Anime & Manga > Katekyo Hitman Reborn
Segui la storia  |       
Autore: Kumiho    10/08/2013    3 recensioni
Per un attimo, guardandolo sorridere, nella mente di Gokudera si ripresentò l'immagine dell'insolita espressione di Yamamoto di qualche minuto prima e realizzò che forse quella era stata l'unica vota in cui aveva visto per più di cinque secondi il volto del compagno di classe senza un enorme sorriso a trentadue denti stampato sopra.
Genere: Generale, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hayato Gokudera, Takeshi Yamamoto, Tsunayoshi Sawada
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ospitalità e aria di cambiamento

 
 
 
 
L’asfalto sotto i proprio piedi sembro liquefarsi all’improvviso e le sue gambe tremarono di nuovo, costringendolo ad inginocchiarsi nel buio del vicolo, davanti a lui, che ancora lo fissava con quella preoccupazione negli occhi che non accennava a voler scemare.
 
-… Yamamoto…- Ripeté sussurrando ma, nell’oscurità, quel sussurro rimbalzò contro ogni parete, rimbombando fastidioso.
 
- Ma che combini?... Chi sono questi due? - Sospirò l’altro lanciando un’occhiata seccata ai due ragazzi ancora sdraiati a pancia in giù sull’asfalto freddo.
 
Come se il ragazzo non avesse parlato, Gokudera sentì la rabbia mista ad una flebile traccia di sollievo ottenebrargli la mente ed avvertì le mani tramargli, assieme all’incontenibile voglia di piangere. Si alzò improvvisamente, forse troppo perché la testa prese a girargli e a dolergli, mentre un po’ di sangue gli scivolò dalla bocca e gocciolò sul catrame, si sporse in avanti per non cadere, verso Yamamoto, afferrandogli il bavero, furente.
 
- Dove eri?-
 
Yamamoto lo fissò con aria stupita, per poi sfiorargli le nocche tese ed arrossate con le dita, in un gesto rassicurante e preoccupato. Gokudera lasciò allora il colletto della camicia dell’altro, allontanando il suo tocco bruscamente, solo per tornare a stringerlo nuovamente, con più forza, non appena Yamamoto abbassò le mani lungo i fianchi, lontano dalle sue.
 
- Dove cazzo eri finito!?... Ti hanno cercato tutti!- La voce alterata e tremante, mentre avvertiva la saliva, satura di sangue, sfuggirgli dalle labbra gonfie e spaccate, colare lungo il mento. - Il Decimo era così in pena per te! Come ti sei permesso di andare via così!? Lo sai che è successo... !? Se tu non te ne fossi andato…- Gokudera fu costretto ad interrompersi, la voce gli stava morendo in gola e lo sguardo colmo di pena e compassione di Yamamoto era troppo da sopportare. Ma avrebbe voluto urlargliela tutta la sua rabbia, la sua frustrazione per non esserci stato a fermarlo, per non esserci stato ad impedire di far preoccupare il Decimo, per essere mancato quando, finalmente, avrebbe potuto fare qualcosa per lui, impedendogli di rendersi ridicolo e furente: una pallida imitazione di un braccio destro.
 
Le lacrime gli scivolarono fuori dalle palpebre serrate e le gambe gli cedettero di nuovo; tenendo ancora stretto il colletto di Yamamoto tra le mani, scivolò verso il basso, portandoselo dietro. Inginocchiati in un vicolo, con i suoi singhiozzi come unico sottofondo. Ogni volta che riusciva ad accumulare abbastanza fiato per parlare, Gokudera lo insultava, per poi ripiombare nel silenzio interrotto da qualche ansito soffocato o da qualche gorgoglio che la sua bocca, ancora piena di sangue, produceva. Yamamoto continuò a stare in silenzio, inginocchiato davanti a lui, con le mani ingessate, ma tremanti, lungo i fianchi, mentre quelle di Gokudera continuavano a stringergli il bavero ormai logoro.
 
Quando, finalmente, calò il silenzio, Yamamoto gli sfiorò nuovamente le mani, liberandosi lentamente e gentilmente dalla sua stretta, tanto che Gokudera non oppose resistenza; se ne rimase immobile e silente ripiegato sull’asfalto del vicolo buio.
 
- Andiamo via di qui.- Disse semplicemente Yamamoto. Gokudera rimase in silenzio per pochi secondi prima di alzarsi, più barcollante del previsto, ed avviarsi, con lui, verso la strada principale.
 
 
 
Le strade erano ancora piene di persone, anche se decisamente meno affollate di prima, tanto che avrebbero potuto camminare uno di fianco all’altro e parlarsi senza alcuna fatica, ma nessuno dei due sembrava intenzionato a farlo. Yamamoto ogni tanto si voltava verso l’altro, rimasto volutamente indietro, per accertarsi che stesse ancora in piedi.
 
Gokudera era spossato, ansimante e con gli occhi spenti che fissavano il nulla davanti ai propri piedi, il sangue gli rigava il mento e gli macchiava la camicia, mentre lo zigomo sembrava, ogni volta che Yamamoto si voltava a guardarlo, sempre più violaceo e gonfio. Non aveva idea di dove stessero andando, di dove Yamamoto avesse intenzione di trascinarlo, ma era troppo stanco per chiederlo, per protestare o anche solo per alzare gli occhi e guardarlo. Era davvero stanco.
 
Sentiva i piedi pesanti, la bocca dello stomaco ancora gli doleva per il pugno di poco prima, così come l’interno della guancia spaccata, si sentiva prosciugato di ogni forza di reagire, ed ora che si era addirittura messo a piangere davanti a lui si convinse di non poter toccare un fondo più basso di quello. Non aveva neanche la voglia di desiderare qualcosa, fosse anche solo fare del male a se stesso o a Yamamoto, si sentiva come galleggiare in un limbo cupo e buio, e lasciarsi andare passivamente agli eventi, almeno in quel momento, sembrava l’unica soluzione sopportabile.
 
