Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Nymeriah    07/08/2013    1 recensioni
Rachel in diciassette anni di vita non ha mai commesso un errore.
Jackie e Jamie sono gemelli, ma non si somigliano per niente.
Melanie è bella fuori; al dentro ci sta lavorando.
Sam vive in un mondo tutto suo, popolato da alieni e ippopotami viola (ancora per poco).
Naomi ne sa una più del Diavolo e ha solo quattordici anni.
Chi altri?
Un ex soldato russo che ha perso la vista nell’esercito, una violinista bambina dal talento eccezionale, un ladruncolo da quattro soldi, una combriccola di ragazzi più o meno randagi, un’italiana dalla sensualità disarmante, una tedesca con tendenze psicopatiche e un duca inglese.
Le loro vite si intrecceranno in una matassa di eventi e sensazioni e, se avrete la pazienza di ascoltare, il/la Raccontastorie vi illustrerà su come, quando e perché questi strani individui abbiano calpestato i suoli trafficati della Città Che Non Dorme Mai: New York.
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A




 

6. Unexpected


 Image and video hosting by TinyPic 




  Non l’avrebbe ammesso nemmeno se si fosse trovata con un’arma da fuoco puntata alla tempia, ma era tremendamente nervosa.
Se ne stava seduta alla sua scrivania verde pallido, con la schiena dritta e la braccia rigidamente appoggiate al bordo, cercando disperatamente qualcosa da fare per alleviare la tensione. Ci aveva riflettuto a lungo, ma non capiva la fonte dei propri timori: si trattava solamente di dare ripetizioni ad uno studente meno capace di lei, l’aveva fatto molte altre volte e non aveva mai avuto problemi.

Tuttavia… si trattava di quel ragazzo.

Un tipo imprevedibile, portatore di guai e che l’aveva da subito presa nel modo più sbagliato possibile. Rachel era da sempre stata abituata a progettare ogni particolare della propria vita ma, da quando Jackie Sage ne faceva parte, tutto sembrava sfuggirle di mano.
Si portò le dita alle labbra e, quasi sovrappensiero, cominciò a mangiarsi le unghie.
 
“Se continui così arriverai alle ossa.” Corinne era in piedi sulla soglia della stanza; le braccia incrociate, le spalle rilassate, e un sorrisetto saccente, che aveva lasciato in eredità alla figlia. “La causa della tua insolita agitazione?” domandò, anche se il suo tono di voce sicuro lasciava intendere che avesse già intuito la risposta.
 
“Agitata? Io?” chiese Rachel, mentre cambiava l’ordine delle penne sul tavolo.
 
Prima la blu, poi la rossa. Attese.
Prima la rossa, poi la blu. Sbuffò.
 
La madre osservò quel gesto, inarcando un sopracciglio, e la ragazza sospirò rassegnata: “Si nota così tanto?”
 
Corinne le sorrise scrollando le spalle e avanzò, sedendosi sul bordo del letto e accavallando le lunghe gambe fasciate dai jeans aderenti. “Se non sbaglio oggi cominci a dare ripetizioni a Jackie. È lui, vero? È Jackie il problema.”
 
Rachel deglutì e le mani tornarono sulla scrivania, a maneggiare penne e cancellini per tentare di raggiungere un ordine talmente perfetto da poterlo proiettare nella propria testa, dove invece c’era solo confusione e incertezza. “Il fatto è che mi soffermo a riflettere su cose così stupide… Ad esempio ho paura di dire qualcosa di sbagliato o di fare brutta figura, e io non mi sono mai sentita così. Io sono Rachel McCourtney, la ragazza di ghiaccio, non c’è niente che possa scompormi.”
 
Corinne si leccò le labbra, cercando di nascondere un sorrisetto divertito che tentava di uscire. “Non sarà che ti piace?”
 
L’orrore sul viso di Rachel si dipinse con la precisione di un quadro rinascimentale. “Noi ci odiamo!” protestò, senza riuscire a formulare una risposta più eloquente a causa dello sconcerto.
 
“Con me e tuo padre è stato uguale, non riuscivamo a concludere una conversazione senza saltarci al collo a vicenda.”
 
La figlia aggrottò la fronte, non aveva cuore di farle notare che anche ora non andavano esattamente d’accordo per tutto il tempo. Ma, nonostante i continui bisticci e scaramucce, doveva ammettere che le capitava molto di rado di vedere i suoi genitori litigare sul serio.
 
“Davvero?” chiese, fingendo un tono sorpreso.
 
Corinne annuì solenne. “Ho impiegato un po’ di tempo prima di rendermi conto che lui mi piaceva, e cominciammo ad andare d’accordo. Il segreto sta nel mettere da parte le differenze e prendere in considerazione le uguaglianze.”
 
“Io e Jackie siamo l’uno l’opposto dell’altra, non c’è terreno comune su cui lavorare.”
 
“Appartenete a due mondi diversi, ma siete entrambi dei leader. Due personalità forti e incisive che non possono fare a meno di scontrarsi.”
 
“È inutile che mi psicanalizzi, mamma! Lui non mi piace, quel giorno sul tetto della scuola l’ho addirittura odiato.”
 
“Se ne sei così convinta…” disse Corinne, alzandosi in piedi e soffermandosi solo per un istante sulla soglia. Parlò sussurrando, come se stesse rivelando un segreto: “…si dice che l’odio sia il sentimento più vicino all’amore.”
 
