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Autore: emotjon    07/08/2013    25 recensioni
Erano stati due farfalle, da bambini.
Ma quando ad Harry era stata tolta Isabel nulla era più stato lo stesso. Si erano a malapena salutati, la sera prima. E la mattina di quel giorno di maggio Isabel non c'era già più.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Butterflies.

 


A Isabella, per tutto l’affetto che mi dimostri.
Per la stima che provi per me.
Per tutti i cupcake che ci siamo lanciate virtualmente…
Ti voglio bene. – Federica.

 

 
I due bambini stavano correndo uno dietro l'altra giù per la collina, incuranti di tutto e di tutti. Incuranti del fatto che avrebbero potuto farsi male. Incuranti delle urla della mamma della bambina dietro di loro. Incuranti del fatto che se Isabel si fosse fermata all'improvviso, Harry le sarebbe finito addosso schiacciandola. Incuranti di essere fratellastri.
Incuranti delle farfalle che svolazzavano in quel prato pieno di non ti scordar di me. Loro stessi erano due farfalle, che il quel prato non facevano altro che posarsi di fiore in fiore, incuranti di tutto e di tutti.
Harry aveva sei anni. Isabel solo quattro.
Ed Harry aveva dieci anni, quando quella che ormai considerava una sorella minore, la sua metà che andava protetta, gli venne tolta. Venne affidata ad una zia di cui nessuno aveva conosciuto il nome fino alla settimana prima.
Erano stati due farfalle, da bambini.
Ma quando ad Harry era stata tolta Isabel nulla era più stato lo stesso. Si erano a malapena salutati, la sera prima. E la mattina di quel giorno di maggio Isabel non c'era già più.
Isabel era sempre stata una bambina bellissima, presa in affidamento dai coniugi Styles perché non aveva più nessuno. Nessuno l'aveva voluta, né la madre tossicodipendente, tantomeno il padre, finito in carcere prima ancora che lei nascesse.
Era sempre stata bellissima, con i suoi lunghi capelli castano scuro e quegli occhi... Dio, quegli occhi. A prima vista sembravano azzurri. Color cielo. Una tonalità comunissima di azzurro. Ma in realtà erano unici, i suoi occhi.
L'unico ad aver mai capito di che colore fossero realmente era stato Harold Edward Styles. L'unico che l'avesse guardata negli occhi tanto a lungo da poter capire. L'unico che in quegli occhi era riuscito a leggere un mondo, il mondo che era parte solo ed esclusivamente della fantasia della piccola Isabel.
I suoi occhi erano azzurri, vero. Ma erano anche verdi. Verdemare. E grigi. E castano chiaro, quasi nocciola, in estate. Erano unici, cambiavano a seconda del tempo, della luce e dell'umore di Isabel stessa.
Quando era felice diventavano quasi color pervinca, erano unici, indescrivibili.
Harry aveva sempre pensato che quegli occhi parlassero, sorridessero addirittura. Insomma, era come se in sostanza vivessero di vita propria. Ed erano di Isabel. Suoi e basta. Non ci poteva essere un altra ragazza sulla terra con degli occhi come i suoi, una volta creati dovevano aver buttato via lo stampo.
Avresti potuto riconoscere Isabel in una folla di ragazze, solo per i suoi occhi. O per le sue labbra. Tanto carnose da farti venire voglia di morderle fino a farle sanguinare. E talmente scolpite da sembrare di porcellana, come le labbra di una bambola. E tanto rosse da farti pensare che nonostante avesse otto anni, si divertisse a ricoprirle di rossetto.
Harry l'avrebbe ritrovata ad occhi chiusi, se fosse stato necessario. Il motivo? Avevano vissuto talmente a stretto contatto e per tanto tempo, da far sì che l'odore caratteristico di Isabel si imprimesse nelle sue narici, senza volersene andare mai più. La bambina odorava di cocco, di fiori, ma anche di sole e di cannella. Era un odore solo suo, che non avresti potuto trovare in nessun shampoo o bagnoschiuma. Era Isabel, punto.
Quando l'avevano allontanata da casa Styles, Harry aveva fatto di tutto per riaverla. Si era messo ad urlare contro la madre, l'aveva pregata in ginocchio. Era stato picchiato dal padre perché smettesse di comportarsi da bambino - anche se la verità era che lui era davvero un bambino. Aveva smesso di mangiare, di correre nei prati intorno a casa... Aveva smesso di sorridere, di vivere.
