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Autore: chocobanana_    08/08/2013    0 recensioni
[Questa fan fiction partecipa al contest “différent” di doresu no shoujo e _Aurara]
[Maki/Ai][Giallo][Sentimentale/Malinconico/Soprannaturale][Shoujo Ai][Tematiche Delicate]
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Finalmente riesco a postare questa fic, scriverla è stato davvero difficile.
È abbastanza -tanto- triste e, diciamo, rispecchia un po' il mio stato d'animo visto che ultimamente non è un bellissimo periodo :')
Spero comunque che possa piacervi c:
camy
p.s. un ringraziamento a moon apple che mi ha betato la fic c: grazie melah scorbutica quanto adorabile.
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Era rimasta ore seduta sull’erba umida, a chiedersi quando avrebbe visto gli occhi color miele di Nagumo.
Sbuffò, pensando che avesse avuto qualche grave e importante contrattempo.
Qualcuno le si avvicinò e le si sedette affianco.
Aveva lunghi capelli violetti e occhi arancione scuro, guardava il cielo, come se volesse arrivare a toccarlo.
Maki pensò che fosse strana, molto bizzarra, ma era una carina, sicuramente più di lei.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Ai Touchi, Carry/Maki
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Autore/Autori: 
chocobanana_
Titolo della storia: 
Don’t Forget Me
Rating:
Giallo
Prompt (nel caso inseriate canzoni o banner): /
Personaggi: Maki Sumeragi, Ai Touchi, Haruya Nagumo, Shuuji Touchi
Pairing:
 Maki/Ai
Numero di parole: 3360 –dice word, escluso il titolo e la citazione c:
Disclaimer: Inazuma Eleven e i personaggi di questa fic non mi appartengono, ma sono di proprietà della Level-5. La citazione all’inizio della storia, appartiene a Gianrico Carofiglio. Questa fic non è stata scritta a scopo di lucro e, per favore, rispettate il copyright e non copiate la mia storia.

Eventuali note: Tematiche delicate – direi di sì. E non penso di dover mettere OOC dato che Maki e Ai sono due personaggi poco caratterizzati nell’anime :’D
 
 

La vera abilità del prestigiatore consiste nella capacità di influenzare le menti.
E fare un gioco di prestigio riuscito significa creare una realtà. Una realtà alternativa
dove sei tu a stabilire le regole. [Gianrico Carofiglio]

 

 

Don’t Forget Me

 
 

Le aveva afferrato la mano, stringendola forte, perché sapeva che non l’avrebbe più avuta tra le sue dita. Shuuji pianse, mentre lo sguardo della sorella si riempiva di lacrime.
   

