Il
Sacrificio -
Capitolo
1°
Il
sacrificio
Era
difficile comprendere i loro sguardi.Le loro iridi erano per la maggior
parte,divertite.I loro occhi acquosi erano fissi sulla mia figura,leggermente
accucciata sul banco.Le mie mani erano nervosamente strette fra loro e i
pollici continuavano ad accarezzarsi,sfiorarsi in un gesto alquanto fastidioso.
Alzai
lievemente lo sguardo.La professoressa mi guardava,con il suo solito ed
insopportabile cipiglio severo.I capelli grigi raccolti in una crocchia,alcuni
ciuffi crespi e ricci dinanzi agli occhi verdi e piccoli.
Mi
concentrai sulle due piccole rughe,posizionate lì,al centro della sua fronte.
Forse
per rilassarmi.La pelle non era troppo
rugosa per la sua età.
Doveva
essere stata una bella donna in passato.
Mi
morsi il labbro inferiore.Chinani lo sguardo teso, non riuscendo più a
sostenere quello della signora Wikings.Il silenzio più assoluto regnava
dell'aula,ed io ero lì,al centro di tanti piccoli occhi divertiti,che
fissavano,e pregustavano con estrema e cattiva soddisfazione la mia sconfitta.
Mi
parevano,anzi li sentivo come tanti piccoli coltelli,trafiggermi la carne
tenera del mio corpo.Della mia anima.
Lasciai
scivolare le mani sul banco.La superficie color caffè era levigata,liscia,e mi
piaceva sfiorare con le dita quel ripiano,a mio parere,estremamente
confortante.
Un
boccolo nero mi scivolò dinanzi al viso,e io lo lascia ricadere dietro le
orecchie,sollevando appena lo sguardo per intravedere la Wikings intenta a
studiare il mio comportamento.
Non
si preoccupava troppo degli altri alunni.Nessuno mi avrebbe suggerito.
Alcun
umano presente in quella calda,e insopportabile aula, avrebbe fatto il minimo
sforzo per aiutarmi.Mi concentrai su qualcosa che non fosse lo sguardo della
professoressa e i sogghigni ben celati sui volti dei miei compagni di classe.
La
ragazza,seduta dinanzi al mio banco,non si sforzava nemmeno di
guardarmi.Giocherellava distrattamente con una sua ciocca di capelli
castani.Non sò perchè ma in quel momento le fui grata.
Un
distratto richiamo dalla Wikings mi riportò bruscamente alla realtà.Le mie mani
piccole e bianche cessarono di muoversi,una sopra l'altra sulla superificie
levigata e confortante del banco.
-Allora...la
sà questa risposta...oppure le devo assegnare un altra D ?-
Una
domanda puramente retorica.Ero sicura che la Wikings avesse già scritto,sul suo
registro blu,la tanto odiata lettera,che mi procurava dall'inizio del trimeste sfuriate da parte di mia madre.
Non
mi volevo arrendere.Avrei risposto alla domanda.Io sapevo la risposta.
Avevo
studiato quell'argomento proprio due giorni prima,lì,su quello stesso banco
color caffè.Avevo letto,e avevo ripetuto più volte, mentre più svariate palline
di carta colpivano i miei boccoli neri.
Mugugnai
qualcosa.Sentii i presenti,accompagnati dal mio cuore,avere un sobbalzo.
Arrossì.Le
mie guancie si infiammarono all'istante,le mie dita ricominciarono ad
intrecciarsi,sfiorarsi nervosamente.
Nel
chinare troppo lo sguardo i mie occhiali
scivolarono sul
naso piccolo e appuntito.Li riportai al loro
posto con un gesto affrettato.
Sentivo
l'attesa distruggermi.E i tanti odiati coltelli trafiggermi in profondità,e
insistere ancor di più nelle dolorose ferite che già mi avevano procurato.
Un
fastidioso senso di nausea mi invase,mi investì in pieno.E in quell'istante
desiderai scomparire dalla faccia della terra.
Poi
arrivò il tanto sperato sospiro.Alzai,dopo un tempo che parve infinito,lo
sguardo dalle mie belle,quanto consumate,scarpe bianche.
La Wikings era china sul registro.Scriveva con
la sua bella penna stilografica procurando un lieve ma tanto fastidioso rumore
della carta spiegazzata,e dell'inchiostro da cui viene tinta.
-Vieni
qui-mi ordinò poco dopo.
Non
osai alzarmi subito.
Le
mie gambe tremavano.Avevo paura...ma perchè dovevo averne?Era solo una
breve,insignificante camminata.Un piccolo percorso dal banco alla cattedra.
Cercai
di farmi coraggio.Volsi lo sguardo lentamente verso la finestra.
La
mia mente camminò per quelle strade grigie,accarezzò la corteccia di un
albero,sfiorò il pelo di un cane.
