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Autore: Shichan    06/08/2013    7 recensioni
Il basket e Aomine l’avevano salvato.
Ma c’era stato anche un tempo – e se ne vergognava terribilmente – in cui aveva maledetto entrambi con tutte le sue forze.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Altri, Daiki Aomine, Ryouta Kise
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Ryouta lo guardò, incerto se girarsi e andarsene o se aspettare di capire cos’avesse davvero in mente Akira. Non credeva che l’altro avrebbe davvero fatto qualcosa di dubbio gusto, vista la sua affermazione di poco prima, in cui si era detto fedele a Jun e Kise non ne dubitava: nell’insieme di cose – molte – che non conosceva né comprendeva di Akira, i suoi sentimenti per l’altro modello erano una delle poche certezze. D’altronde non gli sembrava nemmeno il tipo da metterlo nei casini con qualche altro presente nel locale… sperava.
Ancora incerto se aspettarsi un agguato da un momento all’altro da parte di qualcuno o meno, mosse impercettibilmente il piede di mezzo passo indietro. Lungo i fianchi strinse un poco i pugni e indurì, forse senza nemmeno rendersene conto, lo sguardo; Akira, scostatosi nuovamente mettendo una discreta distanza tra i loro volti, lo osservò rimanendo in silenzio per il tempo necessario a studiarlo.
Poi sospirò e si sedette su uno sgabello del bancone: «Siediti, va.» disse solamente, indicandogli il posto libero vicino e sistemandosi in modo da dare il fianco al resto della sala e poterla quindi osservare senza doversi girare in continuazione. Incerto, Ryouta si mosse fino ad accomodarsi e alternò lo sguardo da Akira alla sala, per poi tornare sul ragazzo.
«Devo aspettarmi che mi porterai al bagno per fare qualcosa di strano?» chiese in maniera volutamente stupida, un po’ per smorzare la tensione e un po’ per sondare il terreno senza darlo troppo a vedere.
«Piuttosto una bambola gonfiabile.» replicò il più grande senza nemmeno provare ad essere cortese, ma proprio quell’uscita così naturale e priva di fronzoli fece sciogliere Kise in un ridacchiare leggero e divertito, certamente più rilassato di poco prima.
«Una birra per me e qualcosa da minorenne per lui.» ordinò al capo «Ma tieni pronti gli alcolici pesanti, potrei averne bisogno a seconda della piega che prende la discussione.» aggiunse sarcastico, ricevendo in risposta dall’uomo niente più di un sorriso divertito prima che si allontanasse verso i boccali.
Dal momento che non sembrava intenzionato a parlare subito – forse stava ponderando su come affrontare il discorso, qualunque esso fosse – Kise si prese del tempo per osservare con un po’ più di attenzione la sala. Un solo tavolo era occupato da quattro persone e, a vederlo da lì, se non avesse saputo che erano in un locale per omosessuali Ryouta non avrebbe pensato ad altro che ad un gruppo di amici, magari di vecchia data, che aveva organizzato un’uscita. Contestualizzato, invece, gli era venuto spontaneo domandarsi se non fosse per caso un appuntamento a quattro.
Poco lontani da loro, altri due ragazzi occupavano un tavolo: senza essere troppo invadente nell’osservarli, notò che le loro mani si sfioravano con naturalezza sopra il tavolo. Subito dopo il loro ingresso nel locale doveva essere entrato anche un altro uomo, perché Kise notò che il cameriere piuttosto “amichevole” nei suoi confronti gli aveva appena lasciato un bicchiere d’acqua allontanandosi per dargli il tempo di decidere cosa ordinare.
Magari, si disse, aspettava qualcuno o pensava di conoscerlo lì?
«Benvenu— Aya-chan!» salutò il ragazzo, notando sicuramente in un secondo momento un volto conosciuto; spostando d’istinto lo sguardo verso l’ingresso, Kise notò che erano appena entrate due ragazze: mano nella mano, una delle due stava ridendo divertita mentre l’altra – forse proprio “Aya-chan” – sembrava prendere in giro scherzosamente il cameriere.
