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Autore: Jules_Black    06/08/2013    5 recensioni
Ottawa.
Radio Voice ha trovato un nuovo spocchioso conduttore che, in poco tempo, è divenuto la star radiofonica del momento: Duncan Rogers.
Allo stesso tempo, Mr. Holmes ha deciso di andare in pensione e di lasciare la sua società legale multimilionaria nelle mani di due avvocati di successo: Courtney Adair e Matt Jones.
Le vite dei tre si incontrano a causa di una denuncia del signor Smith, anzianotto, molestato dai rumori che il suo vicino di casa, Duncan Rogers, produce ogni notte a causa dei numerosi amplessi.
A tutto ciò si aggiungono un maniaco che sembra conoscere le opere di Shakespeare a menadito, fastidiosi fantasmi che sono riemersi dal passato e attrazioni quasi fatali.
Perché, come ci insegna Courtney, non ha molto senso aspettare ciò che non si vuole.
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Courtney, Duncan, Nuovo Personaggio | Coppie: Duncan/Courtney
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
Capitoli:
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Voice.
Capitolo tre: “Backgrounds.”

 

Although it hurts, I’ll be the first to say
that I was wrong.
Oh, I know I’m probably much too late
to try and apologize for my mistakes.
But I just want you to know…
I hope he buys you flowers,
I hope he hold your hands,
give you all his hours
when he has the chance.
[Bruno Mars, When I was your man]

 

Bzzzz.
“… E come sempre, care ascoltatrici,
vi ricordo che il sottoscritto vi adora
e vi venera. Quando vorrete passare
dal mio letto, basterà farmi uno squillo,
perché mi troverete già pront-…”
 
– Spengi quello schifo!
La voce irata di Courtney Adair risuonò per tutto il settimo piano della compagnia legale di Mr. Holmes, tanto che perfino qualche segretaria dei piani sottostanti venne ad assicurarsi del fatto che tutti stessero bene. Courtney la mandò galantemente al diavolo, prima di ricadere sulla sedia, con uno schianto secco. Odiava – odiava – che perfino la sua cara segretaria stravedesse per Duncan e che lei fosse costretta a sentire la sua voce ogni secondo, perfino quando stava beatamente cercando di lavorare. Amanda, da mirabile segretaria quale era, si scusò con un’espressione piuttosto contrita, ma non seppe trattenere un sorrisetto di pura consapevolezza. Le segreterie possedevano un sesto senso per gli affari altrui che Courtney riusciva soltanto a detestare.
– Dio, Dio! Ma che schifo è questo? Perché l’unico pensiero che qui dentro si possiede è come sarebbe farsi sbattere da Duncan Rogers? Amanda, sei un’incompetente –  trillò di nuovo Courtney, sfogliando con furia le carte che aveva davanti. Amanda comparve sulla soglia del suo studio e Courtney la fulminò con lo sguardo.
– Dio buono, Amanda! David Rogers si è costituito parte civile! D–A–V–I–D! Posso sapere per quale motivo hai invece scritto, su ogni singolo foglio di questa cartella, “Duncan”? – strillò la donna, come un’ossessa, rivolta alla sua segretaria, che ora tremava sulla soglia.
– Mi scusi… Ero, ehm, distratta – bofonchiò la povera Amanda, abbassando la testa in segno di scuse. Courtney rispose con un urlo belluino.
– Possibile, ripeto, possibile che qui dentro basti sentire la sua voce per dare di matto, eh? – continuò Courtney, alzandosi e sbattendo i fascicoli errati tra le braccia di Amanda – Li voglio correnti entro un’ora! – sbraitò, spingendola via in malo modo. Amanda non seppe ribellarsi.
– E non mi interessa cos’altro hai da fare – continuò, tornando a sedersi al suo posto – Per me può scendere anche qualche divinità, ma entro un’ora voglio quei fascicoli qui, sulla mia scrivania. Corretti. E se ti becco ad ascoltare di nuovo quella stupida trasmissione radiofonica o, più semplicemente, Radio Voice, ti licenzio!
Amanda tremò di terrore, tanto che due secondi dopo aveva già lasciato l’ufficio di Courtney per andare a svolgere il lavoro che le era stato assegnato.
Dentro il suo ufficio, un’affranta Courtney Adair sospirò. “Farsi sbattere da Duncan Rogers”, ecco quale era il motto nefasto che vigeva in quella gabbia di bertucce: avrebbe voluto gridare a gran voce che farsi sbattere da Duncan Rogers era fantastico, ma non sarebbe stato di certo appropriato. Così, sempre più affranta, decise, per il suo bene, di scaricare la posta elettronica prima di dedicarsi alla revisione di alcuni verbali.
Senza essere capace di trattenere un brivido di pura angoscia, notò che il mittente della mail amorosa era tornato all’attacco: accanto all’indirizzo romeo_s_still_alive lampeggiava una nuova mail. Courtney l’aprì, per nulla tranquilla.
 

