ancestrale faceva tintinnare lo scacciapensieri rosso, meccanicamente.
In quella grotta, lei l’aveva visto prostrato dal dolore e dalla sofferenza, e aveva provato pietà per lui. Ma ora, aveva solo paura di fronte a quello sguardo.
Dopo che s’era fuso con Dark Star, lei lo aveva visto. Ed era quasi sereno, come se la folle decisione di portare il mondo nel caos per una nuova rinascita gli avesse restituito la sanità mentale, o almeno una parvenza di essa.
Ma ora, lo sguardo era quello di quando lo aveva visto al tempio del re dei draghi di fuoco.
-Come posso fare?- riuscì a trovare il coraggio di chiedere.
-Non lo so. Non m’importa. Ma vattene. - lui le voltò le spalle.
-Dove siamo?-
-Nella mia prigione. Dove sconto la mia punizione, per tutta la vita dell’ultimo Drago Ancestrale. -
-Io non… non capisco. - si guardò attorno.
La grotta era diventata un vulcano, una vasca ribollente su cui si affacciava una sala ricavata da una caverna naturale.
-Quando il bimbo è desto, vedo ciò che vede lui, odo e sento quello che ode e sente lui. E già questa è una punizione assai severa, ma mi ripeto che prima o poi crescerà, e potrò smettere di sentire solo latte e ninnananne!- urlò, come se la colpa fosse di Philia, anziché delle naturali esigenze del corpo di un neonato.
-Ma il peggio, il peggio è nelle lunghissime ore in cui il bambino dorme!- indicò la grotta -In questa tenebra, posso solo rivivere i miei ricordi, perché questa oscurità mi è insopportabile. E rivivendoli - si voltò a fissare Philia -rivivo l’odio per la tua razza!-
Philia abbassò il capo.
-Mi spiace. Speravo che la tua rinascita fosse un premio per le sofferenze da te patite, non una punizione. -
Valgarv la fissò, interdetto. Si aspettava una ripicca, urla, strepiti. Non che la donna chinasse il capo, remissiva.
Lei si sedette per terra.
-Ora sono qui, e non ho idea di come andarmene. Ti chiedo quindi di cercare di tollerarmi, per un poco. Farti soffrire è l’ultima cosa che desidero, davvero… ma non so come andarmene!-
Accidenti. Quella donna lo spiazzava. Lui le aveva appena detto che odiava la sua razza, e anche lei sottinteso, e lei si scusava per il fastidio che la sua presenza gli arrecava!
Decise di ignorarla. Attraversò la vasta sala dei suoi ricordi, sedendosi su un trono enorme, troppo grande per qualsiasi uomo. Un trono per un demone colossale.
Poteva, in quel non-posto, evocare i luoghi della sua memoria, ma non le persone. Se avesse potuto materializzare i suoi ricordi, la prigionia in quella tenebra gli sarebbe stata molto più dolce.
Passi. Piccoli passi nervosi.
Dalle tenebre, emerse Philia.
Lui la guardò storto.
Lei si tenne al limite del cerchio di realtà nella tenebra creato dai ricordi di Valgarv.
-Ti spaventa tanto, la tenebra di questo posto?- chiese, sorridendo sarcastico.
Lei annuì.
-È spaventosa. -
Valgarv corrucciò le sopracciglia.
-Alla tenebra ci si abitua. Al buio senza fine, al freddo che morde le carni, al caldo che sfibra il corpo. Quello a cui non ci si abitua mai, è la solitudine. Questa, è la vera punizione infertami da Lord of Nightmares per la mia presunzione. -
-Da quanto tempo… sei qui?-
-Quanto tempo è passato da quando avete sconfitto Dark Star?-
-Quasi un anno. -
-Da allora. -
Philia rabbrividì. Un anno in quella tenebra!
Il mondo attorno a loro iniziò a sbiadire.
-Si sta svegliando. - disse Valgarv -Ha fame. -
Philia si alzò da terra, mentre la sala attorno a lei si dissolveva come nebbia al sole.
-Tornerai?- le chiese lui. C’era qualcosa… Philia stentò a riconoscerlo subito, ma c’era qualcosa di implorante nella sua voce.
-È quello che desideri?- gli domandò, sorridendo.
-Credo di si. -
L’ultima sillaba quasi si perse, mentre tutto attorno a lei sfumava, e si ritrovava nella sua comoda e calda poltrona, con il piccolo Val che aveva iniziato ad agitarsi e a frignare.
Immediatamente si alzò, tenendolo stretto al seno e cullandolo.
-Ssshhh… che c’è, tesoro di mamma? Hai fame, vero? Già, è ora della pappa di mezzanotte… Adesso arriva la pappa, dammi solo il tempo di andarla a prendere, eh?- lo depose sulla poltrona, tutto ben avvolto nella coperta, e corse in cucina a prendere i biberon nella ghiacciaia, scaldandoli con un piccolo incantesimo, e tornando sempre di corsa dal piccolo Val, che frignava, anche se non era ancora ai livelli di guardia da "sveglio tutto l’isolato".
Lo prese nuovamente in braccio, porgendogli il biberon, che il bimbo afferrò prontamente con le manine, attaccandosi come se non vedesse cibo da giorni.
Mentre il neonato poppava beato, finendo il primo biberon e attaccando vigorosamente il secondo, Philia tornò con la mente allo strano sogno che aveva fatto.
Finito lo spuntino di mezzanotte, il piccolo Val non pareva avere voglia di dormire. Iniziò a giocherellare con le ciocche di capelli di Philia, gorgheggiando felice quando lei se lo posò sul petto, facendogli sentire il battito del suo cuore.
-Piccolo Val… tesoro della mamma…- mormorò lei, sentendolo muovere piano, mentre si succhiava il ditino -Ho forse solo sognato che dentro di te c’è ancora il guerriero che eri? È stato solo un incubo, la tenebra in cui l’ultimo Ancestrale è prigioniero?- lo cullò dondolandosi avanti e indietro, finché non sentì che si era addormentato.
Lo portò nella sua camera, deponendolo nella culla accanto al letto, vicino al camino, l’angolo più caldo della stanza.
Dormì un sonno profondo e senza sogni, e l’indomani fu tanto indaffarata, tra le coliche del piccolo Val, una cliente particolarmente esigente in negozio, e le mille faccende di casa, che quasi non trovò il tempo di pensare allo strano sogno della sera prima.
Val aveva mangiato con voracità, alle cinque di sera, e alle nove piangeva per le coliche, e non voleva essere messo nel lettino, ma restare in braccio a Philia, che si rassegnò a un’altra lunga serata in poltrona, in attesa che le malefiche bolle d’aria passassero.
Come la sera prima, si appisolò, tutta bel avvolta nella coperta e con Val poggiato sul petto, la testina verde acqua contro il petto di lei, il battito del cuore come ninnananna.
E come la sera prima, si trovò in quella tenebra.


