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Autore: maavors    06/08/2013    1 recensioni
Mia Nisi è il nuovo sottotenente dei RIS di Roma. Il suo arrivo porterà molti cambiamenti nel (quasi) tranquillo ambiente romano.
IMPORTANTE: sto aggiornando e modificando i capitoli. 05/01/2016
Genere: Commedia, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Bartolomeo Dossena, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 12
 
 
Non riuscivo a pensare, non riuscivo a vedere, non...
non riuscivo a respirare. […] Il mio cuore batteva all'impazzata e...
il petto...si stava frantumando. Era... era come se fossi sott'acqua.
Suits 5x01, Harvey Specter
 
 
 
22 Aprile 2003, Firenze
 
Vieni qui Mia!” il bel ragazzo dagli occhi azzurri iniziò ad agitare energicamente le braccia per farsi vedere dalla ragazza che, nonostante fosse vicina, sembrava non sentirlo, o non volerlo sentire. Così prese lui l’iniziativa e si avvicinò a lei. “Mia quando ti chiamo voglio che mi rispondi” disse con un tono di voce serio. Non appena la ragazza sentì le sue mani sui fianchi, trasalì.
Era arrivata al culmine. Non lo sopportava più. Ogni volta che stava con lui sentiva la necessità di scappare, correre, correre più lontano che potesse. Fece un respiro profondo e si voltò con un sorriso finto stampato sulle labbra. “Scusa amore, non ti ho sentito” disse e lo baciò. Era un bacio senza amore, senza passione. Un bacio finto. Il ragazzo la strinse attorno a sé con le possenti braccia da nuotatore, lasciandola quasi senza fiato.
Mia si staccò dal suo fidanzato “Torniamo a casa? Sono stanca” chiese sbattendo le folte ciglia bionde. Sapeva che nonostante tutto, Christian era ancora nelle sue mani, e avrebbe obbedito ad ogni su volontà “Certo” disse lui confermando i pensieri di Mia.
I due ragazzi si avvicinarono alla macchina e Christian aprì lo sportello di Mia invitandola ad entrare all’interno. Era un gesto nobile e premuroso, fatto da un qualsiasi altro ragazzo, ma fatto da lui significava tutt’altra cosa. Significava che lei era sua. Che nessun’altro al mondo avrebbe potuto riaccompagnarla a casa.
Mia entrò nell’automobile e sprofondò nel sedile incavallando le gambe. Il Giardino della Gherardesca non era molto distante da casa loro, ma pur di non sentire le chiacchiere di Christian, Mia decise di addormentarsi.
 
13 Febbraio 2005, Parigi
 
“Dai Mia, facciamoci la foto sotto la Tour Eiffel” Christian indossava un simpatico cappellino acquistato sulle bancarelle di Parigi. Mia lo odiava, lo rendeva stupido.
Annuì e si avvicinò al ragazzo, quando questo mise davanti a loro l’obiettivo, Mia cercò di inarcare le labbra in un sorriso. Ma non ci riuscì.
Christian. Il suo amore del liceo.
L’aveva conosciuto il primo giorno di scuola. Erano vicini di banco, Mia ricordava che si era dimenticata l’astuccio a casa e lui le aveva prestato le penne. Sei mesi dopo erano fidanzati.
L’aveva portata a Parigi per festeggiare il loro quinto anniversario di fidanzamento, aveva il terrore che potesse chiederle di sposarlo.
“Ho prenotato in posticino carino” la voce del ragazzo si era abbassata ad un sussurro e Mia sperò di aver sentito male. “Non ce la faccio” disse la ragazza, pentendosene subito.
“Cosa?” Christian aveva gli occhi fuori dalle orbite “di cosa stai parlando? Non puoi farmi disdire all’ultimo! Che figura che ci faccio!” il ragazzo stava agitando le braccia all’aria. Mia respirò a fondo e disse quello che aveva provato a dire prima in altre parole, “È finita Christian. Torno a Firenze dai miei. Mi sono segnata all’università. Entro nell’esercito” sperò di essere stata più chiara possibile questa volta. Il volto del ragazzo era di un colore indefinito, tra il giallo e il verde.  “Non è vero” furono le ultime parole che pronunciò perché poi Mia si girò e iniziò a correre. Non si voltò per controllare se Christian la stesse seguendo o meno. Bloccò il primo taxi e si fece portare all’aeroporto. Aveva già preso il biglietto, non le importava molto delle valigie, si sarebbe ricomprata le poche cose che aveva portato con sé. Un sorriso le balenò sulle labbra quando l’aereo si sollevò da terra. Era felice. Era tornata felice.
 
