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Autore: Marne    03/08/2013    4 recensioni
Jordan viene spesso preso in giro a causa dei sentimenti che ha scatenato in due cugini Sinclair, ma quale potrebbe essere, per lui, l’unica possibile scelta? L’onore della famiglia o il volere del proprio cuore?
"« Jerome dov’è? Lui non viene? » domandò Alexandria, spingendo di lato Justin, in modo che finisse dritto fra le braccia del gemello, dando inizio ad un nuovo scontro inconcludente fra i due, uno dei tanti. « Aveva detto che sarebbe stato dei nostri, questa mattina. » aggiunse, con una certa apprensione, guardando in direzione di Gabriel che, probabilmente, era il più informato, fra loro.
Quest’ultimo si limitò a scuotere la testa. « Ha detto che non se la sentiva, è rimasto in caserma. » i suoi occhi di ghiaccio si puntarono, senza la minima pietà, sul più giovane dei fratelli Vandemberg."
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"Sapeva della presenza di quasi tutta la sua famiglia e dei suoi amici, quella sera. Sapeva che, qualsiasi azione - ad esempio, abbandonare la giovane Mayfield per correre alla Caserma di Altieres - compiuta in quel momento sarebbe stata definitiva e lo avrebbe incatenato a delle conseguenze inevitabili. Lo sapeva, ma non per questo evitò a se stesso di agire."

Spoiler per L'Ordine della Croce.
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Fayette Mayfield, Gabriel Stuart, Jerome Sinclair, Jordan Vandemberg, Julian Lord
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Fandom: Black Friars.
Pairing/Personaggi: Jordan Vandemberg; Jerome Sinclair; Jordan/Jerome; Gabriel Stuart, Cain e Sophia Blackmore e tutta la compagnia.
Rating: Giallo.
Chapters: 1/1.

Genere: Angst, Introspettivo, Triste.
Words:  3311
Summary: Jordan viene spesso preso in giro a causa dei sentimenti che ha scatenato in due cugini Sinclair, ma quale potrebbe essere, per lui, l’unica possibile scelta? L’onore della famiglia o il volere del proprio cuore?

Note: Ormai è passato un po’ di tempo dall’uscita dell’ultimo libro, eppure sono rimasta sconvolta nel notare che nessuno - se qualcuno l’ha fatto e mi è sfuggito, chiedo totale perdono - ha ancora scritto di quei due briganti di Jordan e Jerome. Cioè, andiamo! Sono praticamente canon! Canon! Una coppia simile è canon e a nessuno sembra interessare! Non si fa, no! Devo ammettere, inoltre, di avere una certa ansia nel postare questa cosa. Non sono certa che mi piaccia, però quei due reclamavano giustizia ed io… si, insomma, non ce l’ho fatta. Perdonatemi, se non vi piacerà, io ho solo fatto del mio meglio. Damianne si inchinerà davanti a tutti coloro che le diranno quanto fa schifo tutto ciò, senza lamentarsi!

Ah, giusto per specificare: quei due sono troppo carini insieme. Jordan è troppo carino. Jerome è troppo carino. Sono tutti troppo carini. Troppo.

 

Questa è per Noe,

anche se ancora non puoi leggerla per i troppi spoiler, io te la dedico comunque! 

 

 

« Chi sceglierai tra Fay e Jerome Sinclair? »

« Perché, Vostra Altezza ha piazzato una scommessa? »

 

Nella sua famiglia, nascondere le emozioni al meglio era un pregio che solamente il terzogenito, il Principe Bryce, sembrava poter vantare. Pochi sapevano - pochi volevano sapere - che anche il più giovane dei quattro Principi di Aldenor aveva sviluppato quella particolare inclinazione a celare ai più ciò che gli si agitava in cuore.

Doveva farlo, la sua famiglia non l’avrebbe mai accettato.

Odiava dover mentire in modo così spudorato a coloro che, in assoluto, amava più della sua stessa vita. Ma non aveva scelta. Non aveva possibilità di cambiare il disastro in cui la sua vita era precipitata, da neppure troppo tempo. Credeva fosse solo un momento, credeva che sarebbe passato tutto.

Ma non era successo.

