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Autore: virgily    07/08/2013    1 recensioni
-Voi non siete umana- disse, con un misto tra stupore e curiosità che riuscirono a farlo sorridere -Ma giuro che scoprirò che cosa siete…-
-Chissà, forse un giorno ci riuscirete. Non dimenticatevi, nel frattempo, che sono uno spirito di non poco conto, mio caro- si cucciò su di lui, accorciando pericolosamente le loro distanze. Riario riusciva a percepire il suo fiato caldo carezzargli il volto, e il suo profumo quasi palpabile. Silenziosamente, il conte cominciò a pregare il suo dio, chiedendogli di essere forte. Detestava doverlo ammettere, ma saperla così vicina al suo misero corpo di essere umano e indegno, legato ancora agli istinti primordiali della terra, era come la più piacevole delle torture. Si inumidì le labbra, socchiudendo appena le palpebre quando sentì le sue labbra sfiorargli il lobo sinistro:
-Prendetevi cura di ciò che mi spetta. Ho riposto molta fiducia in voi- e sollevandosi di pochi centimetri, audacemente rubò un bacio a fior di labbra al giovane conte, per la prima volta inerme sotto di lei.
Genere: Erotico, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Girolamo Riario, Leonardo da Vinci, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Spesso, è dal disprezzo stesso che nasce il desiderio


Molte lune si erano susseguite dalla notte del loro incontro. Sebbene il conte Riario continuasse assiduamente a frequentare la corte papale, il giovane non ebbe più l’occasione di rivedere, anche solo di sfuggita, la giovane donna, o per meglio dire creatura, che in quella buia e silenziosa camera da letto aveva allettato la sua assetata curiosità, spingendolo ad un fatale giuramento: “Scoprirò che cosa siete” non lo aveva dimenticato. Ma tra le missioni in incognito, le trattative con i De Medici e le indagini sulla volta celeste il tempo sembrava scorrergli via di mano senza mai bastargli. Oltretutto, la misteriosa “scomparsa” di madonna Ermia certo non giovava al suo folgorante desiderio di smascherarla. Anche quella notte, nei bagni papali in udienza con suo zio e Lucrezia Donati, Girolamo per un decimo di secondo pensò a lei. Il suo corpo con un grave tonfo aveva pesantemente raggiunto il suolo, e un caldo formicolio gli stava gonfiando il viso all’altezza dello zigomo. Senza alcuna pietà, lasciandosi pervadere da un impulso d’ira, Papa Sisto IV lo aveva colpito in pieno volto, inveendogli contro con parole violente e offensive che certamente avrebbero ferito chiunque, tranne lui. Ogni suo insulto gli scivolò di dosso e con i segni ancora rossi del colpo subìto Girolamo volse lo sguardo al suo venerabile zio, che torreggiava su di lui con occhi cattivi e bagnati di odio e ribrezzo nei suoi confronti, mantenendo la sua malsana inespressività. Non gli importava cosa pensasse di lui, aveva fallito e non poteva opporsi alle conseguenze che gli sarebbero ricadute contro. Lucrezia restava in un angolo, con lo sguardo basso ma non per riverenza. Semplicemente non voleva guardare. Tremava, aveva paura. Girolamo poteva osservare un velo di terrore mascherarle l’ovale roseo.