Rachel finse di non aver sentito, si stava mettendo alla scrivania per ripassare chimica, ma prima che Corinne uscisse la richiamò: “Mamma, un’ultima cosa: non raccontare di questa conversazione a papà. Volerebbe con la fantasia e comincerebbe ad elencarmi tutti i casi di ragazze rimaste incinte prematuramente dagli anni settanta fino ai giorni nostri.”
 
Il volto di Corinne si piegò in una smorfia e, fingendosi dispiaciuta, protestò: “Non potrò godermi la scena mentre si dispera e piagnucola perché la sua stellina sta crescendo!”

Rachel la udì ridacchiare mentre chiudeva la porta.
 
 

***

 
 
  Jackie tentennò, in piedi, sul tappetino d’ingresso. Allungò la mano verso il campanello, poi la ritirò indietro, abbandonandola lungo il fianco. Ripeté lo stesso gesto per tre volte e infine imprecò mentalmente.
 
Cosa ci faccio qui?
 
Sarebbe stato meglio imboccare la seconda via a destra e dirigersi al campo da skateboard. Così quella sera avrebbe dovuto subire l’ennesima predica da parte di Julia, ma ormai c’era abituato; avrebbe blaterato qualche scusa e sua madre l’avrebbe messo in punizione. Tutto come al solito.
 
E allora cosa ci faccio qui?
 
Per quale masochistica ragione avesse raggiunto casa McCourtney, Jackie non lo sapeva, ma ormai era lì e scappare sarebbe stato uno smacco al suo orgoglio e si potevano dire molte cose di lui, ma non che fosse un codardo.
 
La porta si aprì e Jackie sussultò.
 
Appoggiato allo stipite c’era Roy McCourtney, il padre di Rachel; lo fissava con un’espressione contratta, a metà tra la noia e la seccatura. “Si può sapere che intenzioni hai?” gli chiese.
 
“In c-che senso?”
 
“Sei qui appostato davanti a casa mia da dieci minuti, ti ho visto dalla finestra mentre scavalcavi il cancelletto.”
 
Il ragazzo arrossì lievemente e abbassò gli occhi sul tappetino.
 
“Allora Jamie… o Jackie… o chiunque tu sia, perché sei qui?”
 
Quello era un problema tipico di Roy: non riusciva a riconoscere i gemelli, un po’ perché non li vedeva quasi mai e un po’ perché non era un grande osservatore per le cose che non gli interessavano. Tuttavia, tra i due, era più probabile che si trattasse di Jamie, dato che l’altro gemello non si presentava mai a casa sua.
 
“Sono Jackie” lo informò il ragazzo e gli occhi dell’uomo si illuminarono appena per la sorpresa. “Sono qui per Rachel, cioè no… per le ripetizioni che deve darmi.”
 
Roy lo scrutò con sospetto, quasi potesse trattarsi di qualche alieno sotto copertura. “Ripetizioni? Non ne so niente. Rachel, vieni qui un attimo!” Rientrò in casa e chiamò il nome della figlia con voce alta e autoritaria.
 
Lei scese le scale di corsa e li raggiunse sulla soglia: “Che c’è, papà?” Poi vide il ragazzo, che se ne stava immobile all’entrata con aria imbarazzata, a ciondolare avanti e indietro e a cercare qualcosa per tenere le mani occupate.
 
“Oh, sei arrivato. Vieni dentro.” lo invitò con un tono un po’ troppo perentorio, ma Jackie non si meravigliò, ormai ci era abituato.
 
“Ehi, perché non mi hai detto niente delle lezioni private?” le chiese il padre, prima che Rachel trascinasse letteralmente Jackie su per le scale. "Racy? Che significa? Perché non..." Suo padre li avrebbe seguiti fino in camera se la ragazza non gli avesse chiuso la porta sul naso. Roy si precipitò in salotto, dove Corinne si stava godendo una serie di soap opere spagnole non sottotitolate. Non che ci capisse granché, ma più o meno le trame erano sempre le stesse.
 
“Nostra figlia si è chiusa in camera con un ragazzo!” Roy gridò, il panico nella voce.
 
“Ho una figlia precoce!” commentò la donna, senza staccare lo sguardo dallo schermo.
 
“Mi hai sentito?!” Lui la afferrò per le spalle e cominciò a scrollarla. Era una questione di vitale importanza, come faceva sua moglie ad essere così calma?!
 
“Fa’ piano, mi fai male!”
 
Roy la lasciò e lei gli fece cenno di sedersi: “Dobbiamo fare un discorso, noi due…”
“Non ora! Devo farlo a pezzi… devo… devo…”
 
“Ti devi dare una calmata! Non è la prima volta che Rachel dà ripetizioni ad un ragazzo.”
 
“Ma stavolta ha chiuso la porta! L’ha chiusa, capisci?”
 
“Per forza! C’eri tu a tallonarli!”
 
“Sì, ma è comunque diverso! Tanto per cominciare quel ragazzo non ha una bella reputazione e poi sono certo che lui le piace.”
 
Corinne dovette trattenere un sorrisetto divertito. Se persino suo marito si era accorto che tra Rachel e Jackie c’era del tenero, dovevano essere davvero palesi. Non poteva credere che la sua brillante figlioletta non l’avesse ancora realizzato. “E da cosa l’hai capito?”
 