Improvvisamente il chiasso della folla intorno a lui aumentò, in un brusio sconnesso ed ovattato, si sentì spintonare in avanti, tanto che dovette puntare i piedi con l’ultimo briciolo di forza per non cedere di nuovo al tremore delle proprie gambe. Alzò lo sguardo giusto per incontrare quello di qualche passante che lo squadrava con aria curiosa e preoccupata, fissando il sangue sulla sua camicia e quello, ormai rappreso, agli angoli della bocca, una ragazza fece quasi per avvicinarsi quando la stretta di Yamamoto lo raggiungesse tirandolo verso di lui, ingoiandolo ancor di più tra la folla.
 
- Tutto bene?... Stavo quasi per perderti.- Lo sentì mormorare col tono di chi cerca di sdrammatizzare.
 
Gokudera non rispose, non tentò nemmeno di liberarsi dal suo tocco, continuò a lasciarsi sballottare dalle spinte leggere delle persone schiamazzanti attorno a lui. Anche quando si ritrovò addossato al petto di Yamamoto non tentò di fare nulla, sebbene un’ondata di disprezzo gli stesse avvolgendo il cuore. Il motivo di tutta quella confusione fu chiaro quando il cielo si illuminò di luce. I fuochi d’artificio. Un altro brivido gelido gli attraverso la schiena, chissà se Decimo era riuscito a vederli. Chissà se gli sarebbero piaciuti.
 
La folla si fece ancor più fitta e schiamazzante ad ogni nuovo lampo colorato che illuminava il cielo sopra di loro, Yamamoto se lo portò davanti facendogli poggiare la schiena contro al proprio petto, così da impedirgli altri scossoni. Un gesto rassicurante in sé per sé ma che a Gokudera non provocò altro che disagio ed un’umiliazione che aveva il gusto amaro della nausea.
 
-… Stavo tornando a casa.- Lo dire all’improvviso, la voce abbastanza alta da raggiungerlo, poco più in basso, sovrastando il chiasso della folla meravigliata e palpitante. – Non ce la facevo a stare lì, con te che mi fissavi in quel modo. Volevo andarmene ma poi… ho visto una tua chiamata sul cellulare e allora… sono tornato indietro.-
 
Gokudera rimase in silenzio, mentre nella sua mante la scena prendeva vita, e sì che gli sembrava così strana, in quel momento, l’idea di aver davvero chiamato Yamamoto, sentirlo uscire dalle sue labbra poi… Si scoprì troppo stanco perfino nel riuscire a godersi il disagio che l’altro doveva aver provato ai suoi sguardi furenti e disgustati.
 
-... Non ti ho chiamato per chiederti aiuto, questo deve esserti chiaro. Decimo mi ha detto di telefonarti e io l’ho fatto. Tutto qui.- Sapeva di aver risposto a voce molto bassa, ma era sicuro che Yamamoto avesse capito dato che sentì il suo petto irrigidirsi appena contro la propria schiena.
 
-… Lo immaginavo.- Sorrise l’altro, di un tono spento e rassegnato. –Sono comunque contento di essere tornato indietro.- Concluse in un sospiro.
 
Gokudera avrebbe voluto dire qualcosa, qualcosa di offensivo che potesse rimarcare la sua noncuranza verso ciò che Yamamoto aveva fatto, ma la sua bocca non emise alcun suono.
In qualche modo trovava grottescamente divertente come tutta la sicurezza di cui si era armato poche ora prima, dopo aver parlato con Decimo sotto quel ponte, si fosse esaurita così in fretta, ed era ancora più ironico il fatto che fosse dipeso tutto da lui, dato che, a conti fatti, Yamamoto non aveva fatto un bel niente.
 
Anche quando la consistenza del petto dell’altro si fece ancor più tangibile contro la sua schiena stanca, a causa della folla o meno non gli interessava, il senso d’umiliazione ed il dolore che provò lo avvilupparono di nuovo, sì, ma non furono devastanti come le altre volte, forse per quella stanca rassegnazione, forse per quel senso di sicurezza (vergognosa) che aveva provato, per un attimo, lasciandosi sorreggere dalla solidità del petto di Yamamoto.
 
- Torniamo a casa.- Mormorò Yamamoto, la voce calda e orrendamente rassicurante.
 
Gokudera deglutì perdurando il proprio silenzio, alzando appena lo sguardo verso i fuochi d’artificio che continuavano ad illuminare il cielo.
 
 
 
 
Lo schiamazzo della folla, ora, sembrava così distante che si confondeva a quello di qualche macchina che, raramente, attraversava la via. Yamamoto camminava davanti a lui, con quel suo passo lento e calmo che, tante volte, aveva volutamente affrettato per stargli dietro accompagnandolo a casa da scuola. Gokudera quasi si sorprese di quel pensiero improvviso più che per la sua natura, per il fatto che quello gli sembrasse, ormai, un tempo così lontano e dimenticato. Si stava talmente “abituando” all’idea di dover fare i conti con lo Yamamoto che aveva davanti che si era quasi scordato di come era quello che aveva conosciuto. Lo trovò triste e patetico.
 
- Siamo arrivati.- Gokudera alzò lo sguardo giusto in tempo per non andare a sbattere contro la schiena dell’altro che, improvvisamente, si era fermato davanti a lui. Per poco il cuore non gli si fermò nel petto.
 
Yamamoto aveva appena infilato la chiave nel piccolo cancello del suo cortile, che scattò con un suono metallico riecheggiando nella via silente.
 
-... Questa non è casa mia- Mormorò Gokudera con aria involontariamente spaventata.
 
- Certo che non lo è.- Rispose calmo Yamamoto -...Casa tua è dall’altra parte della città, e tu non ce la fai neanche a camminare.-
 
Anche quando si fece da parte, invitandolo ad entrare, Gokudera non si mosse: una mano sullo stomaco e l’altra abbandonata lungo il fianco, le gambe tremanti e la faccia distrutta. Immobile.
Yamamoto lo fissò per pochi secondi, con aria paziente e dispiaciuta per poi mordersi un labbro, abbassando lo sguardo.
 
