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Autore: Ely79    05/08/2013    2 recensioni
Vorreste trasformare la vostra ridicola Urbanhare in un mostro capace di far sfigurare le ammiraglie del Golden Ring? Cercate più spinta per i vostri propulsori a vapore compresso? Spoiler e mascherine su disegno per regalare una linea più aggressiva al vostro mezzo da lavoro? Una livrea che faccia voltare ogni testa lungo le strade che percorrete? Interni degni di una airship da corsa, con quel tocco chic unico ed inimitabile?
Se cercate tutto questo, grande professionalità ed un pizzico di avventura, allora siete nel posto giusto: benvenuti alla "Legendary Customs".
[Ambientazione Steampunk]
Genere: Avventura, Commedia, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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L.C. - Cap. 8
8

«Bel colore».
Il commento si levò sonoro e inaspettato, facendolo sobbalzare per la sorpresa. Stava riordinando gli strumenti appena asciugati nelle apposite cassette, operazione che richiedeva tanta perizia e precisione quanto la decorazione stessa.
Voltandosi, trovò Iron che ridacchiava alle sue spalle. Il colosso di Three Weirs era sempre il primo a commentare l’esito delle verniciature e non lesinava sulle critiche, ma quel giorno trovava che l’operato dell’artista fosse inappuntabile.
«Ho spiato, lo ammetto. Ero troppo curioso» si scusò.
Sapeva che Hito non tollerava che le sue opere vedessero la luce prima della lucidatura finale. Lo faceva imbestialire l’idea che per una distrazione potessero prodursi danni, seppur minimi, alle sue creazioni.
«Starebbe bene anche a te. Vuoi una passata? Avanzano giusto un paio di gocce» scherzò, agitando lo spruzzatore nella sua direzione.
Ora che il lavoro era definitivamente concluso, con l’archiviazione dei campioni colore e la pulizia degli strumenti, sentiva di poter tirare il fiato. A maggior ragione, visto che alla consegna mancavano poche ore.
«Faccio a meno. I fiori non mi donano» commentò. «Hai visto Clay? Non riesco a trovarlo».
«Sì, stamattina, per organizzare le prossime consegne. Hai guardato in ufficio o al magazzino ricambi?»
«Ci sono appena stato. Charlotte dice di non averlo visto. Lo stesso Maria Pilar e Odrin».
«Hai guardato se la Torran è qui davanti?»
Iron non rispose, ma dalla sua faccia era chiara la risposta.
«Tu sai dov’è» disse questi, intuendo che qualcosa si agitava nella mente del giapponese.
Hito terminò di chiudere le scatole e le ripose sullo scaffale, restano a osservarle.
«No, ma so cosa sta facendo. Quell’imbecille dev’essere andato a cercare Scorch».
«Vuoi dire…»
«Lunedì non si è visto e neanche ieri. E temo non sia venuto nemmeno oggi, a questo punto» rispose, allineando con cura i contenitori.
«Speriamo torni alla svelta, oggi vengono a prendere la Fortion. Deve essere qui».
Dalla porta sull’officina arrivavano i rumori delle pulizie, dei carrelli per gli attrezzi che venivano spostati, dei tiracqua che stridevano sul pavimento di cemento lisciato.
«Ci sarà. Sai che ci tiene a essere presente quando vengono a ritirare i mezzi. Deve suonargli tutta la sinfonia» lo rassicurò.
Quasi spero che se ne torni senza quel piantagrane, si augurò.

***

Le speranze di Naohito naufragarono miseramente quando la Torran superò il cancello un’ora più tardi. Clay dovette aiutare Scorch a scendere dalla muscle-ship e prima di concedergli di rifugiarsi nel suo ufficio, si prodigò con l’aiuto di Charlotte a stanare e far sparire le sue scorte di liquore. L’ingegnere faceva a dir poco spavento: aveva l’occhio sinistro e lo zigomo neri e gonfi oltremodo, una ferita sul sopracciglio ricucita con diversi punti ed era pallidissimo, quasi verdastro. Paradossalmente, non erano gli esiti di una sbronza con susseguente rissa, come tutti sospettavano.
