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Autore: VENDA    15/02/2008    3 recensioni
Breve testo teatrale scritto un paio d'anni fa; a teatro ci assegnarono il compito di sceneggiare alcune novelle di Pirandello, e questo è quello che ne è uscito fuori! All'inizio non avevo intenzione di pubblicarla, ma ora che l'ho riletta voglio darle una chance..se vi capita fatemi sapere cosa ne pensate, ma per favore siate clementi, non amo particolarmente questo autore..!
Genere: Malinconico, Mistero, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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pirandello

(Buio in scena. Dal fondo si avvicina un uomo che, camminando con fare distratto, si ferma in proscenio, illuminato dalla luce rossa di un faro che segue i suoi spostamenti. Sullo schermo alle spalle del personaggio l’immagine di un ponte di notte, con l’erba e le foglie degli alberi tutt’intorno che si muovono al vento.)

UOMO: Cosa c’è che mi tormenta …? Un pensiero, un’idea … non trovo pace…

(Si siede e si guarda le mani.)

UOMO: La città sembra disabitata, continuare per la mia strada mi par quasi un’impresa … sarebbe più facile se la vita in questa città si spegnesse davvero e io potessi rimanere immobile a fissare il mondo ormai privo di senso …

(Improvvisamente si rialza e continua a camminare.)

UOMO: Questo peso che mi opprime … quest’idea mi ucciderà! O forse non è lei … no, non lo è … non quanto la consapevolezza terribile che mi porto dentro … ho passato la mia vita a guardare quelle degli altri, come un muto spettatore, ombra tra le ombre di questa notte che sola ascolta le parole di un uomo … o presunto tale … che soffre. Disperato è stato il mio tentativo di capire cosa cerca l’uomo in questo suo eterno peregrinare, cosa pensa la donna quando le si domanda -A che pensi?-, cosa cela dietro al silenzio con cui risponde … disperato ero io, mentre cercavo di comprendere la verità … e disperato sono io ora, mentre capisco che ho fallito …. È questo che mi logora dentro, non l’idea che spesso fa capolino nella mia mente, presentandomi un mondo immobile e silenzioso da guardare … non ho forse fatto altro per tutta la vita? E la vanità di tutti questi segreti ragionamenti, da celare con un sorriso scemo sempre pronto sulle labbra a un minimo richiamo dei cari amici che ti burlano perché non sai dir loro che cos’hai né cosa vuoi …. No, non voglio tornare a casa, ho paura …

(Continua a camminare arrivando su un ponte.)

UOMO: Già so che domani tutti i tormenti di questa notte verranno liquidati come mera stanchezza, assieme al ricordo di questi momenti d’ossessione… non ne trarrò certo conforto, ma non posso fare altro …. E pur non riuscendo ad immaginare da dove possa venire questa idea che ogni volta mi tiene sospeso e assorto in un’opaca attesa … non disprezzo la mia vita… né questa attesa logorante, attesa forse che quest’idea mi abbandoni una volta per tutte o, chissà … che torni ancora ….

(Si ferma perché da lontano vede una donna. Le si accosta in silenzio. La luce rossa del faro lascia il posto ad una soffusa luminescenza giallognola, tenue, appena sufficiente a scorgere i due personaggi. La donna si volta e lo guarda. Si scrutano per alcuni secondi. Poi dall’ombra viene una voce; senza sorpresa, senza rimprovero, quasi sbocciata da un lieve, lieto sorriso.)

DONNA: Ah, tu ancora qui?

(Lui le si avvicina e fa per prenderle le mani, ma lei lo allontana gentilmente.)

DONNA: No, non così… neanche se tu fossi ancora il mio fidanzato….

UOMO: Ma lo sono!

DONNA: Non dirlo, non è vero! Sono quattro mesi che non ti fai vedere!

(Lui la guarda sconcertato.)

UOMO: Non mi hai richiamato!

DONNA: Tu puoi venire quando vuoi, sei il benvenuto … mi trovi sempre con il mio lavoro, con le mie cifre, i miei registri … ma io non ti richiamo.

UOMO: Ma per te tutto questo non significa nulla, non t’interessa, è solo per la banca!... Non hai mai dei desideri?

