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Autore: minteyer    09/08/2013    9 recensioni
Lei, Celeste Gatto, una ragazza come tante.
Lui, Davide Bello, e già solo il cognome dice tutto.
Loro, una volta amici d'infanzia, ora solo un ragazzo popolare e una ragazza che odiava quest'ultimo.
Lei odia lui, e lui il tormento personale di lei.
Eppure un tempo erano migliori amici, ma nella vita si sa, tutto cambia e si cresce.
Insieme, già... Si cresce insieme e poi?
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“Non ti ha punto, vero? Ora ci sono io qua..”
Sorrise guardandola cercando di dargli bene o male un po’ di sollievo.
Celeste guardò il ragazzino ancora impaurita, senza staccare le mani dalla sua maglietta di Dragonball, per poi scuotere la testa velocemente in risposta alla domanda di lui.
“La prossima volta che un’ape si avvicina, urla il mio nome, e io sarò subito qui e ti proteggerò sempre.. va bene?"
E a quelle parole la paura di Celeste svanì, perché da quel momento preciso, lei sapeva che se l’avrebbe chiamato lui davvero l’avrebbe protetta come un principe azzurro con la sua principessa.
“Ti voglio bene Davide..”
Sussurrò la bambina sorridendo felice, dando poi un enorme e sonoro bacio sulla guancia del biondo.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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                         Capitolo 2




 
“E lui che ha fatto?”
Chiese Alessia allarmata, sedendosi a gambe incrociate sul suo letto.
“Niente, non ha fatto niente di niente dato che in quel preciso istante è entrata l’infermiera! E giustamente questa ha subito dato la colpa a me per aver alzato le mani! Ed ora mi tocca questa punizione atroce dopo le lezioni… Ma ci credi? Eppure avevo tutti i diritti di tirargli uno schiaffo no?”
Sussurrò la rossa con tono rassegnato e triste, dopo essersi fermata dal camminare avanti e indietro insistentemente nella camera dell’amica.
Non era una molto grande, cioè, per lo meno non lo era quanto la camera di Celeste.
La stanza era di forma quadrata, con le pareti interamente bianche sporche qua e là di lievi e piccoli scarabocchi fatti a penna dal secondo fratello di Alessia, c’era un letto, una piccolissima libreria a cubi, una scrivania vicino a quest’ultima ed un armadio con uno specchio attaccato alla parete, una stanza veramente spoglia e troppo bianca se non era per quell’unico quadro giallo e rosso appeso alla parete.
“Beh, sul fatto della biancheria ha ragione..”
Bisbigliò la bionda mentre con le mani cercava di plasmare una coda di cavallo alta con i suoi capelli tenendo tra le labbra l’elastico per racchiuderla.
Celeste si fermò di scatto guardando furiosa l’amica.
“Ti ci metti anche tu, Alé?”
Quasi urlò dando un calcio al proprio zaino, che sbatté contro la porta causando un forte rimbombo.
“Ohi, pollastre fate la lotta per caso?”
Disse divertito Marco, uno dei fratelli della bionda, e al primo anno di liceo scientifico, lo stesso che frequentavano anche Celeste e Alessia, lo stesso che frequentava anche colui che per la rossa non può essere nominato.
“Sparisci mostro! Quante volte ti devo dire di non entrare in camera mia?”
Sbuffò Alessia alzandosi di scatto per poi chiudere la porta e afferrare lentamente il manico dello zaino a tracolla di Celeste.
Si guardò allo specchio svogliatamente porgendo lo zaino all’amica.
“Te ne presterei qualcuno io di completino, ma madre natura ha voluto negarmi la materia prima qui, mentre invece con te ha abbondato fin troppo”
Continuò poi mettendosi entrambe le mani sul seno coperto dalla felpa, dopo che Celeste aveva afferrato di malavoglia la sua borsa, e guardando quel gesto la rossa abbassò lo sguardo sulla scollatura della sua maglia.
Sorrise divertita, mettendosi la tracolla e avvicinandosi all’amica dandogli alcune sonore e giocose pacche sulla spalla destra.
“Non preoccuparti che prima o poi forse ti crescono, magari prova a sniffarti il lievito per dolci”
Scoppiò a ridere Celeste seguita subito dopo dalla sua migliore amica, prima che quest’ultima iniziasse a fare un monologo sul fatto che nonostante avesse una seconda scarsa al suo ragazzo piacevano a tal punto che non poteva mai avere le mani a posto o la bocca.
La rossa roteò gli occhi divertita, per poi uscire dalla camera dell’amica ridendo, sotto lo sguardo incredulo del fratello di Alessia che spiaccicato con le spalle al muro era appena stato colto in fragrante nell’origliare la loro conversazione.
“Pulce, lo sai che non è bene ascoltare le conversazioni degli altri?”
Chiese giocosa Celeste, guardando il ragazzino poco più basso di lei, con capelli e occhi incredibilmente neri e magrolino, forse fin troppo.
“Ma taci..”
Rispose acido lui prima di infilarsi furtivamente in bagno, cercando di non far vedere a Celeste il rossore delle sue orecchie, tanto che era imbarazzato.
“Stai ancora qui?”
Chiese Alessia aprendo la porta della sua camera e guardando l’amica ferma a sorridere divertita mentre osservava la porta del bagno.
“Tuo fratello se continua così una ragazza non se la troverà mai”
Cambiò completamente discorso la ragazza per poi avviarsi alla porta d’ingresso del piccolo appartamento e aprirla.
“Davvero non vuoi uscire con noi? Lo sai che Sacha non si lamenta se glielo chiedo a modo mio”
“Nah, non preoccuparti, devo fare una cosa prima di tornare a casa, e comunque ricordati di domani sera”
Rispose dolcemente Celeste, cercando di non far trapelare il fastidio di non poter uscire quel sabato sera, abbracciò Alessia che intanto l’aveva seguita e la salutò per poi scendere frettolosa le scale.
Era più facile scenderle che salirle quelle scale, si ripeteva Celeste ogni volta che tornava a casa, dato che l’appartamento del padre di Alessia si trovava al quarto piano di una palazzina esattamente a una centinaia di metri dal palazzo dove invece abitava lei.
Erano le sette, ed era un sabato sera di maggio, e Celeste aveva una sola cosa in mente, ovvero cercare un modo per vendicarsi di quel troglodita biondo.
 
