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Autore: _Cloe_    03/10/2004    11 recensioni
"Un rapimento.Un unico sacrificio.La mia vita....venduta e seppellita dal loro odio. Io schiava dei figli delle tenebre... sono la loro unica salvezza per risorgere.La mia morte per la loro vita ed il mio amore ingenuo,porterà il loro animo spietato ai sensi di colpa."Una storia che spero vi saprà emozionare...il racconto di una giovane ingenua venduta da sua madre ai vampiri,un esperienza mortale che le farà trovare il suo primo ed unico grande amore.
Genere: Dark, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Il Sacrificio -

Il Sacrificio -

 

 

 

 

 

 

Capitolo 1°

Il sacrificio

 

 

 

 

Era difficile comprendere i loro sguardi.Le loro iridi erano per la maggior parte,divertite.I loro occhi acquosi erano fissi sulla mia figura,leggermente accucciata sul banco.Le mie mani erano nervosamente strette fra loro e i pollici continuavano ad accarezzarsi,sfiorarsi in un gesto alquanto fastidioso.

Alzai lievemente lo sguardo.La professoressa mi guardava,con il suo solito ed insopportabile cipiglio severo.I capelli grigi raccolti in una crocchia,alcuni ciuffi crespi e ricci dinanzi agli occhi verdi e piccoli.

Mi concentrai sulle due piccole rughe,posizionate lì,al centro della sua fronte.

Forse per rilassarmi.La  pelle non era troppo rugosa per la sua età.

Doveva essere stata una bella donna in passato.

Mi morsi il labbro inferiore.Chinani lo sguardo teso, non riuscendo più a sostenere quello della signora Wikings.Il silenzio più assoluto regnava dell'aula,ed io ero lì,al centro di tanti piccoli occhi divertiti,che fissavano,e pregustavano con estrema e cattiva soddisfazione la mia sconfitta.

Mi parevano,anzi li sentivo come tanti piccoli coltelli,trafiggermi la carne tenera  del mio corpo.Della mia anima.

Lasciai scivolare le mani sul banco.La superficie color caffè era levigata,liscia,e mi piaceva sfiorare con le dita quel ripiano,a mio parere,estremamente confortante.

Un boccolo nero mi scivolò dinanzi al viso,e io lo lascia ricadere dietro le orecchie,sollevando appena lo sguardo per intravedere la Wikings intenta a studiare il mio comportamento.

Non si preoccupava troppo degli altri alunni.Nessuno mi avrebbe suggerito.

Alcun umano presente in quella calda,e insopportabile aula, avrebbe fatto il minimo sforzo per aiutarmi.Mi concentrai su qualcosa che non fosse lo sguardo della professoressa e i sogghigni ben celati sui volti dei miei compagni di classe.

La ragazza,seduta dinanzi al mio banco,non si sforzava nemmeno di guardarmi.Giocherellava distrattamente con una sua ciocca di capelli castani.Non sò perchè ma in quel momento le fui grata.

Un distratto richiamo dalla Wikings mi riportò bruscamente alla realtà.Le mie mani piccole e bianche cessarono di muoversi,una sopra l'altra sulla superificie levigata e confortante del banco.

-Allora...la sà questa risposta...oppure le devo assegnare un altra D ?-

Una domanda puramente retorica.Ero sicura che la Wikings avesse già scritto,sul suo registro blu,la tanto odiata lettera,che mi procurava dall'inizio del  trimeste sfuriate da parte di mia madre.

Non mi volevo arrendere.Avrei risposto alla domanda.Io sapevo la risposta.

Avevo studiato quell'argomento proprio due giorni prima,lì,su quello stesso banco color caffè.Avevo letto,e avevo ripetuto più volte, mentre più svariate palline di carta colpivano i miei boccoli neri.

Mugugnai qualcosa.Sentii i presenti,accompagnati dal mio cuore,avere un sobbalzo.

