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Autore: DaubleGrock    05/08/2013    2 recensioni
"Al posto mio avresti fatto lo stesso"
Queste parole disse Murtagh ad Eragon durante la battaglia delle pianure ardenti. Io ho cercato di immaginarmi cosa fosse successo se Selena avesse salvato Murtagh e non Eragon. La storia inizia con un prologo, i capitoli successivi invece saranno contemporanei alla trama della storia originale.
Trama:
Eragon era un ragazzo di soli dodici anni quando riceve, nella casa che condivide con sua madre, una visita inaspettata. Da quel momento la sua vita, insieme alla sua compagna di mente e di cuore sarà legata ad un oscuro tiranno che lo costringerà a compiere atti spregevoli contro il suo volere. Ma, l'incontro con un'elfa lo salverà da quel suo orribile destino a cui si era quasi arreso.
Genere: Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Eragon/Arya, Roran/Katrina
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Lentamente Eragon aprì gli occhi per richiuderli subito dopo per la forte luce proveniente dalla grossa finestra alla sua sinistra. Si trovava in un comodissimo letto a baldacchino, sotto strati di coperte calde e morbide. Con cautela riaprì gli occhi, dalla posizione del sole dedusse che fosse metà pomeriggio. Ma se aveva dormito poche ore o giorni, Eragon non lo sapeva. Cercò di mettersi a sedere, ma si fermò quando scoprì qualcosa di duro appoggiato al suo fianco destro. Girando la testa vide che si trattava della pietra del giorno prima. Velocemente studiò la stanza in cui si trovava, era piuttosto elegante: numerosi quadri abbellivano le pareti bianche, un grosso armadio di mogano si trovava vicino un’ampia scrivania con sopra una penna e una boccetta di inchiostro, in un angolo era posto un piccolo tavolino con sopra un catino di porcellana, due comodini, uno a ogni parte del letto e un’elegante sedia, prima quasi certamente posta davanti alla scrivania, ora si trovava alla sua destra, e, sopra di essa, addormentata, c’era sua madre con una coperta di lana posta sulle gambe. Chissà da quanto temo è lì, si chiese Eragon.
Con una smorfia dovuta al forte mal di testa, Eragon, si mise a sedere facendo attenzione a non far cadere l’uovo di drago. Si sistemò meglio con la schiena contro i cuscini e iniziò a studiarlo accuratamente. Poté notare nuovi particolari che arricchirono ancora di più la bellezza e l’impeccabilità dell’uovo, le linee bianche seguivano una schema ben preciso e accurato, mettendolo alla luce del sole, il colore della pietra cambiava in diverse tonalità: dal celeste fino al blu profondo. La superficie era perfettamente liscia, senza nemmeno un’impurità o un’ammaccatura. In una sola parola era perfetta in tutti i suoi aspetti.
Ma perché Galbatorix aveva lasciato l’oggetto più prezioso dell’impero a lui? Non avrà mica creduto, che lui, Eragon, un semplice ragazzo, non meno umile del più umile dei contadini, potesse divenire Cavaliere dei Draghi? Era relativamente impossibile! O forse no?
“Eragon?” la madre, che nel frattempo si era destata dal suo sonno lo guardava.
“Mamma!” Eragon posò la pietra sul letto le saltò dalle braccia.
Selena lo strinse forte a se, aveva avuto paura di non rivedere più il suo piccolo angelo “Il mio piccolo Eragon…” mormorò tra le lacrime di gioia.
“Non sono più piccolo mamma” disse Eragon sciogliendo l’abbraccio e risedendosi sul letto portando le gambe al petto e la testa sulle ginocchia
La madre lo studiò attentamente prima di parlare “Lo so, lo so.” Sussurrò
“Cosa ci farà Galbatorix?” chiese Eragon pensieroso
“Niente, non preoccuparti, andrà tutto bene, vedrai” disse la madre dolcemente.
“Sai che non è così, vero?” disse Eragon accarezzando distrattamente l’uovo.
Selena sorrise tristemente non sapendo se essere orgogliosa del suo bambino ormai cresciuto “Sei sempre stato molto intelligente, Eragon. Quanto vorrei averti dato una vita migliore anni fa”
Eragon preso alla sprovvista da quell’affermazione si avvicinò alla madre e l’abbracciò forte. Ora sapeva che sua madre aveva cercato di salvarlo.
“Avrei tanto voluto darti una vera casa” disse singhiozzando, Eragon poteva iniziare a sentire la sua camicia umida. Un moto di compassione lo spinse a dire qualcosa che sapeva essere vero.
“La mia casa è ovunque, basta che ci sei tu”
 


**************************

 