Godeva
della frescura di quella bella mattinata di febbraio.
Ma il
mio corpo era lì.In quell'aula calda e afosa.
Io mi
sentivo totalmente,insistentemente soffocata in quella piccola stanza,sospesa
in un
vortice di tensione e di paura.
Le
mie ginocchia si sollevarono da sole.Lasciai cadere le mie braccia morbidamente
lungo i fianchi.Lo spostamento d'aria fece ondeggiare lievemente i miei boccoli
neri.
Pochi
passi e sarei arrivata.
Fissai
le mie scarpe consumate scricchiolare sul pavimento,mentre uno dopo l'altro i
miei piedi avanzavano nel silenzio opprimente di quell'aula,per me,così
maledettamente afosa.
Avevo
fatto,pochi,piccoli passi durati piccoli frammenti di vita,istanti di un minuto
nauseante.La mia pelle scottava,e il mio viso era un unico fuoco ardente che
divampava in me e bruciava ogni singolo tentativo di proferir parola.
Non
sò come non la vidi.Era lì,nera e lucida,nuova in tutta la sua innata bellezza.
Forse
finsi di non vederla,apposta.
Quando
incappai in quel piede,tutto sembrò volgersi con una rapidità inaspettata.
Le
mie mani che si aggrappavano al banco,il mio piede sinistro che
scivolava,goffamente, sul pavimento freddo e umido.
Il
mio gridolino sommesso,le mia gola che emettava suoni rauchi e ben poco
udibili.
Prima
che la mia faccia finisse sul pavimento riuscii ad intravedere una matita
azzura,coinvolta nella caduta,spezzarsi sotto i miei occhi spaventati.
E la
mia dignità,gli ultimi frammenti di un orgoglio ormai perduto,si persero
nell'aria e nelle risate acute e soddisfatte dei miei compagni di classe.
-Sicura
di star bene?-mi domandò con voce sorprendentemente gentile.
Annuì
timidamente,aggiustandomi gli occhiali sul naso.Era un miracolo che non si
fossero rotti.
Il
lettino era duro,e il bianco di quell'infermeria procurava in me una tale
angoscia e tristezza che quasi mi spaventava.Mancavano solo quelle sensazioni
oscure ed angoscianti a completare l'album dei miei fallimenti e del mio
dolore.
I
raggi di una luna ormai piena,filtravano nella stanza e illuminavano a tratti
il viso della giovane dottoressa dinanzi a me,e i suoi capelli lisci,color
rame.
-Mia
madre sarà in pensiero per me....-mormorai timidamente,dopo un silenzio
estenuante, scendendo dal lettino alquanto scomodo e pulendomi il maglioncino
verde dai residui del sangue che avevo perduto,con un gesto lieve della mano.
Mi
facevano male le ginocchia.E la schiena..Ma non sarei rimasta in quel posto
nauseante un solo minuto di più.
-Sicura?Non
sembri in ottima forma- mi ribadì lei dolcemente.La sua voce mi cullò per
qualche attimo.Era proprio calda e confortante,ma l'odore dei disinfettanti e
del sangue incrostato sul lettino e a chiazze sul mio viso,mi stava facendo
impazzire.
Risposi
di no,con la mia voce,piccola piccola,e a
malapena udibile.
-E'
ora di cena,e devo farmi una doccia-proseguii poi,sentendo il dovere di dare
una giustificazione più che plausibile alla mia fuga dall'infermeria.
La
dottoressa annuì,non sembrava troppo convinta,ma sinceramente non me ne curai.
Abbandonai
l'infermeria e con essa il ricordo doloroso di ore ed ore di sonno agitato,e di
sangue,molto sangue che scorreva sul mento e sulle ferite che quella caduta mi
aveva causato.
Mentre
il fresco di una limpida notte di febbraio mi accarezzava i capelli,portai le
mie mani sulle labbra rosse,macchiate di nettare vermiglio oramai coagulato
sulla mia pelle.
L'odore
ferroso del sangue mi nauseava a tal punto da farmi star male,e la strada verso
casa era lunga,tortuosa,impossibile da sopportare in quelle condizioni.
Mi
trascinai verso il parco stringendomi nel mio maglioncino verde,mentre il vento
pungente della sera mi accarezzava le iridi scure,sul punto di un innondamento
che sinceramente avrei preferito evitare.
Invano
tentai di trattenermi per rafforzare la mia anima,e il mio carattere ma la
prima lacrima,praticamente,scivolò sulla mia guancia senza dar retta alla mia
buona forza di volontà.La seconda la seguì senza alcun ritegno e sprofondò nel
mio maglioncino verde,seguita, immediatamente e inesorabilmente, dalle sue
"compagne".
Il
mio cuore pulsava a ritmo dei miei passi veloci,il fruscio dei pantaloni
sull'asfalto grigio era irritante,tutto ciò che ero e che stavo facendo era
estremamente snervante.