«Ha avuto un incidente lunedì mattina, mentre veniva qui» spiegò Clay durante il pranzo, sentendosi tremendamente in colpa per aver pensato subito alla motivazione più ovvia. «Stava attraversando Park Road per prendere l’Omnibus della linea Settantadue, quando un corriere della Delthios gli è piombato addosso su un trike. Ha provato a scansarsi ma non ce l’ha fatta. Per fortuna il bastardo non andava troppo forte, però avete visto com’è combinato. Un manubrio in faccia non è quel che si dice un toccasana».
«Dov’è stato? Perché non ha chiamato?» domandò agitata Maria Pilar, torcendo uno strofinaccio.
Era in piedi accanto al tavolo della mensa, ma parlava tenendo la testa rivolta al cucinino, così che non si capiva se la domanda fosse rivolta a Clay o a Pancake che seguiva “Le porte di Backfield Road”, dove il perfido Kevin tornava in scena dopo una misteriosa assenza.
«Ha passato quasi tutta la giornata di lunedì al pronto soccorso del Reine Lia Hospital. È riuscito a tornare a casa solo nel tardo pomeriggio. E c’è rimasto fino a quando sono arrivato io».
«Ma perché non ha chiamato?» insisté Patch, la bocca piena d’insalata di manzo e cavolo.
«Perché non ha un cazzo di telettrofono in quella fottutissima catapecchia ed era talmente rincoglionito dalla botta che non ci ha pensato! Ha passato tutto il tempo con la testa nel cesso a vomitare la merda che gli hanno rifilato quelle stronze d’infermiere per tenerlo su» disse, mordendosi la lingua subito dopo mentre lanciava uno sguardo abbattuto a Charlotte.
Lei scosse il capo, sorridendo appena e graziandolo in virtù dell’inquietudine che mostrava.
«Clay…» attaccò No Way, la voce carica di dubbi.
«Stiamo parlando di Scorch» chiarì subito Iron, altrettanto perplesso.
Il capofficina scrutò i volti dei colleghi, scoprendovi l’identico biasimo. Stava parlando di un bugiardo alcolizzato, un’emerita calamita di guai.
«Non è una balla, porca puttana! Dovete credermi!» tuonò, dando un pugno al tavolo con tanta forza da far sobbalzare le stoviglie. «Ho visto le carte del medico che l’ha visitato! Le ho qui!»
«L’Ingegner Almgren ha detto la verità» confermò la segretaria, quasi sorpresa della sua stessa ammissione. «Nel referto è allegata la denuncia per guida pericolosa del corriere, stilata da un ufficiale del controllo veicolare e controfirmata da alcuni passanti. Questa volta non è stata colpa sua. Davvero».
Era difficile per chiunque riuscire a vedere in Scorch una vittima delle circostanze. Per quanto ne sapevano, poteva essere alticcio quando il trike l’aveva investito e l’ufficiale poteva essere stato ingannato dall’afrore di sudaticcio e detergente chimico che contraddistingueva quelli della Delthios, che poteva aver coperto lo spunto alcolico del progettista. Senza prove però, erano obbligati a credere alla versione siglata sulla carta.
«Grazie per il vostro spassionato sostegno» biascicò la voce aspra di Scorch dal corridoio.
Entrò trascinando i piedi, l’aria a metà tra lo stravolto e l’infuriato. Era rimasto per tutto il tempo con la schiena appoggiata al muro accanto alla porta, ascoltando in silenzio i commenti riguardo la sua assenza. Aveva parte della faccia coperta da un voluminoso tampone impregnato di pomata, sicuramente messo da poco a giudicare dall’odore penetrante che emanava.
«Non sono il coglione che credete, ficcatevelo in testa o dove vi pare. Con rispetto parlando» specificò.
Un attimo dopo, la figura emaciata di Scorch fu sommersa da quella scura e corpulenta di Maria Pilar.
«Nicolau!» esclamò con un singulto la cuoca, strizzandolo nel suo abbraccio e sollevando le proteste di Choncho, cui simili manifestazioni d’affetto non spettavano mai.
«Piano, mamacita. Sono già rotto» grugnì allontanandola con una smorfia che voleva somigliare a un sorriso. «C’è un po’ d’acqua per questo povero, assetato degente? Acqua-acqua, eh!» sottolineò con acredine malcelata, mostrando la manciata di pasticche che aveva con sé.
Fu Charlotte ad allungargli un bicchiere pieno, guardandolo con un’espressione strana. Pareva indecisa se commiserarlo per le sue sfortune o se sentirsi sollevata dal fatto che non gli fosse accaduto nulla di grave.