Arrossì.Le mie guancie si infiammarono all'istante,le mie dita ricominciarono ad intrecciarsi,sfiorarsi nervosamente.

Nel chinare troppo lo sguardo i mie occhiali  scivolarono sul

 naso piccolo e appuntito.Li riportai al loro posto con un gesto affrettato.

Sentivo l'attesa distruggermi.E i tanti odiati coltelli trafiggermi in profondità,e insistere ancor di più nelle dolorose ferite che già mi avevano procurato.

Un fastidioso senso di nausea mi invase,mi investì in pieno.E in quell'istante desiderai scomparire dalla faccia della terra.

Poi arrivò il tanto sperato sospiro.Alzai,dopo un tempo che parve infinito,lo sguardo dalle mie belle,quanto consumate,scarpe bianche.

La  Wikings era china sul registro.Scriveva con la sua bella penna stilografica procurando un lieve ma tanto fastidioso rumore della carta spiegazzata,e dell'inchiostro da cui viene tinta.

-Vieni qui-mi ordinò poco dopo.

Non osai alzarmi subito.

Le mie gambe tremavano.Avevo paura...ma perchè dovevo averne?Era solo una breve,insignificante camminata.Un piccolo percorso dal banco alla cattedra.

Cercai di farmi coraggio.Volsi lo sguardo lentamente verso la finestra.

La mia mente camminò per quelle strade grigie,accarezzò la corteccia di un albero,sfiorò il pelo di un cane.

Godeva della frescura di quella bella mattinata di febbraio.

Ma il mio corpo era lì.In quell'aula calda e afosa.

Io mi sentivo totalmente,insistentemente soffocata in quella piccola stanza,sospesa

in un vortice di tensione e di paura.

Le mie ginocchia si sollevarono da sole.Lasciai cadere le mie braccia morbidamente lungo i fianchi.Lo spostamento d'aria fece ondeggiare lievemente i miei boccoli neri.

Pochi passi e sarei arrivata.

Fissai le mie scarpe consumate scricchiolare sul pavimento,mentre uno dopo l'altro i miei piedi avanzavano nel silenzio opprimente di quell'aula,per me,così maledettamente afosa.

Avevo fatto,pochi,piccoli passi durati piccoli frammenti di vita,istanti di un minuto nauseante.La mia pelle scottava,e il mio viso era un unico fuoco ardente che divampava in me e bruciava ogni singolo tentativo di proferir parola.

Non sò come non la vidi.Era lì,nera e lucida,nuova in tutta la sua innata bellezza.

Forse finsi di non vederla,apposta.

Quando incappai in quel piede,tutto sembrò volgersi con una rapidità inaspettata.

Le mie mani che si aggrappavano al banco,il mio piede sinistro che scivolava,goffamente, sul pavimento freddo e umido.

Il mio gridolino sommesso,le mia gola che emettava suoni rauchi e ben poco udibili.

Prima che la mia faccia finisse sul pavimento riuscii ad intravedere una matita azzura,coinvolta nella caduta,spezzarsi sotto i miei occhi spaventati.

E la mia dignità,gli ultimi frammenti di un orgoglio ormai perduto,si persero nell'aria e nelle risate acute e soddisfatte dei miei compagni di classe.

 

 

 

 

 

-Sicura di star bene?-mi domandò con voce sorprendentemente gentile.

Annuì timidamente,aggiustandomi gli occhiali sul naso.Era un miracolo che non si fossero rotti.

Il lettino era duro,e il bianco di quell'infermeria procurava in me una tale angoscia e tristezza che quasi mi spaventava.Mancavano solo quelle sensazioni oscure ed angoscianti a completare l'album dei miei fallimenti e del mio dolore.

I raggi di una luna ormai piena,filtravano nella stanza e illuminavano a tratti il viso della giovane dottoressa dinanzi a me,e i suoi capelli lisci,color rame.