“Lei lo guarda nello stesso modo in cui tu guardavi me, quella volta, nella limousine.”
 
Gli occhi di Corinne cominciarono a brillare al sol ricordo, e si appoggiò al petto dell’uomo, agganciandogli le braccia al collo: “Ti ricordi? Fu il nostro primo bacio!”
 
“È questo il punto!”
 
“Se si tratta solo di un bacio, che problema c’è?”
 
“Ma lei è la mia piccina!” piagnucolò Roy, ormai disperato.
 
Corinne sorrise e gli prese il volto fra le mani, parlando improvvisamente con una voce profonda e rassicurante. “Tesoro, Rachel ha sedici anni.”
 
“Lo so…”
 
“Tu a sedici anni eri già stato con una ventina di ragazze diverse.”
 
“Non focalizziamo l’attenzione su particolari che…”
 
“Non mi sembra il caso di tarparle le ali solo perché è la tua piccina. Ma sta’ tranquillo, se ho capito bene in che tipo di rapporti sono quei due, ci vorrà ancora molto tempo prima che succeda qualcosa di serio.”
 

***

 
  Jackie si guardò attorno: non era mai stato nella camera di una ragazza prima. Un giorno, a casa di Sam, gli era capitato di vedere di sfuggita quella di Naomi; con le pareti rosa, tappezzata di pupazzi e poster di pop star, ma era completamente diversa da quella in cui si trovava ora. La camera di Rachel era esasperatamente ordinata. Aveva le pareti di un sereno azzurro cielo, coperte in parte dagli scaffali verde pallido, colmi di grossi libri dall’aria impegnativa. Jackie si avvicinò e sbirciò i titoli; ne conosceva un paio di fama, ma non certo perché li avesse letti. Nell’angolo opposto al letto c’era un lettore di dischi in vinile, a fianco ad esso una collezione invidiabile di musica classica suddivisa per autori con precisione maniacale e un mobiletto vetrato. Il ragazzo sbirciò all’interno, Rachel aveva una quantità spropositata di trofei e medaglie.
 
“Li hai vinti giocando a tennis?”
 
“Sì” rispose lei, osservando con attenzione i movimenti del ragazzo, quasi fosse un animale pericoloso.
 
“Tuo padre è sempre così ospitale?”
 
“Non so cosa gli sia preso.”
 
Jackie si girò di nuovo verso di lei e si aprì in un sorriso accattivante. Avanzò verso Rachel, che si impose di rimanere impassibile persino quando lui alzò una mano per scostarle una ciocca di capelli ribelli dalla fronte. “Ai genitori non piacciono i cattivi ragazzi” affermò lui con un tono di voce basso e trascinato, mentre accostava la bocca all’orecchio della ragazza.

Lei si mosse nervosamente sul posto. Aveva previsto che Jackie se ne sarebbe uscito con qualcosa di assurdo per farle saltare i nervi, ma l’ultima cosa che si aspettava era un tentativo di seduzione. Tuttavia Rachel era troppo intelligente per cadere in un tranello vecchio quanto il mondo.
 
“Tu saresti un cattivo ragazzo?”
 
“Così dicono.”

“Tutto fumo e niente arrosto” commentò lei sprezzante e quasi gli rise in faccia.
 
Jackie indietreggiò offeso e si lasciò cadere sul letto, lanciando le ultime occhiate curiose alla stanza.
 
“Da quale materia cominciamo?” domandò Rachel dando un’occhiata al programma; scorse velocemente le prime pagine e sgranò gli occhi. Sconvolta. “Non sai fare le espressioni?”
 
Lui scrollò le spalle e parlò come se la questione non lo riguardasse minimamente. “Il novanta per cento della popolazione americana non ha la minima idea di quanto faccia due per due, posso sopravvivere senza sapere la matematica.”
 
Lei assottigliò lo sguardo e si portò le mani sui fianchi con un gesto seccato. “D’accordo, vuoi una materia utile? Facciamo inglese!”
 
Jackie puntò gli occhi sul soffitto e si grattò la testa, pensoso. “Dammi un attimo che trovo una scusa per non fare neanche questa…”
 
La ragazza sospirò più a fondo che poté, esasperata: “Allora sceglila tu, la materia.”
 
“Mh… scienze è l’unica dove dovrei capirci qualcosa.”
 

***

 
  Melanie raggiunse la scuderia di ottimo umore. Dopo essersi confidata con la cugina si sentiva più leggera e sapeva che l’allenamento, quel giorno, sarebbe stato liberatorio. Marea la salutò con un nitrito potente, la ragazza le mise le briglie per portarla fuori.
Si accorse che c’era qualcuno seduto sulla staccionata e pensò subito a Sam, ma scartò in fretta quella ipotesi perché la figura in questione era più alta e sembrava anche più grande. La prima cosa che notò fu la cresta castana, i vestiti da sbandato, stracciati e rovinati irrimediabilmente. Mel si avvicinò per vederlo meglio e solo allora lui si accorse della sua presenza.
 
“È insolito incontrare qualcuno da queste parti. Tu non mi sembri nemmeno un cavallerizzo” osservò Melanie, una mano impegnata ad accarezzare il muso di Marea e l’altra che stringeva le briglie.
 