TRIANGOLO - 3
-Sei tornata. - disse Valgarv, indifferente. Era in piedi su uno sperone di roccia, che dava su un campo di battaglia insanguinato. Devastato da esplosioni, cosparso di cadaveri di demoni inferiori.
-Non pareva dispiacerti la mia presenza, alla fine. - obiettò lei.
Lui scrollò le spalle.
-Anche un drago dorato è meglio della solitudine, or come ora. -
-Non sono più un drago dorato. Sono stata dichiarata un drago perduto, quando… - sospirò -quando ho disobbedito al Saggio, credendo alle tue parole e non alle sue. -
Valgarv si girò, fissandola in volto. Aveva il viso sporco di sangue nero, che gli imbrattava le braccia fino ai gomiti, e i calzoni fino alla ginocchia. La mantella era lacera e incrostata.
-E i draghi dorati rimasti, della mia gente, mi hanno bandita e messa a morte, quando ho deciso di prendermi cura del piccolo. -
Se proprio doveva, tanto valeva vuotare il sacco e dirgli in faccia tutto quello che le era costato la decisione di scontare almeno in parte le colpe della sua gente, lei che al tempo di quei crimini non era neanche nata.
-E come mai sei ancora viva?-
Stavolta fu Philia a scrollare le spalle.
-Il Cavaliere di Cephied e sua sorella Lina Inverse la Dramata. Hanno detto due paroline ai draghi dorati. Due paroline chiamate Arc Dragon e Dragon Slave. -
Per la prima volta, Philia vide un sorriso genuinamente divertito sul volto del drago ancestrale.
-Sul serio? Avrei voluto vederlo. -
Guardò di nuovo il campo di battaglia. Questi scolorò come nebbia, lasciando posto a una strada lastricata in un paesino scomparso o cambiato da chissà quanti secoli.
Una fontana zampillava al centro della piazzetta in cui sbucava la strada. Sulla piazzetta si affacciava una specie di trattoria, con tavoli di legno massiccio e un pergolato che a settembre doveva dare uva in abbondanza.
Ma non c’era nessuno per le strade, nessuna donna a lavare i panni, nessun uomo a lavorare o scherzare ai tavoli, nessun bambino a correre e giocare.
Il silenzio dava i brividi.
-È… agghiacciante. - mormorò Philia.
-Te l’ho detto, è la mia punizione. La cosa che temo di più: la solitudine. - si sedette su una panca della trattoria, ancora imbrattato di sangue.
Philia prese il fazzoletto di lino dalla tasca della vestaglia, intingendolo nella fontana. Lo strizzò un poco per eliminare l’acqua che grondava, e lo porse a Valgarv.
Questi fissò la mano bianca della ragazza e il fazzoletto come se fossero omini verdi venuti da Marte su un disco volante.
Cioè con un misto di incredulità e diffidenza.
Dato che lui non si decideva, Philia iniziò a pulirgli il volto col fazzoletto, delicatamente, togliendo gli schizzi di sangue rappreso.
Lui la lasciò fare, forse troppo sorpreso per reagire.
Quando il volto del ragazzo fu tornato presentabile, Philia si sedette sulla panca di fronte a quella dove s’era lasciato cadere lui.
-Allora spero di poter venire qui tutte le notti, per tenerti compagnia. - disse, semplicemente, posando il fazzoletto bagnato e insanguinato sul tavolo.
-Non ti faccio paura? Ho tentato di ucciderti. Ho cercato di portare il mondo alla distruzione. -
-E alla rinascita. Io lo so. Non sei davvero cattivo. Sei semplicemente solo. E io ho promesso di non lasciarti più da solo. Mai più. -
Valgarv vedeva e sentiva tutto ciò che il suo corpo rinato, l’altro sé stesso infante vedeva e sentiva.
Conosceva quindi quell’abbraccio caldo e materno, anche se solo come riflesso delle sensazioni del bimbo.
Capiva che quella donna amava davvero il sé stesso rinato.
-Perché?- le chiese, non riuscendo a capirla.
-C’è un motivo, per l’amore? C’è un motivo, nel voler confortare e proteggere?-
Lui abbassò il capo. Allungò la mano e prese il fazzoletto, sporco di sangue, che gli aveva pulito il volto.
-Sei una donna davvero strana. - disse, alzandosi, e andando a sciacquarlo alla fontana, finché non fu nuovamente pulito. Quando glie lo rese, era asciutto.
Lei gli sorrise di rimando, e gli camminò a fianco quando lui iniziò a percorrere le strade del paesino.
-Che posto è… o era?-
-Itora. Una guerra l’ha trasformato in un mucchio di rovine, trecento anni fa. - fece Valgarv. Guardò malinconico le strade deserte.
-Era un posto pieno di pace e tranquillità. Venivamo qui quando volevamo rilassarci, dopo battaglie e carneficine. Un giorno tornammo, e…- qualcosa cambiò. Il cielo divenne grigio e sporco, le case abbandonate, con le finestre rotte e le porte sfondate, gli interni saccheggiati e dati alle fiamme.
-Avevano pagato i tributi ai loro re per secoli, ma non vennero difesi dall’esercito del regno vicino. Vennero semplicemente abbandonati, per tenere impegnate le truppe nemiche. -
Lo sguardo tornò cupo -Strategicamente era giusto. Ma cosa importava della strategia ai corpi straziati?-
Come evocati dalle sue parole, cadaveri abbandonati e straziati apparvero qui e là. Madri che stringevano nella morte i figli, uomini che proteggevano le donne, colpiti, squartati, mutilati, depredati.
Philia impallidì, portandosi le mani contro la bocca.
Uno scatto della testa di Valgarv, e al posto del paesino distrutto c’era nuovamente la sala del trono immersa nella rossa penombra del vulcano.
-I nostri seguaci avevano quantomeno un posto in cui rifugiarsi. I mostri che si mettevano al nostro servizio avevano la certezza che i loro piccoli sarebbero stati al sicuro. Chi sono i demoni?-
Sbuffò -Forse è meglio chiedere, chi non lo è?-
Si accoccolò sul trono nella sala dei suoi ricordi, e in quel seggio appariva piccolo come un bambino, sopra quei gradini così grandi anche per una donna alta come Philia.
Lei gli si avvicinò, posandogli una mano sul braccio.
-Questi ricordi… ti fanno solo male. Avrai ricordi lieti, almeno qualcuno, no?-
-Si. Ma non riesco a richiamarli a me. Quando penso a qualcosa, quando cerco di riportare la mente ai giorni sereni passati accanto al mio Maestro, mi ritrovo dinnanzi solo i momenti più cupi e dolorosi della mia esistenza. -
Col capo reclinato su una spalla, rannicchiato, pareva proprio un bambino.
-Ad esempio… guarda. - era ancora rannicchiato, ma attorno a loro c’era il deserto, giallo e ustionante. Il sole era impietoso, spaventosamente grande, e bruciava la pelle. L’aria era quella di una fornace.