-Mia madre sarà in pensiero per me....-mormorai timidamente,dopo un silenzio estenuante, scendendo dal lettino alquanto scomodo e pulendomi il maglioncino verde dai residui del sangue che avevo perduto,con un gesto lieve della mano.

Mi facevano male le ginocchia.E la schiena..Ma non sarei rimasta in quel posto nauseante un solo minuto di più.

-Sicura?Non sembri in ottima forma- mi ribadì lei dolcemente.La sua voce mi cullò per qualche attimo.Era proprio calda e confortante,ma l'odore dei disinfettanti e del sangue incrostato sul lettino e a chiazze sul mio viso,mi stava facendo impazzire.

Risposi di no,con la mia voce,piccola piccola,e a  malapena udibile.

-E' ora di cena,e devo farmi una doccia-proseguii poi,sentendo il dovere di dare una giustificazione più che plausibile alla mia fuga dall'infermeria.

La dottoressa annuì,non sembrava troppo convinta,ma sinceramente non me ne curai.

Abbandonai l'infermeria e con essa il ricordo doloroso di ore ed ore di sonno agitato,e di sangue,molto sangue che scorreva sul mento e sulle ferite che quella caduta mi aveva causato.

Mentre il fresco di una limpida notte di febbraio mi accarezzava i capelli,portai le mie mani sulle labbra rosse,macchiate di nettare vermiglio oramai coagulato sulla mia pelle.

L'odore ferroso del sangue mi nauseava a tal punto da farmi star male,e la strada verso casa era lunga,tortuosa,impossibile da sopportare in quelle condizioni.

Mi trascinai verso il parco stringendomi nel mio maglioncino verde,mentre il vento pungente della sera mi accarezzava le iridi scure,sul punto di un innondamento che sinceramente avrei preferito evitare.

Invano tentai di trattenermi per rafforzare la mia anima,e il mio carattere ma la prima lacrima,praticamente,scivolò sulla mia guancia senza dar retta alla mia buona forza di volontà.La seconda la seguì senza alcun ritegno e sprofondò nel mio maglioncino verde,seguita, immediatamente e inesorabilmente, dalle sue "compagne".

Il mio cuore pulsava a ritmo dei miei passi veloci,il fruscio dei pantaloni sull'asfalto grigio era irritante,tutto ciò che ero e che stavo facendo era estremamente snervante.

Le mie labbra,bagnate dal liquido salato che innondava i miei occhi,erano schiuse e pronunciavano di tanto in tanto parole sommesse,gemiti rabbiosi,sospiri amari e angosciati.

La mia camminata frenetica,era divenuta,ora una vera corsa a briglie sciolte,un implacabile rabbia mi dava la forza di vincere il freddo pungente della sera e di sfogare le mie  frustrazioni su quella piccola strada di sassi,buia e stretta, che mi stava conducendo al parco.

Nemmeno mi accorsi del dolore,dei miei piedi accaldati e stanchi che chiusi all'interno delle mie scarpe bianche,quasi mi imploravano di fermarmi.

Nulla esisteva se non il vento gelido notturno che mi sfiorava la pelle,e perdeva in sè quella lacrime che sempre odiavo,che tanto mi facevano sentire debole e depressa,priva di una qualsiasi forza di volontà.

Non ricordo quando effettivamente crollai sulla panchina del parco,le vesti infreddolite,i capelli ricoperti di brina con il cuore totalmente a pezzi, simile ad un tamburo furioso,un cavallo impazzito che scalpitava nel mio petto.

I miei gemiti rabbiosi ed i miei singhiozzi riempivano il parco, totalmente silenzioso prima del mio furente arrivo.Evidentemente stavo disturbando la quiete notturna,pensai un pò risentita.

Ma avevo tutto il diritto di essere furiosa,dopotutto.La mia vita stava lentamente andando a rotoli e con lei anche l' irrefrenabile desiderio di combattere quell'esistenza che non mi piaceva.