Il ragazzo teneva una gamba a penzoloni e l’altra piegata sulla staccionata, tra due dita stringeva una sigaretta quasi finita e la felpa che indossava era troppo leggera per il vento freddo di quei giorni. I suoi occhi, dal taglio sottile e allungato, sembravano quelli di un animale selvaggio e si muovevano in modo rapito e incostante. Si soffermarono sul cavallo solo per un momento, poi li puntò fissi in quelli di Melanie, con spavalderia.
 
“Sono solo un randagio, quelli come me non hanno mete e non hanno una casa dove tornare, quindi sono liberi di andare dove vogliono” rispose lui con voce atona, poi aggiunse: “Hai un bellissimo cavallo, come si chiama?”
 
“Marea.”
 
“È bella, ma la sua compagna di viaggio lo è molto di più.”
 
La ragazza non poté trattenere un sorriso lusingato. “Sono Melanie” disse, e poi gli fece un cenno interrogativo col capo. “Tu?”
 
“Mi chiamano Stray.*” Prese l’ultima boccata dalla sigaretta e la spense contro il legno laccato della staccionata, poi balzò giù e infilò entrambe le mani in tasca, sfoderando un ghigno che lasciava intendere le peggiori intenzioni.
“Fammi vedere cosa sa fare questa puledra. Sfidiamo il vento.”
 
Mel sapeva che fidarsi degli sconosciuti non era saggio, ma sentiva una connessione singolare con quel ragazzo, un’attrazione inspiegabile per la sua calma serafica. In più la sua proposta era decisamente allettante. Quindi annuì e diede l’ordine a Marea di restare ferma, mentre Stray saliva in sella dietro di lei.
E sfidarono il vento.
 

***

 
  “…quindi un autotrofo è un organismo che si procura da solo il nutrimento” ripeté Jackie, mordicchiando nervosamente il tappo della penna.
 
“Strano ma vero; il tuo cervellino funziona se adeguatamente stimolato” lo elogiò Rachel soddisfatta.
 
Persino i suoi complimenti suonavano come insulti; a quel pensiero il ragazzo sospirò. “Siamo troppo lenti, non riuscirò mai a recuperare abbastanza materiale entro fine mese.”
 
Lei scosse la testa, sfogliando le pagine sovrappensiero. Aveva constatato che Jackie non aveva deficienze d’apprendimento, né nulla di simile; spiegargli gli argomenti era quasi piacevole vista la sua velocità ad afferrare i concetti chiave. Tuttavia…
 
“Il tuo problema non sono le capacità, il fatto è che non te ne importa nulla.”
 
Lui si scompigliò un ciuffo biondissimo, alzandosi dalla sedia, e fece qualche passo pigro. Si distese sul letto e s’incantò a guardare il soffitto. “Hai ragione, non m’interessa.”
 
Rachel soffermò lo sguardo sulla sua figura; quei vestiti sempre in disordine, quella zazzera di capelli biondi e spettinatissimi, lucenti come il sole e quegli occhi nocciola che ce l’avevano col mondo intero.
 
È davvero un bel ragazzo.
 
Avvampò, dandosi dell’idiota. Bel ragazzo? Quel tipo scorbutico e maleducato che non faceva altro che renderle la vita impossibile?! Il troppo studio doveva averle dato alla testa.
 
“È miracoloso, non credi?” commentò ad un tratto lui, distogliendola dai suoi pensieri.
 
“Cosa?”
 
“Siamo insieme da più di due ore e non ci siamo ancora azzannati alla gola.”
 
“Giusto, oggi sei più sopportabile del solito” sbuffò lei, tentando di essere credibilmente scocciata, ma era davvero difficile perché ormai il suo cervello si era messo in moto in una direzione completamente diversa e spaventosa, e tutto sembrava passare in secondo piano.
 
Smetti di pensare, Rachel, solo per un momento. Dai tregua al tuo cervello.
 
Il ragazzo sospirò a sua volta e si rimise a sedere per sfilarsi la felpa, rimanendo in maniche corte. Non avrebbe saputo dire se fosse colpa del riscaldamento troppo alto o meno ma, da quando era entrato in quella stanza, si sentiva soffocare dal caldo. Si grattò la nuca e si voltò di nuovo verso la ragazza, indeciso su come approcciare il prossimo discorso, quando la vide sgranare gli occhi.
 
“Cos’ hai lì?” Rachel si avvicinò, e Jackie trasalì quando si accorse che stava indicando il suo braccio.
 
“Niente!” Tentò di rinfilarsi la felpa, ma ormai era troppo tardi.
 
“È un tatuaggio? Ti sei fatto un tatuaggio?”
 
“No, cioè… sì, ma…” Jackie incespicò nelle sue stesse parole, pentendosene subito dopo. Il suo disagio era palese e una persona sveglia come Rachel non avrebbe potuto non notarlo. “Ti prego!” fu costretto a battere in ritirata, nonostante l’orgoglio. “Non dirlo in giro!”
 
Rachel increspò la fronte, confusa. “Che senso ha farsi un tatuaggio e poi nasconderlo?”
 
Jackie cominciò a tormentarsi i capelli in modo quasi ossessivo. Non riusciva a pensare ad una via di fuga, poteva solo raccontarle la verità e sperare che la ragazza non lo tradisse. “L’ho fatto perché ero arrabbiato con mia madre, era un atto di ribellione, ma ripensandoci a mente lucida…”
 
“Non hai il coraggio di mostrarglielo” concluse Rachel, intuitiva come sempre. “Che disegno è?”
 
