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Autore: syontai    07/08/2013    4 recensioni
Violetta si ritrova a dover accettare la missione di catturare le Clow Cards, misteriose entità magiche con poteri straordinari... Il compito è arduo e si rivela più complicato del previsto, anche perché un incantesimo le impedirà di avvicinarsi alla persona che ama. Imprevisti, magia e amore: riuscirà Violetta a diventare la nuova Padrona delle Clow Cards?
'Un’ombra cominciò a disegnarsi dentro la sfera d’acqua, poi lentamente l’immagine si fece più chiara, era una ragazza dallo sguardo dolce, con dei capelli castani lisci e uno sguardo sognante/ “Dimmi il suo nome…” gridò Sakura fissando lo sguardo di pietra della statua di Clow Leed. Si sentì il rumore di un tuono, poi alzò gli occhi e sulla volta notò che le stelle si stavano disponendo per formare un nome: Violetta Castillo.' (capitolo 1)
' Quando riuscì a prenderle il braccio, Violetta si sentì tirare e perdendo l’equilibrio cadde portandosi dietro Leon, che finì sopra di lei. /Il ragazzo le scostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e le accarezzò la guancia, accorciando sempre di più le distanze.' (capitolo 9)
[Leonetta con accenni Maxi/Ludmilla, Germangie, Fede/Fran]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 15
The Dream and The Voice

Violetta aprì lentamente gli occhi ancora assonnata e li richiuse con il sorriso sulle labbra. Amava quel momento di dormiveglia mattutino, la metteva sempre di buon umore. Inoltre quella notte non aveva avuto nessuno di quei sogni terribili che le capitava di fare. Le immagini del corpo senza vita di Leon al centro della scacchiera gigante le facevano venire i brividi. Era terrorizzata: Francesca le aveva detto che i suoi sogni erano premonitori. Non poteva accettare che succedesse qualcosa di male a Leon, soprattutto per colpa sua. Era distesa sul letto lungo il fianco destro. La sensazione delle lenzuola soffici che le accarezzavano dolcemente la pelle la fece riscuotere da quei pensieri. Fece scendere la mano lungo il suo corpo ancora con gli occhi chiusi e si rese conto di essere in intimo. Che strano…forse aveva sentito caldo durante la notte e si era spogliata, ma non ricordava di aver fatto una cosa del genere. Fece scivolare il braccio fuori dalle coperte, e sentì l’aria fredda farle venire la pelle d’oca. Socchiuse nuovamente gli occhi, guardando di sottecchi il comodino della sua stanza. Il suo comodino…blu? No, il suo comodino era bianco. E allora come mai di fronte a lei spiccava un bel blu elettrico, che si estendeva lungo tutte le pareti? Aprì del tutto gli occhi e si rese conto che quella non era la sua stanza da letto. Dove diamine era finita? Sentì all’improvviso un braccio forte e muscoloso cingerle la vita da dietro, facendola quasi sobbalzare. Una mano percorse lentamente il suo braccio, e questo la fece rabbrividire ancora di più. Sentì il fiato caldo di qualcuno nel suo orecchio e un sussurro roco. “Buongiorno, amore”. Rimase paralizzata: conosceva perfettamente quella voce. La stessa bocca che le aveva sussurrato all’orecchio cominciò a lasciarle dei baci lungo il collo. Violetta non riuscì a muovere un muscolo mentre lo sentiva premere con le labbra sulla sua pelle, come se volesse che ne rimanesse impresso il profumo. “Ti ho già detto che adoro il profumo della tua pelle vellutata?” chiese dolcemente il ragazzo, massaggiandole con una mano il fianco quasi del tutto scoperto. Violetta trovò la forza di voltarsi, sperando vivamente che si trattasse di un’illusione ottica, causata dalla mancanza di zuccheri o qualcosa del genere. Leon le sorrideva con quegli occhi verdi che sembravano brillare di gioia. “L-Leon? Che ci fai qui?” chiese Violetta, abbassando involontariamente lo sguardo e fissando il suo petto nudo, lasciandosi incantare dai tratti dei pettorali e dallo scintillio del sole di vetro che portava al collo. Leon non disse nulla, ma prese la sua mano e la fece appoggiare sul suo petto caldo, facendole venire dei brividi di piacere al contatto. La ragazza arrossì, decidendosi infine a guardarlo nuovamente negli occhi. “Non ti devi vergognare. Mi piace sentire la sensazione della tua pelle sulla mia” la rassicurò, facendo risalire la sua mano dal fianco lungo tutto il corpo sfiorandolo con i polpastrelli e arrivando fino al suo viso. Le accarezzò la guancia scarlatta e le scostò una ciocca di capelli castani dietro l’orecchio. Si avvicinò con un’espressione seducente e sfiorò le sue labbra con un sorrisetto malizioso. “Lo senti?”