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Autore: Laylo    05/08/2013    0 recensioni
Mi appoggiai al bancone, “C’è nessuno?” chiesi sporgendomi leggermente.
All’improvviso un giovane ragazzo dagli occhi azzurri spuntò dalla porta facendomi sobbalzare per lo spavento.
“Finalmente una cliente. Ero stufo di aspettare!” ridacchiò il biondino, “Vuoi una camera?”
I suoi occhi mi ricordavano vagamente quelli di Dylan, erano color cielo proprio come i suoi. Il suo era un sorriso contagiante e radioso, che improvvisamente mi fece venir voglia di sorridere a mia volta. Aveva una folta chioma di capelli biondi che apparivano dorati sotto ai raggi del sole.
“Piacere sono Taylor Hall.” gli posi la mano cordialmente, “La signora Smith mi ha raccomandato di venire qui. Sto cercando lavoro.”
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve Autrici:) questa è la mia prima storia su efp. Mi farebbe molto piacere ricevere qualche recensione per sapere cosa ne pensate.. se vi intriga o fa cagare come dubito. Un parere, insomma.
Ho cercato di impegnarmi nel scriverla (di solito faccio dei paciughi!), ma se avete qualche suggerimento io sono tutta orecchie. Ecco a voi!







Ero felice quel giorno.. era un venerdì, se non sbaglio. Mi sentivo in pace con me stessa. Mi sentivo bene.
Sul mio viso splendeva un radioso sorriso ed i miei occhi sembravano esprimere serenità e spensieratezza come in poche occasioni. Aprendo le persiane della mia stanzetta, quella stessa mattina, avevo pensato ‘oggi pioverà!’,  invece nel primo pomeriggio tutte le nuvole si erano ritirate aprendo il sipario ad un meraviglioso cielo terso con un enorme sole tiepido al centro.
 
Gli unici momenti in cui trovavo quella stessa pace e calma erano quelli che passavo a contatto con la natura. Le piante, gli animali, tutto ciò che pullulasse di vita e che non fosse contaminato dalla mano dell’uomo, mi aveva da sempre affascinata. La natura mi faceva mi sentire, come dire.. sulla stessa lunghezza d’onda del mondo circostante.
Da piccolina, in estate, i miei genitori mi portavano in una vecchia casetta di campagna. Era un posto che molti bambini avrebbero definito noioso o monotono, io l’adoravo. Amavo svegliarmi accarezzata dai raggi luccicanti del sole, amavo correre nei prati e sdraiarmi tra le margherite ed i fiorellini di campo. Amavo il profumo della lavanda, il rumore del vento, i colori vivi e il cinguettio degli uccellini. Non c’era posto che amassi di più..
In quel luogo incantato, al crepuscolo, una sottile linea chiara si prolungava all’orizzonte, sembrava quasi dividere in due parti uguali cielo e terra. 
Laggiù era meraviglioso il cielo stellato! Rimanevo incantata a fissarlo per ore ed ore con gli occhi illuminati ed la bocca spalancata. Ero affascinata dall’impetuosità della luna.. così grande.. così misteriosa..
Era proprio in quelle occasioni che mamma si sdraiava accanto a me sull’erba e mi raccontava favole e fiabe stupende. La sua pelle risplendeva sotto i raggi e nei suoi occhi si specchiavano i luccichii delle stelle.
La mia immaginazione di bambina, all’epoca, mi convinceva che fate e folletti dei boschi esistessero veramente, proprio come nelle favole della mamma. La consapevolezza che quelle fantastiche creature vivessero attorno a me, mi attraeva e mi rendeva ancora più curiosa di scoprire il magnifico mondo di segreti che mi circondava.
Era stata la mamma a dirmi: Ogni anima che lascia la terra diventa una stella, per questo il cielo ne è così colmo. Mi raccontava che anche la nonna aveva la sua stella e da li ci guardava e proteggeva sempre.
 