«Grazie, bellezza» tossicchiò Scorch, dopo aver inghiottito le pillole.
«Stia attento a quel che fa. E chiami se si sente male» gli rammentò educatamente, fulminandolo con lo sguardo per l’appellativo mentre tornava a sedere.
«Contaci, bimba. Bimba può andare o…?» s’informò.
«Ho un nome, Ingegnere. Gradirei lo usasse, come fanno tutti i presenti» ribadì con fermezza.
«Okay» sospirò arreso, tirando indietro i capelli dalla maschera di tumefazione che era la sua faccia. «E questa? Dici che andrà bene per le mie ammiratrici?» e indicò la ferita suturata e gonfia.
«Se amano il cucito» replicò vaga, sforzandosi di stare allo scherzo per risollevare il morale a Clayton che non riusciva a riemergere dal cupo abbattimento in cui era precipitato.
«E per te?» bofonchiò Niklas. «Voglio dire, potrebbe andare un vicino d’ufficio con questa?»
Charlotte accavallò le gambe sotto l’ampia gonna, lisciando minacciosamente una piega inesistente. Il suo sguardo parlava di un’irritazione profonda.
«Pensavo lo sapesse meglio di chiunque altro, che non si giudica una bottiglia dall’etichetta ma dalla qualità del contenuto» ribatté secca.

***

Adam Mac Gregor aveva trent’anni, un abito nuovo di zecca, un portafogli smisurato e un ego di proporzioni bibliche che fingeva di mascherare dietro un’insulsa, quanto irritante, patina di buone maniere.
«Dio mio, non so proprio decidermi» piagnucolò, il mento poggiato sulle nocche con un broncio infantile.
L’elegante pizzetto caprino spariva fra le dita affusolate, fresche di manicure. Mani così aggraziate non le avevano neppure Sandy e Charlotte. Tra lui e la Fortion stavano due donne, la cui bellezza aveva reso l’interno dell’officina un luogo a dir poco squallido e tetro, un deprimente ritaglio di periferia infilato in una scatola di vetro, metallo e mattoni. Schierati come uno stormo di piccioni sui fili del telegrafo, gli uomini della “Legendary” osservavano la scena dal parapetto del soppalco.
«Vivian, cara, apri un po’ quel benedetto giacchetto. Così accollata proprio non ti si può guardare».
Prontamente, la donna slacciò i bottoni dorati, mettendo in mostra un elaborato corsetto a fasce verticali unite da spirali metalliche, che con un autentico miracolo d’ingegneria contenevano le forme giunoniche dell’amazzone di colore. La visione strappò mugolii estatici ai meccanici, che fecero sorridere non visto Mac Gregor. Sapeva fin troppo bene quanta invidia suscitasse il suo harem di accompagnatrici.
«Lilijana, prova ad appoggiarti a quell’affare, lì… no, no! L’altro. L’altro, amore mio dolce. Ecco, sì. E alza quella gonna! Non è abbastanza corta per le tue splendide gambe» suggerì mellifluo.
Grazie ad un sofisticato sistema di nastri e cordoncini nascosti, la biondina fece in modo di scoprire un'ulteriore, generosa porzione di cosce, lisce e immacolate come colonne di marmo. Una mossa sbagliata e la biancheria sarebbe stata in bella vista, ammesso che l’indossasse.
«Sto per farle compagnia, Ingegner Almgren» sussurrò schifata Charlotte, dirigendosi all’ufficio.
Trovava quelle scene di una volgarità oltre misura, svilenti e riprovevoli al punto che la compagnia di Niklas avrebbe potuto essere quasi accettabile.
«Io invece sto per fare compagnia a quelle due» mugolò sognate Boy con la gola secca.
Teneva le braccia penzoloni oltre il parapetto, rischiando di finire di sotto se si fosse sporto un altro poco.
«Sembra uno di quei filmetti del cinematografo in Ruelle Blanc» ridacchiò No Way dando di gomito a Patch, il quale rise a sua volta con la faccia di chi aveva colto l’allusione prima ancora di ascoltarla.
«Quali?» s’informò il ragazzo, che aveva gli occhi fuori dalle orbite di fronte a tanto, inarrivabile ben di Dio.
«Zitto e guardati le animazioni, bamboccio!» lo sgridò Pancake.