«Minako-san.» fu il saluto più discreto ma altrettanto famigliare del barman. Stavolta Ryouta fu abbastanza sicuro che il proprio viso dovesse aver mostrato un’espressione sorpresa: pur vestendo una camicia e una gonna nera dal taglio classico, ad aver varcato la soglia del locale e a dirigersi ora verso lui ed Akira al bancone era certamente un uomo.
I capelli lunghi e ricci erano raccolti in alto, lasciando qualche boccolo ribelle ad addolcire un poco lineamenti marcati e innegabilmente maschili; aveva un sorriso furbo e che trasmetteva buon umore, notò, un fisico imponente per una donna e un’altezza poco consona allo standard femminile nipponico, così come la corporatura.
«Shige-san—ah, se non è Akira-chan!» esclamò riconoscendo il ragazzo che non aveva ancora aperto bocca dopo l’ordinazione, che in quel momento il barman gli stava posando proprio davanti.
Forse perché fino a quel momento Akira si era sempre rivolto alle persone che avevano incontrato insieme – o a lui stesso – con un’ironia a volte quasi sgarbata, ma Ryouta non poté che stupirsi di fronte al sorriso gentile che rivolse alla persona chiamata “Minako”.
«Minako-san, non ti facevi vedere da un po’. Il tuo fidanzato ti tiene per sé?» domandò con un’ironia bonaria, cortese; lei rise e gli diede una pacca sulla spalla: «Macché, siamo così impegnati con il lavoro tutti e due che poco manca dover prendere delle ferie per vederci! Ma è un periodo incasinato al lavoro, lo sai – a proposito, quand’è che tu e Junjun tornate a trovarci? Guarda che noi ragazze non vi mangiamo mica!» lo prese in giro amichevolmente, prendendo posto dal lato libero accanto al ragazzo, opposto a dov’era seduto Kise.
Osservò Akira prendere un sorso della propria birra e poi tornare a guardarla: «Sai che con il lavoro di Jun è difficile riuscire a venire spesso, ma appena possiamo veniamo a trovarti, promesso. Ah, giusto» aggiunse, scostandosi appena con lo sgabello per rendere visibile Kise: «Lui è Ryouta, un kohai di Jun sul lavoro. Stesso ambiente, quindi profilo basso.» spiegò con quella frase che sembrava quasi in codice, per com’era stata pronunciata e alla quale Minako annuì, per poi piazzargli una mano quasi sotto il naso.
«Ryou-kun? Minako, piacere. Sei nuovo, eh? Non solo del locale, dico.» affermò, facendogli un occhiolino complice al quale, per una manciata di secondi, Kise non seppe come rispondere.
Si risolse a stringere innanzitutto la sua mano, annuendo non troppo convinto di cosa implicasse farlo: «Sì, esistono anche i transessuali Ryouta.» lo sfotté Akira, intuendone la perplessità forse e causandogli un rossore leggero per l’imbarazzo del momento; non ci faceva una gran figura con la diretta interessata.
«Akira-chan, non essere antipatico. E tranquillo, Ryou-kun, sono felicemente impegnata e non attratta dagli sbarbatelli.» fece presente, con una naturalezza invidiabile, tanto quanto la sagacia. Doveva essere molto più abituata alla perplessità altrui, piuttosto che alla loro spontaneità.
«No, non stavo pensando che volessi farmi la corte, Minako-san.» assicurò con un sorriso, forse non pregno della disinvoltura che aveva davanti ad una macchina fotografica, ma sincero: «E smettila di trattarmi come se dovessi svenire ad ogni persona che mi presenti.» borbottò rivolto ad Akira, guardandolo di sottecchi e notandone il sorrisetto divertito.
«Oh, ma io mi aspetto che tu svenga. Contavo su Minako-san, ma a quanto pare…» lasciò in sospeso, bevendo un altro sorso della propria bibita.