Dopo un tempo che mi parve infinito sollevai il viso dalle  ginocchia ossute nel quale ero sprofondata e passandomi il palmo della mano sul viso per spazzare gli ultimi residui della mia sofferenza,mi tirai su a sedere.

L'unica luce che illuminava il viottolo di sassi appartaneva ad un lampione piuttosto mal ridotto, incrostato e pieno zeppo di ragnatele,che per mia sfortuna lampeggiava pericolosamente.

Mi strinsi nelle spalle,scoprendomi a rabbrividire e... non solo per il freddo.

Quel luogo era così dannatamente terrificante sotto i raggi deboli di una luna piena.Alcun rumore si udiva oltre ai miei respiri agitati e al fruscio dei mie lunghi jeans sul selciato.

Mi strinsi nelle spalle e non prestando troppa attenzione al silenzio innaturale che regnava intorno a me e che mi intimoriva spaventosamente,mi avviai verso casa tirando un lungo e profondo sospiro.

Cercai di non far troppo caso alla luce intensa del lampione che illuminava a momenti,in un gioco di luci assolutamente fastidiose,il

 viottolo di sassi su cui stavo proseguendo

Guardai fisso l'orizzonte.La paura cresceva involontariamente

 in me pian piano,e perfino i miei passi lunghi e strascicati sui sassi umidicci iniziavano a terrorizzarmi.

Cercai invano di non tremare,di non voltarmi indietro,ma ciò mi fu praticamente impossibile quando un sospiro lungo e soddisfatto mi giunse da oltre le  spalle.

Mi voltai con la velocità di felino,gli occhi sbarrati,le labbra serrate pronte ad urlare in caso di pericolo.Le mie mani erano ben alzate dinanzi al  viso,non sò cosa volessi fare,probabilmente tentare di difendermi alla meno peggio da un presunto malintenzionato.

-Chi...chi c'è?-

Avevo un piede  pronto a partire,a scattare anche solo minimo rumore.Non ero mai stata troppo coraggiosa e sinceramente non avevo intenzione di iniziare proprio allora.

I mie occhi,per quanto la luce fastidiosamente lampeggiante lo permetteva,vagavano rapidi,analizzando ogni piccolo movimento sospetto nel buio notturno del parco.

Ma nulla... quando le mie braccia stanche mi ricaddero morbidamente lungo i fianchi,mi accorsi di quanto dovevo apparire ridicola,lì,in mezzo ad un parco,terrorizzata e goffamente pronta a scappare.Sospirai sconfitta ed incredibilmente vergognosa di me stessa.

-Quanto sei stupida....Din...-mi rimproverai  tristemente mentre il mio cuore e il mio corpo si rilassavano sotto il tocco leggero di una brezza notturna.

Poco dopo,quando il silenzio  aveva tranquilizzato i miei sensi agitati e le mie vene pulsanti,tirai un lungo sospiro di sollievo.

-Din...uhmmm....un soprannome suppongo-

 

 

 

 

Non sò come raggiunsi,a stento,la mia piccola villetta in cui abitavo  appena fuori città.

Avevo corso, come una saetta mentre le strade,gli appartamenti,i negozi ormai chiusi della bella cittadina mi sfrecciavano dinanzi come tante piccole fuggevoli immagini di poca importanza.

E mentre i miei passi veloci,producevano un rumore assordante sull'asfalto grigio,lo scricchilio delle mie scarpe bianche accompagnava i battiti frenetici del mio cuore impazzito.

Poi mi ero ritrovata lì

Tutto ciò era accaduto con una tale rapidità da sconvolgermi,un attimo prima ero al parco immersa nel buio più totale  e un secondo dopo dinanzi alla porta di casa ,spaventata e sfinita da una folle corsa.

-Probabilmente,mi sono immaginata tutto-mormorai terrorizzata e soprattutto non troppo convinta.