- Gokudera, ti prego. Non ce la faresti ad arrivare a casa tua. Hai bisogno di riposare.-
 
- Ho fatto quello che volevi fino a qui, non ti basta?... Voglio andare a casa mia.- Rispose Gokudera con aria dolorante, tra un ansito stanco e l’altro. Si sentiva spossato, umiliato e distrutto. Voleva solo un po’ di pace. “Smetti di torturami” pensò “Ti prego, basta.”
 
Yamamoto continuò a fissarlo in silenzio, gli occhi castani un po’ più sgranati, in un misto di confusione ed incredulità. Lentamente si avvicinò a Gokudera che non riuscì a fare altro che abbassare lo sguardo, fissando l’asfaltò nero ed aspettando impotente il tocco dell’altro.
 
- Credi davvero che ti farei qualcosa, adesso…? Voglio solo che ti riposi un po’, non vedi che non ti reggi nemmeno in piedi?- Mormorò Yamamoto, abbassandosi appena per poterlo guardare negli occhi. -Voglio aiutarti, ti prego...-
 
Gokudera respirò a pieni polmoni, abbandonandosi al dolore alle costole e al sapore febbrile e ferroso che gli violava la bocca. Non riuscì a protestare in alcun modo, era troppo stanco, troppo provato… troppo sconfitto. Si limitò ad abbassare nuovamente il capo e, con uno sforzo notevole, costringersi a muovere i primi passi verso il cancello d’entrata.
 
 
 
 
Entrare di nuovo nella camera di Yamamoto gli fece più male del previsto, il ricordo di ciò che aveva fatto, del suo corpo nudo stretto in un angolo da quello dell’altro, non fece altro che aumentare la nausea che sentiva crescergli nelle viscere. La fatica immane che aveva fatto per salire i pochi gradini che dividevano la sala del ristorante dall’abitazione sembravano il giusto preludio al martirio che stava subendo stretto tra quelle quattro piccole mura. Yamamoto lo aveva lasciato per andare a prendere del disinfettante e lui si era lasciato cadere sul letto pregno del suo odore, si era vergognato di quanto il sollievo che aveva provato nel sedersi non fosse stato compromesso, neanche per un attimo, dall’odore di cui quelle lenzuola erano impregnate.
 
- Scusa se ti ho fatto aspettare...- Sussurrò Yamamoto, probabilmente per non svegliare il padre che, probabilmente, stava dormendo non molto lontano da lì. Chiuse la porta con cautela e si inginocchiò di fronte a lui, tra le mani aveva del cotone, qualche cerotto e del disinfettante.
 
- Non ti pare di esagerare?... Mi hanno picchiato, mica sono tornato dalla guerra.- Mugugnò Gokudera osservandolo aprire la piccola bottiglia verde.
 
- E’ chiaro che non ti sei guardato allo specchio...- Rispose l’altro con aria tranquilla, avvicinandogli al volto il cotone imbevuto; Gokudera si allontanò un poco da lui, impedendogli di toccarlo.
 
- Faccio da solo.- Disse solamente, togliendogli il cotone dalle mani e premendolo contro la guancia dolorante. Il bruciore fu più forte di quel che pensava, tanto che dovette sforzarsi per non gemere. Yamamoto lo fissava con gli occhi stretti ed un aria sofferente, come se stesse soffrendo anche lui per quell’improvviso bruciore, Gokudera lo trovò irritante e si costrinse a guardare altrove.
 
- Gokudera... davvero, faccio io... ci metto un secondo.-
 
- Non voglio il tuo aiuto!- Sbottò lui tornando a fissarlo, per poi afferrare qualche cerotto.
 
- Per favore, almeno... lascia che ti pulisca i tagli, non puoi farlo da solo.- Replicò l’altro, continuando a fissargli la faccia come se stesse cercando di trattenere il dissenso per quello che stava facendo.
 
Gokudera rimase in silenzio, l’unica cosa da cui non riusciva a distrarsi era il bruciore incessante dei tagli sulla propria faccia. Prima che potesse rispondere il alcun modo, Yamamoto allungò la mano verso la sua, prendendo il disinfettante in imbevendone un altro batuffolo di cotone. Fece tutto lentamente, come si fa con una animale in gabbia: con cautela e precisione, il che lo infastidì ancora di più.
 
Non appena le dita di Yamamoto si posarono sul suo volto un ondata di disgusto lo travolse, tanto che dovette distogliere nuovamente lo sguardo da lui; l’ultima volta che gli aveva toccato la faccia era stata proprio in quella stanza: addossato al muro, nudo come un verme e con tutto il peso del suo corpo addosso. L’umiliazione a quel ricordo fu tanta che Gokudera temette quasi di ricominciare a piangere.
 
Sentiva la ferita bollente pulsare come se sotto vi fosse il proprio cuore, ed ogni volta che Yamamoto la sfiorava col disinfettante il bruciore si alternava al sollievo della frescura. La pressione dei suoi polpastrelli sulla mascella era, tuttavia, tangibile e presente, e Gokudera non riuscì a provare gratitudine nemmeno per un secondo.
 
Yamamoto gli pulì anche il sangue rappreso sul mento prima di aprire un cerotto ed applicarglielo sulla guancia, Gokudera avvertì tutta l’attenzione e la cura che concentrò in quel gesto ma i sentimenti che provava in quel momento erano talmente tanti e di così forte intensità che, davvero, non riuscì a guardarlo nuovamente negli occhi.
 
- Ecco fatto.- Soggiunse infine - Sulle mani puoi fare da solo, fai attenzione però-  Quest’ultima raccomandazione irritò nuovamente Gokudera ma decise che era davvero troppo stanco per ricominciare una discussione.
 
Gokudera si disinfettò in fretta le nocche gonfie e spaccate, per poi coprire i tagli più grandi con qualche cerotto. A malincuore realizzò la differenza tra la sua medicazione sterile e frettolosa e quella, seppur sofferta per altri motivi, piacevole e refrigerante dell’altro. Yamamoto uscì di nuovo, portando con sé i medicinali e rientrando, pochi secondi dopo, con dei vestiti tra le braccia.
 
- E’ il tuo cambio.- Specificò allo sguardo timoroso dell’altro.
 
