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Autore: Noemisworld    04/08/2013    6 recensioni
Cambria è in guerra da trent'anni. Le persone sono troppo impegnate a sopravvivere, non possono certo permettersi di difendersi o di ribellarsi. Ma la storia sta per cambiare.
Quando Faye, Ruby e Skye scoprono la ragione dei loro poteri, non possono crederci. Non riescono a credere che l'umanità possa essere stata così crudele con loro da condannarle a un simile destino. Eppure eccole al Wonderpark, il centro segreto che ospita i trentasette ragazzi geneticamente modificati frutto di un progetto militare creato per restituire alla gente un futuro, una speranza. Sono solo pedine di un gioco oscuro e pieno di segreti, che probabilmente non comprenderanno mai fino in fondo. Ma è nelle loro mani che presto si troverà il destino di Cambria, e non potranno di certo rimanere a guardare.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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PROLOGO
 

È una mattina calda, talmente rovente che se una lucertola si posasse su una roccia morirebbe arrostita. Per fortuna io sono rintanata qui al­l'ombra, distesa sul pavimento tiepido della mia camera, immune ai raggi di quel sole crudele che ci tortura oggi. E pensare che sono solo le otto di mattina.

Mi giro sul fianco, godendomi la lieve frescura che il pavimento ha as­sorbito durante la notte. Che nottata orrenda. Non ho chiuso occhio.

Appena andata a letto ho sentito l'ansia risalire su per l'esofago, il battito irregolare del cuore, la tensione dei tendini. Ho cercato di respirare a fondo, di calmarmi, e per un po' ci sono anche riuscita; poi è arrivato il caldo e con esso la sensazione opprimente di non avere più fiato nei polmoni. Ho scalciato via le coperte, cercando il sonno. Invano, ovviamente. La pressione ha ricominciato a crescere prepotentemente dentro di me, si è insinuata in ogni antro, anche nel più nascosto, e non sono più stata in grado di resistere. Mi sono alzata e ho iniziato a camminare avanti e indietro per la stan­za, torturandomi le mani. Ho pensato che un po' d'aria fresca mi avrebbe fatto bene, perciò ho spalancato la finestra. La mezza luna argentata si è mostrata in tutta la sua magnificenza: quella dolce metà di una perla che ha rischiarato per me così tante notti insonni, che mi ha cullata nelle sue braccia nei momenti più duri. La leggera brezza notturna mi è entrata nelle narici e il mio orribile corpo l'ha tra­sformata in stupida anidride carbonica. L'ossigeno, il profumo della la­vanda... non ho trattenuto niente. Mi odio. Già che sono sbagliata po­tevo anche non trasformare ogni respiro in CO2, no? No. Evidente­mente no.

Fatto sta che ho tenuto la finestra aperta tutta la notte e mi sono ad­dormentata sul pavimento ascoltando il canto di un usignolo.  E ora che apro gli occhi tutto quello che sento è il legno tiepido del pavimen­to, un raggio di sole che mi scotta il dorso della mano destra e un leg­gero intorpidimento alla schiena e al collo.

Mi tiro su a sedere e i raggi del sole mi colpiscono sulla fronte. Mi ripa­ro la faccia con una mano mentre gli occhi si abituano alla luce.

" Ma' e pa' staranno per svegliarsi''

Mi alzo in piedi e mi stiracchio un po'; allungo le braccia sopra la testa e le spingo verso l'alto. Tutti i muscoli della schiena sembrano ringraziar­mi. 

Faccio due passi e mi ritrovo affacciata alla finestra: davanti a me c'è un ampio prato punteggiato di cardi e papaveri. Mi basta sporgermi un al­tro po' per vedere sotto di me il piccolo appezzamento di terra dove vi sono un paio di cespugli di lavanda profumata. Adoro quei fiori, ma' li fa seccare e li mette in dei sacchettini che mi profumano tut­to l'armadio. Chiudo gli occhi e inspiro quel profumo ine­briante. Colgo il ronzio incessante delle api, il cinguettio allegro degli uccellini.