Senza Isabel era come se fosse morto.
Per anni su quel viso da bambino non era più comparso un sorriso vero, con tanto di fossette, che lo avevano sempre fatto sembrare più piccolo di quanto non fosse in realtà. Non un sorriso, per anni. Si era semplicemente chiuso in s'è stesso, cercando di trovare la voglia di tornare a vivere, anche se senza la sua migliore amica era impensabile.
Addirittura i primi sei mesi non aveva nemmeno parlato. Nemmeno una volta. Una specie di sciopero della parola, se vogliamo. Il piccolo Harry pensava che se avesse protestato - in un modo o nell'altro - Isabel sarebbe tornata da lui.
Non che si sentisse in colpa, assolutamente.
Era solo mancanza d'affetto la sua. Una mancanza, un vuoto che niente avrebbe potuto colmare, se non Isabel stessa, il suo sguardo, la sua voce, l'odore dei suoi capelli...
Erano passati dieci anni dall'ultima volta che si erano visti. Dieci lunghissimi anni. Harry aveva provato ad andare avanti, a vivere senza la sua sorellina. Ma la verità era che in fondo ci era anche riuscito... Solo che quello non era vivere. Vivere sarebbe stato ridere, giocare con gli altri bambini, fare le solite cose che fanno i bambini.
Harry era semplicemente sopravvissuto. E a stento per giunta.
Isabel dal canto suo... Beh, lei si poteva dire che aveva vissuto. Non totalmente e a pieno come avrebbe potuto, ma almeno ci aveva provato. I primi sei mesi da zia Carmen - a Madrid - erano stati un trauma. Non capiva una parola di spagnolo essendo vissuta otto anni in Inghilterra. E non conosceva nessuno.
Ma pian piano si era ambientata, anche se a fatica.
Isabel viveva ancora a Madrid, dopo dieci anni. Aveva appena finito l'ultimo anno di liceo e con la sua migliore amica Marisol avevano deciso di fare un viaggio. Erano sull'aereo per Manchester, e Isabel era elettrizzata di rivedere la città che l'aveva cresciuta. Ansiosa di rivedere la donna che per otto anni l'aveva cresciuta.
Ansiosa di rivedere Harry.
«¡Tranquila, chica!», le urlò la migliore amica, attirando l'attenzione di metà dei passeggeri dell'aereo. Isabel arrossì violentemente, nascondendo il viso tra le mani. Non aveva fatto che tormentarsi le unghie per tutto il volo, non riusciva a stare calma. Ed era totalmente inutile che Marisol le urlasse contro. «Se non ti calmi non ti faccio mettere piede su suolo inglese, giuro su Dio».
«Sono agitata», ammise Isabel chiudendo gli occhi e posando il capo contro lo schienale.
Aveva quasi la nausea, sudava freddo e le tremavano le mani. Non riusciva a smettere di pensare ad una cosa, che l’avrebbe fatta stare male per il resto della vita. E se Harry si fosse dimenticato di lei? Insomma, dopo dieci anni sarebbe anche potuto succedere.
La ragazza sbuffò, facendo ridere la migliore amica.
«E’ impossibile che si sia dimenticato di te, pequeña», cercò di tranquillizzarla stringendole una mano. E anche se nemmeno Marisol ne era totalmente convinta, aveva perfettamente ragione. Harry non avrebbe potuto dimenticarsi di Isabel nemmeno se avesse voluto. Gli era rimasta impressa nella memoria, non c’era verso che si dimenticasse di lei.
«E se fosse?».
Marisol sbuffò, profondamente irritata dall’atteggiamento pessimista dell’amica. Si conoscevano da poco dopo dell’arrivo di Isabel in Spagna, e avevano legato immediatamente. Conoscevano tutto l’una dell’altra, ma quell’atteggiamento della castana proprio non andava giù a Marisol. Non la sopportava quando si comportava in quel modo. Le rovinava l’umore in un modo che nemmeno lei riusciva a capire.
«Gli faccio sbattere la sua bella testolina riccia fino a che non gli torna la memoria».
E nel momento in cui Isabel era scoppiata a ridere, nel momento esatto della sua risata, Harry si era svegliato. Di buonumore, con un mezzo sorriso sulle labbra. E davvero non riusciva a capire a cosa fosse dovuto quel sorriso.