06 Marzo 2013, Roma
 
La testa di Mia iniziò a pulsare violentemente. La fronte era innaturalmente fredda, il battito irregolare. Gli presero dei conati di vomito e si precipitò al bagno.
Le gambe erano leggere come piuma, e gli cedettero, facendola cadere a terra. Il contatto con il pavimento freddo era quasi confortante.
La sua mente la riportò al pensiero che l’aveva spinta a vomitare e le venne voglia di piangere. L’unica cosa che fece invece, fu un urlo disumano.
Immediatamente la porta si spalancò e una equipe di infermieri entrarono. Si gettarono immediatamente sulla ragazza a terra. L’uomo più anziano la prese dolcemente in braccio e l’adagiò sul letto farfugliando qualcosa riguardo una ferita.
Una ragazza dai lunghi capelli rossi corse fuori dalla sua stanza, rientrando subito dopo accompagnata da un uomo con il camice bianco. Gli altri gli fecero largo e si avvicinò al letto dove Mia era adagiata. Era cosciente ma non vedeva e sentiva bene. “Sembra un attacco di panico” stava dicendo l’infermiere che l’aveva sollevata da terra “Sì, ma la cosa grave è la ferita all’addome. Non era ancora rimarginata. Si è riaperta. Bisogna intervenire immediatamente, la pallottola aveva quasi raggiunto il fegato. Non possiamo rischiare.” Mia riuscì a captare solo alcune parole del discorso e sprofondò in sonno profondo.
 
“Dovremmo chiamare qualcuno” disse Ingrid, l’infermiera dai capelli rossi, alla caposala. “Vive da sola e la famiglia abita a Firenze. Chi dovremmo chiamare?” commentò spazientita l’altra. “L’ultimo numero chiamato” rispose Ingrid decisa. La caposala non aggiunse altro, spostò l’aria con la mano e si allontanò verso la sala operazioni.
La ragazza entrò nella stanza 895. Sul letto c’era ancora l’enorme macchia di sangue provocata dalla ferita, e anche sul pavimento c’era del sangue.
Gli occhi le finirono sul comodino dove si trovava il telefono, lo prese in mano e chiamò, sperando che Bart abitasse a Roma e che fosse interessato alla salute della paziente. Fu sorpresa che l’altro rispose mezzo squillo dopo “Mia” disse il giovane ragazzo dall’altra parte della linea “hai cambiato idea e non vuoi più vedermi?” chiese ironicamente.  Ingrid s’irrigidì “Salve, sono Ingrid. Chiamo dall’ospedale. Mia ha avuto una complicazione, in questo momento è in sala operatoria” cercò di essere più chiara possibile e non usare termini specifici. Il ragazzo dall’altra parte si zittì immediatamente. “Potrebbe…” Ingrid non riuscì a terminare la frase perché l’altro la interruppe “Arrivo” e la linea cadde.
 
