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Autore: plateau_    10/08/2013    4 recensioni
Modern!Au, Parigi 2012/2013, liceo. JehanxBahorel, con leggeri accenni a EnjolrasxGrantaire, MariusxCosette, JolyxMusichetta, CombeferrexEponine.
Bahorel, tipico ragazzo che non ha niente da perdere: alcol, risse e ragazze sono il suo pane quotidiano. Jehan, tipico ragazzo che ha tutto e niente: non amici, ma dei fogli bianchi, una penna e un flauto traverso.
Un incontro nel cortile della scuola in una situazione burrascosa; cosa nasce di buono dall'unione di un cardo e un'orchidea?
La storia si sviluppa sulle note del primo cd dei Mumford and Sons, "Sigh no more": un capitolo per ogni canzone.
Spero la storia possa piacervi, malgrado il pairing non sia uno dei più considerati dal fandom... in ogni caso, buona lettura!
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“But I won’t rot, I won’t rot
Not this mind and not this heart, I won’t rot.
And I took you by the hand
And we stood tall,
And remembered our own land,
What we lived for.
And there will come a time, you’ll see, with no more tears,
And love will not break your heart, but dismiss your fears.”
Mumford and Sons, After the storm.

Bahorel.

La pioggia ticchetta insistente contro il vetro della finestra. Fuori c’è il diluvio universale in corso.
«Okay Jehan, tieni questo premuto qua e aspetta».
Come se Jehan fosse davvero in grado di tenere qualsiasi cosa in mano in questo momento: poverino, alla vista del sangue trema.
Non è colpa sua, dopotutto è il primo post-rissa al quale assiste: nei tempi passati è capitato tante volte agli altri di trovarmi sdraiato sul tavolo di casa di Joly sporco di sangue.
Joly, figlio di un noto medico chirurgo qui a Parigi, è uno che sa il fatto suo: dopo un po’ di tirocinio al pronto soccorso – e deve ancora iniziare l’università – e con l’abitudine a fare esperimenti su manichini insieme a suo padre, non è la prima volta che si ritrova a mettere alla prova le sue abilità e ricucirmi dopo una gara clandestina o una rissa in un bar.
Jehan è andato nel pallone quando Joly mi ha infilato un ago nel braccio, per iniettarmi l’anestesia.
Gli poggio la mano sulla guancia, mentre lui tiene delle garze premute sul mio addome, e Joly mi passa del disinfettate sul taglio abbastanza superficiale sul braccio.
Courfeyrac porge degli stantuffi a Joly, mentre Grantaire ed Enjolars se ne stanno buoni e fermi in un angolo della stanza.
«Jehan, non è la prima volta che facciamo questa cosa. Stai tranquillo, sto bene e non mi succederà niente di brutto».
Annuisce, ma sembra poco convinto mentre sposta lo sguardo sulla ferita che sta tamponando. Joly gli fa cenno di allontanarsi, e prende ago e filo.
Jehan impallidisce.
Si sposta dall’altro lato del tavolo, mi prende una mano, e segue con lo sguardo le mani di Joly. Appena l’ago penetra per la prima volta la mia pelle, sussulta. Con la mano libera lo costringo a voltarsi verso di me, e gli sorrido.
«Sei rimasto impassibile davanti ad una pistola, e adessi ti spaventi tanto per un pochino di sangue?»
«Un pochino di sangue? È disgustoso, credo che vomiterò.» Dice, alzando gli occhi al cielo, scrutando interessato il soffitto bianco. «E comunque non ho avuto paura di te. Certo, non sapevo che la pistola era carica, ma sapevo che non mi avresti mai sparato».
«Puoi uscire se vuoi.» Ridacchio; lancio un’occhiata a Joly, e vedo che ha quasi finito il suo lavoro. Enjolars e Grantaire escono, seguiti da Courfeyrac che sembra ancora leggermente sotto shock.
Jehan è quello messo peggio.
Joly si sciaqua le mani sotto l’acqua corrente, se le asciuga e poi mi sistema questo cerotto gigante sulla ferita fresca di sutura.
«Come al solito, aspetta almeno un’oretta prima di alzarti. L’effetto dell’anestesia dovrebbe sparire in fretta, questa era più leggera di quelle che ti faccio solitamente. Ti ho visto messo peggio.» Dice, più a sé stesso che a noi; mi passa una borsa del ghiaccio, e me la fa poggiare sull’occhio pesto.
Si guarda attorno, poi esce.
«Non potevi sapere cosa mi stesse passando per la testa in quel momento, però. Avrei potuto benissimo spararti.» Riprendo a dire, mettendomi un pochino più comodo, mentre Jehan torna del suo colorito normale.
Fino a pochi secondi fa era leggermente verdastro.
«Ed io ti dico di no. Mi ami, non l’avresti mai fatto».
«…Hai ragione, non avrei mai potuto farlo».
«E anche se l’avessi fatto… sarei morto per mano tua. Non sarei morto solo, e non sarei rimasto lì, sul marciapiede. Sarei morto accanto a te, o fra le tue braccia. Cosa posso chiedere di più? Avrei avuto paura – ti chiedi mai cosa c’è dopo? Buio o paradiso che sia, l’idea mi spaventa – ma tu saresti stato lì. È tutto quello che mi serve sapere.»
Non voglio sentire tutte quelle farneticazioni sulla morte. Ho già rischiato di perderlo una volta, e non ho intenzione di considerare l’idea del trapasso di uno di noi due per un bel po’ di anni.
«Pensi che riusciremo ad avere una relazione normale, noi due? Prima scappo in un altro Paese per paura di farti male, poi torno per scusarmi e tu sei in coma, poi ti svegli ed io rischio di ammazzare un povero stronzo. Credi che adesso riusciremo a vivere una vita normale, senza problemi?»
«Per vita normale intendi roba del tipo cene romantiche, appuntamenti in posti disparati, colazione a letto, matrimonio, bambini che corrono per casa, sedie a dondolo su una veranda piena di fiori, condivisione di dentiere e bastoni…?»
Sorrido, e mi alzo, indossando con calma la maglietta sporca di sangue e prendendo il cellulare: devo inviare dei messaggi.
«Joly ha detto…»
«Al diavolo Joly.»