. Si riferiva al suo cuore che accelerava senza tregua. “Batte solo per te così forte” concluse. Non riuscì a resistere più a quel gioco sensuale tra le loro labbra ed accorciò infine le distante, baciandola in modo appassionato. Se il cuore di Leon andava a mille, quello di Violetta andava a diecimila. Poteva sentire i battiti rimbombare nelle sue orecchie, che ormai pulsavano scarlatte. Lasciandosi trasportare da quel bacio che divenne sempre più intenso, fece scendere la mano lungo il suo busto, toccando i suoi addominali fino ad incontrare il tessuto dei suoi boxeur. Si separò imbarazzata, mentre lui la guardava con un mix di amore e passione. “Che ci fai qui?” chiese, arretrando un po’. “Anzi, che ci faccio io qui?” si corresse, intuendo che quella dovesse essere la stanza di Leon. Il ragazzo si mise a ridere, e lei si incantò. Non l’aveva mai visto ridere in quel modo. Era ancora più bello quando rideva. Si avvicinò, prendendole i fianchi e impedendole di allontanarsi. “Non mi prendere in giro, amore. Sei tu che mi hai implorato stanotte di fare l’amore” spiegò, baciandola nuovamente. Violetta senza pensarci portò le braccia al suo collo, come se fosse ipnotizzata e perdesse la logica dei suoi pensieri ogni volta che sentiva le sue labbra calde e morbide.  Solo dopo realizzò quello che aveva detto: era andata a letto con Leon! Ma come diavolo le era venuto in mente? Non ebbe il tempo di farsi altre domande, perché sentì la lingua del ragazzo leccare piano il suo labbro superiore, passando poi a quello inferiore, cercando di crearsi un varco per poter entrare nella sua bocca. Violetta affondò istintivamente le mani nei suoi capelli, mentre lasciò che Leon conducesse le redini del gioco. Schiuse le labbra permettendogli così di sfiorare la sua lingua con estrema delicatezza. Si era dimenticata perfino di prendere fiato o di respirare, Leon non glielo concedeva. Le mani ruvide del ragazzo percorsero nuovamente il suo corpo che stava diventando sempre più bollente. Mentre si stavano per separare, Leon succhiò con amore il suo labbro inferiore, con gli occhi chiusi, volendo assaporare quelle sensazioni con gli unici sensi del tatto e del gusto. “Leon…” mormorò tremante, rifugiandosi così tra le sue braccia. Ne percorse con il dito i muscoli rilassati, e si lasciò cullare da quel calore così piacevole. Non sapeva come potesse essere successo, ma ringraziò comunque il cielo per quella concessione. Aveva baciato Leon, ci aveva fatto l’amore, ed era ancora lì, abbracciata a lui. Sembrava tutto troppo reale per essere un sogno, e se anche lo fosse stato, allora non si sarebbe voluta svegliare più. “Ti posso fare una confessione?” chiese il ragazzo, rompendo il silenzio. Violetta alzò lo sguardo e annuì con un cenno della testa. “Mi è capitato di sognarti molto spesso. Ed eravamo esattamente in situazioni come questa, se non più hot” ammise lui distogliendo lo sguardo. Violetta sorrise e passò il dito sulle sua labbra, ancora umide per il bacio che si erano scambiati qualche momento fa. “E’ capitato anche a me. Molte volte”. I due si guardarono e scoppiarono a ridere, rimanendo abbracciati. Leon affondò il viso nel suo collo, lasciandogli dei piccoli baci e qualche morso affettuoso, poi riemerse e fece sfiorare i loro nasi con un sorriso dolce stampato. “Ti voglio, Violetta. Voglio che tu sia mia, fino alla fine dei miei giorni”. Suonava proprio come una dichiarazione d’amore. La ragazza chiuse gli occhi emozionata. “Ripetilo” disse semplicemente. “Ti voglio, Violetta. Voglio che tu sia mia, fino alla fine dei miei giorni” ripeté, facendole scorgere la passione e la sincerità di quelle parole. Violetta riaprì gli occhi, e lui era ancora lì, di fronte a lei, che la guardava felice. “Ti amo, Leon” sussurrò, baciandolo nuovamente con sempre più intensità. Lentamente le mani di Leon raggiunsero l’allacciatura del reggiseno, e cominciarono a giocarci, non vedendo l’ora di potersene liberare. “Sei pronta per il secondo round?” chiese con un tono leggermente sfacciato. Violetta rise, non ricordando nulla nemmeno della prima volta. Leon si mise sopra di lei, continuando a baciarla, e facendo coincidere il suo petto con quello di lei, mentre lentamente le stava slacciando il reggiseno. “Leon, è tardi. Farai tardi a scuola”. Una voce attraverso la porta li fece separare. “D’accordo, mamma” esclamò lui, togliendosi da sopra di lei, sbuffando e lasciandosi cadere sul letto. Notò Violetta soffocare le risate. “E tu che ci trovi di divertente?” chiese scherzando. “Niente, solo che…la situazione…” disse lei quasi con le lacrime agli occhi. Leon incrociò le braccia, poi si avventò su di lei, cominciando a farle il solletico. “Così impari a ridere di me!” esclamò soddisfatto. Violetta si stava contorcendo dalle risate, mentre sentiva le mani di Leon solleticarle la pelle nuda. Dopo pochi minuti di questa tortura, Violetta finì sopra di lui, cercando di bloccargli le braccia. Leon glielo permise, guardandola negli occhi innamorato. La ragazza si avvicinò sorridente e lo baciò nuovamente in quella posizione, sentendo il suo cuore battere velocemente, accostato a quello del ragazzo. Quando si furono separati, rimasero con i volti vicini, accarezzandosi con i loro respiri. “Leon, se questo è un sogno, vorrei non dovermi svegliare” mormorò lei con uno sguardo triste. “Ti amo, Violetta” disse in tutta risposta, facendole appoggiare il capo sul petto, accarezzandole i capelli e sussurrandole parole dolci all’orecchio.