-Incapaci! Possibile che sia circondato da buoni a nulla?!- sbraitò il santo padre attirando su di sé l’attenzione dei due giovani
-Una semplice richiesta vi avevo fatto: tenere d’occhio gli affari di Lorenzo De Medici e cercare una chiave. E invece non solo la troia che spia i De Medici quasi non si lascia scoprire, ma anche il bastardo incaricato di prendere una piccola chiave torna indietro a mani vuote! Dovrei tagliarvi la gola seduta stante, e farmi il bagno nel vostro sangue se non fosse che disgraziatamente siete ambedue miei nipoti!- ringhiò in un primordiale impeto animalesco, arrancando contro il corpo semi disteso del giovane conte ai suoi piedi. Con rabbia lo afferrò per il colletto merlettato della casacca scura, sollevandolo con veemenza così da portare il volto affilato e inespressivo del giovane Riario contro il suo:
-Vedi di porre rimedio a questo pasticcio. O tu sarai il primo a pagarne le conseguenze- affermò sibilando a denti stretti, con la mascella contrita e le rughe marcate come segni evidentissimi che la sua irascibilità stava raggiungendo livelli mai toccati prima. Girolamo rimase in silenzio, lasciandosi infilzare dallo sguardo vigile e velenoso di suo zio. Non una parola volò più tra loro, ma per secondi interminabili si fissarono come per sugellare una sanguinosa promessa che sua santità avrebbe mantenuto senza alcuno scrupolo. Fu proprio in quel momento, che spezzando quell’asfissiante silenzio che era calato su di loro, il grande portale d’ingresso ai bagni papali venne aperto senza alcuno sforzo da due massicce guardie, lasciando entrare una dolce figura vestita d’avorio. Nella sfumatura ambrata dei suoi occhi vi si poteva leggere il riflesso dei due uomini a terra cucciati l’uno sull’altro che immediatamente avevano smesso di guardarsi. Sisto, infatti, aveva immediatamente lasciato la presa su suo nipote, e ricomponendosi alla buona lasciò immediatamente raffreddare i suoi bollenti spiriti. Osservando impietrito il repentino sbalzo d’umore di sua santità, Girolamo immediatamente sentì come un brivido arrampicarsi lungo tutta la sua colonna vertebrale. Prese un bel respiro profondo, voltando lentamente il capo nella stessa direzione dell’ingresso che oramai si era chiuso alle spalle della giovane donna. Eccola lì, dopo più di un mese, innanzi i suoi occhi: sostava immobile con un finto sorriso roseo dipinto sul viso, e i suoi grandi occhi puntati su di lui. Ermia stava osservando il vistoso gonfiore che aveva cominciato a prendere piede sul suo viso, e tuffandosi nei pozzi scuri del conte, sostituì quell’angelica curvatura delle labbra in un ghigno quasi compiaciuto. No, non per il fatto in sé che Girolamo fosse stato colpito, quanto più per il vigore che trasudava da ogni pigmento nocciola dei suoi grandi occhi.
-Mia signora…- la voce del santo padre fu quasi un sussurro, un bisbiglio in preda ad una visione. Lei era quella visione, quel miracolo che il signore gli aveva mandato per raggiungere i suoi alti obbiettivi.
-Spero di non aver interrotto un’udienza importante- rispose la donna distogliendo lentamente lo sguardo da Riario a Lucrezia, scrutandola con curiosità. Madonna Donati non aveva mai visto quella donna, ma da quel poco che poteva intendere doveva essere un personaggio che veniva preso molto in considerazione dal papa stesso. Una donna forte, senza scrupoli, lo vedeva in quel sorriso e in quello sguardo deciso e indagatore che le trapassava il cranio entrandole dentro. Era quasi inquietante. Immediatamente Sisto scosse il capo, sorridendole gentile:
-Assolutamente!- disse, poi rivolse uno sguardo severo ai suoi nipoti parlandogli con freddezza –Sparite!-
Lucrezia allora fiancheggiò il giovane, che agilmente tornò in piedi. Camminarono con ampie e coordinate falcate verso l’uscio, ma al contrario di sua cugina, Girolamo teneva lo sguardo alto. Un’occhiata che inevitabilmente andò a scontrarsi con quella della donna misteriosa, e mano a mano che si avvicinavano l’un l’altra, l’aria si fece più pesante, percepibile lungo le loro spalle, mentre una scossa scuoteva le membra del conte di Imola e Forlì. Il portale si chiuse nuovamente, questa volta lasciando il santo padre con la sua bellissima visione in carne ed ossa.
-Non avete una bella cera, Francesco…- constatò la donna avvicinandosi a lui, lasciando che il sottile strascico della veste aderente e candida scivolasse lungo il pavimento, come il corpo affusolato e insidioso di un serpente –Siete forse in pena per qualcosa?- domandò poi fiancheggiandolo, legandosi al suo braccio. La mano grande e rugosa dell’uomo immediatamente andò a cercare quelle dita sottili, quella pelle vellutata e morbida che portava il profumo più inebriante e rivelatore di tutto l’incenso del Vaticano.
-Molte preoccupazioni ci affliggono, mia signora- rispose l’uomo, portandosi quella piccola mano delicata alle labbra, baciandola con devozione.