 
***

Jehan.

«Perché mi hai portato a casa?»
«Sssh Jehan, smettila di fare domande».
La pioggia mi ha appiattito i capelli lungo il volto: devo sembrare una sorta di barboncino rossiccio e bagnato. Pazienza.
Entriamo nel portone, e Bahorel mi dice di aspettare qui, con gli occhi chiusi. Sono spaventato, ma nel senso buono del termine.
«Hai ancora gli occhi chiusi?» Annuisco, strizzando forte gli occhi. Qualcosa di morbido si posa sulla mia fronte: mi benda con un pezzo di stoffa.
«Seta?»
«Diciamo che il tuo primo regalo della sera; è un foulard azzurro, quando smetterà di fungere da benda potrai usarlo come meglio ti pare».
«Un foulard azzurro in seta; mi sono lamentato così tanto perché non ne avevo uno…» Odio e amo le sorprese al contempo.
Saliamo in moto, e dopo le prime due curve perdo già il senso dell’orientamento. Quando scendiamo – dopo una ventina di minuti di viaggio – sono completamente confuso, e con lo stomaco sottosopra.
Le uniche certezze sono che Bahorel è con me, e che ci troviamo all’aperto. Stiamo camminando nell’erba, e la pioggia si è fatta lieve.
Dopo qualche minuto di non semplice e bella passeggiata nell’erba alta ci fermiamo. Slega con gentilezza il foulard, mettendomelo al collo.
Perdo un battito: siamo in un campo e di tanto in tanto avvisto delle orchidee. Non ne ho mai viste così tante in vita mia in un posto diverso dalla serra, e per un momento mi sento in colpa: ne stiamo calpestando alcune.
Oramai le abbiamo schiacciate per bene. «Per favore, non muoverti ulteriormente. Stiamo commettendo un genocidio.» Dico allarmato a Bahorel, che scoppia a ridere.
Improvvisamente scorgo dei volti vicino agli alberi: con delle lanterne accese in mano, ci sono tutti i ragazzi dell’ABC. Se non li conoscessi, probabilmente starei già scappando via; sembra molto l’inizio di un film horror.
Courfeyrac, Feuilly, Bossuet, Joly e Musichetta, Marius e Cosette, Combeferre, Eponine e Gavroche, Enjolras e Grantaire. I sorrisi che mi rivolgono non promettono assolutamente niente di buono.
“Enjolras che sorride sornione. Deve essere qualcosa di davvero serio. Okay, forse dovrei iniziare ad avere paura”.
Torno a guardare Bahorel confuso, e questo si schiarisce la voce. Sembra piuttosto teso.
“Se qualcuno non mi spiega che sta succedendo entro i prossimi tre secondi, urlo”.
«Jehan…» Bahorel si guarda i piedi, sospira, e posa il suo sguardo sul mio volto. «Nell’ultimo anno ho sbagliato tante cose, mi sono trovato in tante situazioni diverse, e ho avuto modo di imparare tante cose. Ho ricevuto tante lezioni di vita, e queste mi hanno portato a prendere delle decisioni.
Una delle cose che ho imparato è che la vita è crudele, e che è corta. Porta via le cose che amiamo quando meno ce l’aspettiamo; essere pigri è uno spreco. Ho imparato che le opportunità vanno colte al volo, e che non si deve pensare due volte prima di fare qualcosa.
Basta ascoltare il cuore, e buttarsi a capofitto in tutto quello che la vita stessa ci propone.
E tu sei la cosa migliore che la vita mi ha proposto. Ho deciso di non far marcire il mio cuore e la mia mente. Stavo perdendo tante cose prima del tuo arrivo; credevo di sapere tutto, credevo di avere chiaro cosa fosse giusto e cosa non lo fosse. Poi sei arrivato tu – un’orchidea in un campo di erbacce e cardi colmi di spine – e il mio mondo si è capovolto.
Ho conosciuto il bene, ho conosciuto la speranza, ho conosciuto l’amore. Arriverà un giorno in cui la sfiga di Bossuet smetterà di perseguitare anche noi,» Un coro di risate si leva. «…e l’amore non sarà più quella cosa cattiva che ha portato entrambi sull’orlo del baratro; sarà quella cosa che salverà entrambi, che scaccerà via lacrime e paure.