Bart aveva da poco riagganciato il telefono. Era stato così felice di sentire la sua voce. Le era mancata, aveva avuto paura che non l’avrebbe sentita più. Quella voce così dolce e sensuale allo stesso tempo. La prima volta che l’aveva ascoltata parlare ne rimase stregato. Non era una tono “studiato”, era uscito spesso con ragazze talmente perfette, che anche il timbro della voce era finto. Quello invece era così naturalmente perfetto. Gli guizzò un sorriso sulle labbra, sorriso che scomparve subito. Si era sentito terribilmente in colpa per quello che era successo a Mia che non aveva avuto il coraggio di passare all’ospedale. Di vederla sdraiata su un lettino, collegata a macchinari, o a flebo.
L’ultimo ricordo che aveva era lei, sdraiata nell’ambulanza. Entrambi erano sporchi del suo sangue. Ne era uscito talmente tanto. Prima che l’ambulanza arrivasse aveva urlato aiuto per non sapeva quanto tempo. Il volto di Mia era cereo, lo sguardo fisso nel vuoto. Gli era sembrato di scorgere un alone bianco che appannava l’azzurro dei suoi occhi.
Un brivido lo scosse riportandolo alla realtà, notò con stupore che non si trattava di un brivido, ma della vibrazione del telefono. Portò l’apparecchio davanti al suo volto, si morse leggermente il labbro inferiore quando lesse il nome sul display.
Pensò a qualcosa di carino da dire, ma il dito andò sul tasto della risposta prima che la sua mente potesse creare una frase ad effetto da dire. Quindi disse le prime parole che gli vennero in mente. Si aspettava di udire una risata, quella bella e calorosa che ti coinvolgeva anche se eri di pessimo umore. Invece rispose una voce diversa, era di una ragazza, ma non era lei. Diceva di chiamarsi Ingrid, chiamava da parte dell’ospedale, e Mia, lei aveva avuto una complicazione. Un nodo si formò nella gola di Bart, impedendogli di respirare o deglutire. Il suo corpo si irrigidì e sentì la testa leggera, talmente leggera che dovette appoggiarsi allo schienale del divano per paura di cadere. La ragazza stava per aggiungere altro, ma non la lasciò terminare “Arrivo” furono le uniche parole che gli uscirono. Attaccò il telefono e se lo infilò nei jeans. Prese di corsa le chiavi e si precipitò in macchina, non curandosi di spegnere le luci o chiudere a chiave la porta di casa.
Calcolò mentalmente che ci avrebbe impiegato circa venti minuti per arrivare in ospedale, si prefissò di farsene bastare dieci.
Per sua fortuna le strade non erano molto trafficate. Schizzò tra le altre automobili con velocità che andavano ben oltre il limite consentito.
Il cuore gli batteva fortissimo contro la scatola toracica, sentiva il respiro affannato e la testa altrove. Quando arrivò parcheggiò nei sotterranei, dove potevano passare solamente i dottori, conosceva per fortuna il capo della sorveglianza. Non lo ringraziò nemmeno, prese il telefono e compose il numero di Daniele che rispose dopo parecchi squilli. “Dossena dimmi” aveva detto il ragazzo dall’altra parte “Dove sta Mia? Che numero è la sua stanza?” chiese Bart. Nella sua voce c’era disperazione e terrore. “Bart? È successo qualcosa a Mia?” domandò Daniele senza rispondere alla domanda. “Dimmi dove sta Mia!” urlò Bart, sorprendendosi della sua reazione. “895” Bart attaccò e iniziò a correre. Schivava infermieri, dottori e pazienti agilmente e si precipitò nell’ascensore. “Giovanotto! Potrebbe aspettarmi” chiese un’anziana che andava molto lenta. Bart maledisse la sua galanteria e si avvicinò all’anziana aiutandola a camminare.
Una volta saliti nell’ascensore la donna gli dette un colpetto sul braccio “Grazie” Bart sorrise senza dire una parola e premette il tasto dell’ultimo piano.
“Sua moglie sta partorendo?” chiese la signora. Bart si girò verso di lei e scosse la testa “No” disse in un sussurro “La mia… una mia collega è stata” aveva la voce spezzata “è stata ferita durante un’operazione molto importante, ed è in sala operatoria.  “La donna si portò le mani alla bocca “Sei un carabiniere?” chiese quella. Bart annuì “Andrà tutto bene” la donna, che aveva percepito il terrore nella sua voce provò a dire qualcosa per tirargli su il morale. “Mia è speciale” furono le ultime parole che le disse poi non appena si aprirono le porte si lanciò verso il corridoio alla ricerca della camera 895.
Per sua fortuna era una delle prime, aprì dolcemente la porta facendo un respiro profondo. All’interno non c’era nessuno ma riconobbe il dolce profumo di Mia. Ne inalò più che poté. Sul pavimento c’era una chiazza di sangue e il suo cuore saltò qualche battito quando lo sguardo si posò sul letto. Lì il sangue era ancora di più.
Cercò un appoggio e trovò una poltroncina accanto al letto, dove si sprofondò.
Chiuse gli occhi che si stavano riempendo di lacrime. Lui era Bartolomeo Dossena, e non piangeva mai.