-Magari…- con un gesto soffice delle dita la giovane afferrò il suo viso per il mento, istigandolo a guardarla dritto nei suoi grandi occhi sovraumani –potremmo discutere delle vostre pene…- sussurrò piano, slegandosi facilmente dalla sua presa. Sisto IV la osservò avanzare verso l’imponente piscina marmorea dalla quale si levavano suadenti vapori. Sfilò un fermaglio di osso da i suoi folti capelli, lasciando scivolare le lunghe onde brune sulle sue spalle e la schiena. Poi si voltò appena di tre quarti sorridendogli con gli occhi mentre lasciava la veste scorrere lungo il suo corpo pallido e liscio. Un brivido proveniente dal basso ventre dell’uomo si fece veemente e caldo, e la bramosia di possesso si fece volgarmente più forte mentre la osservava immergersi in quell’acqua tiepida e limpida. Il livello si era ormai innalzato sui suoi floridi fianchi, e i capelli appena inumiditi si arricciavano lungo le sue clavicole, mascherandole i dolci seni. Ermia non ebbe alcun bisogno di parlare, la sua sola vista era un invito che per i più pii poteva essere comparato ad una carezza del diavolo stesso. Ma per il santo padre oramai era troppo tardi.

Restavano immobili, cullati dai voluttuosi flutti di quell’ampia vasca. Come un bambino, il santo padre era avvolto tra le esili braccia della donna, con i capo posato contro il suo petto. Era calda, morbida. Sapeva di buono, di angelico. Avrebbe voluto che il tempo si fermasse, lasciandogli il privilegio di sentire la sua carne giovane e celeste contro le sue umili spoglie mortali, facendogli patire brividi di piacere più appaganti di qualsiasi virtù.
-Ripetetemi ancora il suo nome…-
-Leonardo Da Vinci, mia signora- soffiò sulla sua pelle, socchiudendo gli occhi.
-Leonardo Da Vinci…- ripeté la giovane donna –Dunque lui possiede una parte della chiave…- disse, portando lo sguardo al cielo, con un sorriso sincero e genuino sollevato sulle sue labbra…
-Questo è quanto riportato da Riario…-
-Dovrei andarci…- disse improvvisamente cogliendo l’attenzione del santo padre
-Andare dove, mia  signora?- le domandò sollevando appena il capo per poterla guardare in viso.
-A Firenze. Infiltrarmi nella corte di Lorenzo De Medici e spiare al contempo lui e questo Da Vinci…-
-Ma mia signora- cominciò il santo padre –Quella città non è per voi. È intrisa di peccato e non è sicura- un ghigno divertito si scolpì sul suo pallido ovale
-Francesco…- sussurrò il suo nome carezzandogli le guance gonfie e rigate –Non sarà di certo una riproduzione squallida di Sodoma e Gomorra a fermarmi- i due si fissarono intensamente, ed il suo sorriso era così attraente che il papa non riuscì a dire altro.
-Inoltre, non sarò da sola…- aggiunse infine la donna –Riario verrà con me, giusto?-
-Certamente. Speriamo che almeno sia capace di proteggervi…- un risolino infastidito fuoriuscì dalle labbra fine della ragazza.
-Voi sottovalutate il potenziale di vostro nipote-
-Potenziale? Beh, certamente quel bastardo è bravo a togliere di mezzo i personaggi per noi scomodi. Ma non trovo ragione per cui…- non riuscì a terminare la frase che le parole gli morirono in gola. Era stata talmente veloce che neanche si era reso conto che la donna aveva stretto il suo collo con una mano, sollevandolo appena. Era una presa molto forte, segno che poteva strangolarlo in pochi attimi se solo avesse voluto. Sisto IV cominciò a boccheggiare, osservandola con un’espressione seria e occhi roventi, talmente folgoranti che le sue iridi parevano aver acquisito lo stesso calore e il dinamismo delle lingue infuocate degli inferi.
-Sono veramente mortificata di questo piccolo inconveniente sua santità- disse portando il volto del santo padre vicino al suo. L’uomo respirava affannosamente, ma il respiro e le parole della giovane parevano entrargli in bocca, nutrendolo di quel fiato che gli veniva a mancare.