«Ho deciso!» esclamò finalmente Mac Gregor, battendo un pugno sul palmo. «Indubbiamente Vivian! Perdonami Lilijana ma questa cosa è talmente aggressiva che il tuo visino angelico ne sarebbe deformato. Serve un’autista più grintosa. E tu comunque puoi continuare a guidare la Pli-Pli, finché non ne troverò un’altra ancora più adatta a te, mia deliziosa ninfetta».
Lo staff dell’officina si dileguò rapidamente, inorridito dal vergognoso diminutivo usato per definire la Plithren Vhon che stazionava con eleganti beccheggi sul piazzale della “Legendary”. Choncho minacciò di infilare la più grossa delle chiavi a cricchetto in suo possesso nelle parti basse del magnate, Pancake corse a cercare un quantitativo sufficiente di frittelle per calmare i nervi, Hito levò gli occhi al cielo invocando la vendetta di spiriti celesti al momento disoccupati. Nessun appassionato degno di quel nome si sarebbe rivolto ad un simile gioiello con un appellativo inferiore a “signora” o “madame”, con cui era notoriamente conosciuto.
«Mia orgogliosissima Vivian! Prego, su, osserva il tuo nuovo destriero, fanne conoscenza immediata, mia nera valchiria! E sta tranquilla, entro una settimana sfoggerai una livrea perfettamente a tono. La faremo fare come questi sedili: chiara con le finiture viola, la giacca cortissima chiusa al collo che si apre su un bel corsetto, di quelli aperti fino all’ombelico che ti piacciono tanto e che mettono in mostra quel seno meraviglioso. E penseremo anche a un trucco adatto. Vedrai, ci guarderanno tutti!» esclamò estasiato.
Vivian annuì contegnosa, seguendo con la coda dell’occhio una figura bassa e tracagnotta che sgattaiolava verso i bagni, preda di troppa eccitazione. Non riuscì a raggiungerli in tempo: la donna bionda si era allontanata impettita dalla Fortion, sollevando piccata il mento e incrociando le braccia, intercettandola un secondo prima che afferrasse la maniglia. Il caschetto biondo oscillava ai lati del volto minuto, le labbra imbronciate formavano un piccolo cuore rosa acceso. Le sue curiose calzature senza tacco rendevano la camminata ancheggiante simile al fluttuare di una nuvola. Artigliò Choncho per la maglietta, calando sulla sua bocca da quella che pareva un’altitudine siderale. Lo baciò con tale rabbiosa sensualità che pareva intenzionata a risucchiargli le budella. Boy, sulla scala, imprecò tanto da dover annotare su un foglietto l’entità del debito col Penitenziere, maledicendosi per non essere sceso prima.
«Andiamo, Lilijana, splendore dei ghiacci! Vieni, vieni qui» la blandì Adam, cingendole i fianchi con un braccio e allontanandola dal frastornato meccanico, che balbettava benedizioni alla Madonna de la Merced, la bandana di traverso sul capo e il rossetto rosa sbavato dal mento al naso. «Su, non arrabbiarti. Sai che non tollero in alcun modo un volto scontento accanto a me. Mi fa apparire turpe e tu non vuoi che la gente pensi questo di me, vero? Tu sai che sono buono, angioletto. Molto. Molto. Buono» sussurrò al suo orecchio, facendole venire i brividi.
Qualunque fosse il sottinteso, Lilijana annuì estasiata, abbracciandolo e sgambettando felice come una bimba, al punto che la gonna raggiunse i fianchi, mettendo in mostra un delizioso fondoschiena velato di pizzo bianco, la cui vista per poco non fece morire d’infarto Ozone.
«Donne! Tutte incontentabili!» sospirò Adam, aggiustando cravatta e panciotto mentre tornava da Clay.
Lui l’avrebbe preso volentieri a pugni. Non lo disturbavano le sue parole o gli atteggiamenti stomachevoli con cui si pavoneggiava, né tantomeno le risposte lascive e volgari delle gallinelle al suo seguito. Era lo sguardo interessato che aveva rivolto a Sandy quando avevano siglato il contratto a renderglielo odioso: pur essendo trascorsi più di venti giorni, il sangue gli ribolliva ancora al solo pensiero.
Per fortuna c’è Charlotte, si ripeté per l’ennesima volta.