Riapro gli occhi e mi allontano dalla finestra, dirigendomi verso il corri­doio. Faccio più silenzio possibile, eppure quando socchiudo la porta della camera di Gary lui è già pronto sul letto con un cuscino il mano e io non posso far altro che prendermi una bella cuscinata in faccia.

''Dovrò allenarmi di più sul mio passo felino...'', penso.

Allora corro verso mio fratello e mi butto sul letto, proprio di fianco a lui.

- Ancora cinque centimetri e mi spiaccicavi!!- dice lui.

- Però non è successo- gli scompiglio un po' i capelli - Mostriciattolo che non sei altro!

Ridiamo entrambi, poi lui cerca a tastoni il suo cuscino con la mano, ma si accorge di avermelo appena tirato in faccia.

- Teppista- gli sussurro. Mi alzo e raccolgo il cuscino da terra. Glielo tiro e mentre è distratto gli salto addosso per fargli il solletico. Ride come se avesse tre anni, eppure ne ha dieci. Adoro quando fa così, mi fa sentire davvero la più grande dei due. E su chi sia più grande ho spesso parecchi dubbi.

- Non...-, ride. - Non vale, Faye!!

Ormai è irrefrenabile. Che brava so­rellona che sono. - Tu hai sedici anni, sei troppo grande!- insiste.

Liquido le sue parole con un gesto della mano e mi sistemo il pigiama azzurro che si è arrotolato tutto. Sta ancora ridendo, quando all'im­provviso lo sento ansimare. Un attacco d'asma. Mi lancio sul suo co­modino per passargli l'erogatore. Trattengo il respiro. Resto a guardar­lo mentre spruzza la sua medicina e, in men che non si dica, è tornato tutto come prima. Ricomincio a respirare. Per sicurezza sto lì a fissarlo per un po'. Mi sono presa un colpo. Tutte le volte che fa così mi sento morire, come se fossi io quella che rischia la vita.

- Tutto a posto?- chiedo, pensando che vorrei stringerlo forte e cocco­larlo.

Gary annuisce frettolosamente. Gli metto una mano sulla spalla, sorri­dendo.

- Su, andiamo a fare colazione.

Ci sciacquiamo la faccia e le mani in bagno, poi scendiamo lentamen­te le scale e raggiungiamo la cucina. Con mia grande sorpresa vedo ma' armeggiare ai fornelli. Devo aver fatto una faccia sconvolta, per­ché mia madre mi domanda: - Hey, tesoro, va tutto bene?

Annuisco. - Sì, sì, solo credevo che fossi a letto- mormoro con un mezzo sorrisetto.

- Oggi?- domanda perplessa – Come potrei?

Mi guarda, analizza la mia reazione. Peccato che io non sappia cosa dire, o cosa fare.

Oggi è il grande giorno. Il giorno in cui la mia vita cambierà. L'unica cosa che riesco a fare è fissarla negli occhi. Devo avere uno sguardo estremamente supplicante, perché nel giro di due secondi si avvicina e mi abbraccia. Affondo il viso nella sua spalla, cercando di frenare l'istinto di piangere. Mi sembra che questo sia il nostro ultimo abbraccio.

“Smettila, non è così!” mi dico, ma suona molto come una bugia.

Ci separiamo. Mi guardo le punte dei piedi.

- Vado a legarmi i capelli, prendo un elastico- dico, con un tono di voce più basso di quello che avrei voluto.

Corro di sopra fino al bagno, mi piazzo davanti allo specchio e mi fis­so. Scuoto la testa.

Apro il mio cassetto personale e cerco il colore giallo fluorescente dell'elastico.

Lego alla bell'e meglio la matassa di capelli mossi che mi ritrovo e, a lavoro finito, ammiro i riflessi ramati dei miei capelli, girando la testa da una parte all'altra. Con le mani a pugno strofino gli occhi verde-nocciola, poi, dopo un grande respiro, faccio per tornare verso la cucina. Il rombo di un mo­tore, però, mi costringe a fermarmi. Rimango immobile davanti alla porta della mia camera per un minuto, cinque, dieci. Non saprei dirlo. Alla fine, l'unica conclusione possibile è affacciarmi alla finestra.

