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Autore: Dragana    09/08/2013    12 recensioni
"Matilde in tanti anni di lavoro all’Azienda ne aveva viste di tutti i colori."
L'incontro tra due agenti in missione e una marinaia che sta solo facendo il suo lavoro.
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Nuovo personaggio
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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UN GIORNO DI ORDINARIA AZIENDA

-Venezia è un pesce.
Natasha, che stava dando gli ultimi ritocchi alla sua tenuta da lavoro (canottiera, short di jeans e all stars), si girò verso Clint. Lui stava guardando giù dal finestrino con espressione assorta.
-Quindi abbiamo scoperto che Budapest ti rende audace e Venezia ti rende poetico?
-Niente poeti. È un pesce. Guarda, è come se fosse attaccata con una lenza alla terraferma. È un dato di fatto.
In effetti era vero. E sì che c’era stata, Natasha, a Venezia; eppure non l’aveva mai notato.
-Non distrarti, non dobbiamo trovare pesci. Concentrati sull’obiettivo.
-Concentratissimo. Ripetimi come mai non posso mettermi sul campanile di San Marco e crivellarlo di frecce, agente Romanoff.
-Crivellare uno di frecce davanti a una chiesa? Che pessimo gusto, Barton.
Ridacchiarono entrambi. Venezia diventava sempre più grande sotto di loro.
-No, seriamente. Brazorf è sfuggito allo Shield, è classificato come pericoloso, è un mutante. Qual è il problema?
-Fury è stato categorico: non vuole un’altra New York, e non possiamo permetterci di rompere nemmeno un pezzettino minuscolo di Venezia. Quindi lo si trova, lo si pedina e si colpisce quando è solo e isolato. Ricevuto?
-Ricevuto, Romanoff. Comunque è proprio un pesce.

-Clint, se ti fermi in mezzo alla strada ostacoli il passaggio, sai?
Lui si spostò. Una ragazza con la maglietta dell’Hard Rock Cafè e i pantaloni neri lo oltrepassò sbuffando.
-Devo abituarmi all’idea che a Venezia ci viva sul serio della gente. E a queste strade così strette… di notte qui dev’essere una pacchia per i rapinatori.
Natasha alzò un sopracciglio, dietro agli occhiali da sole fuxia. –Qui se scippano una lo mettono sul giornale, Clint. Al momento l’unico pericolo reale è Brazorf.
-Finita la missione, andiamo all’Hard Rock Cafè.
-E io che mi spaccio per turista americana quando ho l’archetipo davanti a me… aspetta. 
Natasha aveva notato qualcosa con la coda dell’occhio. Si infilarono in una calle, tenendo d’occhio il flusso di gente. – Obiettivo individuato -, comunicò Natasha a Clint al passaggio di un uomo con i capelli scuri, tatuaggi, orecchino e occhiali a specchio.
-Vi seguo, Nat.- Clint tornò serio, e con uno scatto veloce si issò su un muro e poi su un tetto. Natasha si tuffò nel flusso di turisti, seguendo Brazorf. Non le fu difficile, c’era troppa gente perché lui potesse notarla; ora doveva solo aspettare che deviasse dai principali percorsi turistici, e colpire. Invece, Brazorf salì sul vaporetto all’altezza di Cà d’Oro. Natasha era preparata anche a questa evenienza: si imbarcò anche lei.

Matilde in tanti anni di lavoro all’Azienda ne aveva viste di tutti i colori.
Era arrivata a Venezia con una canzone di Guccini in testa, un diploma di liceo scientifico in mano e tante belle speranze, che si sgretolavano di pari passo con l’avanzare della sua carriera accademica e della crisi economica. Aveva iniziato a fare il marinaio nei vaporetti come stagionale dopo la triennale; quando le avevano proposto di assumerla fissa, data la disastrosa latitanza di offerte di lavoro per gente laureata in Lettere, aveva accettato. Si era sposata con un veneziano, aveva un bambino e l’unica cosa che le era rimasta della diciottenne di tanti anni prima era una frase della canzone di Guccini, per la precisione quella che dice “del resto del mondo non sai più una sega, Venezia è la gente che se ne frega”.
Terremoti, crolli del governo, alieni a New York… Matilde leggeva le notizie sul Gazzettino e poi passava avanti a vedere se si parlava dell’Azienda, e in che termini. Di solito i veneziani si lamentavano, i veneziani sanno solo lamentarsi, anche se il veneziano che era appena salito non si stava affatto lamentando dei turisti, per una volta. 
Certo, la turista in questione era una strafiga dai capelli rossi, sexy come una bitta (Matilde era convinta che le bitte dovevano essere straordinariamente sexy. Non si spiegava, altrimenti, come mai tutti le volessero, tutti fossero riluttanti ad allontanarsene, e nessuno riuscisse a smettere di metter loro le mani addosso), con un paio di occhiali improbabili, che con una mano reggeva una cartina e con l’altra faceva foto al Canal Grande. Ego, il suo pilota, le stava fissando il culo con una spudoratezza tale che Matilde dovette andare in cabina a dirli di guardare avanti, che se continuava così rischiava di arrivare in bacino San Marco e non notare la crociera Costa.