Le porte della Residenza della Reggenza di Altieres si aprirono davanti a lui, Alexis in persona si premurò di prendere il suo bastone ed il soprabito, indicandogli, con un cenno rispettoso, il salone in cui, evidentemente, i suoi amici lo stavano aspettando, prima di dirigersi all’Elisir del Diavolo.

Jordan non voleva entrare. Non voleva vederli. Non voleva vedere loro. Però non aveva scelta, perché tutti si aspettavano da lui un certo comportamento. Non poteva certo deludere Julian. Non poteva certo deludere Sophia. Non poteva, nonostante il suo unico desiderio, in quel momento, fosse il poter tornare al suo Collegio, chiudersi nella sua camera e fingere che tutto ciò che stava vivendo non fosse stato altro che un terribile sogno.

Uno strillo acuto e carico di gioia lo fece quasi trasalire, non appena ebbe messo piede nella grande sala. Soprattutto perché, immediatamente, Jordan aveva riconosciuto l’autrice di quello strano e trillante richiamo per animali, stranamente simile a quello dei bovari che facevano pascolare le mucche, in campagna. O forse simili ai fischi dell’Onorevole Megan, non c’era molta differenza.

« Sei arrivato, finalmente! Non ci speravo più! » Fayette Mayfield si attaccò al suo braccio, guardandolo con tutta la gioia e la speranza che solo un’adolescente sognatrice potevano avere. Credeva che avrebbe ballato con lei tutta la sera, come gli aveva fatto promettere. E forse l’avrebbe fatto davvero, perché era un Vandemberg ed i Vandemberg rispettavano le loro promesse.

« Ho preferito perdere qualche minuto in più davanti allo specchio, oggi. Mio fratello non mi avrebbe perdonato se fossi uscito con un nodo alla cravatta meno che perfetto » fu la sua risposta laconica, seguita da un coro di risate da parte di tutti gli altri occupanti. Tutti tranne la giovane Sophia, che, invece, gli dedicò un’occhiata piena di comprensione. Lei stessa, prima di potersi definire accettabile, aveva trascorso ore ed ore davanti allo specchio. L’immagine del suo amato tutore che interrompeva i festeggiamenti solo perché non reputava accettabile la sua acconciatura la tormentava anche di notte.

« Jerome dov’è? Lui non viene? » domandò Alexandria, spingendo di lato Justin, in modo che finisse dritto fra le braccia del gemello, dando inizio ad un nuovo scontro inconcludente fra i due, uno dei tanti. « Aveva detto che sarebbe stato dei nostri, questa mattina. » aggiunse, con una certa apprensione, guardando in direzione di Gabriel che, probabilmente, era il più informato, fra loro.

Quest’ultimo si limitò a scuotere la testa. « Ha detto che non se la sentiva, è rimasto in caserma. » i suoi occhi di ghiaccio si puntarono, senza la minima pietà, sul più giovane dei fratelli Vandemberg, scrutandolo come se riuscisse a scorgere tutti i suoi tormenti interiori. « A quanto pare, la persona che aveva deciso di portare alla festa ha deciso di piantarlo in asso per qualcun altro. »

La parola persona martellò contro le costole di Jordan come se avesse deciso di tirargli fuori il cuore con tutta la violenza possibile. Persona, non ragazza. Persona. Lui era quella persona? No, non poteva essere. Non avrebbe avuto il minimo senso, no?

« Verrai all’Elisir del Diavolo? » parole sussurrate contro le sue labbra, quando la natura umana li aveva forzati ad allontanarsi l’uno dall’altro.

« Certo che verrò »

Non potevano certo essere un invito, quelle sue parole. Non potevano, perché loro non potevano certo presentarsi insieme in pubblico, lui lo sapeva. Doveva saperlo, altrimenti avrebbe davvero potuto immaginare che sarebbero andati insieme alla festa. No, Jerome non era uno sprovveduto, lui capiva sicuramente la spiacevole situazione in cui si erano andati a cacciare, lui comprendeva la necessità di nascondere a chiunque, anche a loro stessi, l’incidente che li aveva coinvolti, durante il viaggio verso Aldenor. E alla fine dello scontro con i Presidiales. E almeno ogni volta che erano riusciti ad incrociarsi, da quel momento in poi. Incidenti, incidenti di percorso. Non doveva neppure credere che potessero significare qualcosa di più.