“Siamo in ritardo!” esclamò Leon, scendendo le scale, abbottonandosi la camicia. Violetta lo seguì di corsa. “Mia madre è uscita, per fortuna, altrimenti mi avrebbe fatto una bella sfuriata”. A proposito di sfuriate…suo padre! Come avrebbe preso il fatto che aveva passato la notte fuori? Prese in mano il cellulare tremando, e controllò le chiamate perse. Nessuna. Non era possibile. Leon intuì i suoi pensieri. “Tuo padre sapeva già che ti saresti fermata da me. Di me si fida”. “Davvero?” esclamò lei sorpresa. Non se l’aspettava proprio. ‘Violetta!’.Una voce rimbombò nell’aria facendola sussultare. Sembrava essere di Francesca. “Leon, l’hai sentita anche tu questa voce?”. Leon scosse la testa, prendendole la mano e trascinandola fuori per andare allo Studio. Arrivarono all’ingresso mano nella mano, cosa che la fece sentire parecchio in imbarazzo. Ludmilla la stava guardando verde d’invidia, mentre Francesca e Maxi le stavano sorridendo. Sembrava tutto perfetto. Salutò Leon con un bacio sulla guancia e si diresse a lezione con i suoi amici. In quel momento le venne un dubbio. “Francesca, ma come è possibile che io possa baciare Leon?” chiese all’improvviso. “Ma come?! Hai già catturato tutte le Carte e hai rinunciato anche al ruolo di Cattura-Carte” disse la Custode con un sorriso inquietante. Qui sorridevano tutti, e la cosa le metteva un po’ di paura. “Ma…ma mi mancano ancora tantissime Carte” disse lei sorpresa. Francesca scosse la testa. “Hai fatto quello che dovevi fare, ora goditi il meritato riposo”. “Ha ragione Fran. Goditi il tuo idillio” la assecondò Maxi. Violetta sospirò: non ci capiva nulla.
Finalmente quella lezione terribile era finita. Si avviò verso gli armadietti quando un ragazzo moro con gli occhi scuri come la notte si fece avanti. “Piacere, sono Joaquin. Sono nuovo di qui, e volevo chiederti qualche informazione”. Violetta si mostrò educata e rispose a tutti i suoi dubbi, anche se il nuovo studente non sembrava interessato alle risposte, visto che la guardava languidamente. “Sei molto carina” disse all’improvviso. “Lei è la mia ragazza” intervenne Leon con sguardo severo, facendo passare un braccio intorno alle spalle di Violetta, che arrossì all’istante. “S-scusa, io vado, allora” balbettò il ragazzo, sbiancando alla vista di Leon, e fuggendo via. Violetta si voltò verso di lui e gli sorrise in modo rassicurante. “Non stava facendo nulla di male. Sbaglio o sei un po’ geloso?”. “Colpa mia se sei la ragazza più bella dello Studio? Non posso mica rischiare di perderti” si difese Leon, avvicinandosi e facendola arretrare finché non si trovò con i gomiti che toccavano la superficie metallica degli armadietti. Le afferrò la vita, e le diede un bacio sulle guance arrossate. “Mi fai impazzire quando arrossisci” disse con una voce calda. “E io adoro vederti geloso” ribatté Violetta, prendendogli il viso tra le mani e baciandolo appassionatamente. ‘Violetta!’. La voce di Maxi. Si separò suo malgrado con la disapprovazione di Leon, che cercava in tutti i modi di prolungare il bacio mordendogli il labbro inferiore come ultimo disperato tentativo. “Si, Maxi?” chiese voltandosi nel corridoio. Vuoto. Non c’era nessuno. Possibile che si fosse immaginata tutto? “Qui non c’è nessuno” la tranquillizzò Leon, tornando a baciarla, mentre la stringeva con forza a sé. Violetta si distrasse subito, sentendo le labbra morbide di Leon sulle sue. Chiuse gli occhi, accarezzandogli la guancia, mentre l’altra mano percorreva il suo collo delicatamente fino a fermarsi all’altezza del petto. ‘Violetta!’. No, stavolta non se l’era inventato. Leon la stava chiamando…ma Leon era lì con lei, ed era anche piuttosto impegnato. Si separò nuovamente, sotto lo sguardo confuso del ragazzo. “Ma che ti prende?”. “Ho un po’ di mal di testa” si inventò lei. “Vuoi che ti accompagni a casa?” chiese preoccupato, posando le labbra sulla sua fronte per sentire se scottasse. “Non ti preoccupare, ce la faccio” esclamò lei, fuggendo via dal corridoio. In effetti la testa le stava scoppiando per la confusione. Uscì fuori dalla scuola e si ritrovò di fronte una donna dai capelli lunghi con una veste antica e un copricapo che le impediva di vedere. “Ti è piaciuto ciò che hai vissuto?” chiese la donna dolcemente. “Chi sei?” chiese Violetta. “Io sono The Dream, e questo è il tuo mondo onirico. Qui hai Leon, non hai responsabilità, sei spensierata. Ti piace?”. “Certo che si, ma…è tutto finto!” esclamò lei con gli occhi lucidi. Tutto il suo mondo era in frantumi. “Questo è un sogno rivelatore, è uno dei tuoi possibili futuri, a seconda delle scelte che farai”. Violetta rabbrividì mentre la voce profonda della donna le attraversò la spina dorsale. “Vuoi rimanere qui?” chiese infine The Dream. “Cosa intendi dire?” ribatté la Cattura-Carte. La donna alzò le braccia al cielo. “Se vuoi puoi rimanere qui per sempre. Questa è la mia proposta. Non è meglio un mondo che esaudisca ogni nostro desiderio recondito, primo tra tutti quello d’amore?” la interrogò la Clow Card con un sorriso mesto. Aveva ragione, ma sapere di vivere nella menzogna la faceva male. “Perché ti sei rivelata? Potevi farmi vivere qui per sempre, facendomi credere che fosse la realtà”. La donna sorrise. “Non rientra nel mio modo di agire. I sogni sono contorti, a volte inspiegabili, ma sempre sinceri. E io rappresento la loro essenza. Mentire non fa parte di me”. “Rifiuto”. “Ne sei sicura?”. “Rifiuto”. Violetta serrava i pugni determinata: avrebbe perso l’amore di Leon, lo sapeva bene, ma c’erano persone che contavano su di lei, sul suo compito, e non poteva abbandonarle, non voleva. The Dream sorrise soddisfatta. “Speravo fossi così determinata…Violetta Castillo, tu farai grandi cose. Il passato e il presente sono terribili e duri, ma per te vedo un futuro degno della tua anima pura e nobile. Ricorda, Violetta, questo è tutto ciò che posso dirti. Il giudizio finale si sta avvicinando inesorabile. C’è qualcosa che puoi fare per porre fine a tutto questo; tu hai dovuto rinunciare all’amore, ma sarà proprio quello la chiave per riportare l’equilibrio all’interno della magia di Clow”. Quelle parole non le furono molto chiare, ma annuì convinta. “Catturami, Padrona delle Carte” esclamò la donna, facendo comparire dal nulla lo scettro di Violetta, che si diresse dalla sua proprietaria. “Carta che controlli il potere dell’oscurità, io ti chiedo di tornare prigioniera. E’ la tua nuova Padrona che te lo ordina”. The Dream sorrise e si fece catturare. Mentre compariva la Carta tutto intorno si fece sfocato. Scompariva tutto come neve sciolta al sole.