Quel venerdì, dopo la scuola,  mi rifugiai a casa di una compagna di classe per studiare. Si era fatto tardi quando mi accorsi che l’ora di far ritorno a casa era arrivata; erano appena le sei del pomeriggio, ma in Gennaio l’oscurità arriva presto e tutto in torno sembra già un paesaggio inoltrato nel buio della sera.
Il cappotto non mi scaldava completamente ed il freddo pungente mi penetrava nelle ossa. Privata del calduccio di casa Thompson, tenevo le braccia conserte e strette all’addome cercando vanamente di proteggermi da quell’arietta gelata che sempre più m’irrigidiva.
Il rumore dei miei passi nella notte risuonava come un’eco sul marciapiede facendomi pervenire uno strano senso d’ansia.
Salii sul primo bus che mi raggiunse alla fermata.
“Passa per Garden street?” chiesi all’autista.
Dopo il suo cenno di conferma mi accomodai sul primo sedile.
Gli occhi neri del guidatore mi osservavano attentamente dallo specchietto retrovisore. Mi rendevano inquieta.
Appoggiai la fronte al finestrino ghiacciato ed iniziai a scrutare il paesaggio cittadino tutto illuminato che, pian piano, spariva come inghiottito dalle colline.
L’atmosfera era quasi surreale, l’interno del bus era rischiarato da poche luci piuttosto flebili ed esitanti, mentre fuori dal finestrino sembrava riprodotto un film in bianco e nero.
Ai lati della strada c’erano ancora piccoli mucchietti di neve. Anche il solo pensiero del freddo mi riportava il ghiaccio nelle ossa. Mi strinsi nel cappotto e mi concentrai sul suono rilassante dei pneumatici sull’asfalto. Guardando dal vetro notai che le stelle, quella sera,  brillavano più del solito; mentre ammiravo quell’immensa macchia blu tempestata di diamanti non riuscii a trattenere un sorrisino meravigliato. Sembrava il cielo che ammiravo dalla casetta di campagna!
Improvvisamente trovai il profilo del mio viso tra i dettagli riflessi sul finestrino, i miei occhi sembravano davvero stanchi.
Erano riflesse le sagome della vecchia abbracciata alla piccola nipotina, che sedevano dei sedili dietro al mio.  L’abbracciava con quell’assoluto calore che solo una nonna può dare. Anche mia nonna, anni fa, mi aveva stratta a quello stesso modo.
Avevo un buon rapporto con la nonna. Avevo sempre passato molto tempo con lei. Mi aveva insegnato tante cose utili come cucire e ricamare. Il ricordo delle sue grandi mani che conducevano le mie insegnandomi i giusti movimenti per il punto e croce erano più vividi che mai nella mia mente, seppur molto lontani. Senza nemmeno rendermene conto le mie guance si erano rigate di lacrime malinconiche.
“Nonna, hai visto che bello il cielo?” chiese la piccola all’improvviso.
“Ho visto, tesoro. È stupendo!” rispose lei.
Quando scesi dal mezzo assieme ad un altro gruppetto di persone, subito m’incamminai verso l’attraversamento pedonale; dietro di me c’erano ancora la nonna e la sua nipotina.
Le  guance e la punta del naso mi si erano ghiacciate ed il respiro affannato usciva dalla bocca come una nuvoletta di vapore. Prima di attraversare la strada mi fermai per qualche istante smossa da uno strano presentimento e mentre ero assopita nei mie pensieri, all’istante, un ombra mi precedette avanzando svelta sulle strisce.
“Torna qui, Elly!” gridò la vecchietta alle mie spalle. Senza nemmeno pensarci mi gettai verso l’ombra afferrandola e spingendola all’indietro.
Il paesaggio era già cupo, ma dopo quel momento tutto divenne nero. Il nero più oscuro che avessi mai visto in vita mia. L’ultima cosa che percepii fu una scheggia rossa scagliarsi violentemente contro la mia gamba destra.. non mi fece male. Non sentii nulla.
Volai all’indietro e sbattei violentemente contro l’asfalto umidiccio e poi.. solo Dio sa cosa accadde. 
  
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