Le
mie labbra,bagnate dal liquido salato che innondava i miei occhi,erano schiuse
e pronunciavano di tanto in tanto parole sommesse,gemiti rabbiosi,sospiri amari
e angosciati.
La
mia camminata frenetica,era divenuta,ora una vera corsa a briglie sciolte,un
implacabile rabbia mi dava la forza di vincere il freddo pungente della sera e
di sfogare le mie frustrazioni su
quella piccola strada di sassi,buia e stretta, che mi stava conducendo al
parco.
Nemmeno
mi accorsi del dolore,dei miei piedi accaldati e stanchi che chiusi all'interno
delle mie scarpe bianche,quasi mi imploravano di fermarmi.
Nulla
esisteva se non il vento gelido notturno che mi sfiorava la pelle,e perdeva in
sè quella lacrime che sempre odiavo,che tanto mi facevano sentire debole e
depressa,priva di una qualsiasi forza di volontà.
Non
ricordo quando effettivamente crollai sulla panchina del parco,le vesti
infreddolite,i capelli ricoperti di brina con il cuore totalmente a pezzi,
simile ad un tamburo furioso,un cavallo impazzito che scalpitava nel mio petto.
I
miei gemiti rabbiosi ed i miei singhiozzi riempivano il parco, totalmente
silenzioso prima del mio furente arrivo.Evidentemente stavo disturbando la
quiete notturna,pensai un pò risentita.
Ma
avevo tutto il diritto di essere furiosa,dopotutto.La mia vita stava lentamente
andando a rotoli e con lei anche l' irrefrenabile desiderio di combattere
quell'esistenza che non mi piaceva.
Dopo
un tempo che mi parve infinito sollevai il viso dalle ginocchia ossute nel quale ero sprofondata e passandomi il palmo
della mano sul viso per spazzare gli ultimi residui della mia sofferenza,mi
tirai su a sedere.
L'unica
luce che illuminava il viottolo di sassi appartaneva ad un lampione piuttosto
mal ridotto, incrostato e pieno zeppo di ragnatele,che per mia sfortuna
lampeggiava pericolosamente.
Mi
strinsi nelle spalle,scoprendomi a rabbrividire e... non solo per il freddo.
Quel
luogo era così dannatamente terrificante sotto i raggi deboli di una luna
piena.Alcun rumore si udiva oltre ai miei respiri agitati e al fruscio dei mie
lunghi jeans sul selciato.
Mi
strinsi nelle spalle e non prestando troppa attenzione al silenzio innaturale
che regnava intorno a me e che mi intimoriva spaventosamente,mi avviai verso
casa tirando un lungo e profondo sospiro.
Cercai
di non far troppo caso alla luce intensa del lampione che illuminava a
momenti,in un gioco di luci assolutamente fastidiose,il
viottolo di sassi su cui stavo proseguendo
Guardai
fisso l'orizzonte.La paura cresceva involontariamente
in me pian piano,e perfino i miei passi
lunghi e strascicati sui sassi umidicci iniziavano a terrorizzarmi.
Cercai
invano di non tremare,di non voltarmi indietro,ma ciò mi fu praticamente
impossibile quando un sospiro lungo e soddisfatto mi giunse da oltre le spalle.
Mi
voltai con la velocità di felino,gli occhi sbarrati,le labbra serrate pronte ad
urlare in caso di pericolo.Le mie mani erano ben alzate dinanzi al viso,non sò cosa volessi fare,probabilmente
tentare di difendermi alla meno peggio da un presunto malintenzionato.
-Chi...chi
c'è?-
Avevo
un piede pronto a partire,a scattare
anche solo minimo rumore.Non ero mai stata troppo coraggiosa e sinceramente non
avevo intenzione di iniziare proprio allora.
I mie
occhi,per quanto la luce fastidiosamente lampeggiante lo permetteva,vagavano
rapidi,analizzando ogni piccolo movimento sospetto nel buio notturno del parco.
Ma
nulla... quando le mie braccia stanche mi ricaddero morbidamente lungo i
fianchi,mi accorsi di quanto dovevo apparire ridicola,lì,in mezzo ad un
parco,terrorizzata e goffamente pronta a scappare.Sospirai sconfitta ed
incredibilmente vergognosa di me stessa.
-Quanto
sei stupida....Din...-mi rimproverai
tristemente mentre il mio cuore e il mio corpo si rilassavano sotto il
tocco leggero di una brezza notturna.
Poco
dopo,quando il silenzio aveva
tranquilizzato i miei sensi agitati e le mie vene pulsanti,tirai un lungo
sospiro di sollievo.
-Din...uhmmm....un
soprannome suppongo-
Non
sò come raggiunsi,a stento,la mia piccola villetta in cui abitavo appena fuori città.