Sopra di loro volteggiavano come avvoltoi draghi dorati, immensi, con musi feroci e picche rostrate.
-Quando tento di ripensare a quando ho incontrato il Maestro, quando lui mi ha raccolto morente e mi ha preso con sé come suo allievo prediletto, mi ritrovo qui. E il sole brucia, e la sete mi divora, e lui non arriva, ma ci sono solo loro, lassù, che aspettano che io sia troppo debole per reagire per scendere e uccidermi, come un bimbo inerme, come un uovo da frantumare. -
Ora, i capelli color acquamarina di Valgarv erano liberi in lunghe ciocche scomposte sulla sua schiena. Il sole scottava impietoso la pelle bianca e nuda, e il drago ancestrale occhieggiava nervoso e timoroso i draghi dorati che giravano come avvoltoi enormi sopra di loro, accovacciato nella sabbia abrasiva.
-Ssshhh… va tutto bene. È solo un ricordo. E finiva bene, non è vero?-
Quelle braccia sottili che tante volte avevano sollevato il corpicino dell’altro sé stesso neonato, ora gli cingevano la testa e le spalle, dolcemente, e quelle ciocche che le manine paffutelle del piccolo Val cercavano di afferrare ogni giorno, ora gli scendevano come una cortina d’oro attorno al volto.
Arrossì violentemente quando lei se lo strinse al petto, cullandolo come un bimbo, ma non avrebbe saputo dire perché le aveva circondato la vita con un braccio.
Sapeva solo che ora il sole non bruciava più, e la sabbia non era più così abrasiva e bollente, ma anzi era soffice e compatta. Era diventata lo spesso tappeto della camera di Philia, e il calore era quello gentile del focolare, e la luce quella rosso-ambrata delle fiamme di un ciocco stagionato che ardeva.
-Questo è un tuo ricordo…- trovò solo la forza di dire.
-Credo di si. Volevo solo essere in un posto confortevole e familiare. -
Lui la strinse a sé, forte, come se temesse che lei lo abbandonasse.
-Non lasciarmi solo coi miei ricordi!- le chiese, quasi in lacrime. Il mondo stava sfumando attorno a loro. Il piccolo Val si stava svegliando.
-Non ti lascio solo. Non temere, tornerò. Tornerò, non aver paura, non aver paura…-
Lei svanì tra le sue braccia, e lui si trovò nella tenebra.
La tenebra di un bimbo con gli occhi chiusi, nel tiepido buio del salotto una notte d’inverno.
Il piccolo Val si agitò, reclamando la sua pappa, e Valgarv vide, senza avere la possibilità di comandarle, le piccole manine grassocce aggrapparsi alla stoffa della camicia da notte di Philia, cercando di afferrare le invitanti ciocche dorate.
Fu cullato assieme al sé stesso neonato, confortato con parole dolci, mentre veniva avvolto nella morbida coperta e posato sulla poltrona, e poco dopo, nutrito col latte caldo e dolce.
Il piccolo Val faceva piccoli versi soddisfatti mentre la sua "mamma" lo cullava e lo avvolgeva stretto nella coperta, e lo portava in camera, deponendolo, anziché nella culla, nel suo largo lettone.
Si sdraiò accanto al neonato, tutto ben avvolto, coprendolo anche con la sua coperta, e infilandosi sotto la coltre accanto a lui.
-Se, dormendo, tengo accanto a me Val che dorme, posso forse incontrarti di nuovo?-
Fece un’ultima carezza al suo piccolino, prima di spegnere il lighting con cui si era illuminata il cammino, e chiudere gli occhi.

La stanza era identica alla sua. Solo che, al posto di un neonato, c’era un giovane uomo tra le coltri.
Si protese sul letto, accarezzandogli i lunghi capelli acquamarina. Lui aprì gli occhi.
-Ti aspettavo. - le disse, rimanendo però immobile sotto le coperte.
-Sei un po’ grande per la favola della buonanotte, credo…-
-Non posso dormire. Di giorno, devo vivere e provare quello che prova Val, il neonato, E di notte, non posso avere requie, e vivo nei ricordi. Ma se resti accanto a me, forse riuscirò a vivere i ricordi felici. -
Philia si sedette sul letto, con il plaid sulle ginocchia, e rimase lì fino ad addormentarsi. Addormentarsi in un sogno.
Valgarv stette sotto le morbide coperte, rosa ovviamente data l’occupante della stanza, a osservarla dormire, il suo respiro profondo e regolare, i lievi movimenti degli occhi sotto le palpebre, i fremiti delle ciglia bionde.
Era un drago dorato.
Ma non importava.
Era qualcuno che voleva non lasciarlo solo.
Era tutto ciò che adesso aveva.


TRIANGOLO - 4
-Mi pare di essere un padre invisibile che osserva sua moglie prendersi cura del loro bambino. Solo che il mio punto di vista è interno, non esterno. -
Una notte, Valgarv ne uscì con questa affermazione.
Erano sulla riva di un lago. C’era il cinguettio di invisibili uccellini, e il vento soffiava dolcemente portando profumo di glicine in fiore. Il sole di maggio scaldava dolcemente.
Philia era seduta sull’erba folta come un tappeto, mentre Valgarv gironzolava attorno, forse per imprimersi nella mente quel paesaggio, e riviverlo anche quando lei non era lì.
-La cosa mi imbarazza un poco. Ci sono cose che un bambino può fare e un uomo no. - continuò.
Philia sferruzzava con gli aghi da calza una larga, lunga striscia verde-acqua. In realtà, quando era desta stava sferruzzando un cappello per Val, ma ora stava facendo una sciarpa.
-Come farsi cambiare il pannolino?-
Vide Valgarv farsi scarlatto in volto.
Gli fece segno di sedersi accanto a sé.
-Tu sei tu, e Val è Val. Non devi sentirti imbarazzato più di un uomo che veda una donna cambiare un neonato. -
-Ma io vedo quello che vede lui e sento ciò che sente lui. -
-E ti senti appagato assieme a lui?-
Valgarv tacque per un istante.
-A volte. -
Lei depose il lavoro a maglia accanto a sé, battendosi una mano in grembo.
-A Val piace addormentarsi con la testa sulle mie ginocchia. E a te?- sorrise.
Per tutta risposta, Valgarv s’allungò a terra, posando il capo in grembo alla ragazza.
-Anche a me piace stare così. - le disse, cingendole la schiena con un braccio. Lei riprese il suo lavoro ai ferri, come di solito faceva quando Val si piazzava sul divano usandola come cuscino, e stava per ore a sonnecchiare o a gorgheggiare nell’incomprensibile lingua segreta dei neonati.