-… Devo davvero rimanere qui a dormire?- Domandò Gokudera in un mormorio mortificato, stringendo le coperte del letto tra i pugni.
 
- Credi davvero di farcela a farti più di un chilometro a piedi in quelle condizioni?- Domandò Yamamoto con voce inespressiva, porgendogli i vestiti.
 
- Sai che lo avrei fatto. Tutto pur di non stare qui.- Sbottò l’altro alzando improvvisamente gli occhi per fissarlo con astio.
 
Yamamoto tacque per un attimo, con ancora il cambio pulito tra le mani. Il volto impercettibilmente addolorato e le labbra contratte. Gokudera riuscì a bearsi, anche se di poco, di quanto ogni volta riuscisse a ferirlo in modo indelebile e di come la sofferenza che gli infliggeva trasparisse sul suo volto.
 
-… Lo so. È proprio perché lo avresti fatto che ti ho voluto far rimanere qui: saresti svenuto per strada piuttosto che chiedere aiuto a qualcuno. Vai a vestirti ora, puoi usare il bagno.-
 
 
 
 
 
Si era cambiato più in fretta che poteva, ogni angolo di quella casa sembrava riportargli alla mente i ricordi di ciò che aveva fatto l’ultima volta che vi aveva messo piede, sentiva la vergogna e l’umiliazione in agguato dietro ogni angolo, pendere dalle travi del soffitto, affiorare dalle assi del pavimento. A mente fredda sapeva fosse ridicolo, ma c’era una vocina, da qualche parte, nella sua testa, che non faceva che mormorargli quanto Yamamoto avesse programmato ogni singola emozione che aveva provato da quando lo aveva trovato in quel maledetto vicolo.
 
Sembrava tutto così maledettamente e disgustosamente a suo favore: l’averlo aiutato, averlo ospitato, averlo curato, avergli offerto i propri vestiti e un tetto per la notte. Gokudera non riusciva a fare a meno di sentirsi contaminato, intrappolato in un gioco che non riusciva più a gestire. Si sentiva un bambolotto nelle se mani e, anche se sapeva che prima quella faccenda fosse iniziata, prima sarebbe anche giunta al termine, non riuscì a trovare conforto in alcun modo.
 
Anche o scoprire diversi lividi sulle costole e sulle braccia non sembrò muovergli alcun fastidio paragonabile al solo pensiero di dover tornare in quella stanza. Il solo indossare i vestiti che, sapeva, appartenenti a lui fu un umiliazione in grado di annodargli lo stomaco con una violenza tale che il pugno di poco prima gli sembrò una carezza. Sentiva il suo odore su tutto il corpo, emanato da ogni angolo di quella casa e ora anche da ogni porzione di se stesso.
 
Aveva attraversato velocemente il corridoio, rientrando in camera, aveva costretto ogni molecola del suo essere a non voltarsi verso le scale, la tentazione di scappare sarebbe stata insormontabile, come lo era la consapevolezza del fatto che, in quelle condizioni, non sarebbe riuscito a muovere che pochi passi prima di cedere alla stanchezza e al dolore del suo corpo. Ad attenderlo trovò un piccolo futon azzurro pallido, steso di fianco al letto, Yamamoto stava finendo di infilarsi una larga maglia sbiadita e Gokudera riuscì a scorgere la linea dei muscoli del suo stomaco, decisi e delineati, molto più di quello che credeva, il nodo allo stomaco si strinse ancora di più schiacciandolo sotto una nuova ondata di preoccupazione, si affrettò, tuttavia a distogliere lo sguardo e a sedersi sul futon, dandogli le spalle.
 
- No, dormi nel letto, ci dormo io in terra!- Mormorò l’altro avvicinandosi a lui, sporgendosi per riuscire a guardarlo in faccia.
 
- Non voglio la tua pietà.- Sibilò Gokudera, tirandosi le coperte fin sopra la spalla e chiudendo gli occhi, sperando di non ricevere risposta.
 
- Non è pietà, Gokudera…- Cominciò l’altro sfiorandogli una spalla.
 
Gokudera si tirò su di scatto, talmente in fretta che ogni singolo muscolo del suo addome sembrò cigolare, iniettandogli dolore liquido in ogni arto. Allontanò la mano dell’altro con gesto stizzito, mitigando ogni espressione di sofferenza dietro allo sguardo più scocciato e crudele di cui era capace.
 
- Qualsiasi cosa sia, io non la voglio!- Tagliò corto Gokudera seguitando a fissarlo.
 
Yamamoto lo fissò con quella sua aria ferita e malamente contenuta, mentre abbassava lo sguardo sulle coperte del futon. Lentamente si avviò verso l’interruttore e mormorò un - Ho capito…- prima di premerlo e far sprofondare la stanza nell’oscurità. Per un momento Gokudera si sentì terrorizzato: se gli avesse fatto qualcosa durante il sonno? Se avesse approfittato della situazione? Per un attimo pensò perfino di dire qualcosa in grado di placare ogni eventuale alterazione dell’altro, rimanendo seduto nel buio totale della camera. Lo sentì muoversi finché le coperte del letto non frusciarono sotto al suo peso.
 
- Buonanotte.- Mormorò prima del silenzio.
 
Gokudera rimase immobile per quelli che erano alcuni secondi ma che lui avvertì pesanti come ore, dopodiché, dubbioso se ritenersi rincuorato o più spaventato di prima, si sdraiò lentamente, poggiando la testa sul cuscino morbido, i muscoli cessarono di dolergli dopo poco e, al contrario di quello che credeva, si addormentò praticamente subito.
 
 
 
 
 
 
 
Fu un sonno tranquillo e senza sogni, un continuo susseguirsi di quieto dormire, fu come un lungo viaggio in una valle traboccante di nebbia e rugiada, circondato da quel buon profumo salato che gli aveva conciliato il sonno. Quando Gokudera aprì gli occhi avvertì i raggi tiepidi del sole mattutino sul volto, il corpo ancora caldo di sonno e, in bocca, il sapore pesante di chi ha dormito bene, senza mai svegliarsi. Furono i pochi attimi di pace e tepore, prima di realizzare dove si trovava e prima che i ricordi del giorno precedente lo destassero del tutto, costringendolo a scattare seduto. I muscoli gli bruciarono appena, tanto che nemmeno ci badò, troppo impegnato a cercare Yamamoto con lo sguardo. Il letto di fianco a lui era vuoto, e nella stanza non c’era nessuno.
 