Un paio di occhi turchesi spuntarono da dietro un cespuglio, si guardarono intorno per controllare che la strada fosse libera.
Tirava una leggera brezza primaverile e il sole splendeva luminoso, nonostante un paio di nuvole color neve macchiassero  l’azzurro chiaro del cielo.
Maki si alzò, scrollandosi di dosso qualche fogliolina verdognola che le si era impigliata nella vestaglia bianco latte.
Mosse qualche passo sul terreno ghiaioso, cercando di non far scricchiolare troppo le pietre sotto il proprio peso.
Doveva ricordarsi quale fosse la struttura dov’era stato ospitato il suo miglior amico: Haruya Nagumo.
Quell’ospedale era troppo grande per i suoi gusti, troppo inquietante e pieno di vecchi che attendevano solo che la morte li portasse via con sé, nel sonno.
Maki odiava quel posto, e odiava il motivo per cui lei era lì.
Si nascose cautamente dietro ad un albero, facendo aderire la schiena al tronco.
Non era la prima volta che lasciava la propria stanza; ormai le infermiere si erano abituate al carattere vivace della ragazzina.
Spesso, Maki,  sperava di poter avere la possibilità di vivere come le sue coetanee, tra vestiti, ragazzi, scuola.
L’unico amico che aveva era quella testa calda di Nagumo o, come lo chiamava lei, Burn.
Si erano conosciuti in quell’ospedale, Maki se lo ricordava bene.
Stava correndo sull’erba umida del grande giardino, presa dall’euforia della fuga riuscita, quando era inciampata in un enorme sasso.
Aveva sentito la risata di qualcuno e, quando aveva alzato gli occhi acquamarina, aveva visto lui, con quel sorriso fiero e beffardo e quei capelli arruffati, rossi come il fuoco.
Maki aveva fatto una smorfia, rialzandosi a fatica, mentre del sangue denso le colava lungo le ginocchia sbucciate.
Haruya si era preso gioco della sua presunta goffaggine e della sua pettinatura: Maki aveva lunghi capelli azzurrini, legati in modo particolare, cioè sembrava avere due ventilatori ai lati del capo.
La ragazzina era madida di sudore, ansimava e aveva la pelle pallida.
Haruya se n’era subito accorto, le aveva preso la mano e l’aveva portata di nuovo nell’ospedale, mentre chiedeva aiuto a gran voce.
Durante il loro primo incontro le era venuto uno di quegli attacchi in cui prima il respiro le si fermava, poi le si faceva più pesante. Sentiva le gambe molli, un enorme calore circondarle il capo.
Il cuore sembrava fermarsi per un lunghissimo istante.
Questo tutte le volte.
Ora la situazione sembrava migliorata, le avevano addirittura  detto che stava guarendo.
Quando si era svegliata lo aveva cercato, lo aveva ringraziato, gli aveva teso la mano e si era presentata, mentre rideva di quella strana massa di capelli che Burn aveva sulla punta del capo.
“Cavolfiore” l’aveva ribattezzato lei.
Maki si fermò davanti ad un immenso portone di vetro e lo fissò stupefatta: non era mai passata per quell’entrata!
Lì ci andavano solo quelli fortunati, quelli che potevano tornare a vivere e Burn ci era riuscito, aveva sconfitto la sua brutta malattia.
La ragazzina si sedette lì fuori, in attesa di veder uscire il suo amico.
 

“Di cosa hai paura, Maki?” Ai la guardava, come se sapesse già la risposta, peccato che volesse sentirla uscire da quelle labbra rosee che tanto l’attiravano.
“Di rimanere sola, senza Haruya, senza te.”
  