Mentre percorro la stanza un brivido mi percorre la schiena. So già perfettamente cosa mi aspetta, ma non vo­glio vederlo. Appoggio le mani al davanzale come se potesse rompersi da un momento all'altro.

Un grosso furgone nero col paraurti impolverato è parcheggiato nel prato di fronte a casa. Ha i finestrini oscurati.

La disperazione mi stringe il cuore, si impossessa di ogni mio nervo e muscolo, mi fa rimanere immobile, paralizzata dalla paura, mentre il mio stomaco si contorce.

''Sono qui'' è l'unica frase che riesco a pensare, poi anche i pensieri si bloccano.

Fisso il vuoto davanti a me; gli occhi mi pizzicano. Caccio indietro le lacrime.

Sapevo che questo giorno sarebbe mai arrivato, ma ho sperato il contrario per tutta la vita. Eccolo qui, invece, il giorno in cui dovrò rinunciare a tutto, alla mia famiglia, alla mia casa, alla mia vita.

Sospiro. Sono nata per questo. Devo far­lo.

Devo farlo per forza.

 

 

 

 

 

Scivolo sotto il telone. Questo sole odioso mi sta cuocendo viva. Devo bere. Assolutamente.

Apro la sacca sporca di polvere e prendo una borraccia mezzo vuota. Bevo fino all'ultima goccia, ma ho le labbra ancora secche. Quando le sfioro mi sembra di toccare delle pietre taglienti. Pazienza. Un'altra ora di sonno non mi farà certo male. Poi mi incamminerò verso il torrente e riempirò le borracce. Mi ripeto di stare calma e tranquilla.

''Forse però è meglio raccogliere ora le pietre, dopo sarà davvero fati­coso, col caldo che ci sarà''

Mi alzo controvoglia e cerco nei dintorni delle pietre per formare un cerchio attorno al fuoco. Non sarebbe bello se tutta la collina dove dor­mo andasse in fiamme. Un tempo coltivata a grano, ora tutto ciò che cresce su questa collinetta sono poche, sparute erbacce e qualche cespuglietto spinoso.

Nel frattempo ho trovato sei pietre che fanno a caso mio, ma me ne servono ancora un po'. E intorno a me non sembrano essercene altre.

''Faccio prima ad andare adesso al torrente, almeno non ci penso più... d'altronde un'ora in più di sonno non avrebbe cambiato molto.''

Scuoto la testa, afferro la sacca e mi incammino il più rapidamente possibile verso il bosco. Strano pensare che il mio accampamento è su questa collinetta desertica quando poco più in là c'è un bel boschet­to, ma ''la sicurezza sempre al primo posto'', diceva papà. E dato che sto scappando dalle Guardie e dalla società in generale, suppongo, il posto più sicuro per me adesso è questo. Ci sono sem­pre un paio di Guardie che girano per il bosco, per questo quando ini­zio a calpestare erba anziché terra rossa tendo le orecchie. Passa­no venti minuti e inizio a dirmi che forse un'altra ora di sonno mi avreb­be fatto davvero bene. In ogni caso, ora sono qui e ho quasi raggiunto il torrente, quindi è inutile pensare a quello che ho e non ho fatto. Sen­to lo sciabordio dell'acqua sempre più forte. Mi fermo un attimo a raccog­liere un po' di rami secchi e a prendere due dozzine di amarene dal solito albero, poi proseguo.

Eccolo lì, che scorre placidamente davanti ai miei occhi. Prendo le due borracce e le riempo nel punto in cui l'acqua è meno stagnante. Controllo mentalmente di aver lasciato il pentolino per bollire sotto al telone. Sì, tutto a posto. Raccolgo le pietre che mi mancavano e le infilo nella sacca. Mi prendo cinque minuti per lavarmi la faccia, le mani, i piedi e le ascelle. Ora che mi sono rinfrescata non ho molta voglia di tornare sotto quel sole cocente, però devo farlo, perciò mi volto e faccio per andarmene, ma sento un rumore. Un'anatra. Tiro fuori la fionda dalla sacca in silenzio, afferro un sasso dalla riva. Tendo l'elastico.