-Spero solo di non iniziare a vedere in te una madre, come invece fa Val. Credo che sarebbe un po’ troppo. - disse a un certo punto, quando, se fosse stato un gatto, avrebbe iniziato a fare le fusa. Philia gli stava accarezzando la testa, e lui non si sentiva così bene da… da quanto? Forse il benessere riflesso di Val sazio e al caldo poteva avvicinarsi. Ma questa sensazione era solo sua, non passava per l’altro sé stesso infante.
Passarono lunghi minuti. Sebbene lui le avesse detto più volte che non poteva, Philia iniziava a pensare che Valgarv si fosse addormentato. Il suo respiro era profondo e regolare, e teneva le palpebre abbassate sugli occhi dorati.
Occhi che non riflettevano più solitudine e disperazione. Occhi che ora l’accoglievano assieme a un sorriso e, sempre più spesso, assieme a un abbraccio.
-Philia… come facevi a sapere che non ero "veramente cattivo"? Come potevi sapere che non ti avrei fatto del male, quando sei venuta in questa mia prigione, la seconda volta?- chiese lui, all’improvviso.
Philia fermò a mezz’aria la mano che accarezzava quei morbidi capelli verde chiaro. Poi, la mano riprese la sua dolce discesa tra le ciocche.
-Quando ti lasciasti assorbire da Dark Star, e poi ci parlasti, dopo averci circondati delle tenebre di Dark Star. Le tue parole. Il tuo volto. Tu non volevi la distruzione fine a sé stessa. L’avevo compreso. E, alla fine, una piccola parte di me ha desiderato che tu distruggessi questo mondo e lo facessi rinascere, più giusto e buono. - gli sfiorò il collo -Questi non sono pensieri e discorsi di un essere malvagio. Solo di una persona tanto triste. Di una persona che ha sofferto tanto. - tacque per un istante -Avrei voluto correre da te e consolarti, abbracciarti, dirti che potevamo ancora farcela, a rendere il mondo un posto bellissimo e giusto. -
Valgarv si voltò a pancia in su, allungando le mani a prendere quelle di Philia.
-Lo so. Eri dentro Dark Star. Dentro di me, in un certo senso. Per questo ho lasciato alla fine che mi uccideste. Che distruggeste Dark Star. - si accostò le mani di lei al volto -Anche io desideravo che tu venissi da me, a riempire il vuoto che la mia vita era diventata. -
-Non posso rimpiazzare coloro che hai perso, Valgarv. -
-Lo so. Loro sono ancora qui, nel mio cuore Però, puoi avere un tuo posto anche tu, qui, e riempirlo, se lo vuoi. -
Philia gli sorrise, dolcemente.
-Lo voglio. Lo voglio da molto tempo. Altrimenti non sarei qui ogni notte. -
Ci fu tra loro, per molti minuti, quel tipico silenzio di chi non parla con la voce, perché tutto quello che c’è da dire, è già stato detto dal cuore.
-Cosa accadrà, quando il bambino crescerà?- chiese d’improvviso Valgarv.
Philia tacque, non sapendo come rispondere.
Infine, trovò il modo di metter fiato alle confuse idee che aveva.
-Non lo so bene…- disse lentamente -Di sicuro, notte dopo notte, verrò qui. Non ti lascerò solo. -
sorrise, colpita da un buffo pensiero -Sarò come quelle donne, irreprensibili di giorno, e con l’amante segreto, al calar delle tenebre! Col vantaggio che io non dovrò sgattaiolare fuori di casa, eludendo lo sguardo di vicine impiccione!-
Anche Valgarv ridacchiò. -Ho avuto molti epiteti nei secoli… da "principe demone-drago", "allievo prediletto", "pupillo del Maryu-ou", a "assassino", "sterminatore", "dominatore del campo di battaglia, fino anche "pazzo" e "psicopatico". Ma "amante segreto" ancora mi mancava!-
-Beh, segreto, lo sei, nessuno a parte me sa che in Val vive Valgarv. - fece notare lei, scostandogli una ciocca da davanti a un occhio.
-E anche amante, adesso. Nel senso che credo che mi sto innamorando di te. - le disse, guardando le gote chiare della ragazza imporporarsi.
Attorno a loro si fece scuro: il piccolo Val si era svegliato, piangendo per il pannolino sporco.
-Anzi, forse già ti amavo, da quando mi ero fuso con Dark Star. Ti amo da quando nei tuoi occhi non ho letto odio, ma solo pietà, e comprensione. Era troppo tardi, ormai. Ma se avessi distrutto questo mondo, se fossimo rinati in un mondo migliore, avrei voluto rinascere assieme a te, per condividere assieme una intera vita.- mormorò Valgarv al buio, mentre Philia tornava nel suo corpo, accendendo un lighting in tutta fretta e cercando la vestaglia.
Pensieri trattenuti, non dati alla voce, forse ancora troppo arditi per essere rivelati.
Ma, forse, un giorno…



TRIANGOLO – 5
Val metteva il primo dentino, e frignava ed era nervoso tutto il giorno. Proprio adesso che erano passate le coliche. Quando finalmente si addormentava, Philia crollava esausta accanto a lui, ben lieta di trascorrere qualche ora tranquilla in riva a un placido lago dei suoi ricordi, o ad ammirare la neve che cadeva lenta e silenziosa.
Lei e Valgarv passeggiavano sotto fiocchi tiepidi e delicati come i piumini dei pioppi, che avvolgevano silenziosi il paesino, per poi tornare alla casa gemella di quella in cui vivevano, e guardare fuori la sera calare, nel silenzio che li avvolgeva.
All’inizio, l’assenza di altre persone a parte loro, e il conseguente silenzio, avevano impressionato Philia. Ma poi avevano scoperto un altro silenzio, il silenzio complice tra loro due, un’intimità che si stava creando giorno per giorno, con sempre più spesso quella casa come teatro.
Valgarv aveva vissuto per mille anni circa, giorno più giorno meno, ma sempre scappando, combattendo, lottando. Non aveva la più pallida idea di come corteggiare una donna. E Philia era stata per tutta la sua ben più breve vita una vestale.
Val aveva quasi dodici mesi, e gattonava per tutta la casa allegro come solo i bimbi sanno essere, e Valgarv ancora s’interrogava di come iniziassero le cose tra uomo e donna.
Poi, il colpo di fortuna.
Palu aveva sorpreso Val gattonare in cortile, l’aveva preso e riportato in casa.
E aveva visto la mamma e Jiras che si baciavano.
E anche Val aveva visto.
Ovviamente, Val non ci aveva capito una cippa, ma Valgarv, che guardava con gli occhi del bimbo, aveva avuto finalmente chiarite una o due cose, che un tempo Jiras aveva tentato timidamente di spiegargli, alla domanda del demone-drago su cosa ci trovasse di interessante nelle femmine.
Solo che Jiras e la mogliettina parevano ben oltre il timido rapporto che stava nascendo tra lui e Philia.