«Ignoralo, Ryou-kun. Ora dice così, ma la prima volta era molto più spaesato di te.» confidò Minako con fare cospiratore «Sembrava uno obbligato a venire in certi locali perché perde una scommessa o cose del genere. E quando qualcuno ha fatto un apprezzamento del tutto innocente sul suo fondoschiena è diventato così rosso che sembrava quasi adorabile. Poi tutta quella sua pudicizia si è persa.» concluse il racconto con un sospiro melodrammatico che fece ridacchiare il modello.
«Non era innocente, era una palpata sostanziosa ed era la prima volta che vedevo un omosessuale oltre Jun. Non sapevo nemmeno se lo ero io, fai te. E non sono arrossito, cercavo di decidere se scappare o mollargli un pugno. Quindi non sono mai stato adorabile, tanto per cominciare.» corresse meticolosamente punto per punto, bevendo ancora; ma ciò che attirò l’attenzione di Kise fu una cosa in particolare.
«Non sapevi se eri omosessuale?» chiese, palesemente interessato, ed Akira non se ne stupì di certo.
Sospirò appena, quasi scocciato, mentre Minako allungava una mano a scompigliare i capelli di Ryouta con una familiarità che lo mise un poco a disagio, essendo quello il loro primo incontro dopotutto: «Sembra che Akira-chan debba farti un discorso serio, ed io conosco già la storia. Divertitevi, e spero di vederti presto, Ryou-kun.» salutò allegra per poi avviarsi verso i tavoli.
Kise non la seguì con lo sguardo fino ad uno di essi, maggiormente interessato a quanto l’altro avesse da dire.
«Quando Jun si è dichiarato, ero messo più o meno come te. Sapevo che mi piaceva stare con lui, ma non avevo mai pensato al senso fisico della cosa. Mi obbligavo a non pensarci.» ammise, facendo una breve pausa quasi a dargli il tempo di assimilare la cosa: «Ad ogni modo non ti ho portato qui per raccontarti i fatti miei. Girati.» ordinò quasi, facendolo lui per primo in modo da dare le spalle al bancone e avere lo sguardo libero di vagare per il locale. Kise lo imitò, cercando con gli occhi qualcosa, sebbene non sapesse di preciso cosa Akira volesse mostrargli lì e che non potesse essere trovato altrove.
«Alcuni di loro sono clienti abituali, a quest’ora difficilmente vengono altri nuovi. Quello sulla sinistra, con altri tre uomini al tavolo, è Inoue-san. Lui e l’uomo che è seduto vicino a lui sono insieme da quasi un anno. La sua relazione precedente gli ha lasciato una cicatrice e non sto parlando per metafore: ha rischiato davvero grosso perché il suo partner precedente era uno stronzo violento.» spiegò, senza risparmiarsi i propri commenti personali, benché nel tono con cui raccontava non ci fosse pietà ma rispetto, per Inoue.
Spostò lo sguardo verso le due ragazze entrate prima di Minako, che nel frattempo avevano preso posto e fatto le loro ordinazioni: «Aya, la ragazza più alta. Una collega di lavoro ha scoperto per caso che stava con la sua ragazza e lo ha detto sul posto di lavoro. L’hanno licenziata, con una scusa chiaramente, ma è ovvio che è stato per il suo orientamento sessuale. Vive lontana dalla famiglia, quindi è stata davvero nei casini. Per un periodo il capo l’ha persino ospitata nell’appartamento che c’è qua sopra.» raccontò brevemente. Usava un tono in un certo senso incolore, eppure a Ryouta sembrava ci fosse una sfumatura di puro risentimento – non che sentisse di potergli dare torto: al di là di tutto, dal punto di visto umano era uno schifo.