“Violetta? Violetta! Si sta svegliando!”. La voce di Francesca la fece riprendere. Aprì gli occhi e vide la sua stanza, dove Maxi e Francesca la stavano guardando. L’amica era seduta sul letto, mentre sentiva che la sua mano destra era stretta da qualcuno. Voltò lo sguardo e vide Leon seduto all’altro lato del letto che la guardava preoccupato. “Che…ci fate qui?” chiese, senza riuscire a staccare gli occhi dal ragazzo. Ricordò il sogno e abbassò lo sguardo per la vergogna. “Oggi non sei venuta a scuola, quindi ti siamo venuti a trovare e Olga ci ha detto che stavi ancora dormendo e che lei non riusciva a svegliarti. Era preoccupatissima e stava per chiamare l’ambulanza” spiegò Maxi, alzando le spalle. “Per fortuna stai meglio. Non so proprio come avrei fatto senza di te” esclamò Leon, con il viso pallido e sudaticcio. Sembrava avesse sofferto moltissimo. Violetta si mise a guardare la mano del ragazzo che stringeva la sua, e sorrise. Forse per loro c’era ancora speranza. Anche The Dream l’aveva detto. Il suo amore per Leon avrebbe potuto essere la chiave, anche se non riusciva a capire come. “Leon…sei sempre il solito” disse la ragazza, mettendosi seduta sul letto. “Il solito ragazzo pieno di sé ed egoista?” chiese lui, scherzando. Violetta lo guardò dolcemente, poi si avvicinò e gli diede un bacio sulla guancia. “Il solito ragazzo perfetto” sussurrò al suo orecchio. Senza dargli il tempo di dire nulla si fiondò tra le sue braccia, lasciandosi cullare dal suo respiro regolare. Dal letto cadde una Carta. La Custode se ne rese conto e la raccolse. La scritta ‘The Dream’ era nitida e Francesca si preoccupò. Che cosa le aveva fatto vedere quella Carta? Il Sogno era pericoloso, perché poteva donare eccessiva speranza, portando poi a forti delusioni. E temeva che lei fosse caduta in quella trappola. Sapeva che si riferiva al suo amore per Leon, amore che lei non avrebbe potuto lasciare che continuasse a crescere. Vide il sorriso spensierato dei due e si impensierì ancora di più. Cosa poteva fare? Forse una soluzione c’era…ma era drastica, e strettamente provvisoria. Avrebbe potuto far correre il pericolo di vita a lei, e a quelli che avrebbe messo in mezzo. Ma se le cose fossero andate per il verso sbagliato, non avrebbe avuto scelta.
 
Federico si rimise in piedi dopo aver fatto un po’ di fatica. Li continuava a fargli prendere dei medicinali per contenere la magia del rubino, ma sembrava che la maledizione fosse destinata a dilagare nel suo animo. “Devi cercare di opporti psicologicamente a lei” disse Li, fissando la lama luminosa della sua spada. Una spada donatagli dai suoi antenati, i discendenti di Clow Leed. Gli mancava tanto la sua Sakura, ma doveva portare a termine la missione per poter stare nuovamente al suo fianco. “Sembra facile…ti martella la testa fino a farti cedere” spiegò il giovane Custode, mentre gli occhi si tinsero di una sfumatura rossa. “Bevi questo”. Li gli porse un intruglio di un colore verdastro in una tazzina di ceramica bianca, e il ragazzo lo trangugiò in un solo sorso. Fece una faccia disgustata, ma lentamente i suoi occhi ripresero il suo colore abituale. “Che sensazioni provi quando il rubino si impossessa di te?” chiese Li, all’improvviso, sedendosi ai piedi del letto e guardandolo attentamente. Voleva saperne il più possibile su quelle gemme. “E’ come se il tuo corpo andasse a fuoco, come se non fosse più tuo, ma di qualcun altro. Solo ripensandoci, mi vengono i brividi di terrore” disse Federico, diventando improvvisamente pallido.