L’autorevole freddezza e il distacco professionale che sfoggiava, uniti al suo abbigliamento sobrio e ai modi pacati e composti, erano un deterrente per quel genere di atteggiamenti. Ogni tanto si sorprendeva a pensare che se avesse sposato una come lei al posto di Alexandra, con ogni probabilità a quell’ora avrebbe avuto ancora la fede al dito.
«Bene, amico mio. Direi che è ora di parlare di questioni ancor meno piacevoli dei capricci femminili» esclamò Mac Gregor, sfoggiando un gran sorriso.
Seguì Clayton nell’ufficio al piano di sopra, dove Charlotte li stava aspettando. Gli allungò la pro forma con l’elenco dettagliato delle prestazioni eseguite, che lui rilesse ad alta voce a beneficio di Mac Gregor: verifica strutturale, aerodinamica e prestazionale; modifica assetto ed equilibratura; rettifica e ricostruzione della carrozzeria; miglioramento dei profili aerodinamici e dei sistemi di stabilizzazione; rifacimento totale degli interni; sostituzione motore, gruppo di raffreddamento e circuiti di spinta; nuova livrea; etc.
«Ventisettemilaottocentoventi trias» concluse.
«Come?»
«Ventisettemilaotto…»
«Sì, sì, Santo Cielo! Ho sentito! La mia era una domanda retorica» lo zittì Adam, agitando lezioso una mano. «Ci deve essere un errore» protestò.
Non era giornata per quel genere di uscite e l’umore già pessimo di Clay peggiorò sensibilmente.
«Dite, Mac Gregor, avete dato un’occhiata alla Fortion? Vi ricordate com’era quando ce l’avete portata?»
«Benedetto il Cielo, ovvio che lo ricordo! È proprio questo il problema!»
«Senta, possiamo provare a venirle un po’ incontro, ma sia chiaro che non posso scendere più di tanto».
«Mi prende in giro?» domandò sbalordito Mac Gregor.
La vena sulla tempia di Clay prese a mandare inequivocabili segnali di pericolo.
«Le opere sono state complesse, io e lo staff ci siamo dedicati unicamente alla Fortion da tre settimane a questa parte. Abbiamo lasciato in arretrato altri lavori per darle ciò che voleva nei tempi previsti».
«E di questo le sono grato, ma si renderà conto che ventisettemila trias sono un prezzo irragionevole».
«Ora è lei a prendermi in giro» ringhiò Clay, trattenendosi dall’afferrare il damerino per il collo. «Ventisettemila trias è un prezzo più che onesto».
«È semplicemente ridicolo!»
«Quale sarebbe un prezzo congruo secondo lei, signor Mac Gregor?» intervenne Charlotte, affiancando con calma glaciale il suo titolare e passandogli un plico che non aveva nulla a che vedere con la Fortion.
La rapida distrazione lo confuse e l’aiutò a sbollire il nervosismo a tempo di record.
«Se proprio devo esprimermi… non me ne intendo, ma vista la qualità del lavoro, l’indubbia originalità, la rapidità, la bellezza dei materiali, la soddisfazione di Vivian e l’invidia di Lilijana…» elencò, ai limiti della noia. «Direi… non meno di trentacinquemila» azzardò.
A Clay mancò un battito mentre voltava lo sguardo sulla donna che, impassibile come sempre, lo ricambiava in silenzio.
«T-trenta…cinque?» farfugliò, certo di aver capito male.
«Troppo poco? Oh, l’incomodo che vi ho dato per i lavori sospesi, che sciocco! Siete andati in perdita a causa della fretta delle mie signore. Avrei dovuto considerarlo. Facciamo quaranta e non se ne parla più?» propose Adam, prendendo il blocchetto degli assegni con una tale nonchalance da sembrare che scherzasse.
Qualcosa riscosse la mente in Clay un secondo prima che il cliente posasse la stilografica sulla carta.
«No».
Il capofficina prese alcuni profondi respiri, stropicciandosi la faccia come un giornale vecchio.
«Ascolti, Mac Gregor» riprese con calma. «Se proprio vuole dimostrare il suo apprezzamento ad ogni costo, sulla fattura arriveremo a trentamila, non di più. Le chiedo solo di tenerci in considerazione per un eventuale futuro lavoro. Mi pare di capire che la signorina di sotto voglia un trattamento… adatto a lei».