Era a casa, seduta a gambe incrociate sul suo letto, mentre accarezzava svogliatamente il suo gatto e guardava sorridendo come un ebete un film sul suo computer portatile.
Un film d’amore come sempre, uno di quelli che facevano sognare tutte le donne che l’amore non l’avevano mai provato, e quel film per di più era il preferito di Celeste.
Letters to Juliet.
Erano le tre di notte e guardava un film, come la maggior parte delle volte che non usciva a divertirsi con la sua migliore amica o con uno dei suoi due migliori amici.
Già, Celeste non aveva per nulla una sfilza infinita di amici.
Poteva permettersi di vedere un film a quell’ora semplicemente perché abitava al quinto e ultimo piano di un palazzo, e il suo appartamento era quasi collegato direttamente con la soffitta.
Che già da molti anni era la stanza e il rifugio di Celeste.
Di forma rettangolare, con un bagno personale e con una sotto-specie di terrazzino annesso.
Piena zeppa di poster del suo cantante preferito, una libreria ricolma di classici e fantasy, una scrivania ed un comodo letto singolo che era al fuori dalla misura standard, fatto apposta per lei che portava da cinque anni il corsetto ortopedico, perché sfortunatamente, essendo cresciuta troppo in fretta, aveva preso la scoliosi.
“Ascoltami con attenzione: io vivo a Londra, una stupenda e vibrante città storica. Tu vivi a New York che è sopravvalutata; ma visto che l’Atlantico è un po’ grande da attraversare ogni giorno, a nuoto, in barca, o in aereo..tirerei la monetina. E se i termini sono inaccettabili? Lasciare Londra sarà un piacere se sarai ad aspettarmi dall’altra parte. Perché la verità è che sono..”
Celeste sospirò sognante alle battute del co-protagonista maschile, aspettando impazientemente la sua dichiarazione.
Quanto avrebbe voluto che Charlie, il bello del film, le dicesse le stesse parole, cioè forse non proprio le stesse ma si sarebbe accontentata dell’ultima parte della dichiarazione.
Solamente che questa dichiarazione non riuscì a sentirla, perché dei rumori molesti provenivano dall’altra parte del muro dietro le spalle della ragazza, e a questi rumori poi si aggiunsero degli ansiti seguiti da qualche sussurro che Celeste preferì non afferrare.
Diede un violento pugno contro la parte ma questi ansiti non fecero che peggiorare, così alterata chiuse il portatile con un gesto secco e si tappò le orecchie con le mani premendole forte quasi a farsi male.
Diamine, ma il pudore dov’era finito, eh? Ed erano le tre di notte, cazzo!
Diede un altro pugno e sta volta i rumori cessarono, di certo non per il suo intervento, ma perché quelli dall’altra parte avevano appena finito.
La rossa guardò il muro quasi come volesse incenerirlo, poi scosse la testa affranta passandosi una mano tra i capelli portandoli tutti su una spalla.
Ora che si ricordava, era ancora vestita ed aveva anche leggermente sonno, per cui decise finalmente di mettersi il suo pigiama, o meglio, una maglia di suo padre che usava come pigiama e come copertura per non farsi troppo male indossando il corpetto che fortunatamente portava solo di notte.
Si tolse jeans e maglia svogliatamente per poi togliersi anche il reggiseno, quello verde e fucsia con le rane, lo stesso che aveva fatto capolinea dalla sua maglia bagnata quella mattina.
Avrebbe voluto ucciderlo.
A chi? Di certo non il reggiseno, ma a colui che non può essere nominato.
E non stiamo parlando di Voldemort.
E si tratteneva con tutte le sue forze dal rivestirsi, e aprire la porta finestra che dava sul piccolo terrazzino per poi scavalcare il muretto e fare irruzione nella stanza dell’odiato Davide.
Eh già, perché la stanza da cui provenivano i rumori molesti in piena notte era anche la stessa dove dormiva il biondo, perché non bastava che Davide frequentasse il suo stesso liceo, no, doveva anche essere il suo vicino di casa praticamente da sempre.
“Bella visuale, Tigre, perché a scuola non ci vieni così?”
Disse Davide poggiandosi al davanzale della finestra, vicino alla porta finestra, che Celeste aveva lasciato aperta per far uscire il gatto e farlo svagare un po’.
La ragazza si bloccò, smettendo di guardare la maglia un po’ logora del padre attaccandosela al petto per coprirsi.
Davide da lì non poteva vedere nulla, si tranquillizzò lei, d’altronde per tutto il tempo aveva guardato la maglia tenendosela davanti, quindi l’aveva coperta.
Celeste boccheggiò alla ricerca d’aria.
Perché? Perché doveva capitare sempre tutto a lei?
“Bel lato b, davvero, mi complimento con te”
Continuò il biondo gettando la cicca della sigaretta che stava fumando poco prima e scavalcando il davanzale per ritrovarsi in camera della rossa.
“Ma che fai? Cazzo, esci!”
Disse lei notando i movimenti del ragazzo diventando paonazza in volto.
Non basta solo quella mattina vero? Doveva per forza succedere che Davide la vedesse completamente in biancheria.
“Faccio quello che facevo sempre un tempo, ricordi? E comunque lasciatelo dire che mi hai completamente sbalordito, sai?”