“Un tribale.” Jackie si arrotolò la mezza manica e le mostrò la spalla.
 
“È carino” commentò Rachel con un mezzo sorriso e il ragazzo sembrò sul punto di rilassarsi, ma non aveva idea di cose nascondesse quel commento.
 
Nella mente di lei tutto era fuoco, fiamme e vendetta. Quella scoperta le sarebbe tornata utile; se si fosse presentata la necessità, avrebbe anche potuto ricattarlo. Ecco che ricominciava a pensare come la vecchia Rachel, amante solo del profitto personale.
 

***

 
  Sam corse verso l’ippodromo con l’energia positiva di sempre. Entrò nella stalla, ma non vide traccia né di Melanie né di Marea, e pensò che la ragazza fosse già fuori a cavalcare, quindi uscì e si sedette sulla staccionata ad aspettarla pazientemente.
Ma, quando intravide la figura di Marea in lontananza, notò che Melanie non era sola e aguzzò la vista per cercare di capire chi fosse con lei.
 
Un ragazzo.  
 
Sam avvampò di rabbia. Si conoscevano fin dall’infanzia, ma Mel non l’aveva mai invitato a salire in groppa alla sua cavalla. Come se non bastasse lo sconosciuto sembrava essere più grande di lui e aveva una disinvoltura che a lui mancava.
 
Melanie tirò le redini e Marea sbuffò fermandosi davanti a Sam. “Ciao!” lo salutò lei allegra.
 
“Ciao…” borbottò lui, guardando di traverso il ragazzo più grande che scendeva dall’animale con un balzo.
 
“Stray, questo è Sam!” continuò lei, che sembrava non aver notato l’insolito broncio sulla bocca del ragazzino.
 
“Che razza di nome è Stray?”
 
L’interpellato frugò nelle proprie tasche alla ricerca dell’ennesima sigaretta e lanciò un’occhiata annoiata verso Sam. “Un nome come un altro…” replicò, come se quella risposta gli fosse costata una fatica immane. Stampò un bacio sulla guancia di Melanie e si allontanò, scavalcando la staccionata.
 
Quella scena bastò a far irrigidire Sam dalla testa ai piedi, e un istante dopo esplose. Corse al seguito di Stray così in fretta che sentì le gambe dolere e gli afferrò un braccio per bloccarlo. “Sta’ lontano dalla mia ragazza!” ringhiò, stringendo più forte la presa.
 
Stray portò i suoi occhi annoiati su di lui, ma le labbra sottili si piegarono in un ghigno storto e stranamente divertito. “Non mi aveva detto di essere occupata. Poco male, sarà più divertente conquistarla.”
 
Le dita di Sam cedettero per lo stupore, e per un istante si sentì svuotato. Guardò Stray allontanarsi con la sua camminata sicura, senza vederlo davvero.
Nella sua testa, il panico.
 

***

 
  Jamie arrivò alla fermata della metro in anticipo, si sedette sulla prima panchina libera e aspettò. Si allacciò il bottone più alto del colletto della giacca, quando un brivido gli attraversò la schiena. Ogni minuto che passava si sentiva più nervoso; avrebbe tanto voluto andarsene e poi magari giustificare la sua assenza inventandosi che si era sentito male. Sarebbe stata la soluzione più facile.
Però l’idea di poter stare con Naomi lo allettava, poter parlare con lei come avevano fatto la sera dell’uscita a quattro era ciò che voleva più di tutto, quindi raccolse tutta la sicurezza che non aveva e rimase fino a quando una voce frizzante non lo risvegliò bruscamente dai suoi pensieri.
 
“Ehilà!”
 
“Ah, c-ciao!” balbettò, mentre Naomi gli veniva incontro.
 
Era ancora più carina del solito: nonostante il freddo non aveva rinunciato alla minigonna, capo d’abbigliamento che adorava, inoltre indossava un cappottino azzurro imbottito e una sciarpa multicolori abbinata agli stivaletti vivaci. Come tocco finale, aveva optato per delle calze rosa shocking. Per Naomi, passare inosservati era la cosa più brutta che potesse succedere.
 
“Aspetti da molto?”
 
“No no, solo un’ora e un quarto” farfugliò, facendola ridere. Non era stata sua intenzione in realtà, ma lo considerò un buon segno.
 
“Dove mi porti?”
 
“Anche in capo al mondo, se me lo chiedi.”
 
Naomi ridacchiò ancora. Quel ragazzo sapeva dare risposte degne di un Principe Azzurro, con la stessa leggerezza disarmante che avrebbe usato davanti ad una tazza di caffè; un’esperienza nuova per lei, che era abituata ad avere storie che duravano al massimo mezza giornata con ragazzi tutt’altro che rispettosi.
 
“Cominciamo con una cioccolata calda, ti va? Sto gelando!” esclamò, con un sorriso che lui ricambiò spontaneamente.
 