Non erano solo timidi bacetti. Erano baci di fuoco, e abbracci e risatine e allusioni e ammiccamenti.
Se Valgarv avesse avuto un po’ più di esperienza, o fosse stato più smaliziato da quel punto di vista, avrebbe capito che, probabilmente, tra qualche mese Palu avrebbe avuto un fratellino o una sorellina!
Allusioni e ammiccamenti a parte, il problema era: Irina era più che consenziente, con Jiras. Philia lo sarebbe stata, con lui?
E, soprattutto, lui avrebbe avuto il coraggio?
Era terrorizzato all’idea di ferirla. Se lei lo avesse odiato, se lo avesse abbandonato… non osava neppure pensarci.
Quello che non sapeva, era che Philia aveva avuto modo, durante i sonnellini di Val, di fare lunghe chiacchierate con Irina riguardo ai rapporti di coppia.
Sapeva che, nel rapporto di coppia, c’erano tre fasi, dette A, B e C (1). Sapeva vagamente a cosa corrispondevano, ma non si era mai interessata a fondo.
In fondo, era stata una vestale, fino a un anno e mezzo prima. Certe cose, semplicemente, non dovevano interessarle.
Ma adesso non era più una vestale, e, insomma, alla sua età una ragazza doveva imparare come giravano le cose tra uomini e donne.
Così, aveva fatto due istruttive chiacchiere con la donna-volpe, molto più giovane di lei, certo, ma con molta più esperienza, in quanto già vedova e risposata.
Quel poco che Philia sapeva sull’"A, B, C", si era rivelato essere solo la punta dell’iceberg. E aveva domandato solo dell’A, e aveva ricevuto appena un accenno al B (non richiesto, tra l’altro)!

Quel giorno, avevano scelto un giardino.
Avevano scoperto che, assieme, potevano combinare più ricordi, per creare nuovi paesaggi, nuove cose.
Era un pomeriggio di inizio estate, in un parco con i sentieri selciati di pietre rotonde, un largo fiume artificiale con piante acquatiche e grossi pesci colorati, un mulino che pareva uscito da un’illustrazione, e salici dai fusti enormi che sfioravano con le fronde la corrente.
Come al solito non c’era nessuno, tranne qualche uccellino che svaniva quando si distoglieva l’attenzione da lui.
Ma il mormorio del fiume incanalato che si trasformava in selvaggia cascatella, dopo un paio di centinaia di metri, dava l’illusione di un chiacchiericcio di persone.
L’erba era bassa e cosparsa di margherite e botton d’oro.
Il tipo di paesaggio che piaceva tanto a Philia.
Valgarv amava di più praterie battute dal vento, boschi mai sfiorati dalla mano dell’uomo, rive di laghi e spiagge che mai avevano conosciuto il tacco umano. Amava le profonde caverne vulcaniche, dove il calore era costante, o i bui anfratti dove i millenni creavano fantasmagorie di pietra.
Ma anche quel fiumiciattolo addomesticato era grazioso.
Philia doveva aver visto spesso simili fiumicelli addomesticati, perché il fondale di piante acquatiche piegate dalla corrente e pesciolini colorati era nitido e preciso. La ragazza s’era seduta sull’erba, immergendo le punte delle dita nell’acqua fresca e cristallina.
Valgarv, in piedi accanto a lei, apparentemente guardava i pesci rossi dorati. In realtà, il suo sguardo era calamitato dalla massa color oro dei capelli di Philia, che scintillavano a un sole gentile, lasciando liberi a tratti scorci del collo lungo e chiaro.
Come aveva potuto, un tempo odiare il color oro? Fino a poco tempo prima, lo associava agli assassini della sua razza. Ora, non riusciva a collegarlo ad altro che a quella chioma di sole.
Si inginocchiò dietro di lei, cingendole le spalle con un abbraccio, e affondando il volto in quella massa di capelli.
Philia sfarfallò un attimo le lunghe orecchie, tipiche dei draghi dorati, più lunghe persino di quelle degli elfi, voltando il capo, sorpresa.
Sorrise, accarezzando il colto di Valgarv, quando questi le posò il mento nell’incavo della spalla.
Non avrebbe mai pensato che il fiero guerriero, l’uomo temprato dall’asprezza di una vita da reietto, potesse celare un lato tanto dolce e sensibile. Nel suo abbraccio, la ragazza percepiva tutta la disperata ricerca di affetto, di qualcuno a cui importasse di lui.
E lei si sentiva onorata e felice, di poter essere ora quel qualcuno.
Erano così vicini, i loro volti, che al punta del naso di lui sfiorava la guancia di lei.
Eppure, dato che Valgarv era sempre stato tanto timido, anche per il primo abbraccio, Philia rimase genuinamente stupita, quando le labbra di lui le sfiorarono l’angolo della bocca, arretrando poi, come timoroso di quel che aveva fatto, temendo la sua reazione.
Gli occhioni blu della ragazza si erano spalancati, ma nient’altro del suo corpo aveva tradito la sorpresa. Forse già tutto il suo corpo lo desiderava.
Si voltò leggermente, sorridendogli incoraggiante, girandosi in quell’abbraccio che, lei sapeva, poteva essere una morsa ferrea, o la più dolce delle prigioni.
-Hai sbagliato un po’ la mira. - gli disse, scherzosa, con la mano libera che lo tratteneva per l’orlo della giacchetta.
-Posso riprovarci?- chiese lui serissimo, anche se da tutto il suo corpo trapelava l’indicibile sollievo del non essere stato respinto.
Per tutta risposta, Philia strinse la presa sul tessuto, e lo attirò a sé, chiudendo gli occhi.

Morbido.
Caldo.
Anche in seguito, ogni volta che Valgarv avesse tentato di ripensare a quel suo primo bacio dato a Philia, gli unici aggettivi con cui riusciva a descriverlo erano "morbido" e "caldo".
Le labbra della ragazza erano morbide, così come il braccio che gli premeva contro il petto, i capelli tra le mani, le spalle che cingeva.
Non avrebbe mai voluto interrompere quel contatto, ma quando si dovettero scostare per riprendere fiato, ci fu un secondo bacio, e un terzo.
Era calata una dolce sera nel giardino di sogni e fantasia, e grilli e lucciole impreziosivano il crepuscolo. Una luna bianca d’argento rendeva scintillante il corso d’acqua, e la luce delicata enfatizzava la carnagione, chiara, anche se in maniera diversa, dei due.
Valgarv non era mai stato interessato all’arte, ma si ritrovò a pensare che neanche una mano immortale e sublime avrebbe potuto catturare la bellezza e la dolcezza dello sguardo che Philia gli rivolse, sotto quella luce lunare.
"È bellissimo", avrebbe voluto dire. "Sei bellissima", la sua mente cercava disperatamente di pronunciare. "Ti amo", gridava il suo cuore.
Ma dalle sue labbra dischiuse non usciva un suono. Era un guerriero, non un poeta. I fatti erano il suo modo per esprimersi.