Bam!

Mancata per un soffio.

Sbuffo. L'anatra è volata via; la seguo con lo sguardo, atterra sulla riva a una trentina di metri di distanza. Mi avvicino furtivamente.

''Stavolta non mi scappi.''

Calpesto un paio di rami secchi, l'anatra fugge un po' più in là.

Ora faccio attenzione a non fare rumore. Sono abbastanza vicina. Prendo un sasso, tendo l'elastico, scocco la pietra. Dritta in testa. L'a­natra abbassa il capo, inerme. Galleggia sulla superficie dell'acqua come un sacchetto di plastica.

Entro in acqua e la agguanto per il collo prima che la corrente la tra­scini via. Sorrido. Oggi farò un bel pasto.

Guardo il torrente lavare via la polvere rossiccia dai pantaloni, che tor­nano finalmente di un color crema... almeno fino al ginocchio.

''Ora è meglio che vada'' mi dico. Cerco il sole tra i rami degli alberi, e per quel che vedo dovrebbero essere le nove passate.

Mi dirigo verso l'accampamento; i chilometri che separano il torrente dal rifugio sembrano non finire mai. Sono ancora nel bosco, con in mano la succulenta anatra insanguinata e la mia sacca in spal­la, quando la vedo.

Una piccola capanna di legno, ricoperta per metà di uno strano muschio rinsecchito. Mi avvicino cautamente alla finestra: all'interno non c'è nessuno, solo una panca, tre sedie, una radio e un tavolino su cui è posato un vassoio mezzo pieno di biscotti e pasticcini. Noto che sulla panca ci sono dei piattini pieni di briciole e candeline.

''Forse una delle Guardie ha festeggiato il compleanno...'' ipotizzo. Poi è come se una lampadina mi si accendesse sopra la testa.

Tin!!

Mi guardo attorno. Non vorrei che le Guardie fossero qui in giro. Con­trollo la porta, ma ovviamente è chiusa a chiave. Ci sono tre finestre, magari una è aperta...

''Mi servono solo due centimetri...''

La prima finestra che controllo è chiusa, ma la seconda è leggermen­te aperta, giusto lo spazio per far entrare un po' d'aria affinché la ca­panna non si trasformi in un forno. Ci infilo la mano, sposto un gancet­to e la spalanco. Quando atterro sul pavimento tutte le assi scricchiola­no. Afferro in fretta il vassoio.

''Devi uscire subito. Adesso, Ruby!''

Eppure ignoro la prepotente vocina nella mia testa e mi avvicino alla parete. Una foto di gruppo della squadra delle Guardie. Osservo il viso delle persone, i loro sorrisi. I bambini e le mogli si abbracciano, alcune Guar­die tengono in braccio i figli. Non hanno la più pallida idea di cosa signi­fichi vivere come me. O forse sono io che non ricordo più cosa significhi vivere come loro.

All'improvviso mi si appannano gli occhi. Tento di cacciare indietro le lacrime, ma è tutto inutile. Le sento scorrere lente e calde sulle guan­ce, cadere sul legno del pavimento.

''Non avrai mai niente di tutto questo, Ruby'' dice la voce ''Ora muoviti! Le anatre non si cuociono da sole!''

Faccio per andarmene, quando sento rumore di passi sulle foglie sec­che. Voci.

Scuoto la testa. -No, no, no...!

Cerco invano di spostare il gancio che si è richiuso sulla finestra, ma le mie dita sono come paralizzate. Appoggio il vassoio per aiutarmi con entrambe le mani, ma tutti i biscotti e i pasticcini cadono a terra.

Raccolgo un paio di biscotti e li ficco in tasca.

- Apriti!! Apriti, maledetto!- sussurro al gancio.

Sento le mani sulla porta, la chiave nella serratura.