«Minako ha avuto un sacco di problemi, e Jun la conosce molto meglio di me, quindi non so tutto. Ma puoi immaginartelo, se ti dico che ha una figlia e che da quanto ne so non la vede da almeno due anni: di sicuro non l’ha presa bene, anche se meglio di tutti gli uomini che le hanno rivolto insulti che sono davvero troppo persino per me.» concluse con un sospiro e uno sguardo alla donna che al momento rideva scambiando due chiacchiere con il cameriere.
Tornò su Kise: «Non te lo sto dicendo per fare terrorismo psicologico, anche se penso che non sia un male per te farti un’idea di un sacco di cose che potrebbero succederti se sapessero del tuo orientamento sessuale. Perché non importa se hai qualche amico che lo accetta e che va oltre, o se nell’ambiente in cui lavori è più “diffuso” e quindi sembra ben visto. Fa schifo, Ryouta. Per ogni persona che ti accetta ce ne sono almeno dieci che ti insulteranno in ogni modo possibile e che calpesteranno tutto di te: sentimenti, dignità, tutto. Non importa se io o Jun, o tutte le persone che vedi qui sappiamo che non c’è nulla di male, che non cambia assolutamente nulla tra amare un uomo e amare una donna. Agli altri non interessa. Per gli altri sarà sempre uno schifo, una vergogna o un abominio. Ne sei consapevole, vero?»
Kise non annuì subito. Non sapeva se a stupirlo fosse la serietà di Akira o la crudezza con cui diceva quelle cose, pronunciate – al tempo stesso – con una sincerità spiazzante.
«Ma» riprese «c’è un’altra cosa. Tutti qui hanno avuto e hanno ancora i loro problemi, dovuti a quello che sono e a quello che sentono. Li ho avuti anche io.» fece una breve pausa, puntando con decisione lo sguardo in quello del più giovane: «Ma nessuno mai si sfoga sugli unici amici che sarebbero disposti a stargli vicino. Io non conosco quella ragazza con cui stavi parlando, ma ti sei sentito? Ti stai isolando da persone che potrebbero accettarti… anzi, visto che non penso ci sia nulla da “accettare”, diciamo che ti stai allontanando da persone che ti vogliono bene e che potrebbero essere quelle che non smetteranno di farlo quando gli dirai che ti piace un uomo, se è così che sarà. E posso assicurartelo: di persone come quelle ne hai davvero bisogno.» disse, tornando quindi a sorseggiare la sua bevanda.
Ryouta tacque, a disagio.
Non per il locale, non per l’intimità del discorso appena affrontato con Akira, non per l’essere a conoscenza di dettagli dolorosi della vita di persone di cui conosceva a malapena il nome.
Era a disagio, cosciente di quanto immaturo sarebbe sembrato ai loro occhi se avessero ascoltato quello che Akira aveva involontariamente origliato al locale con Momoi.
 

Quando la sera era rientrato a casa era convinto di aver compreso, alla fine, cosa Akira avesse voluto dire.
Si era ripromesso, quando era quasi arrivato ormai, di chiamare presto Momoi e scusarsi non solo per l’improvvisata dell’altro ragazzo ma, soprattutto, per come le si era rivolto. Pensandoci a mente fredda sapeva che la ragazza non lo aveva fatto per impicciarsi o per fargli la paternale, quanto più perché – ai suoi occhi – quel suo atteggiamento doveva essere sembrato un pessimo segno, memore di quanto avvenuto già una volta alle medie. Momoi era forse, fra loro, la persona che aveva sofferto maggiormente di tutto quel distacco, incapace di fare alcunché per evitarlo.
Dallo scusarsi con lei al parlare con Aomine dei suoi problemi – di cui lui era inconsapevolmente la causa – si parlava però di tutt’altra questione; per questo ricevere un sms da lui era stato del tutto inaspettato.
Che è successo con Satsuki?