-Purtroppo non sono una donna che ama essere contraddetta. Ma sono sicura che d’ora in poi non ci saranno più fraintendimenti fra di noi… vero?- dal canto suo, il santo padre annuì frettolosamente mentre il suo volto cominciava a  diventare paonazzo e lucido. Allora la donna lo lasciò andare, lasciandolo finalmente libero di respirare a pieni polmoni. Sentiva l’adrenalina nel sangue, il cuore battere fortissimo contro la cassa toracica. Poteva morire, ma lei mai lo avrebbe ucciso, ne era convinto. Ermia tornò a stringerlo fra le sue braccia, coccolandolo. Il fiato pesante e accelerato del papa che carezzava le clavicole, quasi solleticandole la pelle. Ora che era nuovamente al sicuro al suo petto, Sisto non aveva più alcuna paura, ma doveva ammettere che doveva restare cauto a ciò che diceva.
-Fidati di me Francesco…- sussurrò sorridendo al vuoto attorno a loro –Ci prenderemo ciò che è nostro- disse seriamente, lanciando quasi una sorta di sfida alla tonda luna, che pallida e silenziosa faceva capolino dall’oculo scavato nella sommità della cupola marmorea sopra di loro.

***

In tarda notte, soltanto dopo aver terminato un’altra visita al suo prigioniero nei sotterranei di Castel Sant’Angelo, Girolamo fece ritorno nei suoi appartamenti. La sua serva abissina si era dileguata, probabilmente stava dormendo nella sua camera, o magari tra le lenzuola del santo padre. Il suo zigomo aveva smesso di gonfiarsi, e cominciava ad assumere un colore purpureo. Non provava dolore, ma rabbia: contro sé stesso, contro di lei… riapparsa così all’improvviso. Si tolse la giacca scura, posandola sullo schienale della seggiola imbottita nell’anticamera delle sue stanze. I primi bottoni della sua casacca erano saltati a causa della brutale presa di posizione di suo zio, e da quella piccola scollatura s’intravedevano due lunghe catenine che custodivano, lì nel suo petto, il suo più grande tesoro: un crocifisso e una delle chiavi per la volta celeste. Sospirò piano, osservando la luce della luna ormai alta nel cielo che penetrava nella stanza, illuminando con i suoi tenui bagliori la porta che lo divideva dalla sua camera da letto. Era socchiusa, ma non gli diede importanza; piuttosto si avviò contro un piccolo tavolino che sorreggeva una coppa e una brocca di vino. Ne versò una buona quantità nel bicchiere con intarsi dorati e lo bevve tutto in un sol sorso. Liscio e corposo il vino rosso andò giù nel suo esofago come se fosse acqua fresca. Sperò che almeno per un poco il vino potesse riscaldarlo e aiutarlo a sciogliersi, o per meglio dire rilassarsi. Era teso, e non riusciva a far a meno di vagare a ritroso con i suoi ricordi, incrociando lo sguardo di quella donna fastidiosa e pericolosa. “Che cosa sei tu?” le aveva domandato cattivo, ringhiandole quasi come un cane rabbioso, intimandola a dirgli tutta la verità prima che potesse perdere la pazienza; “Non posso dirvelo. Non ancora…” gli aveva risposto. Non riusciva a capacitarsi di un’affermazione del genere. Cosa voleva intendere? Perché non poteva dirglielo? Come se non bastasse la sua mente venne pervasa dalla vista della sua spada strappatagli di mano. Pareva quasi un incubo. Poi, sentendosi una scossa elettrica pervaderlo in pieno petto, un’altra immagine si era stagliata limpida nella sua memoria. Un bacio. Era stato come perdersi, dimenticando tutto e tutti. Era come bere l’acqua del Lete, ma con un effetto più devastante. Girolamo strinse forte i pugni, e con uno scatto deciso e repentino tornò a riempire la coppa con del vino. Avrebbe bevuto fino all’ultima goccia di quella bevanda se davvero fosse riuscita a farlo calmare. Si inumidì le labbra, assaporando appena il dolce amaro sapore di quel nettare quando un rumore curioso giunse al suo udito. I suoi occhi si sbarrarono di colpo, e meccanicamente si posarono su quella porta socchiusa alla quale si era rifiutato di prestare la dovuta attenzione: una luce calda e giallognola proveniva dall’interno della sua camera; e questo poteva soltanto significare che c’era qualcuno lì dentro. Lasciò il pregiato bicchiere al suo posto e sfoderò ambedue le sue spade. Poi, con ampie falcate si avvicinò all’ingresso della sua camera, aprendola violentemente con un possente calcio. Necessariamente restò impalato sulla soglia della porta: il camino ardeva, mettendo in risalto le tinte rossastre della sua stanza, ma proprio innanzi a lui, una donna giaceva sul suo letto con capelli bruni, umidi e selvaggi, e una veste color avorio che ben lasciava emergere le sue forme gentili e seducenti. Sulla bocca, un ghigno divertito.