‘La basilica di San Paolo mostrava al Custode i suoi tesori e le sue navate enormi che conducevano all’altare, ma lui non era certo lì per fare il turista. Trovò l’entrata per la cripta, sull’estrema destra della navata a sinistra, e scese accuratamente delle scale in pietra grossolane, attento a non scivolare a causa dell’umidità. Scese sempre più giù, finché non si trovò in una stanza. Tutt’intorno le pareti erano spesse. Passò l’indice lungo alcune crepe, che al suo tocco si illuminarono debolmente, finché una lastra non si spostò mostrando un passaggio nascosto. Fece apparire una luce rossastra nelle mani e attraversò il corridoio buio, per poi sbucare in una stanza ancora più piccola, di forma circolare. Tutt’intorno delle torce incantate continuavano a brillare con forza, creando sulle pareti delle ombre mostruose. Il Custode si avvicinò al centro dove un piccolo piedistallo conservava in cima un rubino splendente. Eccolo, l’oggetto della sua ricerca. Il magico e misterioso rubino dei Sette Re di Roma. Non si sapeva nulla di quell’oggetto magico. Senza pensarci lo prese in mano e se lo passò tra le dita. Quello fu l’errore più grande e sciocco della sua vita. Era talmente rimasto ammaliato dalla magia emanata da quella pietra, che aveva dimenticato ogni forma di protezione. La fiamma viva che sembrava giacere all’interno del rubino, serpeggiò fino all’estremità in contatto con la sua mano, per poi invadere violentemente il suo corpo, passando dentro la mano. Prima sentì il gelo della superficie espandersi. Ghiaccio che congela le ossa. Ma poi un calore insopportabile si diffuse nel suo corpo. Fuoco puro. Dolore atroce. Queste furono le sensazioni che aveva provato in quel momento. Una voce rimbombò nella sua testa: ‘Un giorno avrai bisogno di me, e io mi prenderò il tuo spirito, lo corromperò fin nel midollo’. Era una voce fredda e spiritica. Era la voce di un mago. Si sentiva posseduto, come se all’interno del suo corpo convivessero due diverse anime. Era maledetto.’
Un brivido percorse il suo corpo al ricordo di quelle sensazioni. “Quando hai catturato The Firey come ti sei sentito?” chiese Li, vedendo nei suoi occhi riaffiorare ricordi dolorosi. “Io…non saprei…era come se Firey fosse parte di me, non saprei spiegarlo” rispose il ragazzo, mentre il sudore gli imperlava lentamente la fronte. La testa gli stava scoppiando, era ormai divisa in due.
‘Un enorme potere fluiva nelle sue mani. Sentiva delle voci che lo chiamavano. ‘Federico!’. Una ragazza lo guardava terrorizzata, con uno scettro magico in mano. Chi era Federico? Non lo sapeva. Una parte gridava in tutta risposta, ma lui non era più lui. Con un sorriso malefico spostò il suo sguardo verso la Clow Card. Quelle ali fiammeggianti non gli mettevano la minima paura. Lui era abituato a vivere con il dolore provocato dal fuoco. Era con esso che era stato forgiato il rubino. Guardò i tizzoni ardenti che The Firey aveva al posto degli occhi, e per un attimo si sentì completo. Era qualcosa di strano. Firey era come parte di lui, una parte separata tanto tempo fa. Il rubino la stava chiamando, e Il Fuoco rispondeva in modo aggressivo. Federico preparò una palla magica da scagliare contro la Clow Card, sapendo bene che aveva ceduto al potere del rubino con il solo scopo di sconfiggere quella Carta; eppure quell’azione gli sembrava contro natura, contro la sua stessa essenza. Sentiva un legame magico tra lui e il fuoco.'
‘La ragazza con lo scettro era riuscita a catturare la Clow Card, e lui si sentiva fragile e stanco, ma allo stesso tempo senza controllo. Il suo spirito lentamente stava svanendo, abbandonando il suo corpo ad una furia incontrollabile. I muscoli si contraevano in preda ad un enorme sforzo, il fuoco fluiva al posto del sangue procurandogli un dolore indicibile. Sentì all’improvviso qualcuno cingerlo in un abbraccio. Una ragazza mora lo stringeva forte, nonostante stesse evidentemente soffrendo. Chissà quale era il suo nome…ma lui lo sapeva! Lei era Francesca, la ragazza di cui era innamorato. Dopo essere riuscito a ricordare il suo nome, le palpebre si fecero pesanti e Federico cadde a terra privo di sensi.’
Una lacrima gli solcò la guancia. Francesca. Lui l’amava, ma quella maledizione non gli permetteva di stare al suo fianco. Chissà cosa pensava adesso di lui…sicuramente lo odiava, ma doveva cercare di capirlo. Per lui non era facile, l’aveva fatto solo per proteggerla, per non farle rischiare la vita. “Hai fatto la cosa giusta” esclamò Li, intuendo i suoi pensieri. Il Custode si rimise seduto sul letto. “Lo so”. “Ma fa male” aggiunse Li mettendogli una mano sulle spalle. Federico non aveva mai pianto, nemmeno quando aveva scoperto che era stato colpito dalla maledizione, eppure in quel momento sentì il bisogno di sfogarsi. Si appoggiò alla spalla di Li e cominciò a piangere disperato, sfogando tutta la sua frustrazione.