Si passò le mani tra i capelli e cercò di regolarizzare il respiro, ancora affannoso per la corsa. Questa camera è triste, pensò Bart. Le pareti erano coperte di un celestino spento e anche i mobili erano di quel colore. Il fato si beffa di me, pensò il ragazzo quando il pensiero andò a Mia. Quel colore si intonava perfettamente con i suoi occhi. Il suo telefono era sul comodino, fu tentato di prenderlo per chiamare i suoi genitori. Ma si bloccò, come si sarebbe dovuto presentare? “Salve signora, sono Bart. Sì, quello che ogni tanto si fa sua figlia, niente volevo solo dirle che Mia è in sala operatoria perché per colpa mia si è beccata una pallottola e sta avendo delle complicazioni” ricacciò quel pensiero quando una rossetta entrò in camera con un secchio pieno d’acqua e degli asciugamani. “Ah, non pensavo che ci fosse qualcuno” disse e Bart riconobbe immediatamente la voce, era la ragazza che lo aveva chiamato con il telefono di Mia. “Ingrid?” chiese allora per confermare il suo pensiero “Sì.”
“Come sta Mia?” la sua voce era tornata disperata “Voglio dire, è fuori pericolo. Non è vero?” la ragazza scosse la testa, posò il secchio a terra e si sedette sul letto, stando attenta a non macchiarsi il camice di sangue. “Se non è un parente non posso dirle niente, mi dispiace. È il regolamento” era visibilmente dispiaciuta. “Al diavolo il regolamento!” Bart batté le mani contro le cosce “Non c’è nessuno qui della sua famiglia” continuò “lei… lei si prende cura di sé da sola. Dimmi come sta. Ti prego, Ingrid.”
La ragazza si asciugò le mani di sudore sul camice e respirò profondamente “Il proiettile ha quasi raggiunto il fegato, a causa della rottura di alcune costole. L’hanno estratto ma la situazione non è delle migliori, ha fatto una brutta caduta prima, non ci voleva.”
Bart sbiancò, sentiva tremare il labbro inferiore, ma se lo morse energicamente per impedirsi di piangere. “È colpa mia. È tutta colpa mia. È solo colpa mia” disse sprofondando ancora di più nella poltrona. “Com’è successo?” chiese Ingrid. Lei non era Mia, se fosse stata Mia avrebbe risposto di no, che non era colpa sua. “Stavamo soccorrendo un collega a terra, mi hanno colpito alla testa e ho perso conoscenza. Mi sono risvegliato quando l’ho sentita schiantarsi contro un tavolo. Era ricoperta di sangue e vetro, quel bastardo la stava prendendo a calci. Ero totalmente inerme non trovavo la pistola, non riuscivo a muovermi. Quando ha sparato di nuovo non so come ma mi sono alzato” aveva la voce spezzata, aveva ripercorso quei momenti mille volte nelle ultime 24 ore “e ho premuto il grilletto.” La ragazza si alzò e si avvicinò, poggiò una mano sulla spalla di Bart e gli sussurrò all’orecchio: “Sono sicura che non è colpa tua” poi riprese il secchio con l’acqua e si mise a pulire il sangue secco dal pavimento. Bart distolse lo sguardo. Quello era il suo sangue. “Perché c’è del sangue sul pavimento?” chiese, come se avesse notato solo in quel momento la presenza della macchia. “Pensiamo abbia avuto un attacco di panico ed è caduta mentre cercava di andare in bagno”
“E perché?” sembrava un bambino di due anni che per ogni cosa che gli dice la mamma risponde ‘perché?’. “Non lo sappiamo. Comunque ha vissuto un brutto trauma, dovrà lavorare anche dal punto di vista psicologico” disse Ingrid “torno subito con le lenzuola pulite” e uscì dalla camera con un sorriso.