-Vi sembra questo il modo di accogliere una vostra ospite, mio signore?- domandò beffarda con un risolino fastidioso che gli fece stringere i denti, digrignandoli come un animale, o peggio ancora una belva.
-Che cosa ci fate voi qui?- domandò dal canto suo Girolamo, schietto e deciso, trattenendo l’istinto di saltarle addosso e con le sue spade farla a pezzi,
-Come siamo rudi…- disse sollevandosi appena dal suo poggio, avvicinandosi a lui. Immediatamente, Riario le puntò una delle due armi. La donna rise, e con uno scatto della mano nel vuoto, ecco che Girolamo ebbe come un dejà vu, ritrovandosi con una delle sue spade sfilatasi di mano. Ma se c’era una caratteristica che madonna Ermia apprezzava di Riario, era che non si sarebbe mai arreso; di fatti non perse tempo e quando si fece più vicina le puntò nuovamente la spada, questa volta sfiorandole la tunica all’altezza dello sterno.
-Mi accerterò di tenere la presa ben salda questa volta. Per tanto vi consiglio di non avvicinarvi ulteriormente, madonna- rispose serio e freddo, con gli occhi spiritati ma al contempo vogliosi di scoprire la sua reazione. Era curioso come il giovane conte provasse ribrezzo ma al tempo stesso fascino per la donna innanzi ai suoi occhi. Era qualcosa che non conosceva, e che al momento non poteva comprendere. Ma ci sarebbe riuscito, prima o poi. Lo aveva giurato, dopotutto.
-Bene…- Ermia allora mutò il suo ghignetto saccente e audace in un sorriso più dolce e naturale. Era quasi angelica la sua espressione in quel momento, se non fosse stato per il violento scatto in avanti che permise alla lama del conte di penetrare la sua veste e la sua carne. Un sussultò improvviso si fece largo tra le labbra di Girolamo, mentre la donna, avvicinandosi ulteriormente a l’uomo, lasciava che la lama si addentrasse più in profondità nel suo corpo, fino a trapassarla da parte a parte. Piccoli gemiti si udivano dalle sue labbra fine, lasciandone fuoriuscire fiotti di liquido porpora. La sua candida veste presto si tinse del colore del suo stesso sangue, finché non giunse finalmente alla distanza che più favoriva. Sebbene Riario ormai avesse la spada conficcata fino all’elsa nella carne della donna, questa breve distanza era assai pericolosa quanto surreale. I suoi occhi brillavano di quella luce cremisi che anche quella notte il mese precedente lo aveva fatto fremere sotto di lei. Il volto di Girolamo era una machera di pietra, i suoi occhi completamente folgorati. Era impallidito di colpo, di tutte le possibili reazioni che aveva fantasiosamente immaginato, questa di certo non se l’aspettava. La ragazza si pulì sgraziatamente con il palmo della mano le labbra e il mento sporchi di sangue, e senza togliergli gli occhi di dosso sorrise, avvicinando il viso a quello del conte, posando successivamente le braccia attorno alle sue ampie spalle, stringendolo a sé:
-Toglietemi una curiosità, conte: cosa avreste fatto dopo avermi uccisa?-sogghignò malevola al suo orecchio. Riario non rispose, basito. Sentiva il suo fiato corto, sebbene volesse mascherarlo dietro la sua espressività assente. Dunque Ermia sollevò appena l’angolo sinistro delle labbra, e con una spinta bella assestata lasciò scorrere la lama fuori dal suo corpo, mentre il conte veniva scagliato contro una delle pareti della sua camera. I suoi occhi scuri guardarono la donna viva e vegeta, poi la sua lama impregnata di sangue. Sentendosi la mano per la prima volta tremare, lasciò andare la spada.
