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Autore: KittyPryde    04/10/2004    4 recensioni
I gabbiani volano in cerchio come avvoltoi sulla nostra casa, è il marchio oscuro che ci siamo guadagnati, il simbolo della rovina che nessun incantesimo potrà riparare
[Bellatrix/Rodolpus]
Genere: Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bellatrix Lestrange
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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C’è una casa su una spiaggia del Galles, piccoli sassi e vetri, un paesaggio patetico e desolato; gli arbusti che crescono sulle dune sono le uniche piante che riescono a penetrare la sabbia con le loro radici e vivere della miseria che quel terreno concede.
Il mio altrove nasce sulla riva del mare …
la mia casa è immersa nell’ombra; l’ennesima tomba dei nostri sogni, dove le mura si ergono grige e screpolate, vecchie come lapidi, spoglie, solo un ramo d’edera, eterno come la mia perseveranza, solo un ramo d’edera che avevi piantato si arrampica con pigrizia sulla parete esterna…
L’unica, vera, forma di vita in questa dimora di cui si è persa la memoria.
È freddo… e l’aria odora di sale, ma anche da qui si sente il rumore del mare, notte e giorno, lento e agitato, ad ogni ora, invadente… come ad Azkaban.
Rodolphus mi aveva detto una bugia, e forse non glielo avrei perdonato se non mi fossi arresa al fatto che non avevamo altra scelta.
Mi aveva detto che dalla nostra casa non avrei dovuto più sentire il mare; ora Rodolphus, non dice più niente…

Le stanze della nostra dimora sono soffocanti, tende pesanti cadono dalle finestre sempre chiuse, l’odore velenoso e sgarbato della muffa impregna le pareti, la polvere che accarezza il pavimento si muove in nuvole invisibili assieme ad ogni mio passo…
Tutto è integro, intatto nonostante l’abbandono, nonostante la negligenza… tutto immobile e immacolato nella sua decadenza, vergine; la nostra tomba è imponente e eterna come una cattedrale, antica e mai profanata. Con ogni mio gesto violento la sua castità, con ogni mio pensiero invado la sua riservatezza. Imprigionata nella mia libertà continuo ad accartocciare i miei giorni come se il tempo non dovesse mai finire, come se questa vita non fosse mia, trascurando la morte, trascurando il giorno in cui la mia mente si arrenderà davanti alla pazzia…

Da lontano si sentono le campane, rintocchi solidi che attraversano le mura allo scoccare di ogni ora, notte e giorno, come il mare;
Nell’ostile ombra della nostra casa c’è il silenzio… un pianoforte scordato chiuso in una stanza, e le dita di Rabastan sui tasti d’avorio danno vita a melodie nervose, torturate, sgradevoli. Garriti di gabbiani come belve affamate e una finestra che sbatte al secondo piano; poche parole tra me e Rodolphus, scambio di voci basse e incostanti…

Non mi ha mai chiesto se sono stata felice, forse perché la risposta lo spaventava
Esiliati dal mondo, animali in gabbia, ricercati, reclusi… ma nella nostra prigione in riva al mare potevamo fingerci liberi.
No… non ero felice, ma dopo aver rincorso per anni uno scopo per cui ero pronta a morire, ora avevo trovato qualcosa per cui vivere…

Poi… tutto è caduto, e assieme alla tua anima hanno strappato anche la mia

Ho paura della luce, me ne rendo conto ogni volta che un raggio di sole si intrufola tra le tende e bagna il pavimento, non posso tollerarlo, non voglio permettergli di illuminare la mia pelle pallida, le mani di uno scheletro, la fede nuziale spostata sul pollice perché dall’anulare, troppo magro, rischiava di scivolare; bellezza e prosperità che non sono mai state restituite, neanche a distanza di tanti anni… Azkaban graffia, scalfisce,
Azkaban toglie la dignità.

La mia vita ha sempre avuto un retrogusto contorto, lugubre, oppressivo; da bambina, sull’Espresso per Hogwarts, mi chiedevo se un treno stregato potesse deragliare, e quando arrivavamo su uno dei ponti più alti guardavo in basso con insistenza.
Nessuno mi ha mai chiesto cosa stessi guardando, forse perché la risposta li spaventava.
Io ero convinta che, se fosse successo qualcosa proprio allora, non ci sarebbe stata nessuna magia utile.
Saremmo morti tutti
E anche ora, ora che il mio altrove si erge ombroso in mezzo alla luce, scorgo qualcosa di marcio, di sofferente, deviato nella mia figura magra, esanime che scivola tra le stanze alzando polvere e lasciando aperta ogni porta che attraversa, qualcosa di spaventoso nella nostra casa di fantasmi abitata da persone che non si credono più vive, nelle finestre difese da tende di velluto che osteggiano il sole, nei legni intarsiati dai disegni dei tarli, nelle note sorde delle campane e stridenti del pianoforte, nelle stanze imbevute di un silenzio irreale sulla riva di un mare del Galles.