Ed io voglio essere qui, quel giorno, voglio essere accanto a te. Voglio salvarti io, almeno questa volta.
Ho imparato a cogliere le opportunità al volo; pochi mesi fa è passata la legge che approva i matrimoni omosessuali qui in Francia.»
Improvvisamente si china, inginocchiandosi. Tira fuori una scatoletta.
«Ergo sono qui a chiederti, con tutto l’ABC e la Compagnia dell’Anello come testimoni… Jehan Prouvaire, vuoi sposarmi?»
Un anello fa capolino nella scatoletta aperta.
Le ultime parole mi colpiscono in pieno, stordendomi. Sento che potrei svenire da un momento all’altro. Mi ha chiesto di sposarlo. Bahorel mi ha chiesto di sposarlo. BAHOREL MI HA CHIESTO DI SPOSARLO.
Respiro un attimo, mentre gli occhi mi si riempiono di lacrime e le guance prendono fuoco. Non credo di essere in grado di controllarmi ancora a lungo. Cerco di fermare le lacrime e di darmi un po’ di contegno: non posso rovinare questo momento.
«Premettendo che sto per avere un infarto e che dovrai sorreggermi nel giro di pochi secondi perché sverrò per il troppo stress e per la troppa pressione psicologica…» Mi schiarisco la gola tossendo; tendo a non controllare la lingua quando sono nervoso.
«Anche io ho imparato qualcosa dalle esperienze dell’ultimo anno, Bahorel. Ho imparato che un gruppo di rissaioli, rivoluzionari e alcolici può diventare la famiglia che non ho mai avuto; ho imparato che i ninfomani sono ottimi migliori amici,» Courfeyrac mi fa un cenno di approvazione. «Ho imparato che il marmo può amare l’assenzio grazie ad un pochino di droga nei dolcetti, che la sfiga perseguita tutti ma tende sempre ad accanirsi su qualcuno, che gli stalker dopotutto non sono tutti psicopatici, che l’amore può sbocciare in poche settimane, che i futuri medici ipocondriaci possono finire con ragazze cazzutissime, e che un’ottima guida può essere trovata in chi tendiamo a considerare poco e niente» Feuilly mi sorride riconoscente. «… ma soprattutto, ho imparato che le anime più sole e sagge si nascondo sotto dei completi idioti. E che, a quanto pare, i completi idioti sono attratti da bei poeti in difficoltà.
In conclusione… questo bel poeta in difficoltà è felice di dire al suo personale idiota – che è in realtà infinitamente saggio – che… sì, voglio diventare suo marito».
Un boato di applausi e urla esplode, ed improvvisamente mi ritrovo stretto fra le braccia di Bahorel.
Ha smesso di piovere.
Dopo la tempesta torna sempre il sereno: non è quello che si dice sempre?
E questa volta sono sicuro del fatto che la nostra tempesta, Bahorel, è finalmente giunta alla fine. Non ne abbiamo passate già troppe?







Fiiiiiiiiiiiiiin!
Dunque, dopo taaaanto tempo sono finalmente riuscita a concludere questa storia: e cosa fare, se non ringraziare chi mi ha spinto a continuarla? Il primo ringraziamento va dunque a Giorgia e a Mina, perché senza di loro tutto questo pandemonio sarebbe probabilmente rimasto in qualche angolo del mio computer. Il secondo ringraziamento va a tutti coloro che hanno recensito, preferito, messo nelle seguite, visualizzato o anche letto per sbaglio una frase di questa storia. Il terzo ringraziamento va ai Mumford and sons, fonte infinita di ispirazione.
È stato abbastanza difficile riuscire a scrivere questa fanfiction, perché vivevo nella costante paura di rovinare o descrivere male qualcuno, o di sviluppare male un personaggio, o di mettere su una trama scontata e noiosa… ma sono felice di sapere che almeno a qualcuno è piaciuta.
Ed è con il cuore un pochino pesante – quanto mi mancheranno questi due?! – che concludo, ringraziandovi ancora una volta. Siete stati magnifici. *lacrimuccia*
  
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