-Tu…- disse piano prima di fissarla intensamente, trasudando rabbia –Prima o poi scoprirò che razza di creatura immonda sei…-   
-Ve l’ho detto. Sono uno spirito di non poco conto. E ora che abbiamo appurato che non siete in grado di eliminarmi, perché non vi rilassate e parliamo?- gli domandò tornando a sedere all’angolo del letto, trascinandosi con se una scia di sangue che ancora gocciolava dalle sue vesti.
-Di cosa dovremmo parlare?- domandò burbero, mantenendosi ad una adeguata distanza da lei. Per paura, ma non di lei, quanto più di sé stesso. Non riusciva a nascondere il fatto che aveva provato un discreto piacere nell’infilzarla, e constatare con meraviglia che quella creatura fosse ancora in vita.
-Andremo a Firenze. Insieme. Ho deciso che mi infiltrerò di persona tra Da Vinci e i De Medici-
-Madonna Donati sta già svolgendo questo incarico-
-Oh sì. Sono certa che sia molto brava a scaldare i loro letti. Ma temo che vostra cugina ci sarà utile ancora per poco. È innamorata. E l’amore è capace di molte cose…-
-Come potete dire questo?-
-Io so leggere le persone nel profondo del loro animo, Girolamo, dovreste saperlo meglio di chiunque altro-
Un leggero silenzio calò infine su di loro, lasciando che fosse solo il soffiare docile del vento ad accompagnare i loro sguardi. Poi, senza dire una parola la donna avanzò lentamente contro di lui, mantenendo quel contatto visivo costantemente saldo:
-La prima volta che ci siamo incontrati- cominciò improvvisamente Riario –Voi mi avete detto che devo prendermi cura ciò che vi spetta. Cos’è? E perché io?- Ermia non rispose subito. Accorciò le loro brevi distanze finché non fosse stato un soffio a separarli, e portandogli le mani al petto, la donna slacciò bottone dopo bottone quella camicia grigiastra che le impediva di guardare il suo petto ampio e compatto. E senza dire una parola Girolamo la lasciò fare, osservandola in ogni suo movimento. Era delicata, doveva ammetterlo anche se gli pesava alquanto. Le sue dita sottili carezzarono i suoi pettorali scendendo lentamente, afferrando con dolcezza quella chiave che mai si era allontanata da lui.
-Devo tornare a casa…- un sibilo gentile, soffice. Mai Riario si sarebbe aspettato di sentire la sua voce con quel tono malinconico e dolce. Tuttavia non poteva negare che era rimasto piuttosto sorpreso dalla sua affermazione
-Tu vieni da lì?- era eccitato, ma trattenne a forza la sua euforia, un po’ per forza di abitudine, un po’ perché essere freddo e distaccato era ormai diventata la sua natura. Senza dire nulla la donna lo guardò, lasciandosi penetrare dagli occhi incuriositi del giovane uomo e annuì.
-E perché te ne sei andata?-
-Non me ne sono andata. Sono stata cacciata a dire il vero- rispose abbozzando un ghigno difficile da interpretare. Riario allora si rabbuiò.
-perché?- Ermia sospirò
-Come vi ho detto : l’amore è capace di molte cose, mio signore. Ma spesso non si tratta di cose piacevoli…- quel velo di triste e pacata quiete calato su di lei era come un muro, una barriera che impediva al giovane conte di indagare dentro di lei. Di capire cosa fosse, cosa provasse. Ermia fece per dargli le spalle ma Girolamo prese l’iniziativa, e afferrandola prontamente per un polso, lasciò che si voltasse e piroettasse contro di lui. I loro occhi si fusero assieme ancora, e questa volta il luccicore rovente che Riario stava aspettando brillò nelle sue grandi iridi ambrate.
-Perché io? Non mi avete ancora risposto…-
-È la tua anima ad avermi attratta fin dal primo istante. C’è un qualcosa, che per un certo verso, ci rende simili. Il desiderio di perseguire un bene più alto, a un’inclinazione all’oscurità che non si può nascondere…- rispose, portando nuovamente ambo le mani al suo petto, toccandolo e carezzandolo mentre saliva per legargli le braccia attorno al collo, e stringersi a lui con fare tutt’altro che puro e casto.
-E voi? Cosa c’è che vi attrae in me?- il corpo del giovane conte s’irrigidì all’improvviso. Era una domanda alla quale mai avrebbe risposto sinceramente. Non che avesse qualcosa da nascondere, ma il fatto era che ancora non era certo di avere qualcosa da nascondere. Era curioso, certamente. La detestava e questo era palese. Ma allora che cosa non andava in lui? E perché in quel preciso istante tutto ciò che riusciva a pensare era a quel bacio? Quel contatto lo aveva letteralmente sconvolto.