Rispose il biondo con un ghigno stampato in faccia avvicinandosi a Celeste che era un miscuglio di imbarazzo ed incomprensione, e che solo in quel momento si ricordò di avere dietro di sé lo spesso, ed ecco spiegato come lui era riuscito a guardarle il culo.
“Al contrario della ranocchie, il pizzo ti sta davvero bene.. Per  non parlare poi che ora sei senza nulla coperta solo da questa misera maglietta..”
Sussurrò lui avvicinandosi ancora con passo leggero e silenzioso, essendo scalzo.
“Che ne dici se dormiamo insieme come ai vecchi tempi eh?”
La canzonò scherzoso e con voce maliziosa per poi scoppiare a ridere guardando la faccia incredula e sbiancata di Celeste, che intanto per l’imbarazzo aveva preso a tremare come una foglia.
Davvero non capiva cosa potesse mai volere quel ragazzo da lui e quella risata non faceva altro che innervosirla ogni volta.
“Non ti preoccupare Tigre, non sei proprio il mio tipo, non me lo fai crescere”
Disse poi ridendo ancora e dando alla svelta le spalle a Celeste, che a quelle parole iniziò a ribollire di rabbia, sia per il tatto zero del ragazzo che per il fatto che continuava a prendersi gioco di lei.
“Bene, allora vattene da una delle tue puttana che ti sei portato in stanza stanotte”
Ringhiò astiosa approfittando del momento per infilarsi velocemente l’enorme maglia che usava da pigiama.
“Miss gentilezza in persona, devo dire”
Sorrise divertito avvicinandosi al letto della ragazza per accarezzare la testa del gatto di lei, che in risposta si strusciò diverse volte contro la sua mano facendo varie fusa.
“E come sai che di là c’è una ragazza, l’ho fatta urlare troppo?”
Chiese divertito il ragazzo girandosi verso Celeste, rossa in volto per la rabbia.
“Se tu lo trovi divertente, io lo trovo fastidioso. Si dà il caso che io stessi guardando un film e tu mi hai rovinato la splendida dichiarazione d’amore finale!”
Quasi urlò la rossa avvicinandosi al biondo per spingerlo fuori, per rispedirlo da dove era venuto o più che altro per spedirlo a fanculo, per l’ennesima volta.
“Ora fuori!”
Ringhiò ancora provando a spingerlo più forte premendo le mani contro la schiena nuda di lui, e fu solo allora che lei si accorse che Davide era solamente in boxer.
Non aveva mai avuto un ragazzo semi-nudo nella sua stanza.. però c’era da dire che quello si che era un fondoschiena niente male..
“Si, si.. Ok, ma non spingere, tanto non c’è nulla di divertente da fare qui, tanto vale che torno di là da Veronica”
“Ma chi quella di seconda?”
Chiese shockata Celeste, ricordando l’unica Veronica di cui aveva sentito parlare, e di certo per la sua età non aveva una nomina molto decente, ma era popolare per le sue doti, come dire, linguistiche.
“Sapessi com’è brava in orale..”
Disse il biondo dall’altra parte della finestra, che era uscito mentre Celeste era rimasta di sasso dalla rivelazione.
“Ma che sei pedofilo? Te fai la quarta e hai diciotto anni da un pezzo”
“Solo da tre mesi, cara, e comunque vedi che non l’ho violentata, anzi a dire il vero era lei che mi violentava con gli occhi, quindi ha acconsentito a tutto”
Si morse il labbro inferiore, sussurrando malizioso il ragazzo mentre la mascella di Celeste finiva a pochi centimetri dal pavimento.
Scosse la testa ritornando in sé.
Ma quello davvero era il bimbo con cui era cresciuta? Davvero era quel Davide Bello? Quello con cui da piccola aveva condiviso tutto, ogni istante della sua infanzia?
Dov’era finito quell’angioletto biondo? Dov’era stato rinchiuso prigioniero?
Non se lo sapeva davvero spiegare. Sapeva solamente che l’atletico ragazzo davanti alla sua finestra aveva solo l’aspetto angelico, ma che in realtà era un diavolo con un forcone appuntito.
Un forcone che usava solo per punzecchiare lei, a suo parere.
“Sparisci dalla mia vista, puttaniere schifoso e senza un minimo di pudore!”
Urlò Celeste buttando un cuscino all’indirizzo del ragazzo, che manco miserabilmente, quando era agitata o arrabbiata non centrava neanche una statua a due centimetri di distanza.
“Tigre, non urlare che sono le quattro!”
Rise il biondo per poi scavalcare il muretto con un agile mossa, e rientrarsene nella sua stanza senza neanche salutare, per cui Celeste si avvicinò repentina alla finestra e la chiuse per evitare altri spiacevoli imbucati biondi e solo in boxer.
Però che fisico.. già, questo lo doveva ammettere, Davide sembrava un dio greco, e non per niente era il più popolare, bello e ambito dell’intero istituto.
Sospirò rassegnata, almeno qualcosa di buono l’aveva il ragazzo, già, con quel fisico.. Non poteva negare che sembrava un modello, se solo fosse rimasto quello di una volta forse lei e Davide avrebbero continuato a restare amici, forse anche un qualcosa di più, ma non continuò con i suoi pensieri perché un ammasso di peli iniziò a strusciarsi lentamente sulle sue gambe, con la schiena inarcata e la coda dritta facendogli le fusa.
Celeste si abbassò e prese il gatto per poi metterlo nella sua cesta, vicino lo specchio, facendo un broncio verso il muso di lui e guardandolo indispettita.
“Traditore di un gatto, prima fai le fusa a lui e poi a me?”
Perché? Perché doveva essere proprio lui il suo vicino di casa?
 