Svelto si mise in piedi, scoprendosi ancora piacevolmente intorpidito dal sonno, tanto che dovette sfregarsi gli occhi più volte per scacciare la sensazione del tepore che ancora gli procurava chiuderli. La stanza era deliziosamente illuminata dal sole che filtrava le tende socchiuse della finestra, sopra la scrivania di fianco al letto, non si sentiva che il rumore di qualche passante e il tubare di alcune colombe; per un attimo la sensazione che Gokudera provò fu quasi quella di sentirsi a proprio agio, sensazione che venne subito spazzata via dal suo senso pratico e dalla rinnovata sorpresa di non essere ancora riuscito ad individuare Yamamoto. Senza pensarci troppo afferrò i suoi vestiti, a terra, di fianco al futon, aprì la porta e si diresse in bagno.
 
Ci mise poco a liberarsi del cambio che indossava, tanto più grande, per riappropriarsi nuovamente dei suoi vestiti, anche se indossarli non fu piacevole come credeva: non avevano un buon odore, e la camicia era ancora macchiata di sangue. Ma erano i suoi e tanto bastava a farlo stare meglio. Un rumore improvviso al piano di sotto, probabilmente stoviglie che cozzavano tra loro, lo convinse che Yamamoto doveva essere là. Storse la bocca, inasprito al solo pensiero di doverlo vedere a quell’ora di mattina ma, più stordito dal fatto che era, a conti fatti, riuscito ad addormentarsi e dormire di fianco a lui senza problemi, che non voglioso di andarsene, si diresse titubante verso le scale in fondo al corridoio. 
 
Appena mise piede sul primo gradino un odorino invitante di pesce e di erbe gli passò sotto al naso, ricordandogli, con uno spiacevole gorgoglio propria della pancia di sottofondo, che la sera prima, non aveva avuto la possibilità di mangiare nulla. Chiuse gli occhi, sforzandosi di ignorare il pensiero di quanto sarebbe stato piacevole mettere qualcosa sotto ai denti, poggiò il palmo sul corrimano di legno e, lentamente cominciò a scendere le scale. Ad ogni gradino avvertiva quel profumo invitante farsi sempre più tangibile, mentre di sottofondo l’invitante rumore sfrigolante dell’olio gli attorcigliava lo stomaco. Gokudera continuò a scendere, gradino dopo gradino, finché l’intera sala del ristorante non gli fu visibile. Non c’era nessuno. Al bancone c’erano due bicchieri fumanti e qualche piatto stracolmo di quella che si sarebbe potuta definire una colazione coi controfiocchi. Un’ultima occhiata alla sala vuota e Gokudera fu quasi sul punto di cominciare a correre verso la porta d’uscita, finché non lo sentì parlare alle sue spalle.
 
- Ah! Ti sei svegliato, stavo giusto venendo a chiamarti.-
 
In un attimo ogni sensazione piacevole che quel buon odore di prima colazione gli aveva portato dentro venne spazzato via dalla consapevolezza di essere nuovamente incastrato con le spalle al muro. Si voltò e lo vide, poco lontano da lui, mentre varcava il piccolo arco della cucina, alzando le tendine con un braccio e portando un nuovo piatto pieno di pesce nell’altro.
 
Gokudera rimase in silenzio, immobile, sulle scale. Gli occhi che squadravano ogni suo movimento, come se stesse ponderando se scendere, anche quell’ultimo maledetto gradino. Yamamoto, dal canto suo sembrò non notarlo, o si sforzò di rimanere impassibile, avviandosi semplicemente verso il bancone, posando il piatto di fianco agli altri e spostando uno dei due alti sgabelli con fare servile.
 
- Vieni?- Domandò sorridendo
 
Gokudera seguitò il suo silenzio, conscio di avere sul volto una maschera di stupore e fastidio, strinse con forza il corrimano, finché le nocche non gli sbiancarono, per poi distogliere lo sguardo da quello dell’altro ed abbassare la testa.
 
- Voglio andare a casa mia.- Mormorò, la voce ancora impastata dal sonno.
 
-… sì, capisco…-
 
Non alzò gli occhi, quindi non riuscì a vedere l’espressione di Yamamoto, ma il tono della sua voce gli bastò. Ogni lettera vibrava di sincera delusione. Il cuore di Gokudera non provò nulla. Non fece in tempo a muovere un passo che dalla cucina, improvvisamente, si levò un chiasso di stoviglie acciottolanti e di acqua corrente, che si andò ad unire a quello già vibrante dell’olio che friggeva.
 
- Takeshi, che fai lì impalato? Vai a chiamare il tuo amico, svelto. Il tè si raffredda!-
 
Riconobbe subito quella voce, l’aveva sentita spesso, e il tono gioviale era talmente simile a quello di Yamamoto -o meglio, a quello che Gokudera a stento ricordava- che era impossibile non riconoscerlo subito.
 
- È già sveglio, papà. Non ha molta fame, è meglio se lo accompagno a casa.- Rispose Yamamoto, arrossendo appena sulle guance e spostando velocemente gli occhi su Gokudera prima di rimettere lo sgabello al suo posto e voltare il capo verso la cucina.
 
In pochi secondi l’uomo fece capolino da dietro le tendine sottili, prima guardando il figlio, poi, dopo aver individuato Gokudera, immobile sulle scale, mutò l’espressione sorpresa in una incredibilmente corrucciata. La schiena di Gokudera venne attraversata da un brivido di fastidio: per un attimo il cambio repentino di espressioni sul volto di quell’uomo gli ricordò quello di Yamamoto, e sembrò appartenere ad un tempo che neanche rammentava più.
 
- Non dire sciocchezze, figliolo. La colazione è il pranzo più importante, non te l’ha mai detto nessuno? Ora siediti e goditi il mio pesce, non molti possono vantare un servizio simile.- Soggiunse l’uomo sorridendo con fare sibillino verso Gokudera per poi sparire nuovamente dietro le tendine.
 
