Watari entrò silenziosamente nella stanza trasportando un carrello più grande del solito. Dolci, scones, macarons, tavolette di cioccolato, caramelle e lecca-lecca, accompagnati come sempre da tè e una quantità industriale di zollette di zucchero, erano affiancati ordinatamente non lasciando intravedere neanche un lembo della finissima tovaglia di seta bianca. Aveva sfoderato il servizio più bello della sua immensa collezione, un set di porcellana finemente decorata a mano della migliore qualità.

Scorse Ryuzaki, intento a giocare a scacchi contro sé stesso mentre con la coda dell’occhio controllava incessantemente i tre televisori sintonizzati sulle telecamere nascoste. Stava lavorando ad un caso molto complesso, degno del più grande detective del mondo. Dopo aver mormorato tra sé e sé alcune percentuali di colpevolezza, Ryuzaki si alzò e prese a rovistare in un cassetto nascosto nel muro che conteneva solo ed esclusivamente pacchi di caramelle gommose alla frutta. Ne prese due e si riposizionò comodamente sul divano nella sua posa ambigua e inarcando ulteriormente la sua schiena già paurosamente compromessa.

Watari si fermò un istante a guardarlo, e un velo di tristezza gli sfiorò lo sguardo. Era veramente orgoglioso di quel ragazzo che aveva adottato e portato alla Wammy’s House. Da quel momento non lo aveva mai lasciato solo, eppure continuava a stupirlo a distanza di anni. Il suo sguardo ridente in realtà nascondeva un senso di nostalgia per non aver mai provato l’ebbrezza di essere padre, di portare un bambino al parco giochi, di vederlo crescere e diventare uomo. Nemmeno tutti i bambini delle Wammy’s Houses da lui stesso fondate riuscivano a colmare quel vuoto ormai irreparabile. Considerava tutti come i suoi bambini, ma non li aveva mai sentiti suoi davvero.

Scacciò quei pensieri che rischiavano di prendere il sopravvento e, lentamente, avvicinò il carrello ad un Ryuzaki intento a contemplare i due pacchi di caramelle svuotati.

“Ti ho portato ciò che mi hai chiesto.” disse Watari, sorridendo con fare bonario.

Ryuzaki si girò e fissò il carrello per qualche secondo, dopodiché prese una tazza di tè con le punte delle dita e disse:“C’è molta roba in più, vedo.”

“Ho voluto fare di testa mia, per una volta.” In effetti, Watari non si era dimenticato di che giorno fosse. Era il 31 Ottobre del 1999, e Ryuzaki avrebbe compiuto 20 anni. Il suo ragazzo ora era maggiorenne. “Buon ventesimo compleanno, Elle.”

Ryuzaki rimase immobile con la tazza di tè stretta tra le dita affusolate a mezz’aria davanti alla bocca. Quell’espressione lo aveva stupito, e il detective non restava sorpreso facilmente. Si girò di scatto verso l’uomo che lo aveva cresciuto e che aveva dato un senso alla sua vita, facendo scuotere i suoi capelli neri e spettinati. I lembi delle labbra sottili si alzarono non senza difficoltà, ma i suoi occhi si illuminarono e gioirono.

“Sai, Watari, credo di aver risolto il caso.”