***

 
  Rachel si sedette alla scrivania, ed aprì il libro di Storia Europea Antica alla pagina centoventitré. Il titolo annunciava di guerre civili e condottieri romani.
Cominciò a leggere le prime righe, ma il silenzio assoluto all’interno della stanza le permetteva di percepire distintamente i rumori esterni, come il gocciolio del rubinetto della cucina o le voci dei bambini che giocavano a pallone in giardino, così si alzò ed accese la radio a basso volume. Ritornò sul suo condottiero romano, Caio Mario, ma dopo meno di dieci righe la sua mente prese a volare sulle ali di fantasie lontane.

Pensò alla riunione dell’associazione studentesca, alla recita scolastica e a Jackie…
 
A Jackie?! Ma cosa diavolo…?!
 
Si posò una mano sulla fronte: non era calda. Meglio così.
Riportò la sua attenzione su Caio Mario: la guerra sociale fu provocata dal malcontento comune dei socii che si ribellarono a… ma nei tempi antichi c’era sempre qualcuno con qualche problema da reclamare? Per quanto concerneva lei, una bella dittatura sanguinosa era un ottimo modo di risolvere la situazione. Regole. Regole che dovevano essere rispettate e dovevano essere fatte rispettare in casi estremi di ribellione, per riportare l’ordine.
Immaginò la figura di Caio Mario, tutta impettita nella sua armatura da comandante romano, ma in meno di un secondo i margini si sfocarono e prese le sembianze di un giovane ragazzo biondo con l’aria imbronciata e uno skateboard sotto braccio.
 
Chiuse il libro con uno sbuffo di rabbia e disperazione.
 
C’era decisamente qualcosa di sbagliato nella sua testa, se nemmeno la Storia riusciva a distrarla dal pensiero di quel presuntuoso delinquente. Fu solo un flash ma cambiò tutto, quando le tornarono alla mente le parole della madre: Ci misi molto a capire che mi piaceva…
 
Un dubbio atroce s’insinuò in lei.
 
Corinne entrò d’improvviso nella stanza, facendola sobbalzare sulla sedia. Rachel parlò tutta d’un fiato, la voce tesa come un fuso: “È cortesia convenzionale bussare prima di fare irruzione in un ambiente privato!”
 
Sua madre la guardò di sbieco. “Ma come cavolo parli?! Sarà meglio che la smetta di comprarti libri complicati, se voglio preservare ciò che resta di adolescenziale in te!”
 
La ragazzina respirò a fondo e socchiuse gli occhi, per ritrovare la calma. “Sei qui per un motivo preciso?”
 
“Io e tuo padre stiamo tentando di aggiustare il forno a microonde, stavo cercando il libretto delle istruzioni. Roy è un disastro in queste cose, ha già preso la scossa un paio di volte.” Alzò le spalle e entrò nella camera, cominciando a frugare nei cassetti. “Alla fine si rassegnerà e chiamerà Alex, come sempre.”
 
“Guarda che per non prendere la scossa basta staccare la spina.”
 
“Sì, ma tu non dirglielo sennò mi perdo lo spettacolo” ridacchiò la donna.
 
Rachel non poté trattenersi dal pensare che sua madre fosse a dir poco crudele, e quella era la dimostrazione manifesta che lei era sangue del suo sangue. “Povero papà…” commentò comunque, fingendosi compassionevole perché la situazione lo richiedeva, e si appoggiò allo schienale della sedia.
 
“Tu cosa stavi facendo?” chiese Corinne, curiosando sul quaderno. “Ancora Storia? Ma non la stavi studiando anche un’ora fa?”
 
“Sono un po’ distratta…” ammise e quasi si strozzò con la sua stessa saliva, quando negli occhi della donna brillò l’entusiasmo.
 
“Racconta le tue pene alla tua mammina preferita!” Si sedette sul letto a gambe incrociate e sfoderò un sorriso incoraggiante.
 
La ragazza arrossì per un misto di imbarazzo e preoccupazione,  ma sapeva che continuare a negare ormai non era più possibile.
 
“Forse avevi ragione tu, forse… mi sono innamorata.”
 

***

 
  L’appuntamento procedeva a gonfie vele: superati i primi momenti d’imbarazzo, Jamie aveva cominciato a chiacchierare genuinamente. Sotto insistente richiesta di Naomi, stava raccontando la storia della prova di coraggio, stando bene attento a tralasciare certi particolari, come il fatto che per tutto il tempo aveva tremato come una foglia e che all’entrata del signor Barker era quasi scoppiato in lacrime.
 
Ad un tratto Naomi si fermò in mezzo al marciapiede e piantò gli occhi su un enorme cartellone lampeggiante; il manifesto di uno spettacolo di Broadway che andava molto in voga in quel momento. “Tu ce l’hai un sogno?” chiese lei, quasi dal nulla.
 
“Un sogno?”
 
“Sì, una cosa che desideri con tutto te stesso.”
 
Jamie arrossì. Gli venivano in mente solo risposte ad effetto fin troppo smielate su quanto aveva sognato di poter stare con lei. “Il tuo qual è?” chiese quindi, per deviare la domanda.
 
“Diventare un’attrice, un’attrice famosa!” Lo disse con un’espressione talmente splendente che Jamie dovette trattenersi dal baciarla. Tutto quell’entusiasmo era contagioso. “Lo so che è egoistico e superficiale, ma voglio che le persone si ricordino di me!”
 
“Fidati, è difficile dimenticarsi di te…” borbottò, parlando quasi con se stesso.
 
