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Autore: Rosmary    04/08/2013    5 recensioni
{Prima classificata e vincitrice del premio introspezione al Contest 'Non esiste nulla di brutto in questo mondo, tranne un testo sgrammaticato' di LadySaphira}
È noto che a essere realmente logoranti siano le passioni silenziose, che s'alimentano dell'ombra. Lui era stato adescato al primo sguardo dalle labbra screpolate e gli occhi spietati della belva.
"Le sfiorasti con l’indice destro le labbra e sorridesti notando quanto fossero screpolate, come di consueto. Aveva sempre avuto il vizio di morderle quando eseguiva un incantesimo, quando malediva, poi, riusciva ad azzannarle a sangue, come una cruenta belva"
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Rabastan Lestrange, Rodolphus Lestrange
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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I personaggi presenti in questa storia sono proprietà di J.K. Rowling;
la oneshot è scritta senza alcuno scopo di lucro.






 

Occhi spietati, labbra screpolate

 
 
 
Destabilizzante. Non riuscivi a rintracciare definizioni più adatte. Quella situazione era destabilizzante. Avvertivi le dita fremere al contatto col nulla, il sudore impiastricciare il tuo corpo e il respiro rifiutarsi d’essere regolare. 
Continuavi a guardarti attorno con aria allucinata, faticando a distinguere volti e oggetti; tutto, dinanzi a te, appariva sfocato e immateriale. Proveniente da chissà dove, giunse la voce di tuo fratello, che intimava a dei fidati Guaritori di concentrarsi sull’inerme figura della donna dagli occhi spietati e le labbra screpolate.
Ruotasti il collo meccanicamente, stizzito dal vociare che aumentava a ogni secondo. Quella stanza iniziava ad apparirti soffocante. Senza riflettere oltre, slacciasti il mantello scuro e lo gettasti via, strattonando malamente la mano di un Guaritore, che s’era avvicinata troppo alla ferita sanguinante ch’avevi sulla guancia sinistra. Neanche t’importava più del gusto ferroso del sangue, stava bene lì, a insozzarti la barbetta ispida e il labbro superiore.
 
“Va’ a casa, lavati e cambiati. Il Signore Oscuro ci convocherà a momenti.”
 
Te lo disse con tono asciutto. D’altronde, Rodolphus non figurava certamente in quella schiera d’uomini sensibili e concilianti. Rude e scostante lui, esattamente come te, che ti limitasti a rifilargli un’occhiata torva, non muovendo un solo muscolo per andar via. Dopotutto, lui non vi avrebbe chiamati a momenti, come aveva affermato tuo fratello. Lui aveva già avuto il suo rapporto dal fedele Evan e vi avrebbe concesso il tempo necessario a sanare le ferite, cosicché sareste stati nuovamente a sua disposizione.
 
“Rabastan, vai,” ripeté ancora.
 
“Tua moglie giace in un letto e tu vuoi mandarmi via?” esordisti rauco, con tono ed espressione volutamente provocatori. “Non vuoi il conforto di un familiare?”
 
L’unica reazione che ottenesti da Rodolphus fu una risata gutturale, tremenda, che sembrò denudarti, mettendo alla berlina il reale motivo che t’obbligava lì, inchiodato a quella pavimentazione, incapace d’andar via. Con uno sguardo che mescolava disprezzo e pietà, tuo fratello svanì oltre la porta della camera da letto, lasciandoti solo nell’ampio atrio.
Trascorresti lunghi istanti in compagnia di un amico fedele: il silenzio. Riflettesti su quanto fosse appena accaduto: lo scontro con i luridi traditori, gli Auror, ch’erano riusciti a sottomettere te e i tuoi alleati. Non ve l’aspettavate, che avrebbero osato tanto. Licenza di uccidere. Licenza di maledire. Licenza d’indurre alla follia. Il tempo delle mezze misure sembrava essere un passato lontanissimo, evanescente. I vostri stolti avversari s’erano dichiarati pronti a tutto pur di fermarvi e voi avreste colto la sfida.
In gioco non c’era più la vittoria,  bensì la vita, quella vera. Vivere sarebbe stato estremamente difficile, d’ora in poi; vivere in senso materiale, meramente fisico: respirare, muovere gli arti, ragionare… Iniziava una nuova era.
Stringesti i pugni al punto da costringere le nocche a sbiancare. Eri letteralmente imbestialito, poiché il primo individuo a pagare lo scotto della novità aveva i lineamenti della tua inconfessabile tentazione.
Lei, l’avevi sempre voluta. Sempre. La volevi anche quando ne ignoravi l’esistenza, anche nella tua precedente vita… Persino in quella futura l’avresti voluta, ancora. T’avevano irretito istantaneamente i suoi occhi spietati… Possedevano tratti particolari, che mai t’era successo di scorgere altrove: palpebre pesanti, cadenti quasi, a celare ossessioni e desideri, iridi scure, nere quanto il cognome della padrona, ciglia lunghe, folte, perennemente impegnate nello scacciare il fastidio e poi… poi erano grandi quegli occhi, di una grandezza sbagliata, irregolare, che stonava sul piccolo volto. Sembravano dire ‘siamo qui, ti scrutiamo, a noi non puoi sfuggire’.
E tu non eri sfuggito, non a loro, che t’avevano istruito schiavo d’una passione corrosiva, che tanto somigliava a un acido ingerito per sbaglio. Similmente a quell’acido, difatti, la passione aveva gusto nauseante, odore non qualificabile e bruciava, logorava, uccideva con violenta lentezza.
Nonostante possedessi la consapevolezza d’essere preda di un sadico boia, non riuscivi a escogitare la fuga, ma te ne stavi lì, inerme, in attesa che proprio quel boia, in uno sprazzo d’umanità, ti concedesse la morte, mozzandoti la testa.
 