Stava andando tutto troppo bene. 
Clint la teneva sotto controllo, lei non sapeva da dove ma era certa che lo stava facendo. Brazorf non si era accorto di nulla, qualcuno le guardava il culo e stava anche facendo delle belle foto. Natasha aveva previsto tutto, o almeno così credeva, fino a che una signora anziana con il carrellino della spesa non cominciò a inveire contro di lei in una lingua che sembrava italiano ma non lo era. Maledicendo i dialetti tutti, Nat si chiese cosa poteva aver fatto di sbagliato: non aveva uno zaino sulle spalle, aveva il biglietto, non intralciava nessuno perché la fermata era ancora lontana… cercò di comprendere quello che le diceva la signora, senza successo. La marinaia si avvicinò, guardandola come dire “porti pazienza”. – Ci sono problemi?-, chiese.
La signora la indicò, gesticolando. –Ma guardi signora che mancano due fermate, non si preoccupi che quando è il momento la faccio scendere io-, diceva la marinaia.
Nat cercò un modo, uno qualunque, per placare la signora. Si spostò, chiese scusa, ma fu tutto inutile, la donna continuò imperterrita a polemizzare. Disse qualcosa che Nat riuscì a tradurre all’incirca come “fanno sempre quello che gli pare”. 
Dentro di sé imprecò, stava succedendo esattamente quello che non doveva succedere, la scheggia impazzita che sfuggiva a ogni calcolo: stava attirando l’attenzione. Di tutti i possibili scenari che aveva valutato, la vecchietta polemica non le era proprio venuto in mente.

Matilde, si diceva, in tanti anni di lavoro ne aveva viste di tutte. 
Aveva visto un turista salire sul tetto del vaporetto per mettersi a prendere il sole; aveva visto gente piantare a metà il turno di lavoro a Capodanno perché doveva (testuale) “andare a cacciarsi in mona”; aveva persino fatto in tempo a essere per qualche mese il marinaio del famigerato Settembre Nero, l’uomo famoso per aver tirato giù una parete con un vaporetto. C’erano state risse, richieste di deviare linee perché “io devo andare a una festa” e la mitica risposta “bigliettos pregos” del marinaio che si era sentito rispondere “Digos” alla richiesta di controlli.
Ma era certa di non avere ancora visto (né sentito racconti in merito) un uomo le cui dita improvvisamente si allungavano quasi fino a terra.
Lei ed Ego avevano un rapporto consolidato che funzionava a meraviglia: lui guidava, e lei gestiva a modo suo tutto quello che succedeva sulla barca. Così Matilde resistette all’impulso di chiamarlo in aiuto, lasciò perdere La Vecia Col Careo Dea Spesa e le sue polemiche inutili e si diresse verso l’uomo, decisa a chiarire questo mistero o quantomeno a farlo scendere alla prossima.
-Mi scusi, el ga il bi…
Non riuscì a proseguire oltre. L’uomo scoppiò in una risata e sollevò quella mano improbabile, per poi scagliarsi contro di lei. Matilde ebbe il buon senso di abbassarsi, ma gli artigli la sfiorarono appena; il bersaglio era la sexy bitta con i capelli rossi, che aveva appena evitato il colpo. Saltando sul barcarizzo, ovviamente.
-To mare… Signora, non si può stare lì, dovaria scendere, ciò!
I turisti urlavano quasi tutti. C’era solo la sua nemesi, la Vecia Col Careo Dea Spesa, che sembrava piena di una specie di gioia maligna mentre le diceva –E lei che è il marinaio non dice niente? Vara sti qua dell’Asienda che no i fa mai un casso, e noialtri paghemo!
Matilde alzò gli occhi al cielo. E non li riabbassò, perché sul ponte di Rialto, per la precisione sul cornicione del ponte, c’era un uomo vestito di scuro con un arco. Proprio un arco, e lo stava puntando contro il suo vaporetto.