Avrebbe potuto rispondergli una qualsiasi cavolata, se Momoi non fosse stata una ragazza diversa dalle altre: l’aver passato anni ad essere la manager della Teikou e, in generale, l’essere amica d’infanzia di uno come Daiki l’aveva resa meno toccata dalle sciocchezze medie di molte ragazze della sua età. Il che era un bene, perché Momoi era una delle persone più in gamba che conoscesse… ma ciò significava anche che inventare una bugia credibile fosse molto più complicato.
Così, alla fine, non aveva risposto all’sms fino al mattino seguente: si era scusato per non aver scritto immediatamente – dando la colpa ad un impegno per il quale aveva dovuto spegnere il telefono – e aveva promesso di scusarsi con Momoi per essersene andato via in fretta e furia a causa di un problema improvviso di un suo collega, motivo per cui era stato prelevato.
Non aveva aggiunto altro, come se non ci fosse stato altro problema o altra mancanza oltre quello.
Per questo ritrovarsi Aomine davanti una volta uscito dalla palestra dopo gli allenamenti aveva minato alla sua psiche e alla sua tranquillità emotiva; si era gelato sul posto.
«A-Aominecchi.» salutò, cercando di imporsi una certa spontaneità e un sorriso di quelli che aveva sempre rivolto all’ex compagno di squadra, anche se dubitò di aver reso il tutto come avrebbe voluto; Daiki aveva incurvato le labbra in un mezzo ghigno che Ryouta avrebbe riconosciuto sempre, ossia quello di quando era profondamente seccato da un atteggiamento. Gli si avvicinò senza tante cerimonie, passandogli un braccio attorno alle spalle – sembrava un gesto amichevole, ma a Kise sembrò più una mossa per assicurarsi che non fuggisse adducendo qualche scusa.
«Kise, bastardo…» iniziò e ciò confermò tristemente l’idea che si era fatto di quell’approccio «Sarà meglio per te se non devi andare al lavoro.»

Si erano spostati, lasciando il terreno scolastico e camminando per un tratto in silenzio.
Ryouta da parte sua non aveva idea del perché della sua presenza lì – che Momoi gli avesse parlato del loro incontro, dicendogli anche della sua chiara intenzione di evitarlo? – e non osava introdurre l’argomento o anche solo stimolare la conversazione; d’altra parte il silenzio di Daiki, che non era noto per essere una persona propensa a pesare le parole, lo preoccupava anche più di tutto il resto.
«Aominecchi» azzardò ad un certo punto «gli allenamenti…?»
«Avevo da fare da queste parti.» tagliò corto, implicando l’aver bigiato, sebbene avesse ripreso ad allenarsi tempo addietro con una certa costanza e avesse continuato da quanto ne sapeva. Era anche un’evidente bugia: qualunque cosa volesse acquistare dubitava che non si trovasse nella sua zona, o che andasse a comprarla senza Satsuki; o, ancora, che fosse così urgente da non poter aspettare il week-end.
Era una casualità troppo ovvia per risultare credibile.
Fu una vera fortuna, perso nei propri tentativi di indovinare cosa passasse per la testa di Daiki, se si accorse del fermarsi dell’altro prima di finirgli addosso; si guardò attorno per qualche breve istante, riconoscendo un parco della zona.
Aomine si voltò verso di lui, le mani in tasca e l’aria seccata: «Allora, cos’è successo con Satsuki?» domandò senza tanti giri di parole, sorprendendo Kise. Si era aspettato una domanda diversa – e molto più catastrofica, difficile da aggirare, come “perché mi stai evitando?” – ma non quella, a cui pensava di aver già risposto al telefono.