DONNA: No, perché averne?

UOMO: Non è possibile, non puoi essere felice così!... E se ti chiedessi di sposarmi?

DONNA: Tu non mi sposerai mai … ne sarei felice forse, ma ora me lo domandi solo per conoscere una mia risposta, per stare in pace con te stesso.

UOMO: Già, sarebbe proprio da te …. Non potresti immaginarti una vita diversa, vero? La tua casa con tutto ciò che contiene è dovuto al tuo lavoro … la tranquillità, qualche svago ogni tanto, le tue amiche, le feste, i viaggi … e magari un uomo …. Come riesci ad essere così? Come fai a farlo? Sempre così lontana da tutto, anche da te stessa … non ti rendi conto di come appari, così distante e irraggiungibile …. Ma è possibile che non pensi a nulla? Almeno al tuo avvenire! Vivrai sempre così, in questo ritegno, sempre con l’aria di ritrarti da tutto? Ci sono gli altri … c’è la vita, solo a farti un po’ avanti …

DONNA: Non posso … e forse non voglio. I pensieri della giornata mi impegnano e prendono tutto il mio tempo. Mi piacerebbe alle volte fermarmi a leggere un libro, ma non ho tempo neanche per quello.

UOMO: Come fai a non avere sogni per te …?

DONNA: Io?... Non saprei. Dormo quieta. Sogno di rado.

(E d’improvviso lei non c’è più. Lui guarda l’acqua del fiume.)

UOMO: No, non devo … non posso.

(Il tempo pare essersi fermato. L’immagine del ponte sullo schermo, con l’erba e le foglie degli alberi, si blocca. Nulla si muove. Ciò che lo colpisce è che, in quell’immobilità penetrante, pare che solo il fiume continui a scorrere. Mentre lui è assorto nei propri pensieri, ecco comparire quattro personaggi: una vecchia, un uomo, una donna e una bambina. Una luce bianca, leggermente più intensa della precedente, accompagna la loro entrata. Il faro rosso torna a puntarsi sulla figura dell’uomo che si è spostato in disparte, meno intensa rispetto all’inizio, in modo che lo spettatore continui a percepire la sua presenza senza che questa distolga l’attenzione dalla scena dei nuovi entrati. La donna urla, inveendo contro il marito e additando la vecchia.)

DONNA 2: Tua madre è di più! O fuori lei o fuori io!

(Il marito si ferma e piange silenziosamente senza dire nulla. La bambina si avvicina alla vecchia e stringe con le manine le ciocche del fazzoletto che ha in testa, che le pendono sotto l mento.)

BAMBINA: Perché la mamma dice che tu sei di più?

(Il padre alza il viso a guardarla.)

VECCHIA: Perché? Perché tu non vuoi stare con la tua nonnina … ecco il perché.

(La bambina la guarda smarrita.)

VECCHIA: No, non dico qua … non dico qua … a casa, con la tua nonnina e il tuo papà … ti metti a piangere perché vuoi anche la mamma …

BAMBINA: La mamma, sì!

VECCHIA: Ecco, vedi? La mamma senza te c’è stata per più di un mese, e dice che potrebbe starci anche per sempre … perché non ha bisogno di nulla, lei … né di nessuno … basta a sé, provvede a sé: ha le mani d’oro, lei! A casa ci sta perché la vuoi tu, lei per sé non ci starebbe …

UOMO 2: Non dire così alla piccina!

(Si avvicina alla bambina e le prende le manine.)

UOMO 2: Guarda, facciamo così … tu con la mamma, sola … e io qua con la nonna … vuoi?

(La bambina scoppia in lacrime e abbraccia stretto il padre.)

BAMBINA: No! Tu con me, papà!

UOMO 2: Dunque vedi …? Vedi che è proprio per te che la nonnina è di più? E quella carogna se ne approfitta, perché lo sa bene che se non fosse per te …

(La bambina non lo ascolta più. Ha sciolto l’abbraccio e, guardando il padre, comincia ad indietreggiare lentamente.)

DONNA 2: Ma che vuoi fare? Dove vuoi andare?