Philia ormai l’aveva capito bene, in quella luce lunare, vedeva quelle labbra sottili aprirsi e poi chiudersi, cercando di dire qualcosa che lei aveva già capito da tempo.
Gli posò la testa sulla spalla, in un abbandono tanto innocente quanto completo.
-Anche io ti amo. - gli sussurrò, risparmiandogli alla fine l’agonia del cercare di dire qualcosa e non riuscire a cacciarla da quanto era grande.



Nota di Ilune:
(1) A, B, C.
Si intendono con le tre lettere, le tre fasi del rapporto di coppia.
A: baci, da quello sfiorato a quello profondo
B: petting
C: rapporto sessuale completo




TRIANGOLO - 6

Philia sapeva che, quando Val dormiva, e lei non era con lui, Valgarv vagava solo nelle lande dei suoi ricordi.
La preoccupava e la rattristava, saperlo solo, ma non sarebbe riuscita a dormire ogni volta che il bimbo si addormentava. Aveva dopotutto un negozio e una casa da mandare avanti, anche se aiutata dalla famiglia di Jiras e da Gourabos.
Fece una carezza veloce al bambino, che gorgogliava mezzo addormentato, nella sua culla di vimini dietro il bancone del negozio. Aveva ormai un anno, era la vigilia del suo compleanno, e non ci stava quasi più in quella culla più adatta a un uovo, che a un paffutello bebé.
-Spero tu non ti senta troppo solo. - mormorò, non al bambino, ma all’uomo dentro di lui.
L’ingresso di una cliente particolarmente rumorosa svegliò il bambino dal suo sonnellino appena iniziato, facendolo frignare nervoso per tutto il pomeriggio.
Il mancato sonnellino portò al rifiutare la merenda, poi a una fame da lupi a cena, e infine a un bel pianto per indigestione.
Decisamente una giornata no.
Quando finalmente si addormentò, con il suo orsetto di peluche preferito tra le manine e il ciuccio in bocca, Philia si permise di tirare un sospiro di sollievo.
Era così difficile, allevare un bambino!
Si spazzolò i lunghi capelli, raccogliendoli in una grossa treccia.
Anche con l’aiuto di Irina, di Jiras e di Gourabos, c’erano dei giorni in cui, semplicemente, sentiva che da sola non ce la faceva. Che le mancava qualcosa.
Si spogliò e si mise la camicia da notte, rosa ovviamente.
Qualcuno.
Si infilò sotto le coperte.
Che le mancava un compagno, un padre per il suo piccino.
Accarezzò la testolina del bambino, addormentato, che succhiava beato il ciuccio nel sonno.
-Ti voglio tanto bene… ma vorrei che tu fossi davvero figlio mio, e di Valgarv, e non solo il suo corpo rinato, la sua prigione…- lo baciò sulla fronte, poi si lasciò cadere, esausta, a letto.
Un attimo dopo, era nel beato mondo dei sogni.

Uno sperone di roccia battuto dal vento, affacciato su un mare burrascoso. Il cielo era limpido, l’aria frizzante, salmastra.
La ragazza respirò a pieni polmoni quell’aroma selvaggio e puro.
Come lui.
Percorse i pochi metri che la separavano da Valgarv, in piedi su quella roccia, a guardare il mare, affascinato.
Lo abbracciò, posando la fronte sulla schiena ampia di lui.
Sentì sotto la guancia i muscoli della schiena del drago ancestrale guizzare, torcersi, mentre voltava il capo e le sorrideva.
-Giornata pesante, eh?-
-Non finiva più…- sospirò lei, grata di quelle ore di tranquillità.
-Ti piace?- le domandò indicando il mare, l’aria pura, con un ampio gesto del braccio.
-Si. Da un senso di libertà. Fa venire voglia di volare, cavalcare il vento…-
Lui si voltò, passandole un braccio attorno alla vita. La baciò, e Philia sentì sulle sue labbra il sapore del sale che il vento aveva depositato.
-Io non so volare. -
-Certo che sai volare! Sei un drago!-
-È passato tanto tempo. Non sono più tornato interamente alla mia vera forma, da quando Garv mi ha trasformato in un demone-drago. -
Lei gli prese la mano. -Qui possiamo fare ciò che vogliamo. Pensa a com’eri. Pensa alle ali, al cuore che batte nove volte. Pensa al vento che ti solleva, agli artigli. Pensa a ciò che sei veramente!-
Valgarv la guardò, dubbioso. Lei si protese sulle punte, baciandogli la guancia -Io so che puoi farlo. - gli sussurrò.
Beh, lei lo credeva. Non poteva deluderla.
Le sorrise, incerto, allontanandosi di qualche passo. Ricordava che, come drago, era molto più grosso di un umano.
Si guardò le mani. Trasformava sempre quelle per prime. Poi le ali, e poi… non era mai andato oltre, da che era Valgarv, e non più Valtier.
Beh, qui posso tutto, si ripeté.
E, senza dolore, senza fatica, chiuse gli occhi, e quando li riaprì, era ciò che era sempre stato.
Valgarv, drago ancestrale.
Le lunghe ali dalle piume nere frusciavano nel vento invitante.
Rumore di sassi sgretolati, una piccola figura dorata si accostò a lui.
-Non è stato difficile, no? - chiese Philia, nella sua vera forma di drago dorato.
Drago… diciamolo… abbozzo di drago.
Pareva… ecco, ad essere gentili, tonda. Buffa.
Un disegno di drago, fatto da qualcuno che non sapeva disegnare troppo bene.
Con un fiocco rosa sulla coda.
Valgarv sorrise, mettendo in mostra una chiostra di zanne candide.
-No, qui no. - la guardò -Sembri così piccola…-
Lei arrossì -So… sono ancora giovane! Quando sarò completamente adulta, sarò…- fece due conti -Ti arriverò circa qui. - indicò un punto appena sotto la spalla di Valgarv.
Lei fece qualche passetto in avanti -Dai, lanciati anche tu!. Tuffandosi dalla scogliera, le ali chiuse, fin quasi a sfiorare il mare, e poi, spiegando di colpo le membrane dorate, prendendo il volo, salendo fino a un’altezza vertiginosa cavalcando il vento vigoroso.
Valgarv guardò diffidente l’altezza che lo separava dall’acqua.
L’acqua, cadendo da quella altezza, è più dura di un muro di cemento, sapeva.
LUI non avrebbe fatto le acrobazie. Per ora…

Mezz’ora dopo, il drago ancestrale cavalcava il vento in giri della morte e complesse acrobazie, volteggiando attorno a Philia.
Quel fiocco rosa svolazzante legato alla sua coda era invitante, avvertiva l’irresistibile, giocoso impulso di rincorrerlo, afferrarlo, come un gattino con la pallina.