Scese le scale passandosi ripetutamente una mano tra i ricci, cercando inutilmente di dargli un senso. E arrivato in cucina diede addirittura un bacio su una guancia alla madre, lasciandola a bocca aperta, con la tazza di caffè a mezz’aria. Anne non poteva essere più sorpresa. L’aveva considerata a malapena negli ultimi dieci anni, quando Isabel se n’era dovuta andare.
E adesso, tutto d’un tratto e senza un motivo apparente, addirittura la salutava con un bacio su una guancia. L’aveva spiazzata, doveva ammetterlo. Ma nonostante la sorpresa, non riuscì a trattenersi dal sorridere, vedendo il figlio tanto felice e spensierato.
Harry non era mai stato così, se non con una solo persona.
Era stato felice e spensierato solo con Isabel.
«Mamma, io esco!», urlò poi il riccio dopo essersi vestito. Si passò una mano tra quei capelli morbidi quanto indomabili e sospirò, sentendo i borbottii della madre. Li ignorò, come aveva sempre fatto del resto.
Voleva bene a sua madre, ovvio.
Ma la verità è che Harry ce l’ha ancora con lei per non aver fermato la donna che gli ha portato via la sorella. Isabel gli manca come ad un sub manca l’aria. Gli manca come ad un esploratore mancherebbe l’acqua nel deserto.
Harry non è mai stato innamorato. Mai, in vent’anni.
Mai, se si esclude Isabel.
Era stato un ragazzo timido, Harry. Quasi asociale. Era stato preso di mira dai ragazzi più grandi, per un nonnulla. Per i motivi più futili che potessero esistere. Harry si sentiva solo, ed in fondo era normale. Insomma, l’unica bambina che cui avevi una straccio di rapporto ti viene portata via, tu che avresti fatto?
Aveva iniziato a tagliarsi. Si era tagliato due, tre volte al massimo.
Poi aveva pensato ad Isabel, al suo sorriso che compariva anche nei momenti più bui, ai suoi occhi blu. E si era pentito di quello che aveva fatto. Lei non avrebbe voluto che lui si facesse del male solo perché ne sentiva la mancanza.
Isabel non avrebbe voluto. Ma aveva fatto la stessa identica cosa, il primo anno di liceo.
Stava talmente male con sé stessa, senza Harry, che aveva provato a farsi del male. Non aveva risolto niente, quando invece pensava che tutto il dolore scivolasse via nel lavandino, insieme al sangue. Aveva chiuso gli occhi e stretto i denti ed era andata avanti.
Col pensiero fisso di Harold Edward Styles.
Come Harry aveva il pensiero fisso su Isabel Maria Delgado.
Ma torniamo ad Harry.
Stava camminando praticamente senza una meta da un’ora, forse di più. E abitando alla periferia di Manchester, l’aeroporto non era tanto lontano. Harry adorava sentire il rumore degli aerei che passavano a pochi metri dalla sua testa. Gli faceva pensare alla sua infanzia, alle farfalle che rincorreva con Isabel.
Teneva una sigaretta tra le dita, calciando un sasso contro un muretto, soprappensiero.
Pensava a come si stava riducendo, tra le sbornie e gli spinelli. Le amicizie sbagliate e tutto il resto. Tutto per cercare di dimenticare la sua sorellastra. La sua migliore amica. La ragazzina di cui si era innamorato, senza nemmeno accorgersene. Cercando di dimenticare i suoi occhi, tanto blu da farti mancare il respiro. Blu come l’oceano. Da far fermare il cuore.
Pensava a quei pochi amici che era riuscito a farsi in quei dieci anni.
Louis Tomlinson, tra tutti. L’unico che in qualche modo era riuscito ad immaginare come potesse sentirsi Harry. Alla lontana, certo, ma l’aveva capito. E cercava in ogni modo possibile di tirarlo fuori dalla merda in cui si era cacciato. Era adorabile, nel suo piccolo. E Harry gli voleva bene come ad un fratello.
Come avrebbe voluto bene ad Isabel, se lei ci fosse stata.
Riversava l’affetto che avrebbe riversato su Isabel, su Louis. E ovviamente non era la stessa cosa. Ma Harry aveva imparato a conviverci. Aveva imparato a convivere col pensiero che probabilmente non l’avrebbe rivista mai più, anche se ancora stava male dentro.