«Un collega aveva avuto un problema e la mia manager ha il segnale del gps del mio telefono per quando deve venirmi a prendere da qualche parte.» iniziò, ricordando perfettamente la versione scritta con tanta cura nel messaggio di quella mattina «Avevo detto di dovermi incontrare con un’amica delle medie, chiacchierando del più e del meno, e devo aver nominato la zona. Mi hanno visto da fuori il bar dov’eravamo, uno dei ragazzi è entrato e mi hanno quasi portato via di peso. Mi dispiace se Momoicchi è rimasta sola—»
«Se hai finito con le stronzate, non ho tutto il pomeriggio.» lo interruppe Daiki, fissandolo mortalmente serio. Kise tacque, deglutendo e forzando su se stesso una certa calma: era abbastanza sicuro che la convinzione di Aomine sul suo stare mentendo – o sul non stare centrando il punto della questione che gli interessava – fosse dovuto a qualcosa che sapeva e non al fatto di essere suonato poco convincente.
Non c’era ancora bisogno di agitarsi, si disse.
«Allora dimmi cosa vuoi sapere, perché non mi viene in mente altro a parte essermene andato in fretta e furia e magari averla fatta preoccupare.» ribatté, più a tono di quanto avrebbe voluto o pensato di fare.
Dopotutto, aveva sempre affrontato Daiki a testa alta, tanto sul campo da basket quanto fuori, almeno per quel che il ragazzo da un certo punto in poi gli aveva permesso alle medie; ma lui stesso – Kise – era stato preso da ben altro, durante gli anni della Teikou.
«Satsuki non me lo ha detto, ma so che c’è qualcosa che non va. Non so di che avete parlato, ma tu sei quello che ultimamente le dice sempre di non poter venire quando ci vediamo, giusto? Che problemi hai?»
«Lavoro, Aominecchi. Ed è ingiusto quello che dici. Pensavo avessimo già chiarito riguardo il tuo compleanno, visto che non ero l’unico assente, no?» fece presente, un vago e inconscio accenno di broncio. Sentì Daiki inspirare forte dal naso.
«Sì, ho capito, non è quello il punto.» tagliò corto «Ma le hai anche detto di non chiamarti, no?» domandò, causando in lui la stessa sorpresa che se gli avesse lanciato improvvisamente un petardo acceso in mezzo ai piedi.
«…Te lo ha detto lei?»
«L’ho capito da solo. Un momento prima era lì a chiamarti, quello dopo diceva che eri impegnato senza nemmeno averti mandato un messaggio. Ci sono arrivato persino io.» sbottò.
Se lo sarebbe dovuto aspettare, pensò Kise: Aomine aveva sempre sostenuto che Momoi fosse una seccatura, con il suo fargli da mamma e riprenderlo su almeno la metà delle cose che faceva, eppure erano cresciuti insieme e Ryouta sapeva – forse meglio di chiunque altro, dopo il tempo passato ad osservare Aomine anche al di fuori del campo da gioco – che non era davvero infastidito da lei e dalle sue attenzioni e che lamentarsene era solo un modo burbero di dire che le era grato, anche se spesso poi non seguiva i suoi consigli.
Avevano il legame speciale tipico degli amici d’infanzia, ed era chiaro che ad un minimo accenno di problema serio tra Satsuki e un ragazzo Aomine saltasse su con un fare protettivo tutto suo, anche se quel ragazzo era lui, che di certo difficilmente poteva ferire Momoi da un punto di vista amoroso.
Difficilmente.
Quel pensiero lo colpì con tanta forza quanta era stata l’apparente naturalezza con cui si era riscoperto a formularlo. Perché mai “difficilmente”? Non certo perché Satsuki non fosse bella o cose del genere, né si poteva dire che non gli piacesse anche nel complesso.
Perché le era stato vicino abbastanza da non riuscire a vederla in altro modo che come amica?
«Quindi?» lo incalzò Aomine, impaziente, muovendo un passo in avanti quasi ad esortarlo anche con la gestualità oltre che con le parole.
Perché era una ragazza.
O perché non era Daiki.
«… Forse ho detto delle cose non molto gentili.» ammise, sentendosi prendere per il bavero neanche un istante dopo e ritrovandosi il viso di Aomine – con espressione tutt’altro che amichevole – ad una distanza così esigua dal proprio che, per un momento, il sussurro provocatorio di Akira nel locale gli sembrò molto meno imbarazzante dell’intera situazione.