E accade.

La paura mi inonda, il panico si insinua fin nelle ossa... E poi il fuoco. Le fiamme sul pavimento, sulla parete. Il legno che schiocca e scop­pietta. Il fumo nero che sale verso il soffitto. La sensazione di non ave­re scampo.

Trattengo a stento un urlo.

Poi finalmente riesco ad aprire il gancio e esco maldestramente dalla finestra. Inciampo su una radice, mi rialzo e corro come non ho mai fatto in vita mia. Mi giro e guardo il fumo in lontananza.

''Non volevo, non volevo!''

Riesco a sentire il rumore della legna che brucia. Mi copro gli occhi con le mani. Scuoto la testa ancora e ancora. Poi il rumore di un estin­tore, le grida delle guardie.

- Hey, tutto ok!? Ma cos'è stato?- dice una Guardia.

- Tutto bene, tu? Oh, me la sono vista brutta! Mi stava cadendo ad­dosso quell'asse...- poi il rumore dell'estintore copre la sua voce.

''Okay, almeno sai che stanno bene. Ora però fuggi, prima che ti ve­dano!''

Scappo via, saltando ed evitando radici, e non mi fermo neanche quando sento l'erba secca e la polvere rossa sotto i piedi. Arrivata all'accampamento mi butto sul materasso polveroso che poi sarebbe il mio letto e ci manca poco che muoia per l'affanno.

''Sei a casa, sei a casa, Ruby''

Guardo il cespuglio sopra di me e cerco la pace. Sento i polmoni esplodere. Mi sforzo di respirare con la pancia, ma tutto quello che ot­tengo sono piccoli, irregolari respiri.

Dopo quelli che mi sembrano un paio di minuti mi siedo. Ora sto bene. Solo che mi brontola lo stomaco. È da ieri mattina che non man­gio. Ho una fame tremenda. Non so nemmeno dove ho preso tutta l'energia per correre in quel modo. Estraggo dalla sacca i rami secchi e le pietre. Dispongo queste ultime a formare un cerchio nella sabbia e metto i rami al centro. Poi la magia: chiudo le mani a pugno, distendo le dita. Il fuoco si accende sotto il mio comando; le fiamme avvolgono i rami, facendoli scoppiettare. Ho conservato un paio di bastoncini che fungeranno da spiedini e su cui infilzo varie parti dell'anatra. Mentre aspetto che si ar­rostisca mangio le amarene. L'incontro tra il dolce, l'amaro e l'aspro di questi frutti mi fa impazzire ogni volta.

Dopo aver cotto tutta l'anatra ne metto via alcune parti, da mangiare domani o comunque entro un paio di giorni.

Faccio finta di non accorgermi delle lacrime che mentre mangio mi scorrono sugli zigomi. Quando sto per addentare un pezzo di coscia dell'animale, una tonda goccia salata vi cade sopra. Mi asciugo la fac­cia con il dorso della mano e continuo a mangiare. Devo ignorare quel­lo che è successo? Far finta che nulla di tutto questo sia mai esistito? Dimenticare ogni incidente, la distruzione e la disperazione e solo cer­care di sopravvivere? Perché so bene che non potrò mai vivere fino in fondo, quindi tutto quello che posso fare è non morire. I dubbi mi lace­rano lo stomaco, mi tolgono il sonno, ma tutto quello che devo fare è mandarli giù, come questo boccone di anatra che in questo momento sembra una pietra. O no? Forse dovrei accettare quello per cui sono stata creata, smettere di scappare. Semplicemente arrendermi al mio destino.

Sono così stanca ed è solo mezzogiorno.

''Con questo sole non si può fare niente, è meglio riposare'' mi dico. Guardo un'ultima volta il cielo blu senza nuvole prima di coricarmi sul materasso all'ombra del telo e chiudere gli occhi. Poi, con un gesto della mano, spengo il fuoco. Non mi serve controllare, so di averlo spento, eppure gli lancio lo stesso un'occhiata, per accertarmi di ciò che so già. Una delle uniche, orrende cose di cui sono sicura.