Avevo
corso, come una saetta mentre le strade,gli appartamenti,i negozi ormai chiusi
della bella cittadina mi sfrecciavano dinanzi come tante piccole fuggevoli
immagini di poca importanza.
E
mentre i miei passi veloci,producevano un rumore assordante sull'asfalto
grigio,lo scricchilio delle mie scarpe bianche accompagnava i battiti frenetici
del mio cuore impazzito.
Poi
mi ero ritrovata lì
Tutto
ciò era accaduto con una tale rapidità da sconvolgermi,un attimo prima ero al
parco immersa nel buio più totale e un
secondo dopo dinanzi alla porta di casa ,spaventata e sfinita da una folle
corsa.
-Probabilmente,mi
sono immaginata tutto-mormorai terrorizzata e soprattutto non troppo convinta.
Cercai
frettolosamente le chiavi nella tasca dei miei jeans scoloriti,frugando con una
tale frenesia da sembrare quasi una psicopatica.
Tremante
infilai le chiavi nella toppa,e spalancai la porta con un tonfo alquanto
assordante,i miei boccoli vibrarono e i miei occhi saettarono all'interno del
salotto,accompagnati subito dopo,da tutto il corpo.
Non
sò perchè,ma con due giri di chiave,mi richiusi la porta alle spalle mentre
una
frenesia dettata dalla paura agiva al posto mio.
-Din...ma
che diavolo succede?-
Mia
madre mi corse in contro ma non mi abbracciò,restò semplicemente a fissarmi
sbigottita.Il suo cipiglio severo mi ricordava molto quella della signora
Wikings e ciò non era minimamente confortante.
Pur
sentendomi una totale sciocca,le raccontai senza alcuna esitazione
l'accaduto.Mi fidavo di mia madre,sentivo che con lei sarei stata sempre al
sicuro.
Quando
sollevai lo sguardo ,dopo un pò che il mio sfogo aveva occupato la casa
tranquilla ,scorsi nei suoi occhi neri come la pece un sentimento che mi lasciò
interdetta.
E in
quell'istante mi resi brutalmente conto di non essere affatto al sicuro.
Le
sue iridi scure erano attraversate da
qualcosa che ben avevo conosciuto in quegli ultimi attimi di terrore.
La
paura.
Boccheggiai
un pò confusa,indietreggiai e le mie spalle si scontrarono contro la parete
fredda e liscia del salotto.
-Devi
andare,Din-La sua voce era neutrale e la sua freddezza mi sorprese.Incurvai un
sopracciglio mentre tutto mi stava lentamente vorticando intorno.
-Che...cosa?Andare
dove?-
Un
fracasso infernale mi investì in pieno e quasi non mi spaccò i timpani.
Chiusi
gli occhi,spaventata.Non volevo vedere.E in quel momento in un turbinio di
pensieri e colori desiderai essere cieca e sorda,per non vedere ne sentire ciò
che stava accadendo intorno a me.
Mi
lasciai scivolare contro la parete fredda e l'oscurità delle mie palpebre mi
avvolse mentre mi stringevo nel mio maglioncino verde.
Un
sogno?Lo sperai,ma ben poco.Ero troppo occupata a pregare per la mia vita,e per
quella di mia madre per pensare ad altro.
-E'
arrivato il momento,donna-
Il
momento?Aprii debolmente gli occhi offuscati dalle lacrime.Tre figure,non ben
distinte appesantivano con la loro presenza la stessa aria che respiravo.
Cercai
lo sguardo di mia madre perso nella tensione di quei momenti che non riuscivo a
capire,ma non mi guardò e le sue parole,fredde ed impassibili investirono la
mia sensibilità con innata violenza
-E'
lì.Prendetela-
Non
capii o forse fui la prima a non voler capire.
Una
delle tre figure mi cinse la vita con un braccio e mi sollevò da terra con un
scatto rapido e invisibile , ma ero troppo stordita per pormi quesiti
sull'innata velocità con il quale mi aveva afferrato.La sua morsa era salda e
ben stretta ma estremamente trattenuta
e lo percepivo dai muscoli tesi e contratti del suo braccio.
Non
tentai nemmeno di divincolarmi.La mia mente era troppo sconvolta e catturata
dai mille pensieri che mi vorticavano intorno,insieme al salotto e a tutti i
suoi soprammobili.,per riuscire solo e lontanamente ad escogitare un piano per
fuggire.
-E'
un piacere fare affari con lei,Lolita-
Un'
unica frase.L'unica che riuscii a catturare nella confusione mistica che mi annebbiava la vista e mi offuscava i
sensi.
Un
ultimo,piccolo mormorio prima di scivolare in un abisso senza fine e di
sprofondare nell'oscurità più profonda da dove ,pensai,non avrei fatto più
ritorno.
Fine capitolo 1°