Era come se quando se n’era andata, Isabel avesse lasciato un buco dove prima stava il cuore del piccolo Harry. Un buco nero. Freddo, gelido, senza alcun sentimento da poter provare, perché non c’era rimasto più niente.
Gli aveva rubato il cuore, e probabilmente non glielo avrebbe restituito mai più.
Si riscosse dai suoi pensieri contorti quando sentì una voce dannatamente familiare arrivare alle sue orecchie. Una voce femminile, dolce, con un terribilmente sexy accento spagnolo. Familiare, come se l’avesse già sentita, magari in un’altra vita.
Si voltò incuriosito verso quella voce.
La ragazza parlava con quella che doveva essere un’amica, dai capelli rossi – molto probabilmente tinti - e la pelle leggermente abbronzata. Una ragazza carina. Ma niente in confronto alla mora.
Lunghi capelli castano scuri con qualche ciocca più chiara le incorniciava un viso dalla carnagione chiara, ma abbronzata sulle guance. Era davvero bellissima. E familiare. Familiare come avrebbe potuto essere Isabel… ma no, era impossibile che fosse lei, no?
Una strada li divideva, ma Harry poté sentirla ridere come se si trovasse accanto a lei.
E persino la sua risata, così pura e cristallina, gli era familiare.
Persino la scia di farfalle tatuata sulla coscia, lasciata scoperta dai pantaloncini di jeans che indossava, gli era familiare. Gli ricordava due bambini che correvano giù per una collina ricoperta di non ti scordar di me, rincorrendo uno sciame di farfalle blu. Blu come il cielo, come il mare. Come gli occhi di Isabel.
Come gli occhi della ragazza davanti all’aeroporto.
Impossibile. Era lei. Erano gli stessi occhi, solo più profondi, resi più profondi dall’adolescenza difficile che aveva passato. Erano le stesse labbra carnose e rosse, indimenticabili e irresistibili. Era lo stesso naso tanto carino da farti venire voglia di riempirlo di baci. Ed erano gli stessi capelli scuri, anche se leggermente schiariti dal sole.
Era lei. Isabel.
Isabel, che sentendosi osservata smise di ridere e si voltò, un sopracciglio elegantemente inarcato. Era adorabile quando lo faceva, sembrava di nuovo una bambina. Un sorriso comparve sul suo volto non appena vide quel ragazzo riccio, alto e dagli occhi verdi e si portò una mano alla bocca per nascondere l’espressione più sorpresa della Terra.
«Oh, mio Dio», esclamò passandosi una mano tra i capelli.
«Che c’è?», sbottò Marisol accorgendosi dell’espressione della migliore amica. Più che altro era scocciata. Isabel era strana. Insomma, la adorava, ma era davvero strana. E lunatica. Ma in fondo era impossibile essere arrabbiata con lei.
La mora fece voltare la migliore amica verso Harry, che intanto si era aperto in un mezzo sorriso. Stentava a credere che quella bellissima ragazza a pochi metri da lui fosse Isabel, la sua Isabel. Era incredulo, ma davvero non riusciva a smettere di sorridere. Faceva ancora fatica a credere che fosse lei. Ma era evidente che fosse lei… da come lo guardava, e da quanto fosse sorpresa.
«Beh? Sei ancora qui?», le disse Marisol spingendola verso la strada. Oltre la strada.
Spingendola verso Harry.
Ma fu proprio il riccio ad attraversare la strada per primo, buttando a terra la sigaretta lasciata a metà e prendendo Isabel tra le braccia, sollevandola appena da terra e facendola ridere. La sua risata era davvero troppo bella per essere vera. Sembrava un coro di campanellini, il canto di un angelo.
E dopo dieci anni ce l’aveva di nuovo tra le braccia.
«Non posso credere che tu sia qui», mormorò Harry con gli occhi lucidi, nascondendo il viso nei capelli della ragazza. E davvero non ci credeva. Sembrava tutto un sogno, e se lo era di sicuro Harry non voleva svegliarsi. «Mi sei mancata, Isy», aggiunse in un sussurro, mentre lei giocava con i suoi ricci.
Le erano mancati quei capelli. Come le erano mancati gli smeraldi che Harry aveva al posto degli occhi, il suo naso, le sue labbra. Il suo sorriso, le era mancato come l’aria. E la sua risata, era magica. Le era mancata anche quella, anche la magia della sua risata.
«Anche tu mi sei mancato…».