Fino a poco tempo fa ti alzavi presto la mattina, fuori dalla finestra nascevano albe disegnate che ancora mi azzardavo a spiare dai buchi delle tende, scostavi solo di poco il baldacchino blu notte, con quel riguardo al quale non avevi mai rinunciato, cercando di non svegliare me che tenevo già gli occhi aperti sotto le lenzuola, uscivi a pescare…
Non so quanto tempo sia passato, sento ogni giorno le campane, ogni notte, ma non riesco più a contarle, lascio passare il tempo, aspettando un giorno, ed un altro, ed un altro ancora…

If one bell rings in tower of Bray
Ding dong
Your true love will stay
Ding dong
One bell today in the tower of Bray
Ding dong


E mi ricordo della tua voce roca e sospirata che mi sorrideva ripetendomi ogni volta quanto ero bella quando cantavo quella canzone, e socchiudevi gli occhi, in maniche di camicia arrotolate sopra il gomito
“sembra una ninna nanna Bellatrix… canta ancora”

But If two bell rings in tower of Bray
Ding dong Ding dong
Your true love will stay
Ding dong Ding dong
Two bells today in the tower of Bray
Ding dong Ding dong


e il pianoforte di Rabastan non mi accompagnava, le mie note suonavano acute e piene, lasciavo oscillare la mia voce rotonda, con quel timbro addolcito che quasi non sembrava mio, ti piaceva sentirmi cantare

If three bells rings in tower of Bray
Ding dong Ding dong Ding dong
Your love’s gone stray
Ding dong Ding dong Ding dong
Three bells today in the tower of Bray
Ding dong Ding dong Ding dong


Non mi hai mai chiesto di darti un erede, forse perché da me avresti voluto un figlio

Ding Dong

Io potevo toglierti l’anima ogni volta che ti baciavo, la succhiavo con avidità dalle tue labbra appassite per poi restituirtela quando, spietatamente lenta, mi staccavo da te, penetrandoti con gli occhi; ogni gesto era lussuria, ogni parola una provocazione. Mi piaceva giocare con il tuo autocontrollo e la tua maschera di moralità, annientarli… spogliarti degli atteggiamenti, delle apparenze; come a te piaceva farti circuire e catturare, eri tu la preda fin che io non decidevo il contrario…

Nella nostra prigione dorata ora consumo i miei giorni e le mie notti nell’insonnia, strisciando sul pavimento polveroso come un ombra, mordo la vita e corrodo la mente in un banchetto selvaggio finché non ne rimarrà che cenere e polvere…
…alla cenere, alla polvere e all’oscurità che invade ancora la nostra stanza mentre di nuovo mi siedo accanto al tuo cadavere che ancora respira

Tieni le labbra socchiuse… e gli occhi sbarrati, nella penombra della nostra stanza; non puoi rispondere ai miei baci assetati, ma puoi sentirli, le tue mani subiscono le mie carezze, abbandonate sulle ginocchia, avvizzite come foglie d’autunno
Nella grande casa non si sentono più le tue parole soffocate, i tuoi respiri, i tuoi sospiri
Le campane continuano a suonare
e io canto la ninna nanne come un requiem, lisciando con rabbia e passione il dorso ruvido della tua mano

Ding Dong… Your true love will stay

I gabbiani volano in cerchio come avvoltoi sulla nostra casa, è il marchio oscuro che ci siamo guadagnati, il simbolo della rovina che nessun incantesimo potrà riparare: il silenzio è di nuovo irreale, le note del pianoforte di Rabastan suonano, lente, una per volta, intervallate da impietosi minuti di pausa, le sue dita si arrendono sui tasti, e le melodie escono dalla cassa come una marcia funebre…
Rabastan non è più uscito dalla stanza del pianoforte, e nessuno vi è più entrato, un divieto mai pronunciato, una legge mai scritta che io rispetto
Ascolto il pianoforte per sapere se è ancora vivo

Giaci… riverso sul nostro letto nuziale, un lenzuolo leggero, un sudario, ricorpre le tue membra; accanto alle tue spoglie con gli occhi fissi al soffitto, estasiati e assenti, io ho perduto il sonno e la memoria; lascio che i giorni mi logorino dall’interno come un cancro, lascio i miei occhi indugiare sul tuo corpo disteso e le mie mani accarezzare con forza il tuo viso…

L’anima non è un organo vitale, perché nel tuo eterno sonno ancora non sei morto

Distesa, accanto al tuo cadavere che ancora respira, il tuo viso scolorito, le tue mani abbandonate come rami secchi… ora è primavera, e vivo nel tuo ricordo
Mi abbandono, nell’attesa della morte, quando il pianoforte di Rabastan e le campane smetteranno di
suonare, quando il tuo respiro troverà la pace.
   
 
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