«Trenta» ripeté esitante, quasi schifato. «Insisto sia una cifra ridicola. Lei che ne pensa?» domandò rivolto a Charlotte, la quale, senza scomporsi al ghigno da seduttore, replicò:
«Concordo con il signor Lomann. L’onestà nei prezzi è un vanto della nostra officina. Le cifre che ha proposto, per quanto lusinghiere, ci farebbero passare per degli approfittatori. Lederebbero la nostra immagine, la nostra credibilità presso il pubblico. Siamo professionisti seri, signor Mac Gregor, non motoristi di bassa lega con la velleità di saper dare un po’ di colore a una scocca e farla passare per un capolavoro. Le nostre sono vere opere d’arte» sottolineò, con un tono che non ammetteva repliche.
Adam annuì rigido, impressionato dalla risposta.
«Mi dica una cosa, Lomann» mormorò compilando l’assegno e indicando Charlotte con un cenno. «Sono tutte senza cuore le donne che lavorano qui dentro?»

***

Sandy si sistemò meglio sul divanetto. Era arrivata appena in tempo per vedere la Fortion scivolare ruggendo oltre le porte della “Legendary”, seguita dai figli che erano subito corsi a complimentarsi con lo staff e il padre. Dalla faccia dell’ex-marito aveva intuito che doveva essere successo qualcosa di grosso in sua assenza, e pur non condividendo il misero rialzo accordato a quell’arricchito di Mac Gregor, era rimasta colpita da come l’altra aveva gestito la cosa.
«E tu che hai fatto?» s’informò.
Pendeva letteralmente dalle sue labbra: era risaputo che pochissime donne fossero refrattarie al fascino bohemien di Adam, e ancor meno quelle che sapevano tenergli testa.
«Secondo te?»
«Io l’avrei inchiodato alla sedia con i tacchi prima di frustarlo a sangue con i lacci delle scarpe, ma tu sei più da occhiata assassina “apri di nuovo la bocca per fare il cascamorto e saranno le tue ultime parole”».
Entrambe risero, immaginando ciascuna la faccia di Mac Gregor secondo le suggestioni dell’altra.
In quel momento bussarono e il testone scuro e lustro di Iron si sporse nell’ufficio.
«Ha bisogno di qualcosa, Lamar?» chiese Charlotte, tornando seria.
«Ehm… no» disse guardandosi attorno titubante.
«Sandy ti… ha… detto? Di domani sera?»
La segretaria fissò interrogativamente l’amica, che si allungò contro lo schienale accavallando scenograficamente le gambe, dove tintinnavano diverse cavigliere.
«Non c’ero ancora arrivata, ascoltavo un resoconto molto interessante. Cosa mi sono persa per colpa del dentista di Junior! Comunque, domani sera andiamo a festeggiare la consegna della Fortion. È una tradizione della “Legendary”: a ogni grossa operazione, il venerdì che segue prevede una cena e un po’ di divertimento. Ovviamente sei obbligata a venire. Devi raccontarmi tutto quanto un’altra volta a mente fredda, voglio i dettagli. Quindi è vietato accampare scure o dire di no in qualsiasi modo» impose Sandy, minacciandola col pugno.
«Anche con le mani amputate che grondano sangue?» replicò perplessa, ricordandole una sua battuta di qualche tempo prima.
«Precisamente. Non puoi mancare a questa serata! È da un pezzo che non facevamo un lavoro così importante, devi esserci e festeggiare con noi! È deciso! E, per l’amor del Cielo, vestiti a tono, non farmelo ripetere di nuovo. Ora ti lascio a meditare sul vestiario, il nostro bestione è capitato a proposito: ho l’airship da scaricare» mentì alzandosi con un saltello e spingendo fuori Iron.
Appena raggiunsero la scala, l’uomo si fermò.
«Grazie. Rischiavo di mandare a monte tutto» sospirò fingendo di asciugarsi il sudore dalla testa rasata.
«Sarai pieno di muscoli, ragazzone, ma l’unico che non sai far funzionare qua dentro è la lingua» lo riprese, giocherellando con i riccioli bruni che le circondavano il viso.
«In altra sede me la cavo meglio» rispose strizzando l’occhio e piantando i pugni sui fianchi.
La donna fece un risolino sarcastico, battendogli una mano sulle spalle enormi.
«Ti credo sulla parola».
   
 
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