“La dodicesima notte si avvicina, e tu sarai mia.”
 

Nove parole. Secche e decise. Perfino inquietanti. Courtney, all’improvviso, non riuscì a provare null’altro che rabbia.
– Perverso, schifoso maniaco! Lurido figlio di puttana! Se ti avessi tra le mani adesso… Oh, quanto sangue! Quanto sangue!
Quella mattina molti avvocati della compagnia legale del signor Holmes dovettero spaventarsi parecchio. Il loro futuro capo Courtney Adair sembrava davvero essere impazzita. Sbraitava e strillava con una forza tale che la maggior parte degli occupanti del palazzo chiese febbrilmente spiegazioni.
­– Ah, se avessi la mia pistola! Ti farei un buco sulla fronte, cretino! Ti farei in cinquanta pezzi differenti! Cinquanta sacchi per cadavere diversi! Buzzurro e inetto – continuò a strillare la donna, puntando un indice accusatore contro lo schermo del computer. Non riuscendo a resistere al richiamo di quelle urla così signorili, Matt Jones entrò nella stanza.
– Tutto bene? – domandò, affacciandosi appena, quasi temendo che Courtney potesse scagliargli addosso la scrivania. Lei lo guardò, smettendo all’improvviso di urlare. Poi, come animata da una sorta di perversa rabbia, si avvicinò all’uomo con passo marziale.
– Tu – sbottò, puntandogli un indice contro il petto – hai conoscenze nella Polizia, lo so. Ora, se non vuoi che ti stacchi quell’affare che hai in mezzo le gambe per farci il brodo di Natale, fai una telefonata e risolvi questo problema.
Matt Jones la guardò, impotente. Alzò le mani, poi si decise a bloccarle i polsi. Courtney rimase ferma, anche se la sua espressione fermamente contrariata tradiva l’agitazione che aveva dentro.
– Adesso respiri e mi spieghi cosa succede – la redarguì Matt, accompagnandola verso la scrivania – Poi farò qualsiasi telefonata tu voglia.
Courtney si sedette e incrociò le braccia al petto. Fece un gran respiro e poi lo guardò dritto negli occhi.
– Matt, un maniaco mi perseguita – esordì, senza peli sulla lingua. Poi si prese la testa tra le mani e con voce rotta iniziò a raccontargli tutta la storia.
***
Matt Jones poteva dirsi davvero un uomo fortunato se era riuscito davvero a placare l’indomabile Courtney. Con molta galanteria e senso di partecipazione, aveva ascoltato il suo racconto, annotando i punti salienti e poi facendo quella famosa telefonata. E ora, mentre un pallido sole cercava di intiepidire l’aria, si stava recando a casa di Courtney, per riferirle quanto aveva appreso.
– Irrintracciabile – esordì, quando la ragazza aprì la porta di casa facendogli spazio per entrare. Courtney studiò la sua espressione e poi scrollò le spalle, del tutto indifferente.
– Non mi interessa – sibilò, laconica, facendolo accomodare sul divano. Matt strabuzzò gli occhi, lasciandosi cadere tra i cuscini. Courtney si sedette accanto a lui.
– Non ho più intenzione di farmi condizionare la vita da un tipo così idiota – sbottò la donna, passandosi una mano tra i capelli. Matt sorrise, dolcemente.
– Ottima scelta – sussurrò Matt, riservandole un altro sorriso. Courtney fece spallucce.
– Faccia ciò che vuole. Prima o poi dovrà capitolare – proseguì la mora, alzandosi di scatto – Vuoi qualcosa da bere?
Matt annuì, sorridendole di nuovo. Courtney scomparve dentro la cucina e l’uomo non riuscì a non trattenere una risata allegra. Quando la donna rientrò, portando sul vassoio due bibite, seppe che era il momento di attaccare.
­­– Posso sapere perché sei fuggita, sabato sera? – domandò, innocentemente, lui. Courtney sospirò.
– Ti devo una spiegazione, vero?
Matt annuì, piuttosto serio.
– Mi era sembrato di vedere due persone che non volevo incontrare – spiegò, in imbarazzo. Matt le rivolse uno sguardo interrogativo.
– Il mio ex ragazzo e la ragazza per cui mi ha lasciato, anzi, con cui mi ha tradito – spiegò, la voce divenuta più tagliente. Un barlume di comprensione attraversò il viso di Matt.