Quella frase strappò a Naomi un sorriso dolcissimo. La ragazzina si strinse nelle spalle, tentando di controllare l’eccitazione per non apparire completamente pazza. Era certa che Jamie fosse un ragazzo raro, se non unico nel suo genere; per lei era quanto di più simile al fidanzato perfetto esistesse della realtà.
Decise che non si sarebbe lasciata sfuggire l’occasione di vivere una storia da fiaba e fece un passo verso di lui, alzandosi sulle punte per poterlo baciare. Vide Jamie capire al volo e socchiudere gli occhi e lo sentì passare le dita lunghe, da artista, attorno ai suoi fianchi per stringerla.
 
Ma quando furono talmente vicini da poter respirare l’uno l’aria dell’altra, una voce alle loro spalle urlò: “Ehi, Nao!”
 
Helen Waden la stava salutando con un gesto sovraeccitato della mano e non era sola. Con lei c’era un ragazzo alto e ben piazzato, dai capelli scurissimi e l’aria poco sveglia: Aaron Fuller, il capitano della squadra di football, nonché ex ragazzo di Naomi. Jamie lo sapeva bene, perché si era fatto scrivere la lista degli ex della ragazza da Sam e l’aveva imparata a memoria.
A scuola girava voce che Aaron provasse ancora qualcosa per Naomi, e che avesse accettato di mettersi con Helen solo per farla ingelosire. Chiaramente non c’era riuscito, dato che alla rossa non interessava più nulla di lui.
 
“Ciao, Helen!” sorrise la ragazza, ignorando completamente la presenza di Aaron.
 
“Tu devi essere Jamie Sage” disse la cheerleader, infrangendo in un colpo solo tutte le speranze del biondino di non essere tirato in ballo in quel triangolo amoroso già abbastanza complicato, anche senza l’entrata in scena di un quarto attore. Aaron non si fece problemi a ringhiargli contro.
 
“… sì, piacere.”
 
“Nao parla spesso di te! A stare a sentir lei sei la versione moderna e ancora più bionda di Romeo!”
 
“Beh, non proprio…”
 
“Non fare il modesto. Voi dove siete diretti?”
 
“Non so, pensavamo di fare un giro per negozi” balbettò il ragazzo, sperando vivamente che loro avessero altri programmi e trasalì, quando la moretta rispose: “Bene! Veniamo con voi!”
 
Naomi lanciò un’occhiataccia all’amica: la conosceva abbastanza bene da capire quali fossero le sue vere intenzioni ed erano molto lontane da una semplice passeggiata in compagnia: era chiaro che Helen stava cercando un modo per mettere alla prova Jamie.
Da quel momento in poi la bocca del ragazzo si sigillò. Parlava solo se interpellato e diceva il minimo indispensabile. Helen, a cui piacevano i tipi spavaldi, ci mise poco a prenderlo in antipatia e cominciò a beccarlo con battutine meschine. A niente servivano i rimproveri di Naomi a cui Helen rispondeva con un semplice: “Ma dai, scherzavo!”

Aaron non riusciva a capire cosa ci trovasse Naomi in quel moccioso goffo e imbarazzante; a parer suo era decisamente uno sfigato, quindi lo sfidò ogni qual volta si presentò l’occasione per dimostrare a Naomi la sua superiorità.
 
Dopo due lunghissime ore, Helen si stancò di quella situazione e prese il biondino da parte. “Insomma, ti dai una svegliata?”
 
“Non capisco cosa intendi.”
 
“Io e Aaron ti tormentiamo e tu non reagisci. Che razza di uomo sei?”
 
“Cosa dovrei fare?”
 
“Rispondere alle provocazioni!”
 
Jamie sembrava sinceramente confuso. “Non ho nessun interesse nel farlo, non ho niente contro di voi. L’unica cosa che volevo era passare un pomeriggio con Nao, solo questo.”
 
Era la frase più lunga che Jamie avesse pronunciato da quando si erano incontrati e Helen ne rimase meravigliata. Dopo tutto quello che gli avevano fatto lui non provava nessun rancore per loro? Adesso capiva perché tutti a scuola lo chiamassero Santo Jamie. Helen era abituata ad aver a che fare per lo più con rozzi atleti della squadra di football, che avevano solo un concetto in mente: azzuffarsi tra loro per conquistare la cheerleader di turno.
Vista da quest’ottica Jamie appariva come un ragazzo davvero speciale.
 
“Non ho idea di come sono giunta a questa conclusione, ma in fondo non sei così male” ammise infine lei con sforzo estremo.
 
Quando tornarono dagli altri, Helen si arrese definitivamente. “Io e Aaron ce ne torniamo a casa, ci vediamo a scuola.”
 
“Cosa?!” borbottò il capitano della squadra di football, orripilato alla sola idea di lasciare Jamie solo con la sua ex.
 
Helen lo ignorò. “Per quanto riguarda te” disse, indicando Jamie con un’aria talmente minacciosa che lui indietreggiò per riflesso. “Vedi di non cambiare mai.”
 
E se ne andò, trascinandosi dietro Aaron scalpitante.
 
Naomi non attese nemmeno che fossero spariti del tutto prima di abbracciare Jamie. “Grazie!” bisbigliò vicino al suo orecchio.
 
Le mani di lui scivolarono sulla sua schiena automaticamente, cominciava ad abituarsi ai contatti improvvisi della ragazza. “Di cosa?” chiese, poi arrossendo.
 