 

 

 

26/07

So di essere privilegiata. Ho cose che molti ragazzi di Lux Ville non hanno. Non sono mai stata alle Dusts, ma mio padre mi raccontava che non hanno la televisione, la radio, o semplicemente dei giocattoli.  Ora sono un po' cresciuta per i giochi, eppure non mi sento ab­bastanza grande per viaggiare e scoprire il mondo oltre Lux Ville. Cer­to, ho trascorso le vacanze alle Hills e spesso sono an­data al Golden Sea durante l'estate, però non ho visitato le zone più di­sagiate, non sono mai andata per davvero oltre la mia città. È un po' come il mio gu­scio, la mia protezione. Non ho mai considerato le zone più distanti da me parte del mio paese; in ogni viaggio che ho fatto ero convinta che quelle fossero solo vacanze, non un'esperienza per capire meglio la società. In fondo, credo che avessi solo paura di aprire gli occhi e di vedere cose che avrebbero cambiato la mia concezione del mondo. Avevo paura che un giorno non mi sarei sentita al sicuro nemmeno qui. La mamma dice che è normale, ma cosa vuoi che ne sappia lei della normalità. Da quando è morto papà non fa altro che leggere, cucire e ricamare i miei abiti, coltiva il suo or­ticello e non esce quasi mai di casa, se non per fare la spe­sa. A volte neanche quello, manda me o Rosy. Prima era sempre in città, lavorava, dirigeva un azienda. Ora ha lasciato il lavoro e se ne sta qui rintanata in casa. Questa non è normalità. Non per lei. Non per me.

La gente comincia a guardarci male; pensa che ci sentiamo supe­riori. E non è vero. È uno dei difetti più gravi delle persone, quello di giudicare dalle apparenze, senza sapere le ragioni delle azioni che si compiono. Comunque tu sai benissimo che non mi sento proprio normale nemme­no io, ma diciamo che la nostra anormalità non lega me e mia mamma in nessun modo. Non penso che ci siano altre persone anormali nella mia stessa maniera. Non credo che qualcuno abbia ricordi come i miei. Nessuno co­nosce quello che conosco io. Mamma continua a dirmi che ci sono tante persone accanto a me che mi voglio­no bene e mi proteggono. Eppure io mi sento sola. Spero che un gior­no arriverà il momento in cui smetterò di esserlo. Lo spero con tutto il Cuore.

A presto Hope

Skye

 

Poso la penna. Tolgo il diario dalla scrivania, mi arrampico sulla scala a pioli che conduce in soffitta e lo nascondo nel muro dietro a un mattone rotto. Ogni volta spero che mamma non lo trovi mai. Grazie al cielo fin'ora ho ottenuto buoni risultati.

Sento mia madre chiamarmi per il pranzo.

- Arrivo!

Dopo tre pioli mi lancio con un salto, percorro velocemente la mia camera, scendo le scale di pietra e mi dirigo verso la cucina. Mia madre sta posando il mio piatto sul tavolo.

- Che profumino!- esclamo sedendomi a tavola, mentre l'aroma speziato riempie la casa e i polmoni. Scorgo con la coda dell'occhio mia mamma che accenna un sorriso. Sorrido anch'io. Il silenzio di mamma però mi fa passare la fame. Come tutti gli altri giorni, del resto. Sarà per questo che sono così magra? Grazie alla depressione di mia mamma?

Prendo il tovagliolo finemente ricamato e lo infilo nel colletto della ca­micia bianca plissettata. Adoro questa camicetta: è un regalo di mio padre. Le sono molto affezionata, quindi non vorrei che si sporchi.

- Carne in salsa agrodolce, tesoro.- dice mamma.

- Grazie.-, aspetto che si sia seduta anche lei - Buon appetito, mam­ma.

Sorride debolmente: - Anche a te, tesoro.

La salsa che non è che mi faccia impazzire, ma la carne è tenera e gustosa. Mamma accende la televisione con un battito delle mani e guardiamo le notizie. Lo schermo olografico lampeggia un paio di vol­te, poi finalmente riusciamo a vedere qualcosa.