« Un vero peccato. Mi sembrava così entusiasta, l’ultima volta che ci ho parlato! » Caroline scosse la testa, lasciando che i morbidi boccoli le ondeggiassero sulle spalle, con il viso contratto in una piccola smorfia preoccupata. « Considerando che si parla di Jerome, il fatto di averlo visto così felice mi aveva lasciata vagamente sbigottita. Deve essere stato un brutto colpo, per lui. » continuò la giovane Mayfield, incurante dei colpi spietati che stava infliggendo al biondo Vandemberg, seduto poco lontano, con Fay ancora allegramente attaccata al suo braccio.

« Non faceva altro che parlare della festa di oggi, è vero. » convenne Sophia, ancora seduta accanto al fratello, al pianoforte, però completamente interessata alla discussione in atto fra i suoi vari cugini. « Jerome che dice più di qualche parola, senza fare il resoconto dei miei movimenti al mio caro fidanzato, è una cosa molto strana. »

Gabriel accennò quello che sembrava un ghigno in direzione della giovane Blackmore, chinando poi il capo. « Moen rejine, non avrei bisogno di occhi ed orecchie in più, se tu non fossi così incline a metterti nei guai. »

« Neanche fosse colpa mia »

Quello scambio di battute, fra i due fidanzati, venne accolta da qualche risatina e dei falsissimi colpi di tosse da parte di Cain, che servirono a mascherare la sua non totale adesione all’affermazione della sorella, tutt’altro. Jordan, invece, fu l’unico a non dare alcun peso alle loro parole, restando incatenato a ciò che i parenti della sua migliore amica avevano detto fino a quel momento. Era consapevole di non doversi attardare su certi pensieri, perché non avrebbe risolto nulla, tutt’altro. Ma non poteva farne a meno, non quando il calore delle sue mani, il sapore delle sue labbra bruciavano come ferite troppo recenti sul suo cuore.

Era stato davvero felice, all’idea che lui avesse accettato di presenziare alla festa in sua compagnia? Era davvero felice al pensiero di rischiare completamente le loro reputazioni davanti all’intero gruppo di scholares? No, impossibile. Jerome era il ragazzo più prudente che avesse mai conosciuto in vita sua. Lui doveva sapere, doveva capire. Per quanto tutti scherzassero su una loro ipotetica relazione, i nobili del Continente non avrebbero mai e poi mai approvato che un Vandemberg fosse… no. Jordan non avrebbe coperto di vergogna la sua famiglia. Mai.

« Jordan? Jordan! » mani gentili lo scossero leggermente, lasciandogli intuire che dovesse essersi incantato per qualche secondo di troppo, senza rispondere ai vari richiami che dovevano essergli stati fatti. Cain Blackmore era un immortale, quindi avrebbe sviluppato la tradizionale pazienza dei redivivi, col tempo, considerando che, ancora, non sembrava essere molto diverso dalla precipitosa sorella.

« Cosa? » esalò il terzo in linea di successione al trono di Aldenor, voltandosi verso il vampiro, con un’aria accigliata che, per qualche secondo, avrebbe potuto farlo somigliare ad Axel, quando la sua cara sorella adottiva, nonché cognata, tendeva a sorprenderlo con qualche particolare e sventurata avventura da lui non approvata.

« Ti ho chiesto se ti dispiacerebbe venire in carrozza con me, Julian e Gabriel. Sempre se la mia adorata sorella non desidera tenere solo per sé il suo futuro marito. » affermò l’eterno ragazzo, con un leggero sorriso ad increspargli le belle labbra, inchinando il capo in direzione della ragazza in questione, ottenendo solo uno sbuffo divertito ed un cenno con la mano.

« Prenditelo pure, così potrò parlare male di lui con gli altri »

« Adoro essere sempre al centro dei tuoi pensieri, Sofia. » fu la sarcastica risposta del giovane Gabriel, accompagnata dai suoi occhi alzati verso il cielo, con evidente e malcelato divertimento. Tutto, prima che si posassero sul più giovane dei Vandemberg, che, in quel momento, stava per essere aggredito fisicamente da Fayette. Quando si puntarono su di lui, gli occhi grigi del figlio di Nassar Stuart divennero freddi e taglienti come due lame.