«Mancato è dire poco», borbottò Marisol passandosi una mano tra i capelli e allontanandosi per mandare qualche messaggio. Li stava lasciando da soli. Stava dimostrando alla sua migliore amica quanto le volesse bene, non era cosa da tutti, no?
«Okay, mi sei mancato tanto», ammise Isabel senza riuscire a trattenersi dal ridere.
Si staccò appena per guardarlo negli occhi, e gli passò due dita sulla guancia, accarezzandola leggermente. Persino la sua pelle le era mancata, possibile? Fissò i suoi occhi blu in quelli verdi di lui, allora si rese conto. Si rese conto del perché non avesse voluto legarsi a nessuno in tutti quegli anni. Si rese conto del perché aveva avuto così pochi amici. Si rese conto del perché Harry le fosse mancato così tanto.
Blu nel verde. Il cielo più blu che potessi trovare, riflesso nel prato più verde che ci fosse.
Erano stati lontani per dieci anni.
Si erano mancati per dieci.
Si erano amati per dieci anni, senza che nessuno dei due sapesse che anche l’altro provava la stessa identica cosa. Non si erano cercati, erano semplicemente rimasti l’uno nei ricordi dell’altra. Le dita di Harry scesero ad accarezzare il tatuaggio sulla coscia di Isabel, facendola sorridere.
Sorrideva un po’ per il solletico, ma soprattutto per il fatto che Harry si fosse accorto di quel tatuaggio. «L’ho fatto pensando a te, sai?», mormorò avvicinandosi sensibilmente. Le loro labbra a una decina di centimetri di distanza. Harry sorrise, pensando che il tutti quegli anni non avrebbe voluto far altro che tenerla tra le braccia in quel modo, e posare le labbra sulle sue.
Farla sua, perché l’amava come non aveva mai amato nessun altro.
«Anch’io ho una farfalla tatuata… mi ricorda una certa bambina che per correre dietro alle farfalle finiva sempre a cadere e sbucciarsi le ginocchia», aggiunse con un mezzo sorriso accarezzandole una guancia con le labbra. Dalla tempia all’angolo delle labbra e ritorno, provocando un milione di brividi lungo la schiena della ragazza.
Isabel sorrise, facendo scontrare le loro labbra, cogliendo Harry di sorpresa.
E sorprendendo anche sé stessa, mentre schiudeva le labbra e lasciava che la lingua del ragazzo entrasse in contatto con la sua. Lasciando che le loro salive si mischiassero fino a diventare una cosa sola. Lasciando che con un bacio dimenticassero di essere stati lontani tutto quel tempo. Lasciando che capissero di amarsi come probabilmente non aveva mai fatto nessun altro.
Avevano vinto. Avevano battuto il tempo e la distanza, solo facendo combaciare le loro labbra.
«Sembrerei uno stupido se ti dicessi che sono innamorato di te?», mormorò il riccio una volta ripreso fiato, la fronte posata sulla fronte della mora, le labbra a pochi millimetri dalle sue, leggermente gonfie per il bacio appena concluso.
Isabel scosse la testa con un sorriso, un sorriso che affiorò anche sul volto di Harry, facendo comparire due bellissime fossette. Quelle fossette che non comparivano su quel volto da dieci anni. Quelle fossette che lo facevano sembrare incredibilmente fragile e “piccolo”, in confronto a tutto il resto.
«E io sembrerei una stupida se ti dicessi che ti amo anch’io?».
Il riccio sembrò pensarci su qualche istante, la testa inclinata da un lato. Per annuire, facendo ridere Isabel. «Ma non una stupida qualsiasi…», mormorò posando lievemente le labbra su quelle di lei. «La mia stupida».




 




Buonsalve mie meravigliosi tortini alla carota (?)
Allooooooora... vi avevo promesso una OS su Harry, ed eccola qui.
Sinceramente a me piace da matti, i don't know why.
La dedico al mio piccolo cupcake rosa, alias hopeandfaith c:
Tesoro, davvero, non puoi capire quanto ti stimi e quanto ti voglia bene, anche se non ti conosco...
Bene, credo di aver delirato abbastanza, no?
Sì, credo di sì... che dire?
Mi dileguo, ci vediamo lunedì per chi segue Irresistible, se no, alla prossima.
Un bacio enorme, vi voglio bene.
xx Fede.



   
 
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