«Se scopro che hai—»
«Non l’ho offesa, per chi mi hai preso?» sbottò immediatamente senza neanche lasciarlo finire, intuendo con una facilità quasi sconvolgente cosa si stesse agitando nella sua testa «Voglio bene a Momoicchi, e non faccio così schifo da permettermi di dirle certe cose. O di dirle alle ragazze in generale.» puntualizzò.
La cosa parve convincere Daiki abbastanza da lasciarlo andare, la camicia sgualcita lì dove era stata afferrata con foga.
Se la sistemò distrattamente con la mano: «Abbiamo parlato del perché ultimamente avessi rifiutato gli inviti.» iniziò con quanta più calma possibile cercando, al tempo stesso, di pensare in maniera quasi febbrile a cosa aggiungere. Non voleva mentire, ma non aveva nemmeno intenzione di dire la verità che aveva taciuto alla stessa Momoi.
«E ho detto che non è un buon periodo. Sono stressato per problemi miei, e lavoro davvero la maggior parte del tempo.» continuò, perché dopotutto non era una bugia quella: si era oberato di ingaggi di proposito, per quanto possibile «E quando siamo andati sul personale ho detto che non aveva diritto di chiedermi niente. Non sarò stato gentile, ma non era sbagliato. Però mi scuserò perché non era quello il modo per dirlo.» concluse.
Aomine non sembrava totalmente convinto, ma chiaramente non aveva nemmeno nulla a cui aggrapparsi a parte suoi eventuali sospetti su quanto Kise potesse essere o meno sincero. Sospirò, portando una mano a grattarsi la nuca, come se non sapesse bene nemmeno lui come placare l’insoddisfazione evidente per quella spiegazione povera di dettagli.
«Sarà meglio.» rimarcò innanzitutto «E poi che ne so, ha detto che te ne sei andato con un tizio e che era preoccupata.» borbottò, lasciando Ryouta perplesso per qualche istante.
«Akira-san è un mio conoscente, e non ha quest’aria così pericolosa da doversi preoccupare.»
«Sarà un altro modello.»
«Non proprio, ma diciamo che lo conosco nell’ambiente. E comunque non sono affari tuoi, Aominecchi. O sei geloso?» lo prese in giro, pentendosene l’istante dopo.
«Ah? Ma figurati, fai come ti pare, io dico solo quello che mi ha raccontato Satsuki.» sbottò sgarbato, anche se non più del solito.
Ryouta tacque, dandosi dell’idiota; a volte se le cercava proprio, eh?


Dopo l’improvvisata di Aomine avrebbe voluto chiamare Jun, ma sapeva che l’altro sarebbe stato impegnato con il lavoro e quindi aveva evitato.
In parte, aveva dovuto ammetterlo almeno con se stesso, non aveva provato a chiamarlo al telefono anche perché si sentiva abbastanza stupido: benché l’altro modello gli avesse più volte ribadito di essersi preso a cuore la sua situazione – e, dopotutto, lo avevano ampiamente dimostrato sia lui che Akira – Ryouta sentiva ancora una sorta di disagio nel ritrovarsi a riferirgli ogni più piccolo sviluppo.
Aveva anche l’impressione, a volte, che stesse abusando di una cortesia magari mostrata per simpatia ma anche per educazione; era difficile non confidarsi con persone che conosceva da molto più tempo, e imparare contemporaneamente a considerare fidate altre con cui aveva legato solo di recente e per caso, come lo stesso Jun.
Tuttavia, gli erano ormai chiari almeno due punti: era attratto da un ragazzo ed era attratto da Aomine in quanto Daiki.
E questo, per il momento, bastava e avanzava a complicargli la vita senza il bisogno immediato di scoprire se lo stesso sarebbe stato con un qualsiasi altro uomo da lì in avanti – e non era nemmeno interessato a sapere dove sarebbe dovuto andare e come si sarebbe dovuto comportare per scoprirlo. A quasi diciassette anni già vedersela con la propria sessualità per la prima volta dopo anni di convinzioni evidentemente errate era abbastanza.