« Non vedo l’ora di poter ballare! Il mio vestito nuovo merita di essere sfoggiato al meglio, non credi anche tu? » stava chiedendo la giovane Mayfield, nel frattempo, facendo un giro su se stessa, racchiusa in quell’enorme ammasso di pizzi, merletti e fiocchi. Jordan si era limitato ad annuire, lanciandole solo uno sguardo veloce, tornando a concentrarsi sull’altro, notando, anche se con la coda dell’occhio, l’occhiata fugace che Julian e Cain Blackmore si scambiarono poco distanti da loro.

« Fayette, quando avrai finito di pavoneggiarti, forse potremo avviarci alla festa. Sempre se non preferisci restare qui e riempire Vandemberg di moine. » la voce tagliente di Gabriel era tutto ciò che, nel mondo, avrebbe potuto far calmare la più esuberante fra le Mayfield, costringendola a qualche borbottio poco convinto, subito scacciato dall’euforia data dai festeggiamenti imminenti.

Lo spostamento fino alle carrozze fu veloce. Forse troppo veloce, per i gusti di Jordan, che temeva ciò cui stava per andare incontro. Temeva non tanto delle azioni dirette del più giovane figlio del defunto Reggente di Maderian, quanto gli sguardi accusatori e disgustati che avrebbe potuto attirare su di se, da parte del migliore amico e del fratello immortale di Sophia. Per quel timore aveva impiegato qualche minuto in più a sistemarsi la mantellina a pieghe sulle spalle, preoccupandosi in modo quasi maniacale di lucidare al meglio il suo immacolato bastone, vedendoci, forse, qualche macchia invisibile ai più.

« Jordie, se non ti sbrighi la festa finirà e noi resteremo all’asciutto! » strillò Julian, già sulla carrozza insieme agli altri due, sbracciandosi per ottenere tutta la sua attenzione e, forse, farlo sorridere un po’, evitandogli uno dei tanti attacchi cardiaci che sembravano perseguitare suo fratello Bryce con cadenza regolare di quindici giorni. Anche in quel momento, alla loro residenza cittadina, il terzogenito dei fratelli Vandemberg stava recitando le sue ultime volontà.

Con un nodo alla gola, il ragazzo si affrettò a raggiungere l’amico e gli altri, sedendosi nell’angolo più buio della carrozza e trattenendosi a stento dal mettere la testa fuori dal piccolo finestrino, per nascondere loro il viso, pallido come il giorno in cui aveva ricevuto la Croce.

Mani delicate sfioravano la ferita sul suo fianco, tremando leggermente per quella vicinanza non richiesta ma, come poteva essere ben evidente, per nulla sgradita.

« Perché l’hai fatto, Vandemberg? » la voce di Gabriel interruppe il momento di breve e intenso silenzio che si era creato sulla piccola vettura con le insegne dei Blackmore. Un brivido corse lungo la schiena del biondo di Aldenor, che fece il possibile per non farlo vedere.

« Fatto cosa? » chiese invece, fissandolo con il migliore fra i suoi sguardi vitrei e distaccati, ostentando una freddezza d’animo che, sicuramente, non gli apparteneva. Ma Stuart sembrava tutt’altro che disposto a sottostare alla sua farsa, motivo per cui, con una mossa così veloce che, davvero, lui non riuscì a vedere, gli afferrò la spalla, sbattendolo, con poca delicatezza, contro lo schienale.

« Hai accettato l’invito di Fayette. Dimmi perché. » sbottò il ragazzo, premendo sulla sua spalla, senza comunque fargli male. Non voleva ferirlo, voleva spaventarlo, forse, per spingerlo a spiegarsi al meglio. « So che sei stato tu a dare buca a Jerome. Lo so, perché quando ha saputo di te e Fayette ha completamente cambiato espressione e si è chiuso in Caserma. Dimmi perché l’hai fatto! » sbottò, tutt’altro che delicatamente, con il viso deformato in una smorfia cattiva che Jordan non aveva il piacere di fronteggiare da quando lui e Sophia avevano chiarito.