Le bombe su Cadmington hanno raso al suolo ormai metà città.

In un villaggio delle South Mountains due ragazze sono state violentate e uccise da due abitanti del Nord.

Lux Ville è difesa dalle Guardie e non si sa fra quanto i Ribelli riusci­ranno a penetrare in città. ''Le Guardie stanno svolgendo il loro lavoro egregiamente'', dice la donna del telegiornale. Que­ste sono le notizie di oggi. Le notizie di sempre.

Quando ho finito di mangiare, mi pulisco la bocca e abbasso un mo­mento il volume muovendo la mano verso il basso.

- Mamma, posso andare alla cascina? Ci sono tutte, Hannah, Made­lyn, Alexandra e Kimberly.

Nonostante siamo una famiglia importante di Lux Ville viviamo in peri­feria, al confine con le North Lowlands. Proprio di fronte alla nostra casa c'è un grosso campo e al confine con il boschetto vi è un'antica cascina abbandonata, trasformata in rifugio da me e alcune amiche. Abbiamo aggiunto un divano, una radio e altri oggetti utili per passare giornate divertenti e in compagnia.

- Certo, ma ricordati di tornare per le sei e mezza, c'è quel programma che ti piace.

- Grazie. Sì, tornerò a casa in tempo, non ti preoccupare- cerco di ras­sicurarla - Allora... io andrei a preparare lo zainetto. Prendo un paio di libri da portare lì.- dico togliendomi il tovagliolo, poi mi alzo e vado in camera, afferro lo zaino appeso all'attaccapanni e lo riempo di libri, di matite e di quaderni vuoti che potrebbero servirci per disegnare o per segnare appunti. Mi sistemo la gonna grigia, raccolgo i capelli in uno chignon spettinato e sono pronta per andare. Uscendo saluto mia mamma con un gesto della mano.

Mi ritrovo a saltellare nel prato pieno di papaveri e camomilla selvati­ca, canticchiando canzoncine allegre e osservando le farfalle volare velocissime da una parte all'altra del campo e posarsi sui fiori profu­mati. Guardo i rami del grande faggio accanto alla cascina ondeggiare al ritmo del vento.

A vedermi così non sembro avere quasi sedici anni.

Spalanco la porta cigolante e salgo in fretta le scale. Una ragazza dai lunghi boccoli biondo chiarissimo è seduta sulla poltrona accanto alla finestra. Mi avvicino per abbracciarla.

- Ciao Hannah- dico dopo averle schioccato un bacio sulla guancia. Lei mi avvolge in un caloroso abbraccio.

- Buon pomeriggio, Skye. Come stai? Hai portato i libri?

Infilo la mano nello zaino e prendo i due volumi. Hannah si porta le mani alla bocca.

- Allora era vero che ce li avevi!- esclama.

La guardo di traverso abbozzando un sorrisetto furbo: - Hai mai dubi­tato di me?

Lei risponde ammiccando a sua volta. Ridiamo entrambe. Poi mi sfila i libri di mano.

-Da' qua! Fammeli vedere.

Glieli lascio guardare. Se li gira e rigira fra le mani una decina di volte. Inarco le sopracciglia: -Hai finito?

Sgrana gli occhi: - Sono le Cronache, Skye! Non avrò mai finito- affer­ma. Continua ad accarezzare la copertina di cuoio come se fosse di cristallo. Ma quando inizia a sfogliare le pagine, glielo tolgo di mano.

- Hey!- sbotta lei- Un momento! Per favore! Dài, dài, ridammelo.

Li rimetto nello zaino: - Ci eravamo messe d'accordo che li avremmo sfogliati assieme. Aspettiamo Kim, Mad e Alex. Poi li leggiamo.

Incrocia le braccia e mette il muso. Poi mi fa la linguaccia: - Chissà quante volte li hai letti tu, che ce li avevi a casa.