Era rimasta ore seduta sull’erba umida, a chiedersi quando avrebbe visto gli occhi color miele di Nagumo.
Sbuffò, pensando che avesse avuto qualche grave e importante contrattempo.
Qualcuno le si avvicinò e le si sedette affianco.
Aveva lunghi capelli violetti e occhi arancione scuro, guardava il cielo, come se volesse arrivare a toccarlo.
Maki pensò che fosse strana, molto bizzarra, ma era carina, sicuramente più di lei
“Cosa fai qui?” Chiese Maki.
Non ricordava di averla mai vista in giro e, di solito, lei riconosceva tutti in quel postaccio.
Abituata com’era a scappare e a nascondersi ovunque.
“Aspetto mio fratello.” La squadrò, Maki rabbrividì quando incrociò i suoi occhi.
C’era qualcosa in quella ragazza che la turbava non poco.
“Tu?”
L’azzurrina scosse la testa e abbassò il viso, un velo di malinconia attraversò le sue iridi verdazzurre. “Io… avevo voglia di prendere una boccata d’aria.” Mentì, cercando di non pensare ad Haruya.
“Io pensavo stessi aspettando Nagumo Haruya.” Replicò l’altra, secca. “Non mentirmi.” Aggiunse dopo, rivolgendo lo sguardo alle porte che si aprivano.
Maki sussultò, si chiese come facesse a sapere quella cosa, dato che lei non ne aveva parlato con nessuno.
La ragazza con i capelli viola si alzò, togliendosi la polvere dal suo vestito bianco.
Chissà in che reparto era ricoverata.
“Sono Ai Touchi.” Si presentò, continuando a tenere gli occhi fissi davanti a sé.
Sembrava guardare un ragazzo dai capelli grigio scuro e le iridi color cenere, aveva un paio di occhiali scuri e i lineamenti che assomigliavano a quelli di Ai.
La ragazzina si portò la mano sul cuore, osservando commossa quel ragazzo.
“Tuo fratello è guarito. Guarirai anche tu.” Mormorò Maki. “Comunque io sono Maki Sumeragi.” Aggiunse, tendendo la mano.
L’altra scosse la testa. “Non succederà.” Non allungò il braccio verso quello di Maki, ignorò quelle dita ferme a mezz’aria.
Maki a guardò stupita. “Ma”
“Shuuji è stato più bravo di me, e poi l’ho salvato io.”
Suo fratello non aveva un’espressione felice, delle lacrime gli scendevano lungo le gote, mentre gli occhi erano arrossati.
Al suo fianco c’era Haruya, che lo teneva per le spalle e lo scuoteva.
Maki lo notò e corse incontro a quei due.
“Burn!” esclamò, affannata. “Finalmente sei uscito!”
Il ragazzo sembrava incredibilmente serio, non disse nulla, a Maki bastò che i suoi occhi dorati s’incontrassero con i propri per capire.
Quello Shuuji aveva perso una persona importante, probabilmente.
Rimase lì, ferma, poi si ricordò di Ai, si voltò per parlarle, ma la ragazza non c’era più.
Non doveva salutare suo fratello?
Shuuji singhiozzava, mentre Haruya cercava di parlargli, di consolarlo.
“Se n’è andata. Mia sorella se n’è andata.” Maki riuscì a sentire solo quelle due frasi.
Bastarono per mandarla in panico, farla riflettere.
Con chi diamine stava parlando prima? Forse Shuuji aveva due sorelle, doveva essere per forza così.
 

xxxxxx

 
Era rimasta paralizzata quando si era ritrovata di nuovo al cospetto di Ai.
Quando la ragazzina le aveva detto che il suo cuore non batteva più nel proprio petto.
Era tutto così assurdo.
“Allora… perché sei qui?” le aveva chiesto Maki, deglutendo.
“C’è qualcuno che sta cercando di portare via Shuuji da qui.” Aveva risposto, tranquilla, la violetta. “Qualcuno di molto vicino che, però, non riesco ad identificare.”
Le iridi acquamarina dell’altra l’avevano squadrata spaventate e sconvolte.
“Qualcuno in quest’ospedale ha il potere di portare via l’anima di qualcuno.” Mormorò Ai, seria.
Maki rabbrividì nel momento in cui quelle parole fuoriuscirono dalle labbra nivee della compagna ormai morta.
Maki, in un certo senso, l’ammirava: aveva dato il proprio cuore per il fratello.
Doveva essere bellissimo amare tanto qualcuno.
Lo sguardo magnetico di Ai la catturò.
L’azzurrina pensò che quegli occhi fossero bellissimi, addirittura vivi. Morto il corpo, viva l’anima.
Sussultò.
C’era qualcosa che la turbava.
In pochi giorni la sua vita era cambiata drasticamente, in un modo assolutamente assurdo.
Decise che avrebbe aiutato Ai a trovare chi cercava di portarsi via il fratello.
Chissà se poi la ragazza sarebbe sparita come nei film, una volta portato a termine quel compito.
Ai non aveva accettato di buon grado quella mano, ma Maki era più cocciuta di un mulo.
Ogni volta, la violetta cedeva, sbuffava e lasciava che l’altra s’intrufolasse tra le camere , tra i cespugli, negli angoli più nascosti della struttura ospedaliera.
Maki, però, non aveva idea di come trovare indizi, spesso le sorrideva e si grattava nervosamente la nuca, chiedendo informazioni in più a quella con gli occhi ramati.
E i giorni passarono in fretta, tra risate ed esplorazioni.
Maki si stava affezionando ad una persona che non era più tra loro, ad una ragazza a cui rimaneva solo l’anima.
Ma preferiva non pensarci.
Mentre Haruya pensava a Shuuji, lei faceva compagnia ad Ai, la quale si chiedeva come mai Maki riuscisse a vederla.
Forse stava per morire, forse era già finita, in un certo senso.
Ma quella ragazza dai buffi capelli azzurrognoli sembrava più viva che mai, pareva essere alimentata da una luce inoffuscabile.
 