I giorni si susseguirono lenti con sempre la stessa routine, tutto il tempo lo passava in quella stanza che aveva iniziato ad odiare, un’ora al giorno sua madre veniva a fargli visita accompagnata da Brutus. Colazione, pranzo e cene gli venivano portati da un’anziana cameriera di nome Lizzy. Era davvero una donna amabile e premurosa, portava sempre i suoi capelli grigi screziati di bianco in una crocchia ordinata. I suoi vesti erano umili e sopra di essi non mancava mai il suo grembiule bianco. Ogni volta che veniva da lui gli portava un biscotto al cioccolato preso di nascosto dalle cucine. Si era molto affezionato a lei e la considerava un po’ come una nonna, o almeno, era la figura più vicina ad esserlo.
I giorni ben presto si trasformarono in settimane senza nessun cambiamento degno di nota. Ma quasi allo scadere della quinta settimana…
Eragon stava osservando, come quasi tutti i giorni a quell’ora, lo brulicare della città sottostante dalla finestra della sua camera quando un squittio acuto lacerò il silenzio. Si girò di scatto credendo che qualcuno fosse entrato ma non c’era nessuno. Forse è un topo, pensò, ma ci ripensò subito dopo, era troppo forte per appartenere a un topo o a un ratto e dubitava che si potessero trovare nella parte alta del castello. Si avvicinò alla scrivania sobbalzando per un altro squittio acuto. Prese l’uovo da sopra la scrivania e iniziò ad accarezzalo distrattamente mentre esaminava la stanza. Un altro squittio gli trillò nelle orecchie e gli riverberò nella dita. In quel momento si accorse che proveniva dall’uovo. Possibile che si stesse… schiudendo?
Eragon lo posò delicatamente sul letto. L’uovo dopo diversi altri squittii ne emise un ultimo più sonoro degli altri e tacque. Passarono interi minuti ed Eragon stava quasi tornando ad osservare Uru’baen quando l’uovo iniziò a dondolare furiosamente, poi iniziò a squittire e vibrare più forte di prima. Ad un tratto, sulla superficie dell’uovo comparve una crepa. Poi un’altra e un’altra ancora. Affascinato, Eragon si chinò per osservarlo più da vicino. In cima dove s’incontrava la ragnatela di fessure, un piccolo frammento sussultò, come se fosse in equilibrio, si sollevò, e poi cadde sul letto. Dopo alcune serie di squittii dal foro sbucò una piccola testa color zaffiro, seguita da un corpo lungo e flessuoso insieme a un paio di large ali. In poco tempo, il drago, sgusciò del tutto fuori dall’uovo.
Passarono alcuni minuti, poi il drago iniziò a leccare la membrana dell’uovo dalle sue piccole e tenere ali. Nel frattempo Eragon lo fissò con più attenzione. Era lungo appena quanto il suo avambraccio, eppure aveva già un’aria nobile e dignitosa, le ali erano parecchie volte più lunghe del corpo, listate di sottili nervature d’osso che si estendevano dal bordo davanti, formando una serie di artigli distanziati. La testa del drago era triangolare; dalla mascella superiore spuntavano due piccole e bianche zanne affilate. Anche le unghie erano bianche come lucido avorio e ricurve. Lungo la spina dorsale della creatura, dalla base della testa fino alla coda, correva una cresta di punte acuminate. Dove le spalle si univano al collo, le punte erano più distanziate che altrove: lì lasciavano uno spazio vuoto. I suoi occhi erano azzurro ghiacciò e profondi come l’oceano.
Dopo aver leccato tutta la membra iniziò a muoversi traballante verso di lui inciampando ogni qual volta nelle sue ali. Eragon trovò talmente divertente quella vista che non poté far altro che ridere. Il drago si immobilizzò di colpo, i suoi occhi si fecero lucidi e assunse un’espressione indignata. Eragon lo guardò stupito.
Doveva anche capitarmi un drago orgoglioso pensò
“Mi dispiace, non dovevo ridere di te” disse. Il drago si girò dall’altro lato e lo ignorò.
Eragon sospirò “Grande e possente drago potrete mai perdonarmi” disse in tono adulatorio.
Il drago si rigirò verso di lui e riiniziò ad avvicinarsi cercando di non inciampare nelle sue grandi ali. Mentre osservava la piccola creatura, ad Eragon, gli sfuggì un sorriso di tenerezza. Tese la mano destra e tocco la fronte del drago.Un lampo di gelida energia gli trafisse la mano e gli percorse il braccio, bruciandogli le vene come fuoco liquido. Cadde all'indietro, lanciando un urlo. Un clangore metallico gli risuonò nelle orecchie, e sentì un muto grido di rabbia. Ogni parte del suo corpo bruciava di dolore. Provò a muoversi, ma non ci riuscì. Dopo quelle che gli parvero ore, il calore gli tornò formicolando nelle membra. Scosso da un tremito incontrollabile, si mise in ginocchio davanti al letto. Aveva la mano intorpidita, le dita paralizzate. Preoccupato, si guardò il palmo della mano: La pelle gli prudeva e bruciava come se fosse stato morso da un ragno. Il cuore gli batteva all'impazzata, al centro del palmo si stava formando un lucido ovale bianco.
Sapeva perfettamente cos’era, il Gedwéy ignasia, il palmo luccicante, il simbolo dei Cavalieri dei Draghi. Era un Cavaliere.

 
  
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