“Ancora qui?”
 
Sobbalzasti quando Rodolphus ripeté la domanda per la terza volta. Quanto tempo era trascorso? Il sangue sul tuo viso era ormai asciutto, potevi avvertire le guance secche.
 
“Come sta?” fu tutto ciò che ti venne in mente.
 
“Bene. Non è stata colpita in pieno, si riprenderà presto.”
 
“Ha ripreso coscienza?”
 
“Solo per qualche secondo, non di più.”
 
Notasti lo sguardo di tuo fratello abbassarsi e i suoi tratti indurirsi, feriti. Le sue mani furono scosse da un tremore improvviso. Senza rendertene conto, tremasti anche tu, come contagiato dall’interlocutore.
 
“Ha chiesto della missione,” riprese Rodolphus, con tono malfermo. “Ha chiesto di lui. Della sua reazione.”
 
Ti oltrepassò senza aggiungere altro, probabilmente diretto alle belle cucine del maniero, in cerca di un anestetico.
Lo sapevate entrambi, che lei non sarebbe mai appartenuta a un Lestrange. Il suo chiedere continuamente di lui, preoccuparsi di lui non era l’agire di una serva fedele, com’eravate voialtri, ma l’ossessione di un’insoddisfatta amante. Scacciasti quei pensieri con rabbia e ripugnanza e, un istante più tardi, decidesti d’entrare nella camera dove un attimo prima era tuo fratello. In quella stanza, il tuo corpo smise di tremare. T’avvicinasti al sontuoso letto in cui giaceva Bellatrix e la osservasti in silenzio. Ancora ti chiedevi perché avesse scelto Rodolphus nonostante potesse avere te, il primogenito dei Lestrange.
Le sfiorasti con l’indice destro le labbra e sorridesti notando quanto fossero screpolate, come di consueto. Aveva sempre avuto il vizio di morderle quando eseguiva un incantesimo, quando malediva, poi, riusciva ad azzannarle a sangue, come una cruenta belva.
Guidato dalla repressa e smodata bramosia, ti chinasti su di lei, impossessandoti di quelle labbra martoriate. Premesti le tue contro le sue con insistenza, sperando che lei rinsavisse e si concedesse a te. Ma nulla successe e allora mordesti la carne screpolata, scoprendo che non aveva sapore alcuno, poiché lei non era con te, non era cosciente.
Disgustato dal tuo stesso agire, ti ritraesti. Un pensiero, in quell’esatto momento, t’attraversò la mente: lì, nel letto, c’era la vita, la tua vita, il motivo per cui sopravvivere a ogni costo, lottando e uccidendo chiunque avesse voluto portatela via.
Fu abbandonando la stanza che tornasti a riflettere sugli avversari e sulla nuova politica. Vivere sarebbe stato estremamente difficile avevi pensato. Vivere in senso materiale, meramente fisico: respirare, muovere gli arti, ragionare… no, ti correggesti: vivere per la vita stessa sarebbe stato difficile… vivere per avere il tempo di conquistarla e meritarla, la vita, ogni singolo giorno. Non ti saresti arreso mai e avresti combattuto sempre, d’altronde, conoscevi la tua condanna: a un Lestrange la resa non sarebbe stata mai concessa e la morte mai sarebbe stata tollerata.
A distrarti dalle riflessioni furono i pesanti passi del tuo consanguineo, cui volgesti l’attenzione. Era stravolto.  
 
“Sei stato da lei?” ruggì Rodolphus. “Nessuno entra nelle camere di mia moglie, nemmeno tu, Rabastan.”
 
Il minacciarti l’aveva costretto ad avvicinarsi a te, mostrandoti quanto fossero lucidi i suoi occhi e quanto fosse cattivo il suo alito. Non avevi dubbi, s’era anestetizzato. Lo guardasti sprezzante, inarcando con tutta l’eleganza che avevi a disposizione le sopracciglia.
 
“Fatti da parte, devo tornare a casa e rendermi presentabile per il Signore Oscuro,” affermasti quieto. Ma lui sembrò non registrare affatto l’informazione.
 
“Fattene una ragione, Rabastan, non ha scelto te.”
 
“Se è per questo, non ha scelto neanche te.”
 
Non gli concedesti modo di ribattere, non avevi intenzione di litigare con lui, ch’era, in fin dei conti, condannato agli stessi tormenti tuoi. Andasti via, diretto a casa, per lavare via il fetore della condanna e smettere quegli abiti da prigioniero. Le apparenze t’erano ancora concesse.
 
 
 
 

   
 
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