“Non mi ha nemmeno salutata, se n’è andata e basta!” esclamò la ragazzina, con le lacrime che le rigavano il volto.
Haruya si morse il labbro, poi l’abbracciò forte. “Lei  era morta già tempo fa e nemmeno la conoscevi…”
 

 
Maki corse per tutto il giardino, mentre due infermiere provavano ad acciuffarla.
La ragazzina aveva gli occhi lucidi e calde lacrime le scendevano leggere lungo le gote rosse.
Aveva appena perso qualcosa, qualcuno d’importante.
Burn le aveva chiesto come mai stesse tutto il giorno fuori dalla sua stanza e come mai, ogni volta che lui andava a trovarla, lei non fosse presente nel suo letto.
Lei si era resa conto di non poter mentire. Aveva raccontato tutto per filo e per segno.
Lui aveva sgranato gli occhi dorati, aveva fatto una smorfia e le aveva riso in faccia, proprio come la prima volta.
“Quella ragazza è morta.” Aveva detto.
Maki lo sapeva bene, ma sentirselo dire era stato orribile.
Si stava rendendo conto che il suo legame con la violetta si stava facendo piano piano più morboso, stava diventando dipendente da quelle iridi arancione scuro, da quello sguardo fiero e, allo stesso tempo, affascinante,  da quei capelli lunghi e viola che lei non poteva accarezzare.
Aveva provato a stringerle la mano candida, ma Ai si era tirata indietro, evitando l’imminente contatto.
Non poter sfiorare la pelle calda di Maki, non poter avvertire il contatto, l’avrebbe abbattuta.
Non era facile vivere da morta. Non era facile stare con chi respirava, con chi aveva contatti con il mondo.
Ai si era affezionata, era l’unica persona con cui poter parlare.
Avrebbe fatto troppo male non poterla abbracciare o, sicuramente, vederla  passare attraverso il proprio corpo.
Maki l’aveva intuito e non aveva più provato a toccarla.
Ora l’azzurra muoveva velocemente le gambe, sentiva il respiro farsi pesante, affannava.
Ma non voleva fermarsi.
Voleva Ai, voleva piangere con qualcuno.
Voleva dimenticare le parole di Burn.
Ma del fantasma nemmeno l’ombra, niente di niente.
La ragazzina riuscì a seminare le due donne, si accoccolò in un angolo, vicino ad un grande albero pieno di foglioline verde scuro, e rimase lì, con la testa sulle ginocchia, mentre provava a non versare troppe lacrime.
Non era da lei essere così debole.
 

Haruya lasciò cadere il bicchiere d’acqua, sconvolto.
“Non ce l’ha fatta.” Ripeté il medico, ferito e rattristato.
“Non è vero!” Esclamò il rosso. “Maki non può essere morta!”