Dove cazzo è Clint? Pensò Natasha in una frazione di secondo, saltando per evitare il colpo. Il secondo successivo due frecce le fischiarono ai lati della testa, conficcandosi dove fino a un attimo prima era stato Brazorf. Era ora. 
Non aveva tempo di pensare troppo, il vaporetto era pieno di gente ed era indispensabile che Brazorf non prendesse ostaggi. Usò il vantaggio della posizione rialzata per saltare con un calcio verso di lui, che però non fece che afferrarla per la caviglia e sbatterla a terra. Nat si rialzò con un colpo di reni, e fece appena in tempo a vedere le lunghe dita di Brazorf che stavano per afferrare la signora con la spesa, ancora intenta a lamentarsi in dialetto. Merda. Fu in quel momento che la marinaia afferrò la donna e la spostò, prendendosi tre lunghi graffi sul braccio, che cominciò a sanguinare. –State indrio!-, la sentì gridare.
Spazzò il pavimento con un calcio basso; Brazorf perse l’equilibrio, ma riuscì a usare le lunghe mani per rimanere in piedi e di nuovo cercò di afferrarla. Nat saltò indietro all’ultimo secondo.
Muoviti, Clint.

Una specie di STOMP proveniente dal tetto suggerì a Matilde che il tizio che tirava le frecce doveva essere saltato dal ponte di Rialto per atterrare sul suo vaporetto. Il pilota si voltò verso di lei. L’ultima volta che si era voltato verso di lei, era stata quella volta della rissa e dell’indiano svenuto.  –Tutto a posto, Ego!
Tutto a posto un cazzo. Doveva fare l’approdo a Rialto e la turista con i capelli rossi era saltata proprio sulla bitta di poppa.
Il mutante si scagliò verso di lei, ma l’uomo che era atterrato sul tetto aveva deciso di scendere a modo suo: tenendosi al bordo, con una specie di capriola si era portato dentro al mezzo, calciando in faccia il mutante durante la traiettoria. La donna saltò giù dalla bitta e Matilde se ne impadronì velocemente, prima che a qualcuno venisse in mente di salirci sopra di nuovo.
-Adesso alla prossima fermata voi scendete tutti! Altrimenti chiamo i carabinieri! Eh, ciò!
I due supposti turisti però non riuscivano ad avere la meglio, erano troppo distratti dal cercare di impedire che il tizio con le mani lunghe facesse del male ai passeggeri. Matilde capì vagamente che forse, se il mutante fosse stato per un attimo fuori combattimento, i due l’avrebbero sopraffatto entro l’approdo di Rialto. Lo guardò. Guardò la cima che teneva in mano. Forse ce la poteva fare.
Fece tre verine intorno alla mano sinistra; di solito le bitte non si muovevano a destra e sinistra, si limitavano a venirle incontro, ma la cima è lunga e se fosse riuscita a farle fare un arco abbastanza ampio… lanciò.
I turisti gridarono e lui si girò, ma era troppo tardi. Matilde recuperò velocemente, il mutante non capì bene la situazione e questo gli fu fatale: la cima gli si arrotolò intorno alle caviglie, lui perse l’equilibrio e cadde, sbattendo forte un ginocchio.
Ego rallentò.
Matilde con uno scatto di polso recuperò la cima, mentre l’uomo in nero scoccò due frecce; mentre faceva l’approdo, riuscì a notare la donna che lo colpiva alla testa e le lunghissime mani del mutante inchiodate al ponte del vaporetto.
-Rialto! Veloci, attenzione al passo… per San Marco, veloci, avanti…
I turisti erano indecisi tra scendere, salire e fare foto. La donna con i capelli rossi la fissò. –Bella mossa, marinaio. Prendo in prestito una delle tue corde e ti libero il ponte, va bene?
Matilde sospirò e guardò Ego, che annuì impercettibilmente. –Se ciama cima-, si sentì solo di specificare.