«Pronto?»
«Momoicchi.» salutò allegro, il sorriso sulle labbra mentre scendeva dal taxi di fronte agli studi dove doveva lavorare quel giorno. Normalmente si sarebbe occupata la sua manager di andarlo a prendere e accompagnarlo, ma aveva dovuto precederlo per gli ultimi accordi con il fotografo, o così gli aveva scritto.
«Ki-chan!» ribatté la ragazza dall’altro capo del telefono, di certo sorpresa dalla chiamata.
«Cos’è, il bastardo finalmente chiama per scusarsi?» sentì pronunciare dalla voce di Aomine; nonostante tutto, mentre coglieva Momoi riprenderlo con un “Daichan stai zitto!”, li sfuggì uno sbuffo divertito.
«Scusa Ki-chan, ignoralo. Dimmi.» riprese con tono più dolce rivolta a lui.
«In realtà Aominecchi ha indovinato.» ammise «Mi dispiace per l’altro giorno. Sia per essermene andato di fretta, sia per quello che ho detto… per come l’ho detto, in realtà. So che ti stai solo preoccupando per me.» pronunciò con gentilezza.
Non ne fu certo, ma gli sembrò di sentirla sospirare sollevata, benché stesse evidentemente cercando di nasconderlo: «Dispiace anche a me. Avevi detto che non era un buon periodo e—»
Sentendola interrompersi Daiki, che aveva guardato distrattamente una vetrina di articoli sportivi, spostò lo sguardo verso di lei, incuriosito; la curiosità si affievolì quando notò dapprima uno sguardo confuso sul viso di lei e, poco dopo, la preoccupazione sostituirsi all’espressione avuta fino a poco prima.
«…Ki-chan? Mi senti?» provò, scostando il telefono dal viso per controllare che la chiamata fosse ancora in corso, premendolo poi nuovamente contro l’orecchio.
Vederla sbiancare gli diede la conferma che qualcosa non andava.
«Ki-chan!» esclamò, lo spavento ormai palpabile nel tono di voce.
«Ohi Satsuki, che succede?»
«Io- Non lo so, Daichan. Stavamo parlando, poi si è sentito un gran trambusto, non ho capito…» prese a spiegare agitata, risultando persino meno comprensibile di quanto dovesse essere stato per lei da sentire direttamente.
«Gli sarà caduto il telefono, o avrà dovuto spegnerlo al lavoro come al solito.» osservò, anche se aveva la fastidiosa sensazione che non fosse nulla di così semplice.
«Sembrava… la voce della sua manager.» mormorò, mettendo sbrigativamente il cellulare nella borsa e iniziando a camminare.
«Ohi, fermati un attimo!» sbottò affiancandola in mezza falcata: «Si può sapere che cacchio hai sentito? Che ha detto, dove—Satsuki» chiamò fermandola per la spalla, forse anche più bruscamente di quanto avrebbe voluto.
«Non lo so, ho sentito nominare l’ospedale e Ki-chan non ha più risposto!»

 

 

 

 

So che in questo momento mi state amando tantissimo 8D
Ad ogni modo, poche parole e un avviso: difficilmente questa fan fiction sarà aggiornata prima di Settembre inoltrato, a causa di due contest (con scadenza a fine Agosto e a Settembre) e di quel magnifico mondo che sono gli esami.
Potrei anche avere un momento di follia e fare un tour de force di una giornata e partorire il capitolo, ma siccome deve essere proprio un momento di ispirazione fulminante, sarà difficile.
Approfitto di questo spazio per fare gli auguri (con qualche giorno di ritardo) a OhBirds: è molto troll da parte mia dedicarti questo capitolo per il compleanno, ma tanto mi minacceresti comunque, perciò tanto vale <3

   
 
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