E Philia stava al gioco, producendosi in acrobazie che parlavano di una assai poco femminile propensione e passione per il volo acrobatico.
Volavano assieme, l’uno nella scia dell’altro.
E a un certo punto, Valgarv si rese conto che il suo interesse per il nastro rosa era sparito, soppiantato dall’interesse per colei che lo indossava, quel nastro rosa.
E il volo di Philia era meno scatenato, più… languido. Non cercava più di sfuggirgli giocosamente, quanto piuttosto di precederlo.
Quando l’aveva vista come drago, l’aveva trovata buffa, così tondetta da essere quasi una caricatura di un drago.
Ora ammirava quelle ali, il suo collo si protendeva per intrecciarsi un attimo con quello di lei. Buffo come fosse snella e alta in forma umana, e come fosse piccola e rotonda, come drago, quasi. Piccola, ma morbida, e calda tra le sue braccia.
Anche Philia aveva avvertito quella differenza nel modo di volare. Non voleva più seminare il suo Valgarv. Voleva invitarlo in quei caroselli aerei, stuzzicarlo, ma farsi prendere… gli antichi istinti animali dei draghi stavano prendendo il sopravvento sulla razionalità tanto vantata da alcune delle razze draconiche.
Valgarv era bello, bellissimo, anche come drago: le ampie ali, le braccia lunghe, il collo flessibile che si protendeva per avvolgersi a lei.
Con un ultimo scatto, lui la raggiunse, seguendo un istinto antico di migliaia di anni più che la ragione, stringendola tra le braccia, e sostenendo con le proprie ali il pesi di entrambi, planando giù…
Se fossero stati nel mondo reale, ad altissima quota, se avessero avuto più esperienza delle correnti, avrebbero potuto planare, uniti, avvinghiati, anche per un’oretta buona.
Ma il vento di quel luogo era dato dai ricordi di Valgarv, e non erano comunque ad alta quota.
Con orrore, furono strappati all’ovattato mondo dei sensi animali dalla vista di una scogliera che avanzava a grande velocità verso di loro!
Fu Valgarv a riuscire a pensare con maggiore lucidità a cosa fare, come salvarsi. In fondo, quello era il suo mondo onirico. Era lui che decideva cosa c’era, anche se non chi.
Un istante dopo, due draghi in forma umana piombavano in strisciata a velocità paurosa su un letto a circa tre piazze, con un terribile scricchiolio del legno.
Per alcuni minuti, i due restarono immobili, come a fare la conta dei pezzi del corpo eventualmente persi nell’attrito.
-Siamo… ancora vivi?- chiese alla fine Philia.
-Pare di si. - Valgarv si lasciò cadere sul letto. Il suo letto, nella fortezza di Garv, nelle sue stanze private.
Abbracciò Philia, stringendosela al petto.
-Lo avvertivi anche tu? Quell’istinto… quel desiderio impellente…-
-Si. Io… non sapevo che… per noi draghi fosse così. - era rossa. Valgarv sentiva contro il petto nudo le guance di lei bruciare.
-Perché avrebbero dovuto dirtelo, candida e pura vestale?- le sorrise lui.
-Giurami che non faremo più una cosa del genere in volo!- sospirò lei, ancora scossa dalla caduta, alzando lo sguardo a incontrare quello dorato di lui.
-Te lo giuro. - la baciò, a lungo, profondamente. Sentì le mani di lei cingergli i fianchi, i loro corpi aderire. -Qui si sta meglio. -
Lei si bloccò, consapevole di quello che le parole di Valgarv sottintendevano.
Le braccia nude del ragazzo contro la sua schiena. Nuda, Se ne rendeva conto adesso.
Stranamente, non provava vergogna. Solo un gran senso di sollievo.
E desiderio. Desiderio di non lasciare più quelle braccia calde che l’avvolgevano, desiderio di non staccarsi più da quel petto muscoloso, segnato da innumerevoli cicatrici, che la spingeva contro il materassi, facendola affondare tra le soffici coltri, mentre le labbra lisce e asciutte di Valgarv percorrevano centimetri per centimetro la pelle del collo.
Come sapeva? Come poteva?
Anche Valgarv, ommeglio, una piccola parte di lui ancora abbastanza razionale, si chiedeva come e dove trovasse il coraggio di fare quelle cose, come facesse a sapere che erano la cosa giusta da fare.
Una piccola parte.
Perché la maggior parte di lui era stata nuovamente portata via dall’istinto, e dal desiderio di non lasciare più la sua donna, la sua compagna, si, ora poteva dirlo, di diventare un’unica cosa, nel corpo e nell’anima.
Le accarezzò i capelli, puntellandosi sul gomito, fermandosi per un attimo.
Lei gli sorrise. -Si, qui si sta davvero meglio. - lo attirò a sé -Ma starei bene dovunque, con te. -
L’ultimo pensiero razionale di Philia, prima di lasciarsi andare all’istinto più antico e piacevole del mondo, fu "non c’è bisogno che chiedo a Irina del B e del C…".



TRIANGOLO - 7
Val compiva un anno. Philia aveva intenzione di preparare una bella cenetta per quella sera, con la torta e tante altre cose buone. In realtà, in cuor suo, lei festeggiava anche qualcos’altro. Qualcosa meno da madre, e più da donna.
Jiras e Irina erano andati a fare la spesa, assieme a Palu, e Gourabos era andato a fare in fretta delle consegne.
Philia era sola in cucina, assieme a Val, che, seduto per terra su una coperta, giocava con dei cubi di legno.
La ragazza pelava delle patate.
L’aria tiepida si fece d’improvviso gelida.
Non era una questione di temperatura. Era come se fosse diventata di melassa, come se qualcosa opprimesse la ragazza.
Riuscì ad alzare lo sguardo, ma solo perché lui l’aveva permesso.
Perché lui amava giocare al gatto col topo.
E Philia capì di colpo che il gatto s’era stancato del topolino. Che aveva deciso di mangiarlo.
-Ciao, Philia-chan. - fece, col suo sorriso canzonatorio, gli occhi chiusi, l’aria ingannevolmente tranquilla e affabile.
-Xelloss…- riuscì a mormorare con un filo di voce la ragazza.
-Ne è passato di tempo, eh? Un anno e mezzo… Oh, e quest’ometto dev’essere Valgarv. Ti trovo un po’ ristretto, principe dei demoni drago. - Xelloss tirò su il bimbo per la collottola. Val si mise a piangere, spaventato dallo sconosciuto, chiamando la mamma.
Ma la mamma non poteva muoversi, paralizzata dal potere di Xelloss.
-Che ci fai… qui?-
Riusciva a malapena a parlare.
-Un lavoretto ordinato dal capo. Sai, mi ha detto di sbarazzarmi ora di possibili pericoli futuri. - avvicinò la mano libera al collo di Val, prendendogli la testolina.