– Uno stronzo, insomma – sintetizzò lui, passandole un braccio intorno alle spalle. Courtney si adagiò contro il suo petto, sospirando rumorosamente. La vicinanza con Matt la imbarazzava non poco, ma tentò comunque di rilassarsi.
– Va tutto bene – la tranquillizzò Matt, passandole una mano tra i capelli, accarezzandola come se volesse calmarla. Courtney si adagiò di più contro il suo petto, arpionandogli la camicia con una mano.
– Ehi, – scherzò lui, prendendole il viso tra le mani – se vuoi spogliarmi, avrei un’idea migliore…
Courtney sorrise, ma Matt era davvero troppo vicino e lei poteva sentire il suo odore.
Dopobarba.
Un centimetro guadagnato nella corsa delle loro labbra.
Pelle.
Un sospiro estatico, preludio del momento perfetto.
Matt.
Perché non riusciva a percepire altro che lui, il suo avambraccio sotto la mano e le sue dita che la stringevano appena sotto il mento. E i suoi occhi che la fissavano, che le dicevano che andava tutto, che sarebbe andato tutto bene.
Che avrebbero potuto essere ciò che lei e Duncan non erano stati, ciò che Duncan non aveva voluto che fossero
– Va tutto bene – ripeté Matt, prolungando quel momento estatico e sentendo Courtney tremare addosso a lui.
– Andrà tutto bene – soffiò, a un passo dalle sue labbra, Courtney, stringendo di più la presa sul suo avambraccio, pregando che il tremore non la fermasse. Matt piegò la testa verso di lei, avvicinando ancora di più le sue labbra. Sfiorò quelle della donna, saggiandone appena la morbidezza, prima di catturarle nelle sue. Courtney sentì il suo cuore perdere un battito.
Non sapeva baciare.
Non era Duncan.
E’ lo spinse via, lontano da sé, lontano da tutto quel dolore.
***
Si sentiva uno straccio. Martoriata, indifesa, tremendamente impaurita. Il fantasma di Duncan sembrava perseguitarla. Sembrava essere sempre con lei. Aveva respinto Matt, cacciandolo malamente dalla sua casa, anzi, sbattendolo decisamente fuori. Lui non aveva protestato, avendo probabilmente intuito ciò che si agitava nella mente di Courtney e poi era scomparso. Niente messaggi, niente chiamate, niente mail.
Sparito, insieme al maniaco.
La dodicesima notte si stava oltretutto avvicinando, ma Courtney aveva iniziato a temere che nessun Orsino sarebbe mai arrivato a chiederla in sposa dopo miliardi di peripezie.
Nessun Duncan.
La sera stava calando su Ottawa, silenziosa e ostile. Ombre e giochi di luci si alternavano sul soffitto della sua camera, mentre tentava disperatamente di non pensare a quanto Duncan, così lontano, così irrimediabilmente stronzo, stesse ancora condizionando la sua vita. Venne trafitta da un unico e solitario pensiero.
Lei lo amava.
Lo amava ancora, a dispetto della distanza e a dispetto delle circostanze. Del suo modo di essere e del suo modo di fare, del suo modo di rapportarsi.
A dispetto di Gwen.
Un rumore secco e un latrato quasi animalesco la risvegliarono dalle sue riflessioni. A quei suoni indistinti seguì un chiaro colpo contro la porta. Courtney si alzò per aprire, temendo anche questa volta il peggio. Poteva essere il momento della resa dei conti, il maniaco poteva essere arrivato per chiedere il pagamento del debito che, volente o nolente, aveva contratto con lui.
– Duncan!
L’esclamazione di sorpresa che seguì a quella rivelazione la aiutò a ristabilire i confini della realtà. Davanti alla sua porta c’era Duncan. Duncan che l’aveva presa per i polsi e l’aveva attirata contro di sé.
– Principessa – continuava a blaterare, come se fosse una sorta di mantra. Courtney si lasciò cullare dal suo abbraccio, ma un forte odore di alcool la insospettì non poco. Si staccò, di fretta, quasi volesse evitare il prolungarsi di quel contatto.
– Tu sei completamente ubriaco! – esclamò, notando come Duncan a stento si reggesse in piedi e come barcollasse, tentando di aggrapparsi alla maniglia. Aveva gli occhi lucidi e le labbra troppo rosse, sragionava.
– Non sono ubriaco, sono abbastanza certo di volere te! – strillò Duncan, come un ossesso, facendo qualche rapido passo verso di lei.