Natasha Romanoff, da dietro ai suoi nuovi Rayban a specchio, guardava divertita la marinaia Matilde Zen (anni trentacinque, moglie di Vianello Fabio e madre di Vianello Alvise, che frequentava l’asilo “Arcobaleno” a Cannaregio) che se ne stava a bocca aperta, molto più stupefatta di quando Brazorf aveva deciso di combattere in mezzo a un vaporetto, a fissare la vecchietta col carrello della spesa che la stava difendendo a spada tratta.
-E basta dire che questi dell’Asienda i no fa niente! Questa fioa xè bravissima, capio?
Solo quando il pilota mise la testa fuori dal finestrino e disse –Matilde, andiamo via-, lei si riscosse e fece per chiudere il barcarizzo. Al che lei e Clint saltarono sulla barca, stavolta molto meno affollata del giorno precedente.
Natasha rise allo sguardo di Matilde appena li riconobbe. –Due biglietti. Per 24 ore, per favore. Ora noi vorremmo solo vedere la città-. La marinaia annuì, evidentemente il suo italiano doveva essere comprensibile. Tirò fuori un biglietto, ma fulminò il contenitore dell’arco e frecce che Clint portava in spalla. –Take off the backpack, please-. Mancava solo un “fucking” tra “the” e “backpack”, ma il tono di voce era chiarissimo.
Clint si tolse il fucking backpack dalle spalle e commentò:  -Sai cosa ci vorrebbe adesso, Nat? Uno shawarma. Peccato che credo non se ne trovino, qui, di shawarma.
Matilde sospirò. –Scendete a Riva de Biasio e prendete il 5.2, fermata “Guglie”, a destra. C’è un ristorante ebraico che fa uno shawarma buonissimo.
Consegnò loro i biglietti. Natasha le mise in mano una banconota da 500 euro.
-Non ho il resto.
-Non voglio resto, è per lei. Porti la sua famiglia a mangiare lo shawarma: sa, è l’ideale, dopo le missioni finite bene.









Note: Storia nata per il contest "Qualcuno ha detto Mary Sue?" indetto da vannagio sul forum di Efp; so che sono un disastro con i vendicatori ma ci ho provato, e declino ogni responsabilità sulla riuscita di questa cosa! Però ringrazio tanto la mia sexybeta OttoNoveTre, che ha la pazienza dei santi ed è insostituibile.
“Venezia è un pesce”, la frase che apre questa storia, oltre a essere una verità (guardate una cartina di Venezia!) è il titolo di un’interessante guida alla città scritta da Tiziano Scarpa.
La canzone di Guccini è “Venezia”.
L’Azienda è naturalmente l’azienda dei trasporti pubblici veneziana, di cui non faccio il nome ma, se qualcuno è della zona, saprà sicuramente di cosa sto parlando. Tra l’altro veneziani e chioggiotti la chiamano sul serio così, “l’azienda”. Tutti gli aneddoti ricordati da Matilde sono accaduti davvero, anche se non alla stessa persona; e anche nomi e soprannomi lo sono.
La bitta è quel supporto di ferro attorno a cui il marinaio assicura la cima per fermare la barca; ce ‘è una a bordo e una a terra, e regolarmente tutti ci si spalmano sopra. Senza pensare che al marinaio serve, sennò la barca non si ferma. E soprattutto senza pensare che non è saggio metterci vicino le mani se il marinaio sta fermando la barca, perché una cima che tira spezza quello che ci va in mezzo, comprese dita e braccia.
Il barcarizzo è il “cancello” della barca, che sta chiuso in navigazione e viene aperto dal marinaio per far scendere/salire la gente alle fermate.
Le verine sono anelli che si fanno con la cima per renderla più pesante e farla andare più lontana a momento del lancio.
Tutte le indicazioni su linee e fermate sono vere. E anche i posti, compresi l’asilo (perché Nat sa dove vanno a scuola i vostri figli) e il ristorante, che esiste, è lì e fa un ottimo shawarma, oltre a un sacco di altre cose buonissime.
Se qualcuno pensa che “Alvise” sia un nome insolito e anacronistico per un bambino, si faccia un giro a Venezia centro.
I vecchietti veneziani che polemizzano a prescindere sono un’amara e triste verità.
Il dettaglio degli occhiali da sole di Nat è spudoratamente copiato dalla Natasha di Evilcassy. Siccome mi piace molto, l'ho usato.
No, non sapevo che nome dare al cattivo, e “Ajeje” mi sembrava troppo spudorato. Però ha dei bei tatuaggi, lo dicevano anche alla SHIELD: gran testa di cazzo, ma i tatuaggi sono belli.
Se venite a Venezia e salite sui vaporetti, fate i bravi con i marinai: fate il biglietto, non appollaiatevi sulla bitta, tirate giù gli zaini, lasciate libero il passaggio per scendere/salire e siate gentili. Ricordatevi che il marinaio non è l’ufficio informazioni, va bene chiedergli una fermata, ma non pretendete che sappia dov’è il vostro albergo o quanto costa l’ingresso dei musei. E soprattutto, gente, non siete a Mirabilandia, il vaporetto è un mezzo pubblico e non una giostra, comportatevi di conseguenza.
E dopo tutto ciò, io vi saluto, vi ringrazio, e spero che la storia vi sia piaciuta o, se non è così, che almeno vi sia piaciuta Venezia.
A chi è arrivato fin qui: grazie, grazie, GRAZIE.
   
 
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