La tasca iniziò a vibrare, sul display c’era il nome di Daniele. Doveva sicuramente dargli delle spiegazioni. Accettò la chiamata “Scusa, lo so” iniziò a parlare senza aspettare che l’altro potesse dire qualcosa. “Oh vedo che ti sei calmato! Mi dici che è successo?” chiese Daniele. “Dicono abbia avuto un attacco di panico, è caduta, si è riaperta una ferita. Ora è in sala operatoria. Mi hanno chiamato dall’ospedale e mi sono precipitato qui”
“Arrivo anch’io” Bart s’irrigidì “No, sto andando via, non mi fanno restare. Ti chiamo se so qualcosa” mentì, ma comunque era la verità, sicuramente non sarebbe potuto rimanere “Va bene” sentì la chiamata interrompersi.
Si alzò e andò al bagno. Aveva un aspetto orribile, aprì il rubinetto dell’acqua fredda e si sciacquò la faccia per riacquistare lucidità.
Rimase per un po’ al bagno, appoggiato al muro tra la doccia e il lavandino. La finestrella era mezza aperta e una leggera brezza entrava, colpendo il volto di Bart. Era piacevole come sensazione, guardò le macchine che sfrecciavano una dietro l’altra e per un momento si sentì bene. Quando uscì il letto era stato cambiato e non c’era più traccia di sangue. Tornò a sedersi sulla poltrona e non passò molto tempo prima che la porta si aprisse e un gruppo di persone entrassero. Stavano trasportando una barella, sopra di essa giaceva Mia.
Il volto era cereo, gli occhi chiusi, e le labbra serrate. I bei ricci biondi erano adagiati con cura attorno al volto.
“Mi dispiace, l’orario di visita è finito. Torni domani” una signora alta stava parlando a Bart. “Non posso rimanere?” chiese con voce dolce.
“Solo i parenti” c’era qualcosa di acido del suo tono di voce, notò Bart.
“Lui è un parente. Ci ho parlato prima io” intervenne Ingrid, sorridendo al ragazzo senza farsi vedere dall’altra. “Sono il cugino” disse Bart stando al gioco. “Un cugino, dici?”
“Di secondo grado” parlò ancora Bart “Fate come vi pare” disse la donna alta, che evidentemente non credeva alla storia.
Nel frattempo gli altri infermieri avevano sistemato Mia sul letto, uscirono tutti uno dopo l’altro, lasciandoli soli.
Mia dormiva. Sotto la vestaglia si intravedevano le bende che coprivano la ferita.
Si avvicinò alla ragazza e le prese la mano. Era calda, molto più calda della sua. Quel contatto gli provocò una morsa allo stomaco che gli fece venir voglia di abbracciarla.
“Si risveglierà tra un’ora o due” una voce ormai familiare lo spinse a girarsi. “Hanno detto che è stabile e fuori pericolo” disse Ingrid con un sorriso, quel sorriso rassicurante fece sorridere anche Bart che si voltò di nuovo verso Mia. Sentì i passi della ragazza allontanarsi “Hai sentito? Sei salva” la mani di Bart erano sul volto della fanciulla che dormiva. “Non per merito mio, ma sei salva” sentiva gli occhi pesanti e pensò di avvicinare la poltrona al letto. Facendo meno rumore possibile trasportò il mobile accanto a dove giaceva Mia.
Si accomodò sulla soffice sedia e si addormentò.
 
“Bart? Bart sei tu?” una voce dolce stava parlando “Oddio fa che non sia Christian, ti prego” il ragazzo aprì di scatto gli occhi e due cerchi azzurri lo stavano guardano incuriositi. “Bart” disse la ragazza con una luce particolare sul volto “Che ci fai qui? Ti aspettavo per domani” le mani di Mia corsero immediatamente ai capelli e con le dita districò gli inesistenti nodi. Cercò di non farsi notare mentre si mordicchiava le labbra per far affluire un po’ di sangue. Bart alzò gli occhi al cielo “Stai benissimo” disse con un sorriso, poi continuò “C’è stato un problema e mi hanno chiamato” Mia annuì, sapeva che stava alludendo al fatto che era caduta all’entrata del bagno. “Chi è Christian?” il volto di Mia diventò inspiegabilmente bianco, quasi trasparente. “È una storia lunga, poi te la racconto” Bart annuì e si chinò su di lei. Il contatto delle loro labbra provocò ad entrambi dei brividi. Mia portò le mani dietro la testa del ragazzo per toccargli i capelli, voleva fare quel gesto da così tanto tempo. Finalmente il respiro di Bart si era calmato e ora stava respirando lei.
Sulle labbra del ragazzo spuntò un sorriso e si risedette sulla sedia. “Allora…” stava iniziando a dire lei quando qualcuno bussò alla porta ed entrò senza aspettare una risposta. Entrò prima l’enorme mazzo di rose rosse e poi la piccola infermiera. Bart si alzò per aiutarla e le tolse i fiori di mano, quella lo ringraziò ed uscì senza dire una parola. “Grazie!” disse Mia sorridendo al ragazzo che la guardava sbalordito. “Non te li ho mandati io” rispose pacato.
La ragazza scansò i fiori e prese il biglietto con le mani tremanti. Avrebbe riconosciuto quella grafia ovunque.
 
Mia,
Ho saputo quello che ti è successo e mi sono precipitato a Roma.
Ti amo, nonostante tutto, nonostante quello che è successo, ti amerò per sempre. Ci vediamo in giornata,
tuo Christian

L’orrore balenò sul voltò della ragazza che lasciò cadere il biglietto a terra, Bart si chinò a raccoglierlo e lo lesse alla svelta. “Romantico il ragazzo” affermò con una battuta.
Ma Mia non rise, si girò verso di lui e con una tono di voce terrorizzato disse: “L’attacco di panico, me l’ha provocato lui.”

 
 
 
aggiornato e corretto 01/03/2016
  
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