“Non so cosa tu abbia detto ad Helen, ma dev’essere stato qualcosa di fantastico per farle cambiare idea così radicalmente!”
 
Jamie si prese un istante per rifletterci. “Non mi sembra di aver detto niente di speciale.”
 
Naomi sorrise, spingendosi ancora sulle punte degli stivaletti per avvicinare il viso a quello in fiamme del ragazzo. “Riprendiamo da dove eravamo rimasti?”
 
“Fai conquiste, Pulcino?”
 
Jamie non riuscì a trattenere un gemito frustrato, mentre Lampo e Yoyo sia accostavano a loro. Stavano portando alcune buste; il bambino lasciò cadere a terra le sue e si lanciò all’attacco, frugando nelle tasche del biondo alla ricerca di dolciumi.
 
“Ehi, come mai qui?” Jamie si costrinse a salutarli come se non avessero appena interrotto un momento estremamente intimo e atteso. Il mondo intero sembrava intenzionato a non lasciargli nemmeno cinque minuti di pace, da solo con Naomi.
 
“Stray ci ha mandati in missione, in missione!” spiegò entusiasta il bambino.
 
“Per dirla tutta ci ha mandati a fare la spesa per la brigata” sbuffò Lampo, poi aggiunse squadrando Naomi senza troppa discrezione: “Lei è la tua ragazza? Carina!”
 
Jamie avvampò, tanto per cambiare, e si rese conto di non sapere cosa rispondere; non avevano ancora chiarito quel punto, ma Naomi non sembrava avere dubbi. “Sì, io e Jam stiamo insieme” disse fiera, anche se non era propriamente vero, dato che lui non aveva ancora avuto il coraggio di chiederglielo.
 
Lampo rise apertamente e scosse la testa, fingendo un’espressione contrariata. “Invece di venire ad allenarti al campo vai a ragazze, e bravo Pulcino! Rimarrei qui a tormentarti, ma Stray ci ha dato un limite di tempo massimo che abbiamo già bruciato. Ci vediamo la prossima settimana, eh? E vedi di esserci stavolta!”
 
Yoyo li salutò con la mano e raccolse le buste, correndo dietro al suo tutore.
 

***

 
  Sulla strada di casa Jamie riuscì persino ad avvolgere le spalle di Naomi con un braccio senza morire per autocombustione, e quello fu un grosso progresso. Mentre la riaccompagnava, la ragazzina tra una chiacchiera e l’altra domandò: “Ci vai alle gare d’ippica di Melanie?”
 
“Mel ha ricominciato ad andare a cavallo? Non ne sapevo niente!”
 
“Perché è un segreto! I suoi non sanno che partecipa, pensavo che almeno a te l’avesse detto.”
 
“No, e tu come lo sai?”
 
“Ho ascoltato di nascosto una telefonata di mio fratello” fischiettò lei con aria innocente e Jamie ridacchiò, sfiorandole il naso con l’indice in un gesto di muto rimprovero. Naomi arricciò il naso e alzò le spalle.
 
Il ragazzo sembrò perdersi in uno dei suoi momenti di riflessione profonda, quindi non lo disturbò per qualche istante. “Beh, in tal caso, penso proprio che ci andrò. Quando sarebbero?”
 
“Domani, alle quattro. Ci vediamo là!” concluse lei.
 
Erano ormai arrivati sulla soglia di casa, quando Jamie si chinò finalmente in avanti per tentare di baciarla. Dato che il cosmo sembrava essersi predisposto per impedire quel bacio, Jamie quasi non si sorprese del fatto che proprio in quel momento Britt avesse aperto la porta dicendo: “Ops, scusate! Ho interrotto qualcosa?” La donna dai capelli rosa shocking sembrò illuminarsi all’improvviso. “Ma tu non sei Jamie? Mia figlia esce con il pargoletto di Julia!”
 
Naomi a quel punto si accontentò di schioccare al biondino solo un bacio sulla guancia prima di salutarlo. “Mi spiace, è stato un appuntamento travagliato. Comunque chiamami, eh?” Ammiccò verso di lui e un momento dopo si staccò per saltellare in casa, con il suo passo vivace e aggraziato.
 
“Chiamala, eh?” ripeté Britt con lo stesso tono acuto della figlia, prima di chiudere la porta.
 
Jamie sospirò incantato e frastornato al tempo stesso. Si sfiorò la guancia che Naomi aveva appena baciato e si avviò verso casa, con la leggerezza sulle spalle di un sentimento raro.
La felicità.




NB: *Stray: dall'inglese, significa "Randagio". Capiremo più avanti perché si fa chiamare così. 

Nelle foto seguenti ecco i personaggi che non ho postato la volta scorsa. I nomi che ho scritto sotto sono i loro veri nomi per intero, quindi Sam è Samuel Johnatan Steer e i ragazzi della Brigata sono Brian Ashwell (Stray) e Dylan Lockhart (Lampo).


Image and video hosting by TinyPic Image and video hosting by TinyPic Image and video hosting by TinyPic Image and video hosting by TinyPic
Ci tengo a ringraziare Serena, che mi ha fatto un disegno bellissimo con i protagonisti di questa storia. E' una cosa dolcissima, grazieeee! <3
http://tinypic.com/view.php?pic=5uldf6&s=5

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Nymeriah