Cercai frettolosamente le chiavi nella tasca dei miei jeans scoloriti,frugando con una tale frenesia da sembrare quasi una psicopatica.

Tremante infilai le chiavi nella toppa,e spalancai la porta con un tonfo alquanto assordante,i miei boccoli vibrarono e i miei occhi saettarono all'interno del salotto,accompagnati subito dopo,da tutto il corpo.

Non sò perchè,ma con due giri di chiave,mi richiusi la porta alle spalle mentre

una frenesia dettata dalla paura agiva al posto mio.

-Din...ma che diavolo succede?-

Mia madre mi corse in contro ma non mi abbracciò,restò semplicemente a fissarmi sbigottita.Il suo cipiglio severo mi ricordava molto quella della signora Wikings e ciò non era minimamente confortante.

Pur sentendomi una totale sciocca,le raccontai senza alcuna esitazione l'accaduto.Mi fidavo di mia madre,sentivo che con lei sarei stata sempre al sicuro.

Quando sollevai lo sguardo ,dopo un pò che il mio sfogo aveva occupato la casa tranquilla ,scorsi nei suoi occhi neri come la pece un sentimento che mi lasciò interdetta.

E in quell'istante mi resi brutalmente conto di non essere affatto al sicuro.

Le sue iridi scure erano attraversate  da qualcosa che ben avevo conosciuto in quegli ultimi attimi di terrore.

La paura.

Boccheggiai un pò confusa,indietreggiai e le mie spalle si scontrarono contro la parete fredda e liscia del salotto.

-Devi andare,Din-La sua voce era neutrale e la sua freddezza mi sorprese.Incurvai un sopracciglio mentre tutto mi stava lentamente vorticando intorno.

-Che...cosa?Andare dove?-

Un fracasso infernale mi investì in pieno e quasi non mi spaccò i timpani.

Chiusi gli occhi,spaventata.Non volevo vedere.E in quel momento in un turbinio di pensieri e colori desiderai essere cieca e sorda,per non vedere ne sentire ciò che stava accadendo intorno a me.

Mi lasciai scivolare contro la parete fredda e l'oscurità delle mie palpebre mi avvolse mentre mi stringevo nel mio maglioncino verde.

Un sogno?Lo sperai,ma ben poco.Ero troppo occupata a pregare per la mia vita,e per quella di mia madre per pensare ad altro.

-E' arrivato il momento,donna-

Il momento?Aprii debolmente gli occhi offuscati dalle lacrime.Tre figure,non ben distinte appesantivano con la loro presenza la stessa aria che respiravo.

Cercai lo sguardo di mia madre perso nella tensione di quei momenti che non riuscivo a capire,ma non mi guardò e le sue parole,fredde ed impassibili investirono la mia sensibilità con innata violenza

-E' lì.Prendetela-

Non capii o forse fui la prima a non voler capire.

Una delle tre figure mi cinse la vita con un braccio e mi sollevò da terra con un scatto rapido e invisibile , ma ero troppo stordita per pormi quesiti sull'innata velocità con il quale mi aveva afferrato.La sua morsa era salda e ben stretta ma estremamente trattenuta  e lo percepivo dai muscoli tesi e contratti del suo braccio.

Non tentai nemmeno di divincolarmi.La mia mente era troppo sconvolta e catturata dai mille pensieri che mi vorticavano intorno,insieme al salotto e a tutti i suoi soprammobili.,per riuscire solo e lontanamente ad escogitare un piano per fuggire.

-E' un piacere fare affari con lei,Lolita-

Un' unica frase.L'unica che riuscii a catturare nella  confusione mistica che mi annebbiava la vista e mi offuscava i sensi.

Un ultimo,piccolo mormorio prima di scivolare in un abisso senza fine e di sprofondare nell'oscurità più profonda da dove ,pensai,non avrei fatto più ritorno.

 

 

 

Fine capitolo 1°

  
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