Gokudera seguitò nella sua immobilità e nel suo silenzio attonito prima di spostare lo sguardo su Yamamoto che, semplicemente, gli sorrise con aria dispiaciuta.
 
Mentre dondolava nervoso i piedi, sotto lo sgabello, Gokudera ancora si stupiva del proprio silenzio e di come di era scoperto incapace di accampare una qualsiasi giustificazione o scusa; Aveva semplicemente sceso le scale e, dopo un ultimo sguardo confuso e stizzito a Yamamoto, aveva finito per sedersi davvero su quel maledetto sgabello. Yamamoto gli era seduto accanto e, da quanto la colazione aveva avuto inizio, non aveva sollevato gli occhi su di lui nemmeno una volta, li teneva bassi, sul pesce che continuava a tormentare con uno dei due bastoncini, mentre il rossore sulle sue guance non accennava a diminuire. Gokudera lo trovò irritante.
 
- Scusa.- Lo sentì mormorare ad un certo punto - Finita la colazione ti accompagno subito a casa.-
 
Gokudera fece quasi per rispondergli di quanto l’idea di averlo accanto ancora per molto gli sembrasse snervante e ridicola, senonché le tende vicine svolazzarono e suo padre entrò nella sala da pranzo, brandendo un ultimo piatto zeppo di salse più e meno dense e di altro pesce. L’uomo lo posò davanti a loro, per poi prendere posto dall’altro lato del bancone. Gokudera non ebbe nemmeno il tempo di soppesare l’imbarazzo che quella situazione gli provocava che subito l’uomo gli rivolse la parola.
 
- Ti hanno proprio dato un bel pugno, eh?- Domandò sfiorandosi una guancia con l’indice ancora sporco di alcuni chicchi di riso - E’ orrendamente simile a quello che mio figlio aveva pochi giorni fa, non saranno stati gli stessi teppisti, vero?-
 
Gokudera aveva sentito un brivido gelido percorrergli la schiena ad ogni nuova sillaba pronunciata da quell’uomo, ma non fu necessario nemmeno pensare ad una risposta poiché l’improvviso rumore strozzato ed il conseguente colpo di tosse di Yamamoto lo fecero sobbalzare. Con sottofondo di un allegro rimprovero dell’uomo su quanto suo figlio fosse incapace di masticare lentamente, Gokudera ebbe il tempo di meravigliarsi di quello che aveva sentito; a quanto pare Yamamoto aveva raccontato al padre che il pugno infertogli da lui era stato opera di alcuni teppisti. Non riusciva a capacitarsi del motivo per cui aveva dovuto fare una cosa tanto idiota.
 
Forse, pensò, raccontare che “l’amichetto” - altro brivido gelido lungo la schiena - che aveva in programma di trascinarsi a casa tutti i giorni gli metteva pure le mani addosso non era sembrata una buona idea. Scemo sì, ma non così tanto. Per l’ennesima volta si sentì come in trappola, mentre il cibo che aveva davanti a sé aveva perso metà della sua iniziale attrattiva.
 
- Takeshi!- Sbottò improvvisamente quello - Avresti almeno potuto prestargli un cambio!-
 
Yamamoto rimase per un attimo in silenzio, per poi voltarsi verso Gokudera e squadrargli la macchia scura sulla camicia, riuscì a balbettare qualcosa simile ad un - sì… scusami…- prima di arrossire ancora di più. Gokudera riuscì a stento a trattenersi dal non squadrarlo con la sua solita espressione contesa tra la meraviglia e l’atterrimento. Anche prima che quell’incubo iniziasse non rammentava di aver mai visto Yamamoto in difficoltà, neanche quando gli si era dichiarato mormorandogli all’orecchio quelle oscenità senza capo né coda le sue guance si erano mai tinte di tutto quell’imbarazzo. Si stupì di quanto potesse ancora trovarlo irritante e fastidioso. Una sensazione che, mista ad una piccola stretta allo stomaco, gli ricordò in modo fastidiosamente piacevole come era stare con il “vecchio Yamamoto”, quello che aveva perso quella maledetta sera.
 
- Non è necessario, tanto me ne vado subito.- Rispose calmo Gokudera, ultimo tentativo di smettere di pensare a cose ridicole.
 
- Almeno portati via un po’ di cibo, non hai mangiato quasi nulla…- Disse l’uomo indicandogli il suo piatto vuoto solo per metà.
 
Gokudera non ebbe il tempo di rispondere che il più grande fece un cenno amichevole al figlio che si alzò, con un sorriso mesto ed imbarazzato sul volto, afferrò qualche piatto sul bancone per poi sparire in cucina.
 
- … n-non è necessario, io…- Cominciò Gokudera rivolgendosi all’uomo davanti a lui.
 
- Oh, sì che lo è! Non preoccuparti, è andato a prepararti un po’ di cose da portare con te. Lo faccio con piacere!- Aggiunse all’ennesimo tentativo di protesta confusa che Gokudera tentò.
 
Non gli piaceva quell’uomo, lo metteva in costante soggezione ed imbarazzo, per non parlare del fatto che somigliava in modo impressionante al figlio. Aveva i modi di fare tipicamente gentili e cortesi che Gokudera apprezzava ma non sapeva mai come ricambiare, anche se si trattava semplicemente di provare gratitudine. Aveva sempre imparato a cavarsela da solo, fin da quando aveva potuto e tutta quella disponibilità gratuita non la comprendeva e lo metteva a disagio. Inoltre aveva il costante sentore che quella persona non avesse la minima idea di quale fosse il rapporto che legava lui a suo figlio, ragion per cui si sentiva ancor più pieno di vergogna.
 
- Takeshi mi ha parlato tantissimo di te.-
 
A quelle parole Gokudera alzò lo sguardo per incontrare gli occhi gentili color nocciola, contornati di morbide rughe, dell’uomo, vi lesse dentro infinita simpatia e cordialità e non seppe fare altro che abbassare nuovamente il capo, con quel nodo nello stomaco che si strinse un po’ di più.
 