 
La ragazza con le iridi acquamarina sfiorò i capelli di Haruya; era in compagnia del suo amico dagli occhi di ghiaccio e di Shuuji.
Continuava a torturarsi il labbro mentre cercava di non piangere.
Lei sospirò. “Perdonami.” Sussurrò, addolorata.
Gli aveva promesso di farcela e, invece, si era lasciata andare.
Senza Ai non aveva senso, non c’era niente a riempire le sue giornate.
Aveva resistito sei mesi, lunghi giorni di tristezza e malinconia mentre Shuuji le parlava di lei, della sua forza, del suo coraggio.
E, ogni volta, Maki stava male.
Pensava alla missione della ragazza, si chiedeva come mai fosse scomparsa, dove fosse finita.
Magari aveva trovato chi stava cercando e se n’era andata in paradiso, senza nemmeno un saluto.
Maki tornò a vagare nel giardino.
Lei era ancora lì, sospesa tra la vita e la morte, proprio come lo era stata Ai.
Ma, mentre l’amica sapeva cosa doveva fare, Maki non ne aveva la più pallida idea.
Era convinta di ritrovarsi dritta al Purgatorio.
Non poteva aspirare al Paradiso, ma non meritava neanche l’Inferno.
Era stata cattiva con i dottori, ma era per colpa della sua vivacità, si annoiava a rimanere chiusa tra quattro mura bianche e deprimenti.
Sbuffò e si sedette sul suo solito e amato scalino.
Alzò gli occhi al cielo, poi osservò il tetto.
Giurò di averla vista lì.
La guardava minacciosa, come se fosse cambiato qualcosa, come se volesse rivoltarle addosso tutto il proprio odio.
“Ai…” mormorò.
Si sollevò di scatto e corse dentro, si catapultò verso le scale.
 

“Sei tu che vuoi uccidere Shuuji.” Ai si morse il labbro, arrabbiata con se stessa per non essersene resa conto prima.
Maki sgranò gli occhi. “Io?”

 
 “Uccidilo.” Le aveva detto una voce. “Portalo via.” Aveva insistito, roca.
Maki avvertiva le proprie gambe tremare.
Se il suo cuore fosse stato ancora in grado di battere sarebbe andato ad una velocità supersonica -oppure si sarebbe fermato del tutto?-.
Le parole di Ai rimbombavano nella propria testa, aguzze.
E  poi, ancora sempre lo stesso ritornello nelle proprie orecchie.
Sempre quell’ordine macabro.
La sua morte era stata programmata, in realtà la sua vita era finita ancora prima di cominciare, era già stato tutto deciso.
Lei era uno di quegli spiriti che portano via le anime dei morti.
Al destino non si sfugge.
Doveva morire Shuuji, non Ai. Non poteva essere barattata una vita con un’altra.
Nel momento in cui il ragazzo non era morto, l’incarico di Maki era iniziato, senza che lei ne sapesse nulla.
“Devo annullarti.” Mormorò Ai, una scintilla di malinconia le attraverso gli occhi.
Forse Maki era diventata più che un’amica, per lei.
“Non voglio ucciderlo…” rispose l’altra. La sua vitalità sembrava essersi spenta, distrutta da tutto quello che stava accadendo.
Se uno “spirito” non riusciva a catturare l’anima scelta entro un tot di tempo spariva, negli abissi più oscuri dell’inferno.
Se veniva toccata da un angelo, quale era Ai, questo si annullava.
Non finiva da nessuna parte, semplicemente cessava di esistere.
Nessuno si sarebbe ricordato di Maki Sumeragi, nemmeno Nagumo Haruya. Neanche Ai, in paradiso.
La violetta fece un passo in avanti, titubante.
Doveva sfiorarla, doveva vederla sparire.
Per Shuuji, per il proprio cuore che ancora batteva, per sconfiggere quel destino che spaventava così tanta gente.
Ma c’era qualcosa che la bloccava.
Un’espressione sconfitta, piena di sofferenza. Una pelle candida, un paio di labbra che venivano torturate, delle mani abbandonate lungo il proprio profilo.
Gambe che tremavano, capelli raggruppati in una strana pettinatura, due occhi chiari come la luce.
Maki Sumeragi sembrava un essere celestiale molto più di lei.
Non aveva scelto lei il proprio ruolo.
È un qualcosa che sceglie il fato.
Però era un “gioco” beffardo: tutti gli angeli era buoni, puri. Gli spiriti invece erano diversi, eterogenei.
Maki era un essere demoniaco, per così dire, ma era onesta, delicata.
Era la vita.
Shuuji o Maki?
Pensò che si sarebbe dimenticata di lei, che avrebbe dimenticato tutte le giornate trascorse in sua compagnia.
Tutte le risate e le stupide battute.
“Cosa mi succederà?” chiese Maki, mentre alzava lo sguardo e incatenava quelle iridi arancioni.
“Verrai cancellata.” Rispose Ai, piano, in un basso e impercettibile sussurro. “Hai paura?”
Maki scosse la testa. “Non ho paura di non esistere più.”
“Di cosa, allora?”
“Ho paura del tuo odio. Ho paura di non essere ricordata da te.”
Ai avrebbe voluto urlarle che le voleva bene, che era stata una grande amica.
Si morse il labbro e rimase in silenzio.
 

