Capitolo
4
Di certo, se
avesse potuto farlo, avrebbe riso: le
sembrava di elaborare una tattica di guerra. E di una guerra si
trattava. Ma
non contro di lui. Contro se stessa. Da una parte erano schierate la
sua
ragione e la sua prudenza, spalleggiate dagli anni di addestramento,
dall’altra
le sue emozioni, la sua brama di vita e il suo corpo, spalleggiati
dalla sua
misera natura umana. Un’indecisione che sicuramente le
sarebbe stata fatale la
consumava lentamente, dietro il suo volto risoluto. Lasciò
vagare lo sguardo
lungo il muro: anche quel giorno era a pochi metri da lei,
pensò freddamente.
In realtà, non era di una bellezza eccezionale. Di certo era
più brutto di
Mike, ma ispirava fiducia e il modo in cui era appoggiato al muro
appariva
assolutamente incantevole alla gente comune. Ogni tanto scambiava
cordiali
parole con i vari ragazzi che lo fronteggiavano. Ogni giorno sedeva
più vicino
ad Ananke, che si stava rapidamente abituando alla sua presenza. Ella
sapeva di
essere il suo obiettivo e deduceva dalle sue mosse incerte di poterlo
affrontare. Non sarebbe stata una gran difficoltà, lo
avrebbe battuto come
aveva fatto con Mike, facendogli credere di aver vinto.
Quando infine le fu
vicino, la ragazza era preparata
ad un suo attacco, ma egli non le rivolse nemmeno una parola. Quanto a
lei, il
suo autocontrollo era perfetto ed entro un paio di giorni avrebbe
potuto
smettere di pensare a quel ragazzo.
La reazione di
Mike fu estrema: folle di gelosia
verso il nuovo arrivato, costrinse Ananke, parecchio infastidita, a
sedersi
continuamente sulle sue gambe per diversi giorni, finché non
si accorse che
ella non nutriva alcun interesse per il ‘negro’
–così lo chiamava- e si decise a
lasciarla libera. La bufera era passata, si disse Ananke, ora sarebbe
stata
bene come al solito. Bene. Con un’anima rinchiusa in una
cella da qualche parte
e un corpo devastato. Bene. Con un mondo all’interno che
marciva lentamente.
Fu allora che
udì la sua voce. Canticchiava
soprappensiero, armoniosa e la ragazza riconobbe la melodia che
già una volta
aveva sentito provenire da quelle labbra. I suoi occhi erano chiusi, ma
la pace
del volto non era che una maschera per celare ad un occhio indiscreto
il suo tormento
interiore, che tuttavia si percepiva chiaramente dalla ruga che
increspava la
sua fronte liscia. Smise di cantare, riaprì gli occhi e
guardò lontano, verso
la luce che proveniva dalla strada principale e, per un momento, i suoi
occhi
non mostrarono altro che un’infinita tristezza, che subito si
preoccupò di
dissimulare come se avesse sentito gli occhi nascosti della ragazza su
di sé.
“Scusa”
mormorò inaspettatamente, ed Ananke seppe
che la parola era rivolta a lei. Avrebbe voluto domandargliene il
motivo,
tuttavia si trattenne, non aiutandolo nel suo intento. Con uno sforzo
immane,
egli si voltò a guardare il suo volto nascosto da crine e
continuò. “Sono stato
io a cantare quella canzone.” la sua voce accorata era colma
di sincero
dispiacere e dai suoi occhi traboccava la sofferenza “Non
avevo idea che
potesse sortire su di te un simile effetto, e me ne rammarico
immensamente. Ti
prego di non portarmi rancore.”
Detto questo,
abbassò lo sguardo, mordendosi il
labbro inferiore. Il tono con cui aveva pronunciato quelle parole
avrebbe
commosso chiunque, al punto da rendere completamente inutile la sua
preghiera,
e persino Ananke non riuscì a restare completamente
indifferente. Per la prima
volta dopo tanto tempo, decise di parlare. Furono due parole, fredde
come il
ghiaccio, tanto fioche da essere poco più d’un
sussurro.
“Non
importa.”
Il ragazzo
sollevò il capo di scatto, facendo
molleggiare i ricci sulle spalle e le rivolse un travolgente sguardo
caldo
pieno di immotivata gioia. Le labbra si tesero e si schiusero in un
abbagliante
sorriso. La ragazza abbassò bruscamente la testa, abbacinata.
“Grazie”
disse lui, la voce ancora fremente per
quelle due misere parole.
Si esaltava per
troppo poco, pensò glaciale Ananke,
alzandosi per tornare a casa, cercando di distrarre la mente da
un’immagine che
vi si affacciava troppo spesso per i suoi gusti.
E quella notte,
per la prima volta dopo anni di
finti sonni, sognò. Sognò un ragazzo dalla pelle
scura e un sorriso
abbagliante, e un muro spesso, senza alcuna falla, che le impediva di
raggiungerlo. Lei cercava disperatamente un’uscita, ignorando
una donna che
pretendeva di chiamarsi Ragione che le diceva che all’interno
sarebbe stata al
sicuro; cercava furiosamente qualsiasi attrezzo che potesse rompere la
barriera, o almeno scheggiarne la superficie, mentre la petulante donna
continuava a ripetere che lui non l’avrebbe mai amata, le
ricordava un altro
nome, ma la ragazza non vedeva altri che lui, non sentiva altro se non
il suono
della sua voce.
Di colpo si
svegliò, con il fiato grosso e, mentre
richiudeva gli occhi, capì di essere in svantaggio.
Prudenza era stata
assassinata.
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Salve a tutti quelli che sono arrivati a leggere fin qui...Volevo scusarmi per il ritardo e per i mancati ringraziamenti delle scorse volte. Detto ciò, vi ringrazio infinitamente per essermi rimasti fedeli, anche dopo il capitolo 3, che in realtà nemmeno a me era piaciuto tanto...
Ringrazio in particolar modo Spleen -spero che la tua curiosità troverà soddisfazione, ti adoro-, il mio amico Mr Obscurus che finalmente è riuscito a leggere questa roba -spero che le carte ti consiglino di scrivere la storia del prete^^-, maddina, ma mi sembra decisamente esagerato che definisca Ananke un capolavoro, e il mio adorabile amico Dario, anche se non lascia mai commenti...
Ciao a tutti! Spero di rivedervi!