“Francesca mi ha raccontato di The Dream” le sussurrò Diego all’orecchio. “E allora mi chiedo che ci fai qui” ribatté lei acida. Non si era dimenticata che per colpa sua Leon ce l’aveva avuta con lei per un bel po’. “Ehi, io sono qui solo per aiutarti, ricordalo” la riprese alzando un sopracciglio. Violetta fece un respiro profondo: aveva ragione. In fondo le aveva anche salvato la vita, doveva mostrarsi un minimo riconoscente. “Non ti fidare di The Dream”. Diego aveva pronunciato quelle parole con un tono serio. Fece un respiro profondo e continuò. “The Dream è in grado di farci credere di essere in grado di poter cambiare le cose anche quando questo non è possibile”. “Non mi ha illusa, Diego. So quello che sto facendo” rispose sostenendo il suo sguardo. Niente di più sbagliato. Non aveva la più pallida di come comportarsi. Era confusa. Sapeva di dover stare lontana da Leon, ma quelle sensazioni provate durante il sogno erano state troppo forti perché le potesse ignorare. “D’accordo. Ora vado che ho lezione, ma ci vediamo dopo” la salutò il ragazzo allontanandosi con un sorriso. Violetta rispose al sorriso gentilmente e poi si diresse al suo armadietto per prendere i libri. Una volta aperto lo sportello, sentì una voce sussurrargli all’orecchio. “Meno male che quello scocciatore se ne è andato…Buongiorno”. Violetta si voltò emozionata, osservando i tratti del viso di Leon, che stava esibendo un sorriso dolce. Le porse la mano con un po’ di insicurezza. “Andiamo insieme a lezione?”. Violetta strinse la mano annuendo e insieme si diressero alla lezione di Angie.
Ludmilla stava finendo di provare la canzone da portare alla lezione di Angie, e intanto pensava a come eliminare una volta per tutte quella Violetta che le stava portando via Leon. Sentì un fruscio di ali, ma non ci fece molto caso. Cominciò a intonare le note di ‘Destinada a Brillar’, la canzone che costituiva per lei la perfezione assoluta:
‘Quién le pone límite al deseo
cuando se quiere triunfar.
No importa nada.
Lo que quiero
es cantar y bailar.’
In un attimo sentì la sua gola andare a fuoco, si girò verso l’entrata a vide una ragazza buffa con un abito lungo e delle maniche che ricordavano ali. Sul collo portava un collare rosa che si illuminò insieme al suo sorriso soddisfatto. La figura scomparve all’improvviso e, cosa che fece rabbrividire Ludmilla, con essa scomparve anche la sua voce. Non riusciva più a parlare o a cantare.
I ragazzi fecero il loro ingresso in aula tranquillamente; Ludmilla era entrata per ultima e si nascondeva dai suoi compagni, arrivando a sedersi in fondo. “Ciao, Ludmilla” la salutò allegramente Maxi, sedendosi vicino a lei. Quella ragazza era interessante a suo modo, e non poté nascondere di provare qualcosa per lei. Ludmilla scosse la testa in modo altezzoso e si girò dall’altra parte. “Come non detto, non ti saluterò più” scherzò il giovane, sistemandosi il cappelletto. “Allora, oggi chi vuole cantare?” chiese Angie entrando nell’aula con un bel sorriso. Nessuno si fece sentire. “Nemmeno tu, Ludmilla?” chiese sorpresa l’insegnante. Ludmilla cercò di dire qualcosa ma non le uscì nulla. “Non riesci a parlare?”. Ludmilla annuì terrorizzata, poi con le lacrime agli occhi fuggì in bagno. Maxi la guardò e si alzò di scatto, rischiando di dare una botta al banco. “Vado a vedere come sta…”. L’insegnante annuì e il ragazzo poté uscire. “Non hai sentito come la presenza di una Carta di Clow aleggiare vicino a Ludmilla?” sussurrò Violetta alla sua amica. “Mhh…potrebbe essere. Ma certo! Deve trattarsi di The Voice, che ha rubato la voce di Ludmilla. Forse ho un’idea per catturarla” esclamò la Custode. Le due si scambiarono un’occhiata eloquente. La campanella fece suonare la pausa. “Riprendiamo dopo” disse Angie, uscendo per prima.
“Ludmilla!” esclamò Maxi, afferrandole il braccio. La ragazza si voltò ancora sconvolta e con le lacrime agli occhi. “Anche se non riesci a cantare, per me sei sempre una stella” si lasciò scappare il ragazzo con lo sguardo basso. Una massa di capelli biondi, si riversò sulle sue spalle, mentre Ludmilla lo stringeva forte in un abbraccio di slancio. Si separò subito, rendendosi conto del gesto folle che aveva fatto, quindi si voltò dall’altra parte con le guance arrossate. Ma che cosa le stava succedendo? Perché Maxi le faceva quell’effetto? Continuò a camminare per raggiungere il bagno. I passi rimbombavano nel corridoio che lentamente si stava riempiendo di studenti dopo il suono della campanella. Maxi rimase a guardarla imbambolato, finché non si confuse nella folla, finché non vide un ultimo scintillio dorato imprimersi nei suoi occhi e nel suo cuore.