“Ai, secondo te un morto può amare?”
“Gli angeli amano.”
“E gli spiriti?”
“Non lo so, dimmelo tu.”

 
Erano passate tre ore.
Erano ancora su quel tetto, intente a fissarsi, a scrutarsi.
Il vento soffiava, fresco, il sole iniziava a sparire dietro le nuvole grigie.
Si prospettava una nottata nuvolosa.
“Ai, mi odi?” Maki ruppe improvvisamente il silenzio.
L’altra deglutì. “No.” Rispose. “Ma devo proteggere mio fratello.”
“Cosa mi succede se non recupero la sua anima?”
Ai abbassò lo sguardo, mentre cercava la forza per rispondere. “L’inferno.” Maki udì solo quell’orrenda e spaventosa parola.
“Preferisco non esistere più.” Mormorò, convinta delle proprie parole.
Era la prima volta che Ai sentiva parole del genere.
Maki aveva un coraggio invidiabile.
La violetta aveva conosciuto sia il lato fragile che quello determinato e testardo della ragazza.
Le piacevano entrambi, assolutamente sì.
 

“Allora cosa facciamo?” Maki guardò Ai.
L’altra non rispose. Sembrava volesse piangere.

 
 Maki le si era avvicinata, era ad un passo da lei.
“Non voglio vedere le fiamme e la cattiveria, ma non voglio nemmeno che tu mi dimentichi.” Disse, seria.
“Se dovessi toccare Shuuji, io…”
“Non lo toccherò, sono costretta a fare una scelta.”
Ai aspettava che continuasse, attendeva che Maki riaprisse bocca.
La ragazza dischiuse le labbra.
“Vorrei passare altro tempo con te, vorrei rimanere nella tua memoria…” iniziò.
“Così sarai costretta ad affrontare la tua punizione.” Le ricordo la ragazza con i capelli viola.
“Ma ho un desiderio…tu che sei un angelo, lo realizzeresti?” Maki le sorrise.
Un’espressione mozzafiato che fece sussultare Ai, quel sorriso era fantastico, quel sorriso era luce, quel sorriso era calore. Era tutto ciò di cui aveva bisogno.
“Abbracciami.” Mormorò l’azzurrina. “Per favore.”
“Mi dimenticherò di te…!”
Maki scosse la testa. “Non lo farai, perché il nostro legame è forte.”
Ai la guardava stupita.
“Sai da quanto ci conosciamo?”
L’altra scosse la testa.
“Un anno. Sei mesi mi sono bastati per affezionarmi a te. Altri sei mesi per distruggermi causa la tua assenza.”
Ai si sentì tremendamente in colpa. L’aveva uccisa.
Se non fosse stato per lei, Maki avrebbe combattuto ancora e, magari, non sarebbe mai diventata un vero e proprio spirito.
E pensare che l’aveva odiata quando si era accorta che l’aurea che cercava era proprio quella della ragazzina che passava le giornate in sua compagnia.
Ecco perché riusciva a vederla.
“Questo tempo mi è bastato per capire una cosa, mi è bastato a capire che nella mia vita c’era bisogno di una persona importante. E a me basta che sia proprio a lei a ricordarsi di me, posso fidarmi?”
Ai annuì.
Era un’anima. Un’anima che vagava nel vuoto in quel momento.
Pianse.
Riuscì a piangere per la prima volta, dopo la propria morte.
Come se Maki le avesse restituito la vita per qualche istante.
L’altra le corse incontro.
I loro corpi aderirono, le braccia dell’una accarezzavano la schiena dell’altra, in cerca di conforto e amore.
Maki avvicinò le labbra all’orecchio dell’altra, un po’ più bassa di lei.
Ti amo.” Un mormorio perso nel rumore che scaturiva dal vento.
Ai la strinse a sé. “Anche io.” Rispose, semplicemente.
Pochi secondi.
Pochi attimi.
Il tempo che una nube oscura se la portasse via.
Si ritrovò ad abbracciare l’aria, a pregare di non dimenticare.
Si accasciò al suolo, il volto tra le mani.
Era sparita e, con lei, tutto quello che aveva sempre desiderato.
Un calore che non aveva mai provato prima.
E la sua missione era finita, non aveva più nulla da fare lì.
 