-Non vi è alcuna attrazione nei vostri confronti in me, madonna- rispose seriamente, con fare distaccato e privo di alcuna emozione –Io, d'altronde vi detesto- aggiunse poi. Ermia allora rise, di gusto, canzonatoria. Non credeva neanche ad una delle sue parole, e forse non ci credeva neanche lui.
-Sapete, spesso è dal disprezzo stesso che nasce il desiderio…- sussurrò sulla sua pelle, sfiorando  il naso affilato del giovane conte con il suo, continuando tuttavia a dirigere i loro sguardi in una danza tentatrice e passionale, un gioco proibito dove era ancora da vedere chi sarebbe stata la vittima e chi il mietitore. Girolamo sentiva il suo fiato sulle labbra, e un calore in pieno petto forte come l’esplosione del sole stesso. Si sentiva ardere, non era lui a bruciare, ma la sua anima. Su una cosa Ermia aveva ragione: esisteva un qualcosa ad accumunarli davvero, ed era quell’inclinazione alle tenebre che faceva della tentazione reciproca una delle principali valvole di sfogo. Sprofondando nell’oblio allora Girolamo lasciò per un momento da parte la razionalità e si fece coinvolgere dall’impeto della sua impulsività. Portò le sue mani sui fianchi della donna, spingendola contro la parete più vicina così da ribaltare la situazione; il corpo di Ermia fece un tonfo contro il muro, ma non ebbe neanche il tempo di sussultare per la sorpresa che la bocca avida del conte aveva voracemente preso possesso della sua. Una scintilla s’accese nel petto della donna, facendola fremere tutta. Non aspettava altro, non desiderava altro. Tentarlo e saggiare un brandello del suo corpo e della sua anima era appagante, dopotutto. Inoltre, Girolamo era anche più vigoroso del previsto. Senza darsi pace, mordeva e succhiava quelle labbra come un frutto delizioso e proibito. Sapeva che stava facendo qualcosa del tutto sbagliato, ma era più forte di lui. Mai si era sentito così in vita sua; attanagliato da una morsa letale, eppure quelle labbra sapevano di libertà piuttosto che di veleno. Ermia lo strinse ancora più forte, ingaggiando le loro lingue in una battaglia spietata mentre le sue dita affusolate e pallide s’inoltravano tra i folti capelli color ebano di lui. Fu un bacio coinvolgente, estenuante. Riario sentì la testa girare, la tachicardia fremere nella sua cassa toracica, come se quel contatto fosse riuscito a consumargli più energie di un duello a l’ultimo sangue. Quando si separarono, il giovane conte lasciò affondare il capo nell’incavo della clavicola della donna, premendo le mani contro il muro nel tentativo di non cadere sulle ginocchia tremanti. Aveva il fiato corto, ma anche la giovane che lo stringeva ancora a sé non aveva il respiro del tutto regolare. Un umano era riuscito a farle tutto questo, a farle perdere il fiato; più secoli passavano, più si rendeva conto che c’era sempre un motivo per stupirsi ancora.
-Sapete che dopo quello che è appena successo…- Riario fece una breve pausa per riprendere fiato –Vi disprezzerò con tutte le mie forze, vero?- un risolino divertito e sincero si dipinse sulle labbra della donna che gli carezzava i capelli con tenerezza. Sollevò poi il suo capo con delicatezza, tuffandosi in quegli occhi grandi e scuri, enigmatici proprio come le tenebre di quella passione che per pochi istanti li aveva avvolti in un abbraccio fatale.
-Non aspettavo altro, mio signore-

*Angolino di Virgy*
Dopo un lungo periodo di assenza, eccomi qui con il nuovo capitolo! Perdonatemi, ma dopo la maturità ho dovuto staccare la spina con tutto, e tralasciare una marea di fiction tra cui questa! Spero che il capitolo vi piaccia,e che vi intrighi almeno un pochino(ino,ino,ino).
Spero di leggere qualche recensione a riguardo della fic, sapere se vi piace o meno mi aiuterà a migliorare :) 
Un bacio
-V-
  
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