“Non lo farò mai!” strillò Violetta rientrando in classe. “Devi farlo, The Voice è attirata dalle belle voci, ma non può rubarne più di una alla volta. Se ne trovasse una più bella, si precipiterebbe a prenderla. E tu sei l’unica che può fare da esca” spiegò per l’ennesima volta Francesca. “Ma…io non voglio!” si lamentò l’altra con voce tremante. Rientrarono per ultime: avevano fatto tardi per escogitare un piano per catturare The Voice. Ludmilla ancora non era rientrata. “Alla buon’ora! Spero abbiate un motivo valido per aver fatto così tardi” le rimproverò scherzosamente Angie. “Infatti! Volevamo proporci per cantare” disse Francesca convinta. “Davvero?! Ma che bello! Violetta canterai per noi?” chiese la donna euforica, come se non riuscisse ancora a credere a quelle parole. ‘No, non lo farò! Dì di no, dì di no…’. “S-si” balbettò Violetta mentre osservava il pavimento. Angie lasciò loro il posto, e le due si posizionarono. Non solo avrebbe dovuto cantare, e Leon si sarebbe accorto che Martina era lei, ma avrebbe dovuto anche cantare ‘Te creo’. Era rovinata. La musica partì, prese un bel respiro, e cominciò osservando di sottecchi l’espressione curiosa di Leon.
‘No sé si hago bien, 
no sé si hago mal. 
No sé si decirlo, 
no sé si callar.’
Il resto dell’aula scomparve all’improvviso. Si ritrovò a fissare Leon che la guardava sorpreso, lo poteva leggere dai suoi occhi. Come poteva essersi innamorata di lui? Non lo sapeva, ma non riusciva più a immaginarsi senza di lui. Non poteva dirlo, eppure con quella canzone glielo stava facendo capire. Quella canzone diceva semplicemente questo: ti amo, Leon.
‘¿Que es eso que siento 
tan dentro de mi? 
Hoy me pregunto 
si amar es asì.’
‘“Che è successo?” chiese Violetta, passandosi la lingua sul labbro ferito, succhiando il sangue che le stava colando. “Ti sei fatta male?” chiese Leon preoccupatissimo, ignorando le condizioni dell’amico. Si avvicinò per vedere meglio, prendendole il viso tra le mani: quelle labbra. Avrebbe tanto voluto baciarle, sentire il loro sapore, il loro calore. Violetta rimase spaesata: insomma nessuno, a parte Francesca, si era mai preoccupato così tanto per lei, e non era abituata.’
Leon…era stato sempre dolce e paziente con lei. Continuò a guardarlo e lo vide sorridere. Senza rendersene conto anche lei si sciolse in un sorriso timido e continuò a cantare.
‘Mientras algo me hablò de ti, 
mientras algo crecìa en mí, 
encontrè las respuestas 
a mi soledad. 
Ahora sé que vivir es soñar.’
‘D’istinto abbracciò Leon, e chiuse gli occhi, assaporando fino in fondo il suo profumo, che le ricordava la vaniglia. Il ragazzo rimase sorpreso da quel gesto, sentiva il petto esplodergli per la felicità, e ricambiò la stretta con intensità, felicissimo. Violetta si staccò abbassando lo sguardo timida: “Scusa, avevo bisogno di un abbraccio”. Leon le prese la mano giocherellandoci: “Quando vuoi, io ci sarò sempre”’
‘Si ritrovò con le spalle contro il muro dove fino a poco tempo fa era stata intrappolata la Carta del Doppio. Leon si trovò a pochi centimetri da lei: era così bella da non riuscire a resisterle; poggiò una mano sulla sua guancia e l’altra sul muro impedendole una via di fuga. Non che potesse fare nulla: Violetta era completamente paralizzata, con le braccia portate in avanti nel tentativo di evitare un contatto, che stava ormai diventando inevitabile. Sentì il naso di Leon sfiorare leggermente il suo, sentì il suo respiro farsi sempre più veloce. Chiuse gli occhi mentre avvertì il cuore quasi fermo per quanto batteva veloce. Ormai ne era certa: quel bacio per quanto cercasse di nasconderlo, lo desiderava più di ogni altra cosa e le sembrava quasi inevitabile.’
Il suo amore per Leon era cresciuto lentamente, ma con sempre più forza. Prima era sola, adesso c’era lui, che era arrivata a sognare più volte. Era lui che The Dream aveva voluto mostrargli per renderla felice.
‘Ahora sé que la tierra 
es el cielo. 
Te quiero, te quiero 
Que en tus brazos 
ya no tengo miedo. 
Te quiero, te quiero 
Que me extrañas 
con tus ojos 
Te creo, te creo.’ 
‘Quando riuscì a prenderle il braccio, Violetta si sentì tirare e perdendo l’equilibrio cadde portandosi dietro Leon, che finì sopra di lei. I due si guardarono per un secondo. Erano vicinissimi e il corpo di Leon a contatto col suo la emozionava tantissimo. Il ragazzo le scostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e le accarezzò la guancia, accorciando sempre di più le distanze. Nel frattempo nel prato tante piccole margherite cominciarono a crescere e dei petali di ciliegio li avvolgevano con il loro profumo, galleggiando nell’aria. Era tutto così magico e il momento era ideale…Per un istante si dimenticò di tutto, dell’incantesimo a cui era sottoposta, ma chiuse semplicemente gli occhi, potendo avvertire il calore del viso di Leon, emozionato quanto lei per quello che di lì a poco sarebbe diventato un bacio ricco d’amore.’
Era tutto sbagliato. Ma allo stesso tempo stare con Leon le sembrava la cosa più naturale del mondo, e tra le sue braccia smetteva di avere paura, smetteva di pensare al suo destino di Cattura-Carte. Pensava solo al suo cuore che batteva troppo forte per essere controllato, e alle inspiegabili emozioni che le provocava ogni suo minimo gesto.
Continuò a cantare. Le parole le uscivano da sole, non c’era nemmeno bisogno di pensare al testo. Leon la guardava e lei lo guardava. Il resto aveva perso consistenza, ai suoi occhi non esisteva, non era mai esistito. Era arrivata all’ultima strofa.