 
“Celeste! Muoviti a svegliarti che fra un po’ arrivano ospiti!”
Urlò sua madre con un sorrisone gioioso stampato in faccia, entrando in camera come un esercito furioso, andando subito ad alzare le persiane per far filtrare la luce nella stanza della figlia.
La ragazza mugolò, girandosi dall’altra parte e coprendosi con le coperte fin su la testa, pur di non farsi disturbare dalla luce.
Aveva sonno, diamine! Mai possibile che anche nel suo unico giorno libero doveva svegliarsi quando non lo decideva lei?
La rossa sussultò lievemente non appena sua madre le tirò via le coperte di dosso.
“Muoviti, ho detto! Lavati, vestiti e rimetti in ordine questo porcile! Fra mezz’ora voglio che sia tutto in ordine, intesti? Gli ospiti saranno qui precisamente tra trenta minuti!”
Disse autoritaria la madre, riprendendo la sua marcia da generale dell’esercito anche nel scendere le scale, mentre il gatto la seguiva giù dalle scale per avere la sua colazione.
Celeste sbuffò scendendo dal letto lentamente e controvoglia, sentiva che quella giornata non sarebbe stata migliore di quella precedente.
Era domenica e voleva dormire, cosa c’era di tanto sbagliato nel riposarsi l’unico giorno in cui anche il Signore se l’era presa di ferie?
Si guardò allo specchio assonnata, aveva dei capelli elettrici e delle occhiaie per il poco sonno, per non parlare poi dell’indiscusso alito da topo morto mattiniero.
Chiunque fossero stati gli ospiti, avrebbero assaggiato la sua ira, ne era sicura.
 