- Ogni volta che torna da scuola non fa altro che dirmi “Papà, Gokudera ha fatto, Gokudera ha detto…” vuole veramente bene a te e a Tsuna. E io vi sono molto grato, sebbene la vita di Takeshi non sia stata tutta rosa e fiori, lui non ha mai avuto problemi a farsi delle amicizie, essendo un ragazzo vivace ed allegro avvicina tutti senza difficoltà,  ma quello che lega voi tre è qualcosa di diverso, molto profondo. È amicizia vera. E io non ho mai visto mio figlio tanto felice come quando sta con voi due.-
 
Ad ogni nuova parola pronunciata da quell’uomo, col suo sorriso gentile e le mani ancora sporche del riso che aveva mangiato, Gokudera avvertì il nodo nel suo stomaco stringersi sempre di più, fino a risalirgli in gola. Avrebbe davvero voluto che Yamamoto avesse sentito ogni sua parola, per osservare il senso di colpa trasparire sul suo volto come ogni volta che lo insultava. Che razza di maschera indossava perfino davanti a suo padre!? Sentì il desiderio di raccontare a quell’uomo ogni singola cosa disgustosa che il figlio gli aveva detto, ogni parola del ricatto che gli aveva avanzato, non tanto per disilluderlo, tanto per costringerlo a fare i conti con la realtà: suo figlio non meritava nessuna nota di dolcezza con cui suo padre aveva infiorettato ogni parola di quel discorso. Un padre così devoto e fiducioso tradito sotto ogni aspetto; Gokudera si sentì incredibilmente abbattuto da quell’ingiustizia.
 
Gokudera alzò finalmente gli occhi, più che per un vero desiderio di farlo, per un bisogno di fare qualcosa che lo distraesse dal suo desiderio di scappare a gambe levate da quel posto. Cercò di non incontrare quelli dell’uomo, ancora sorridente davanti a lui, e nel farlo, il suo sguardo si posò su una fotografia alle spalle di quest’ultimo. Era una bella fotografia, semplice e pulita, rinchiusa in una cornice luccicante, color mogano, il volto di una bella donna gli sorrideva, imprigionata in pochi colori tenui e delicati, ed il suo sorriso gentile era risaltato dal tenue sfondo azzurro.
 
- È bella, eh?-
 
La voce divertita dell’uomo lo riportò improvvisamente alla realtà. Questo gli sorrideva, indicando con un cenno del capo la fotografia alle sue spalle. Gokudera spostò nuovamente lo sguardo dall’uomo alla donna della foto, per poi arrossire nuovamente, abbassando di nuovo il capo. Il padre di Yamamoto sghignazzò divertito prima di togliere le mani dal bancone e voltarsi per guardare la foto.
 
- Questa signora è mia moglie. La madre di Takeshi.- Concluse con una nota malinconica nella voce; ma Gokudera pensò fosse stata solo un’impressione dato che, voltandosi nuovamente verso di lui, il suo sorriso era più smagliante che mai.
 
-...mh, sì. È… molto bella.- Accordò Gokudera sentendo le guance riempirsi di calore, rendendosi conto, solo allora, che probabilmente quello era il primo complimento  espresso a voce alta sull’aspetto di qualcuno, da che ne avesse memoria. E la cosa che lo stupì più di tutto fu che il fatto che quella donna fosse la madre di Yamamoto non lo disturbò minimamente. Ed il sorriso soddisfatto con cui l’uomo lo accolse lenì, anche se di poco, l’angoscia che aveva accumulato alla bocca dello stomaco.
 
 
 
 
Yamamoto era rientrato pochi secondi dopo, tra le braccia aveva vassoi impacchettati in due buste di plastica. L’uomo lo aveva salutato gioviale, rinnovando mille inviti perché tornasse il prima possibile, Gokudera fu incapace di rispondere, ma annuì con un mezzo sorriso, le gote ancora arrossate e Yamamoto di fianco a lui, che lo fissava come incantato.
 
- Dovresti assomigliare di più a tuo padre!- Disse improvvisamente sulla soglia del ristorante, l’uomo oramai incapace di sentirli e i rumori della strada più vivi che mai.
 
- Mi fa piacere che ti sia simpatico. Forse parla un po’ troppo…- Sorrise Yamamoto porgendogli i sacchetti, sfiorandogli per un attimo il dorso della mano con la propria.
 
- Beh, non sembra il tipo che ricatta qualcuno in cambio di cose disgustose…- Rispose semplicemente Gokudera allontanando le mani dalle sue ed osservando il sorriso dell’altro congelarsi sul suo viso e scemare appena, in modo impercettibile.
 
-… no, lui… non è il tipo.- Accordò semplicemente Yamamoto stringendo appena le labbra ed abbassando il tono della voce.
 
Gokudera fece per incamminarsi ma la voce di Yamamoto lo trattenne.
 
- Mi ha fatto piacere che tu… sia rimasto…- Ogni parola gli sembrò incerta e tentennante e Gokudera sospirò stizzito, ancora nelle orecchie le parole zuccherose che l’uomo aveva riservato a suo figlio. Lentamente si voltò verso di lui, sentì la guancia pulsargli appena, tesa dalla mascella che si induriva.
 
- Ringrazia tuo padre per il pesce.- Sibilò in un sussurro freddo e sterile prima di incamminarsi di nuovo. Un ultimo sguardo abbattuto di Yamamoto impresso negli occhi, prima di concentrarsi sulla strada davanti a lui.
 
 
 
Non erano trascorsi che pochi giorni dalla sera dei fuochi d’artificio, giorni in cui Gokudera non aveva fatto altro che fissare il proprio telefono con insistenza, combattuto tra la solita preoccupazione per una chiamata improvvisa di Yamamoto e il desiderio impellente di telefonare a Decimo per scusarsi nuovamente. Aveva pensato a qualsiasi giustificazione, dalla più probabile alla più assurda per scusare il suo comportamento di quella sera, ma ogni parola che macinava sembrava priva di significato davanti al senso di costernazione che lo attanagliava ripensando all’espressione delusa del proprio boss. Non aveva fatto altro che camminare avanti e indietro nel piccolo salotto, accendendosi una sigaretta dopo l’altra, fissando lo schermo del proprio cellulare, poggiato sul tavolino davanti al minuscolo divano, perdurare nell’immobilità e nel silenzio. Di fianco ad esso, i piatti che il padre di Yamamoto gli aveva preparato, puliti e nuovamente imbustati. Gokudera quasi si meravigliò della grottesca ironia di quel quadretto: il suo disagio più grande ancora un volta inscindibile da quello che lui sentiva di volere veramente.
 