« Non capisco di cosa tu stia parlando. Io e Jerome non abbiamo più avuto una vera discussione da quando la situazione con il Presidio si è risolta. Cosa ti fa credere che… » il ragazzo si fermò, puntando, per un istante, gli occhi in quelli di Julian. L’amico era serio, non sorrideva ma non lo accusava con lo sguardo, tutt’altro. Sembrava quasi volergli chiedere di sputare il rospo, di chiarire con gli altri e se stessi cosa gli si stava agitando nel cuore. Cain, al suo fianco, era una statua immobile, impassibile a qualsiasi cosa. In quel momento, il ragazzo seppe che avrebbe potuto parlare e chiarire la faccenda una volta per tutte. Qualunque fossero state le conseguenze, si sarebbe chiarito tutto.

Baci e carezze proibiti sulla sua pelle madida di sudore, la paura per un incontro sbagliato, l’euforia di un incontro desiderato.

Mentre la Vecchia Capitale piangeva i suoi morti, loro venivano colti dalla lussuria.

« Cosa mi fa credere che sia tu? Vandemberg, spero tu stia scherzando! » Gabriel non era mai stato dotato di grande pazienza. Mai. In quel momento sarebbe bastato lasciare il più giovane dei Vandemberg a se stesso, solo per qualche secondo, in modo che le immagini potessero maturare, dentro di lui, assumendo la forma di pensieri, emozioni e, infine, di sentimenti. Averlo strappato da quel processo non aveva fatto altro che lasciare l’imbarazzo e la vergogna laddove altri sentimenti potevano prendere il sopravvento.

« Non capisco cosa tu stia dicendo. Io non vorrei mai avere a che fare con un uomo. È una cosa innaturale » sbottò, viola dall’imbarazzo, guardando il giovane promesso di Sophia con sguardo di fuoco. « Non conosco le tendenze di tuo cugino, ma solo perché lui è strano non è detto che debba esserlo pure io! » aggiunse, pentendosene immediatamente.

Cosa gli era passato per la mente? Era forse impazzito? Quando mai, in tutta la sua vita, lui si era lasciato andare ad affermazioni di tale portata? I suoi fratelli lo avrebbero preso a pugni, se l’avessero sentito. Suo padre adottivo si sarebbe indignato come mai aveva fatto con lui. Eloise, come minimo, lo avrebbe picchiato a sangue, senza ricucirlo.

Quella storia lo aveva portato laddove non sarebbe mai voluto arrivare. Lo aveva spinto a dire cose che mai, in vita sua, avrebbe pensato di poter dire. Era tutto sbagliato, tutto. Ed era solo colpa sua. Era colpa sua, perché aveva dato inizio a quel gioco perverso che lo aveva fatto annegare in un mare di dubbi e problemi infiniti. Doveva porre freno a quella situazione, prima che il mondo decidesse di crollargli addosso, in modo definitivo. Era il momento di fare una scelta.

Mani calde sul suo corpo, labbra dolci sulle sue, per un veloce, peccaminoso saluto.

Nessuno aveva più parlato, sulla carrozza. Nessuno che, comunque, avesse tentato di coinvolgerlo in una qualche conversazione. Forse Julian aveva tentato di rompere il silenzio di piombo che era precipitato sulla vettura e Cain aveva provato a dargli manforte. Forse Stuart aveva chiesto loro di essere più adulti, una volta tanto. Qualsiasi cosa, in quel momento, non aveva importanza. Nulla aveva importanza. Lui aveva preso la sua decisione e, per nulla al mondo, l’avrebbe cambiata.

Occhi verdi nei suoi, un sorriso gentile, corrotto dalla lussuria.

Fayette si era subito appropriata di lui, quando aveva messo piede all’Elisir del Diavolo. Lo aveva trascinato al centro della grande sala, costringendolo ad eseguire un ballo dopo l’altro, incurante del suo sguardo dolorante e ferito. Lo stava facendo ballare, causandogli un’ondata di fastidio e disgusto verso se stesso che non avevano fatto altro che spingerlo verso la sua decisione definitiva ancora più dei ragionamenti contorti fatti durante il viaggio.

Sapeva della presenza di quasi tutta la sua famiglia e dei suoi amici, quella sera. Sapeva che, qualsiasi azione - ad esempio, abbandonare la giovane Mayfield per correre alla Caserma di Altieres - compiuta in quel momento sarebbe stata definitiva e lo avrebbe incatenato a delle conseguenze inevitabili. Lo sapeva, ma non per questo evitò a se stesso di agire.