 
Bussarono alla porta precisamente a mezzogiorno, ma a Celeste non importava, lei aveva solo sonno e fame, già, perché essendosi svegliata alle undici e mezza la colazione era fuori discussione per sua madre se poi neanche mezz’ora dopo avrebbe dovuto pranzare.
“Celeste, vai ad aprire!”
Le urlò suo padre dalla sala da pranzo, mentre sistemava la tavola, apparecchiata così impeccabilmente neanche stesse per arrivare il presidente.
La rossa si spostò uno dei due codini, dietro la spalla e si alzò dal divano ancora più svogliatamente di come aveva iniziato la giornata.
Aveva fame, punto a sfavore,  non aveva dormito quanto desiderava, altro punto a sfavore e in più preferiva di gran lunga andare a mangiare da sua nonna, come faceva ogni sacrosanta domenica da quando era nata.
Aprì la porta con un sorriso di circostanza, talmente falso che forse quello di una barbie poteva sembrare vero, e augurò il buongiorno senza neanche guardare o interessarsi minimamente a chi c’era sull’uscio.
“Buongiorno piccola Celeste, è davvero da tanto tempo che non ci si vede”
Disse una voce familiare e dolce, che Celeste conosceva da quando era ancora in fasce.
Alzò lo sguardo di scatto, posando gli occhi su una donna sulla cinquantina, con capelli biondi e occhi azzurri, occhi azzurri tanto simili a quelli dell’energumeno che si stagliava dietro la figura della donna sorridendo a trentadue denti, un sorriso falsissimo per altro, che non era nient’altro che sua madre.
Celeste spalancò gli occhi incredula mentre un uomo dai capelli sale e pepe e degli occhi incredibilmente verdi le dava un buffetto amichevole sulla guancia, come era solito fare quando Celeste era una bambina.
Bene, ci mancava questa no?..
“B-Benvenuti..”
Sussurro Celeste mentre gli ospiti conoscendo già la strada si diressero verso la sala da pranzo.
“Hai visto? Non sei contenta che Giorgio, sua moglie e suo figlio sono qui?”
Chiese un omaccione alto e con i capelli brizzolati e occhi marroni contornati da occhiali dalle lenti un po’ spesse, chiudendo lui la porta al posto di Celeste.
“Si.. Certo,  contentissima, papà..”
Rispose lei a denti stretti sfoderando un sorriso che a lungo andare le avrebbe indolenzito la mascella.
“Oh, ma come sei cresciuto Davide, sei diventato davvero bellissimo”
Sentì chiaramente la voce di sua madre, smielata come non mai, fare dei complimenti al troglodita biondo che era entrato al seguito dei suoi genitori.
E Celeste stinse ancora di più i denti, quasi a sentirli scricchiolare.
Maledetti.
Maledetti i suoi genitori, che erano migliori amici di quelli di lui dai tempi del liceo.
Maledetti loro, che tanto erano amici comprarono case anche vicine.
E maledetto lui, lui che ora avrebbe dovuto sopportare anche di domenica e per di più ad un pranzo, in casa sua e con i loro genitori che senz’altro avrebbero rivangato storie del passato ed infatti senza neanche dirlo due volte sentì la voce di sua madre ridere ai racconti dell’infanzia di Davide e suoi, raccontati dalla madre di quest’ultimo.
Non avrebbe retto, lo sapeva benissimo che stava per scoppiare, e la sera tutti i suoi pensieri omicidi si sarebbero sfogati con una persona, la sua migliore amica Alessia.







  Angolo autrice

Salve, ecco il secondo capitolo della mia nuovissima e terza fanfiction, vi piace?
Spero proprio di si u.u
E se vi piace tanto, perchè non lasciare una bella recensione per dirmi cosa ne pensate, dico io?
Spero tanto di avere risultati positivi, così di postare prossimamente anche il secondo capitolo. :)
A presto, baci.
                                     Rossella

 

 

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