Haruya camminava al fianco di Shuuji, nervoso. C’era qualcosa che non riusciva a ricordare.
Un sorriso che rimaneva nell’ombra.
Il rosso voleva ricordare il suo nome.

 

 
{Maki era stata più forte delle regole del fato. Era impossibile dimenticare il suo sorriso, la sua dolce voce e la sua testardaggine.}
 


“Dovevamo andare a trovare qualcuno, no?” Chiese Burn, grattandosi la testa.
Shuuji annuì. “Penso di sì, all’ospedale mi sembra.”
“Ehi, chi è che mi chiama Burn, di solito?”
Il ragazzino con gli occhiali fece spallucce.
 

xxxxxx

 
Una ragazzina dai lunghi capelli viola stava seduta in un angolo del giardino di quell’ospedale.
Aspettava qualcuno, che però tardava ad arrivare.
Una bambina dai capelli azzurri le si avvicinò e si sedette al suo fianco: però non poteva vederla.
Ai si alzò.
La bimba avvertì qualcosa muoversi. “Ehi, se c’è qualcuno qui vicino a me, esca fuori. Io mi chiamo Maki Sumeragi!” Sorrise.
Ai sentì un dolore al petto.
Quel nome le diceva qualcosa.
 

Un legame troppo forte da poter dimenticare.

 

Fin

 
La bambina saltellò intorno all’aiuola, poi ruzzolò per terra.
L’infermiera si fiondò ad aiutarla.
Da poco aveva subito un’operazione. Aveva sconfitto il male che l’affliggeva.
Chissà perché, Ai era ancora lì, non era tornata in paradiso. Si chiese se il suo compito non fosse proteggere Maki. Probabilmente sì.
Maki si asciugò le lacrime e strinse tra le dita un fiore dai petali bianchi, lo baciò e poi lo lasciò cadere.
Ai provò un’immensa tenerezza a guardare quelle gote arrossate. Voleva stringerla a sé. Si limitò a prendere la margherita e a baciarla anche lei.
Le sarebbe bastato quell’innocente contatto indiretto.

 

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Angolino di chocobanana_
Finalmente riesco a pubblicare gn—Scrivere su questa pair è stato estremamente difficile—anche perché io shippo DiaMaki alla follia e anche Shuuji/Ai--. Però ammetto che non è male come pair.
Diciamo che la fic è abbastanza malinconica, rispecchia un po’ il mio stato d’animo nell’ultimo periodo.
Mi sono impegnata molto per scriverla, spero vi piaccia. Ora fuggo a fare qualcosa di socialmente utile. E ringrazio Aurara e doresu no shoujo per aver indetto questo bel contest c:
Buona lettura
camy
   
 
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