Calore insopportabile in tutto il suo corpo, calore soffocante ma, non per questo, meno desiderato.

Le labbra di Fayette erano fredde, contro le sue, come freddo era il sudore che sentiva scendergli giù per la schiena. Freddo, perché tutto il calore era stato risucchiato via dagli sguardi stupiti di tutti coloro che lo conoscevano e pensavano avesse appena fatto una vera e propria dichiarazione pubblica. Freddo, come lo sguardo di Gabriel Stuart Sinclair, che aveva fermato la sua danza con Sophia, costringendo anche lei ad osservare quello spettacolo tutt’altro che gratificante. Sorrideva, la ragazza, perché non capiva cosa, in realtà, lui avesse affermato con quel gesto.

Julian, il viso sconvolto a causa dell’incontro con una delle giovani de Monroy, lo fissava da un angolo, come a chiedergli cosa accidenti avesse combinato. Non doveva essersi convinto al momento della dichiarazione in carrozza, esattamente come Cain Blackmore, che lo guardava, esasperato, da poco lontano. Eloise ed Axel sembravano indecisi se sorridere a quella piccola manifestazione o preoccuparsi a causa del pallore della sua pelle. Bryce sembrava più interessato a considerare quanto si sposassero bene i colori indossati da lui e quelli indossati dalla ragazza, in quel momento. Oppure aveva semplicemente giudicato le questioni amorose non interessanti e troppo stressanti, per qualcuno sfuggito per un pelo al mondo dei morti.

Poi, come se i suoi occhi fossero stati richiamati da una qualche forza incontrollabile, il suo sguardo ne incrociò un altro dai colori dell’erba in estate. Occhi addolorati, distrutti da un’angoscia interiore che nessuno, se non il più giovane dei Vandemberg, avrebbe potuto cogliere.

Agonia, dolore racchiusi in quei smeraldi screziati che, nell’ultimo periodo, erano stati velati da ben altre emozioni, in sua presenza. Jordan aveva fatto la sua scelta, tutto pur di impedire al mondo di crollare sotto i suoi piedi. Eppure, guardando l’altro ragazzo negli occhi, non riuscì ad evitare che un senso improvviso di vuoto e vertigine gli colpisse lo stomaco, con la forza di un pugno.

Avrebbe posto la propria vita nelle sue mani, ma lui l’aveva gettata fra le labbra di sua cugina.

La musica sembrava assordante, in quel momento, come assordante era la voce di Fayette, che sproloquiava su quanto si fosse aspettata quella mossa, da lui, da fin troppo tempo. Assordante come il battito del suo cuore, che sembrava aumentare per ogni passo che Jerome compiva lontano da lui, in una corsa carica di angoscia che lo avrebbe allontanato per sempre dalle sue braccia.

No.

Non poteva permettere che lui scappasse, nonostante fosse stato lui stesso a spingerlo ad un’azione simile.

Senza di lui non sarebbe stato più nulla.

Si era pentito di quel gesto nell’esatto istante in cui l’aveva compiuto, sentendosi colpito da un senso di orrore alla sola idea di aver baciato qualcuno che non fosse lui. Si era pentito, ma non poteva più ritirare ciò che aveva fatto, non poteva far finta di nulla.

Non poteva, eppure non era riuscito a fermare i propri piedi dal correre verso l’uscita, tentando, invano, di raggiungerlo. Era già sparito oltre la grande massa di studenti che si accalcavano lungo le strade, i suoi capelli biondi irriconoscibili in mezzo alla grande folla di feluche e cappe. Sparito, era semplicemente sparito.

E con lui, Jordan sentì di aver perso anche il cuore che, fino a quell’istante, non aveva fatto altro che battere nell’attesa di poterlo rivedere e stringere di nuovo.

Non esisteva ragion di stato, in quel momento. Non esisteva alcun onore di famiglia. Non esisteva bellezza che non si fosse nascosta per rispetto all’agonia negli occhi del ragazzo che aveva appena perduto per sempre.

Il tuono che accompagnò la pioggia, in quel momento, riecheggiò con spettrale chiarezza nel suo petto, dove il cuore aveva lasciato un vuoto che nessuno, se non l’amore perduto per sempre, avrebbe potuto mai colmare.

   
 
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