BAMBINA: Lo so io … voi non vi preoccupate …

(La bambina si allontana sempre di più fino a sparire nel buio della notte. Gli altri tre personaggi restano a guardare il punto in cui è sparita, poi si dileguano anche loro, uscendo ognuno da una quinta diversa. Il faro rosso illumina nuovamente l’uomo sul ponte, che ha assistito a tutta la scena senza che gli altri notassero la sua presenza. Solo la bambina, prima di sparire, entrando nel cono di luce scarlatta, gli lancia un’occhiata e sorride. Torna quindi a specchiarsi nelle acque del fiume e questa volta rimane ad osservare il suo riflesso, che appare sullo schermo alle sue spalle: un volto … la testa calva, gli occhi socchiusi e la bocca semi aperta tra i peli rossicci dei baffi e della barba, grossi peli, quasi metallici, come le folte sopracciglia rosse.)

UOMO: Sono io quello? Uno che non sono più … e come mi pesa, ora, questo corpo … mi pesava già prima … e che fatica ogni respiro …. Tutta la vita in una camera, vicino ad una finestra, a guardar fuori … e sentirmi a mano a mano mancar tutto, tenersi in vita fissando un oggetto, questo o quello, con la paura d’addormentarmi … ma a poco è servito il mio impegno …

(Sullo schermo alle sue spalle l’immagine cambia. Ora ci sono due personaggi: quello seduto su di un letto con le spalle poggiate alla parete è lui, l’altro è un uomo con un camice bianco. I due parlano e la conversazione, come in un ricordo, rimbomba per la sala.

UOMO: Ma lei è del parere che, nello stato in cui sono ridotto, sia da tentare un’operazione così rischiosa?

MEDICO: Al punto in cui siamo il rischio veramente …

UOMO: Non è per il rischio. Dico … se c’è qualche speranza …

MEDICO: Ah … poca …

UOMO: E allora …

Le immagini sfumano e sullo schermo torna il viso dell’uomo, adesso rigato di lacrime.)

UOMO: Non provo antipatia per questo corpo debole e malato … ma rancore … perché tutti riconoscono quest’immagine come la cosa che più mi appartiene, e io questo non l’ho mai capito … non è così! Io non sono così fragile! C’è così poco di me in questa figura … io sono nella vita, nelle cose che penso, che mi si agitano dentro, in tutto ciò che vedo fuori … case, strade, cielo … tutto il mondo … e ora sono in questa pena, in questo sgomento …. Io sono nelle cose che per se stesse non hanno più un senso … e questo è morire. Ah come all’alba, lungo il fiume, volli essere erba io, quella volta quando, guardando i cespugli e respirando tutto quel verde così fresco e nuovo mi resi conto che è tutto quel groviglio di bianche radici a succhiare l’umore della terra nera! Ma ora, qui, su questo ponte, non sono che la fragranza di quest’erba che si va sciogliendo in questo respiro, vapore ancora sensibile che si dirada e svanisce … ma senza finire, senza avere più nulla vicino … o forse … si, forse solo un dolore … ma ancora mentre lo sto pensando è già lontano, senza più tempo, nella tristezza infinita d’una così vana eternità …

(Riprende a camminare, ma prima di cominciare a dirigersi verso le quinte per uscire, nota a terra un geranio il cui gambo è stato reciso.)

UOMO: Una cosa … consistere ancora in una cosa, che sia pur quasi niente … una pietra …. O anche un fiore che duri poco … ecco … questo geranio …

(Raccoglie il fiore, la cui immagine è intanto apparsa sullo schermo alle sue spalle. Se lo porta al naso e ne annusa il profumo. Poi lo poggia a terra ed esce. Il geranio viene illuminato dallo stesso faro rosso che dall’inizio della scena ha seguito l’uomo. Dalla quinta opposta entra un bambino con un cane.)

BAMBINO: Oh, guarda quel geranio rosso! Come s’accende! Chissà perché?!

(Il bambino e il cane restano a fissare il fiore da lontano per qualche secondo, poi escono di scena dalla quinta da cui era uscito l’uomo. All’immagine del geranio inquadrato sullo schermo, si sovrappongono queste parole: “… di sera, qualche volta, nei giardini s’accende così, improvvisamente, qualche fiore; e nessuno sa spiegarsene la ragione …”)

   
 
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