– Sei una bestia, allontanati – sbuffò lei, arretrando verso l’interno della casa. Duncan si fermò di colpo, come trafitto dalle sue parole.
– Sappi che ti voglio – sussurrò, con uno sguardo diabolico negli occhi. Courtney scosse la testa.
– Sei solo ubriaco fradicio – gli fece presente, indicandogli la porta con la mano. L’uomo rimase fermo e blaterò qualcosa di inconsulto prima di alzare di nuovo gli occhi verso il viso della donna.
– Ti ho sempre amata, Courtney – proferì, con un tono di voce che non ammetteva repliche. Lei scoppiò a ridere, in maniera quasi macabra.
– Non dire cazzate – sibilò, avvicinandosi e posandogli una mano sul petto per spingerlo via. Duncan le prese il polso e strinse forte.
– Mi fai male – sbuffò la donna, tra i denti, tentando in tutti i modi di staccarsi, ma l’uomo non le permise di muoversi di un centimetro.
­– Ti ho sempre amata – ripeté lui, scandendo bene le parole. Courtney tentò di muovere il polso, che lui teneva ancora imprigionato.
– Mi stai facendo male – sbuffò di nuovo, dato che sicuramente la stretta di Duncan le avrebbe lasciato un segno evidente. L’uomo le mollo il polso.
– Scusa – borbottò tra i denti, prima di gettarsi letteralmente addosso a lei – Abbracciami.
Abbracciami.
Le sue mani contro la schiena.
Abbracciami.
I capelli sfiorati dalle sue labbra.
Abbracciami.
Il suo calore contro il petto che la disfaceva in un punto indefinito all’altezza del cuore.
Le mille strade che avevano percorso e che li avevano condotti lì, a quel momento.
Le altri mille ancora da percorrere che li avrebbero portati chissà dove.
Strade ferme al condizionale, come il loro amore.
Strade che forse non avrebbero mai percorso o che forse avrebbero corso insieme.
Gwen.
– Gwen!
Courtney quasi sobbalzò. Nella foga del momento non si era accorta di aver lasciato la porta di casa aperta. Spalancata. E ora, con l’aria di chi ha ricevuto una forte padellata in testa, sulla soglia, c’era proprio Gwen. La vide boccheggiare, poi bestemmiare contro qualche santo albanese e poi riprendere a non capire. Comprensione, rabbia, invidia, furono tutte le emozioni che attraversarono il suo viso in un istante. Gelosia.
– Cosa diavolo stai facendo con quella? – strillò, senza nemmeno chiedere il permesso per entrare. Si fiondò su Duncan e lo strappò dalla presa di Courtney.
– E tu, stronza che non sei altro, hai deciso di approfittare di un uomo ubriaco, vero? – sbottò la Gotica, all’indirizzo della donna che era rimasta a bocca aperta. Duncan, ora in uno stato quasi comatoso, osservava entrambe senza proferir parola.
– Cosa ci facevi qui? – sibilò Gwen, strattonando il suo ragazzo. Quello rispose con un mugugnare indistinto.
– Cosa ci facevi qui? – ripeté, strattonandolo con violenza. Duncan, di nuovo, rimase in silenzio. Courtney osservò quello scambio di battute con un certo astio prima di accorgersi dell’ingombrante presenza di Gwen nel suo salotto.
– Violazione di domicilio – sibilò, metodica, gli occhi accesi da un lampo di vittoria. Gwen alzò gli occhi verso di lei, senza comprendere.
– Si chiama “violazione di domicilio”. Il fatto di essere entrata in casa mia senza essere stata invitata – le spiegò sommariamente Courtney, con un sorrisetto mellifluo.
– Guarda, Principessa, che sono venuta a riprendermi questo buzzurro. Era ubriaco ed è fuggito da casa mia. L’ho inseguito e ho trovato la sua auto giusto qui – spiegò, con calma. Courtney alzò educatamente un sopracciglio.
– Violazione di domicilio – ripeté, come se quelle tre parole potessero infonderle una forza sovraumana – Il che vuol dire che o uscite tutti e due molto in fretta da qui oppure chiamo la polizia.
***
Bzzzz.
“… Per questa mattina non ho molto
da dire, care ascoltatrici. Avete presente
quando combinate un guaio molto, molto
grosso e perdete una persona a cui tenete?
Una persona che amate?
In quel caso, vi consiglio soltanto una cosa:
prendete una corda e impiccatevi.”

 
 
 

   
 
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