‘No sé si hago bien, 
no sé si hago mal. 
No sé si decirlo, 
no sé si callar.’
Leon con un gesto rapido la intrappolò con il suo corpo facendole poggiare la schiena contro una delle pareti polverosi e vecchie. Lo stanzino era stretto, ma in quel momento non sembrava un fatto rilevante agli occhi dei due. Leon si avvicinò lasciandole un bacio sul collo per poi salire sempre più si fino alla guancia. Violetta rabbrividì a quel gesto, cercando con non molta convinzione di scansarlo. Ad un certo punto però Leon ebbe una fitta alla testa che lo costrinse ad allontanarsi. “Che ti succede?” chiese la ragazza, preoccupata. “Mal di testa, niente di che” rispose lui, massaggiandosi le tempie. Violetta si morse il labbro: ma quale mal di testa; era l’effetto della magia delle Clow Cards che lo volevano tenere a distanza da lei. E forse avrebbe dovuto ringraziarle in quell’occasione, perché non sarebbe riuscita a resistere a lungo senza baciarlo. Leon fece un sorriso forzato, poi si avvicinò nuovamente e le lasciò un altro bacio sul collo. Un’altra fitta per lui, un altro brivido per lei. Continuò a baciarla, assaporando quella pelle vellutata che lo stava facendo impazzire, mentre Violetta aveva rinunciato del tutto ad agire e si era limitata a circondare il suo busto con le braccia, massaggiandogli la schiena. Il dolore aumentava, ma con esso anche il suo desiderio di congiungere le labbra con le sue. Violetta ansimò e solo allora capì quanto stava rischiando; dovette ammettere che Leon era sempre in grado di farle perdere la lucidità.’
La canzone era finita, e tutti erano rimasti sbalorditi da quella magnifica voce. Vide all’ingresso una donna con un vestito bizzarro e un collare rosa che la guardava estasiata. “Devo andare in bagno!” esclamò lei all’improvviso uscendo dall’aula e inseguendo la Clow Card. La intrappolò alla fine di un corridoio vuoto. “Torna prigioniera della Clow Card!” esclamò richiamando lo scettro. La Carta si formò a mezz’aria, intrappolando la Carta. Ce l’aveva fatta, anche quella era andata. Fece per rientrare, ma qualcuno le afferrò rapidamente il braccio, inchiodandola sulla parete. “Ahi, ma…”. Si fermò non appena vide Leon che la guardava arrabbiato. “Perché non me l’hai detto? Perché non mi hai detto che eri tu Martina?”. Il braccio destro di Leon si appoggiò sulla parete sfiorandole il capo, mentre lui attendeva spiegazioni. “Io…io…”. Che si poteva inventare? Non ne aveva idea. “Anzi, sai che ti dico? Non mi interessa davvero” disse lui, addolcendo la sua espressione. “Davvero?” chiese Violetta perplessa e confusa. “Già, perché mi basta sapere che quella ragazza eri tu, e che quello che c’è stato tra noi alla festa come poco fa, in aula, era reale. Violetta, basta giocare. Io so che provi qualcosa per me, adesso ne ho l’assoluta certezza. E so che in questo momento vuoi baciarmi esattamente come lo voglio io” rispose Leon. Il ragazzo la intrappolò con il suo corpo, facendo scendere le mani per stringerle la vita, impedendole ogni movimento. Non ci poteva credere, stava succedendo davvero. Leon la guardò leccandosi il labbro inferiore, il che provocò una scossa di adrenalina alla ragazza. Chiuse lentamente gli occhi, sussurrandole sulle labbra: “Sono innamorato di te, Violetta. E desidero baciarti con tutto me stesso”. Stava per accadere, stava per baciarlo. Francesca non c’era, Maxi nemmeno. Cosa avrebbe fatto? Mentre pensava chiuse anche lei gli occhi meccanicamente, mentre il respiro di Leon si infranse sul suo viso. Il bacio che avrebbe cambiato tutto. Il bacio che avrebbe decretato la sua fine, e il fallimento della missione. 





ANGOLO DELLE CARTE: Mh. Questo capitolo fa schifo. O meglio fa schifo la parte di The Voice mentre amo la parte di The Dream. Ma andiamo un po' per volta. The Dream: sclero male. La scena iniziale è così bejfhkqjfhql4rb *muore* e anche la scenata di gelosia di Leon....e le cose che si dicono così dolci e zuccherose *lancia caramelle ovunque* Detto ciò Tha Dream le dice di non rinunciare al suo amore per Leon perché invece sarà la soluzione di tutti i suoi problemi. Allo stesso tempo Fran e Diego dicono di non prestare ascolto alla Carta, in quanto è propoensa a illudere le persone. Mhhhh...voi di chi vi fidate? Chi avrà ragione? Nel frattempo Violetta ha capito che senza Leon non ci sa proprio stare e quando fa da esca per catturare The Voice, lo dimostra con la canzone 'Te creo' dove abbiamo alcuni flashback della storia e alcuni pensieri su Leon e sull'amore che Violetta ha coltivato pian piano, mentre Francesca risulta preoccupata. Per il resto mi affido alle vostre recensioni ;D Mi fa sempre strano scrivere scene su Maxi e Ludmilla LOL Ma ok, andiamo avanti :D Grazie a chi legge e recensisce questa modesta quanto particolare storia O.o E...si, la parte di The Voice è scritta da cavolo/malissimo, perdonatemi >.<" Alla prossima e buona lettura :D
  
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