-NO! Lascialo stare!- la disperazione aveva dato a Philia la forza sufficiente a contrastare un poco il potere di Xelloss. Riuscì ad alzarsi. A tirare una delle patate che aveva in mano, anche se il tubero cadde miseramente a terra, pateticamente lontano da Xelloss.
-Mi dispiace, Philia-chan. È un ordine. Anzi, no, a dire il vero non mi dispiace per nulla. Sai, è da tempo che ho bisogno di un nuovo subordinato…-
Sempre tenendo il piangente Val per la collottola, si avvicinò alla ragazza, prendendole il mento tra le dita. Il suo potere era schiacciante, riempiva tutta la stanza. Philia dovette fare uno sforzo per non svenire.
In seguito, fu fiera di aver fissato senza tremare, senza piangere, quegli occhi ametista, che avevano visto e causato la morte di migliaia di suoi simili in pochi istanti.
Lei, una ragazzina, per i draghi dorati.
-Chissà quanto tempo ci metterai, ad abituarti alla tua nuova casa e al tuo nuovo padrone?- disse, sorridendo. Sorrideva sempre. Per quello faceva tanta paura.
Le passò due dita sulle labbra, avvicinandosi -Chissà quanti giorni ti ci vorranno a dimenticare questo posto e queste persone, chiusa nelle mie stanze? AHI!!!-
Philia non era del tutto paralizzata, poteva muoversi un poco.
Poteva mordere.
L’aveva morso.
Non sapeva se a Xelloss quel morso avesse causato un po’ più di dolore di una puntura di spillo. Ma era pur sempre qualcosa.
-Preferirei morire, piuttosto che vivere come tua schiava!- gli ringhiò contro, sputandogli addosso.
Le sopracciglia di Xelloss si contrassero.
Non sorrideva più, e gli occhi erano aperti.
-Come preferisci. Ma prima di morire, assisterai alla morte dell’ultimo Drago Ancestrale, per la cui vita tu hai sacrificato tutto. -
In seguito, Philia avrebbe sempre ricordato con angoscia il volo del corpicino verso il muro, l’urto, il rumore di ossa fracassate.
Aveva sempre odiato l’odore del sangue, e quella volta, le parve inondare tutta la stanza.
Il suo piccolo Val giaceva con la testa piegata in un angolo innaturale, a terra, e una pozza di sangue si formava sotto di lui, impregnando la tutina celeste.
I polsi le dolevano, stretti nella morsa ferrea della presa del demone, forse Xelloss voleva spezzarglieli, ma cosa le importava, di vivere o morire: la creatura che amava come un figlio, in cui era rinchiusa l’anima dell’uomo che amava, tutto perduto, tutto, con un solo gesto, col semplice lanciare quel corpicino contro il muro.
Lacrime bollenti le solcarono il volto.
Non aveva saputo proteggerlo. Non era riuscita a mantenere la sua promessa.
Non sarebbe bastata una vita prigioniera dei demoni, per espiare.
Era come una bambola inerte, prostrata dal dolore, quando Xelloss le tirò su le braccia, afferrandole i polsi con una sola mano.
-Potrai avere altri figli. Degli adorabili mezzi demoni e mezzi drago, se vuoi. - le sussurrò all’orecchio. Philia continuava a piangere, ignorandolo, come una bambola in cui solo nella testa ci fosse vita.
Xelloss la lasciò cadere a terra, disgustato da tanta passività.
Se la ragazza non reagiva, non strepitava, se era come una bambola, che gusto c’era?
Lasciata libera, Philia si trascinò carponi fino al corpo di Val, abbandonato come un pupazzo rotto, prendendolo tra le braccia, lordandosi di sangue. Era troppo tardi per un recovery, troppo tardi anche per un resurrection. Da certe ferite non si guarisce, lo sapeva bene.
Anche con gli occhi pieni di lacrime, poteva quasi vedere l’anima di Valgarv liberarsi da quella prigione, per tornare finalmente nel Mare del Chaos, alla pace che tanto agognava, all’oblio che desiderava.
No.
Lo vedeva.
Era davanti a lei. Evanescente come un sogno, ma era lì.
Si chinò su di lei, sorridendole, togliendole gentilmente il corpicino dalle braccia, abbracciandolo.
Unendosi a lui.
Xelloss era troppo stupefatto dal fatto, troppo incredulo per reagire. E non fermare il processo gli fu fatale.
Chi gli rivolse l’occhiata assassina, non era più il pupetto di un anno. Era l’ultimo Drago Ancestrale. Era il Principe Demone Drago. Era Valgarv.
E poteva dargli del filo da torcere anche senza poteri demoniaci, come lo scontro nel deserto di quasi due anni prima dimostrava.
-E adesso come la mettiamo, rifiuto?- chiese lo statuario giovane, nudo, ad eccezione del mantello di capelli che gli copriva il corpo, e di un resto di tutina stracciata che copriva, più per caso che per pudore, gli attributi tipici maschili.
Il rifiuto pensò bene di filarsela.
Era stato il guerriero dalla voce dura e tagliente a scacciare Xelloss. Ma era il giovane gentile dei loro appuntamenti nel mondo onirico, il suo dolce e passionale amante, quello che porse la mano a Philia, facendola alzare in piedi, e abbracciandola, come se temesse di svanire se non si fosse aggrappato a qualcosa di solido e reale.
Dopo un istante di incertezza, anche Philia lo abbracciò, stringendosi al suo collo, bagnandolo di lacrime.
Erano lacrime di gioia. Ma anche di dolore.
Valgarv non l’aveva mai vista piangere così. L’aveva vista offesa, spaventata, terrorizzata, pietosa, arrabbiata. Ma non l’aveva mai vista prostrata dal dolore, in lacrime.
Perché aveva ritrovato l’uomo, ma aveva perso il figlio.
-Philia… Philia, non piangere. - le prese delicatamente le mani.
-Lui non è scomparso. Lui è qui, dentro di me. L’ho trattenuto, prima che tornasse nel Mare del Chaos. Vuole essere tuo figlio, capisci? E aspetterà, attenderà il momento in cui potrà esserlo di nuovo. -
Philia alzò gli occhi.
La prima volta che aveva visto lo sguardo deciso e fermo di Valgarv, ne aveva avuto paura. Ma ora era la vista più confortante in cui potesse sperare.
-Cosa?-
-Si. Presto sarà di nuovo tuo figlio. Nostro figlio. - le posò una mano sul ventre -Aspetterà di poter prendere il suo vero posto. -
Philia abbassò il capo, guardandosi il ventre, la mano di Valgarv che lo sfiorava.
Capì cosa intendesse dire.
-Nostro figlio. Si. - mormorò, smettendo di piangere.
In fondo, non era un addio. Era solo un arrivederci. E stavolta, suo figlio avrebbe avuto un papà.
E lei, l’uomo che amava.
  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Slayers / Vai alla pagina dell'autore: Ilune Willowleaf