Scuoto la testa tirando gli angoli della bocca. Restiamo a guardare fuori dalla finestra per un paio di minuti, poi Hannah estrae il cellulare dalla tasca e si mette a cercare il numero di Mad.

- Abbi un attimo di pazienza- dico io- adesso arriva.

Appoggia la testa alla mano e aspetta un secondo. - Attimo passato.

Rido. - No, dài, un paio di minuti e...- guardo fuori dalla finestra. Vedo una ragazzina dai lunghi capelli bruni avanzare verso la casa -Eccola!- esclamo. Corriamo di sotto ad aprire la porta. Agitiamo la mano in se­gno di saluto.

- Hey Mad! Ciao!- le corriamo incontro e ci abbracciamo.

- Com'è che sei in ritardo?- sbotta Hannah. Le dò una gomitata: - Non sei in ritardo, Mad. Vieni, le ho portate.

Lei si porta le mani alla bocca e sgrana li occhi. La trasciniamo di so­pra e ci sediamo sul morbido divano di velluto color porpora. Accavallo le gambe e mostro i due libri. La copertina di cuoio con particolari do­rati, la calligrafia elegante ed ordinata, le pagine ingiallite dal tempo che odorano di vecchio e di storia. Tutto questo tra le mie mani. Le Cronache. La storia di Lux Ville, delle Lowlands, delle Hills, delle Dusts, tutta chiusa in questi volumi! In queste tremila pagine.

- Oddio... Vuoi... vuoi dire che quelle sono le Cronache originali?- do­manda Mad, senza fiato.

Mi sento dispiaciuta nel dirle che sono solo delle copie dello stesso periodo...

- Oh- dice lei- Fa lo stesso. Se sono dello stesso periodo è come se fossero le originali- poi strizza un occhio. Sorrido.

- Aspettiamo Alex e Kim, poi...-mi interrompo, perché non riesco a trattenere un urletto di esaltazione- le leggiamo! Oggi almeno metà del primo capitolo, poi vedremo di organizzarci per la prossima volta, ok?

Hannah e Mad battono velocemente le mani dopo aver annuito.

- Però devo essere a casa per le sei e mezza, quindi vediamo di sbri­garci...-continuo. Aspettiamo Kim e Alex per una decina di minuti, poi mi alzo, stufa di attendere. Tiro fuori i quaderni e le matite dallo zaino e li infilo nei cassetti del comodino di fianco al divano.

- Li metto qui, eh? Ricordatevelo- mi raccomando.

Le altre annuiscono.

''Sanno dire sì?'' Sbuffo.

- Vado giù ad aspettarle.

Inizio a scendere le scale scricchiolanti, quando sento i loro passi die­tro ai miei.

- Veniamo anche noi.-dicono in coro.

Siamo sulla veranda, quando sentiamo un rapido ticchettio.

Mi acciglio: -Cos'è?!

Ci voltiamo verso il salone. Il ticchettio si fa sempre più veloce.

- Sembra l'allarme di una sveglia- ipotizza Mad. Poi ticchettio si inter­rompe.

Accade tutto in un secondo. Sento solo un tuono ed è come se tutte le ossa del corpo si spezzassero insieme. In un attimo mi ritrovo a terra nel prato, a metri e metri di distanza dalla casa. Non so quanto tempo sia passato quando mi sveglio, secondi, minuti; mi sento intontita. Alzo la testa, ma mi sembra un mattone. Urlo. Grido disperata come non ho mai fatto in vita mia. Cerco di guardarmi attorno, ma vedo solo nebbia. Urlo di nuovo. Provo a sentire le voci di Mad e Hannah, ma l'unica cosa che sento è un fi­schio incessante che mi buca i timpani. Poi pian piano riesco a vedere il prato e i papaveri. Allora non sono cieca! Riesco a voltarmi a fatica. Cerco la cascina con lo sguardo, ma tutto ciò che trovo sono le fondamenta e alcune assi delle pareti. Tutto è distrutto. Urlo come se fosse l'ultima cosa che faccio.


 


 


 


 


 

Soundtrack: Remember the titans- Audiomachine


 

  
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