Dopo poche ore Gokudera sentì ogni buona volontà venir meno, attanagliato dal terrore di un rifiuto del Decimo riuscì solamente ad aver chiaro, all’interno della sua mente, che l’unica cosa che gli sembrava sensata era recarsi a casa sua e cercare di giustificarsi come meglio poteva; confidava nel buon cuore del proprio boss, e più che nella compassione, sperava in una sua magnanima presa di coscienza. Fece un ultima veloce attraversata del salotto, prima di togliersi la sigaretta di bocca e premerla sul fondo del posacenere traboccante, dove si estinse dopo un’ultima scia di fumo denso. Afferrò il cellulare e lanciò un’ultima occhiata dubbiosa ai piatti sul tavolino, per quanto quell’uomo gli avesse dimostrato gentilezza il suo pensiero principale in quel momento era la riappacificazione con Decimo, per Yamamoto c’era, purtroppo, sempre tempo e presto o tardi sarebbe comunque stato costretto a farvi i conti. Uscì di casa, chiudendosi la porta alle spalle.
 
Il sole cominciava ad essere meno bollente, in quei giorni che preannunciavano l’inizio della fine della bella stagione, uscire di pomeriggio non era più un calvario e perfino l’umidità sembrava essere diminuita. Nonostante ciò, Gokudera, non fu in grado di godersi quella lieve frescura nemmeno per un secondo: ogni passo verso la casa di Decimo era pesante e faticoso come se alle caviglie avesse attaccati dei pesi e ogni grammo della sicurezza con cui era uscito di casa sembrava diminuire ad ogni nuova porzione d’asfalto.
 
Non ebbe il tempo di preoccuparsene troppo, poiché, quasi qualcuno l’avesse spostata, con tanto di fondamenta e giardino compresi, si ritrovò davanti alla casa di Decimo dopo pochi minuti. L’ansia lo assalì dopo poco, e quando raggiunse il basso muretto di cinta, sfiorandone la calce con le dita sentì pure il bisogno di respirare a pieni polmoni. Negli ultimi tempi cominciava a fidarsi poco anche di se stesso, ragion per cui, prima di farsi assalire da pensieri inutili e ancor più difficoltosi, svelto, premette il campanello. Passarono davvero pochi secondi prima che una voce, gentile ma metallica, gli rispondesse.
 
- Chi è?-
 
La bocca gli sembrò completamente asciutta e balbettò un paio di volte prima di udire finalmente la voce abbandonare il nodo nella propria gola.
 
- Sono Gokudera, signora…-
 
- Oh! Gokudera! Aspetta che ti apro subito.-
 
Lo scatto metallico del cancello che seguì appena qualche secondo dopo trasmise a Gokudera una strana scarica di adrenalina, alla quale seguì l’accelerazione del proprio battito cardiaco e quel suo fastidioso vizio di stringere la mascella fino a sentir male. Immediatamente spinse il piccolo cancello, per poi attraversarlo e chiuderselo alle spalle; il vialetto non gli era mai parso più lungo, e la velocità con cui mise un piede davanti all’altro gli parve ridicolmente accelerata: si sentiva impacciato, imbarazzato ma stranamente ansioso, qualche brivido caldo gli attraversò le braccia accapponandogli la pelle, per poi tuffarsi all’interno dello strano vortice fastidioso che imperversava all’altezza della pancia.
 
Appena giunto davanti alla porta di casa non fece nemmeno in tempo a pensare a una delle mille cose che aveva in mente di dire, che quella scattò. Gokudera chiuse un’ultima volta gli occhi, traendo un respiro profondo che gli attenuò di poco il dolorino tiepido e fastidioso alla bocca dello stomaco, la porta si aprì.
 
Non fece nemmeno in tempo a preparare il solito sorriso con cui accoglieva sempre Decimo, i muscoli della faccia gli si congelarono prima che il cervello potesse, a tutti gli effetti, realizzare chi aveva di fronte. Il solito sorriso mesto, il solito livido sulla guancia, i soliti capelli neri e spettinati, la solita irritante altezza che lo sovrastava, era tutto normale, tranne per il fatto che fosse lì.
 
-… ciao.- Disse Yamamoto, semplicemente. Il tono calmo come fosse consapevole dell’irritazione che gli provocava e del fatto che non poteva farci nulla.
 
- Che… cazzo ci fai qui?- Riuscì a mormorare Gokudera mentre avvertiva il petto riempirglisi di sincera rassegnazione mista a dispetto.
 
Prima che Yamamoto potesse dire nulla, un rumore alle sue spalle lo fece voltare e di fianco a lui spuntò il sorriso gentile, anche se un po’ malinconico, del Decimo.
 
- Ciao Gokudera.- Salutò con aria imbarazzata
 
Gokudera non riuscì a rispondere nulla, ogni frase che si era preparato, ogni parola che aveva ripetuto fino allo sfinimento prima di uscire e durante la strada era scomparsa dal suo cervello, riuscì solamente a spostare lo sguardo repentinamente da Yamamoto a Decimo, da Decimo a Yamamoto, mentre la bocca gli si muoveva senza emettere alcun suono. Al posto dell’irritazione e dell’ansia, una sincera e totale confusione gli ottenebrava la mente.
 
-… Scusa se non ti ho chiamato prima.- Cominciò allora Decimo, facendosi avanti dopo che Yamamoto si spostò appena per farlo passare. - Ero in imbarazzo e non sapevo se fosse giusto disturbarti. Scusami per l’altra sera io…- Il suo sguardo cambiò improvvisamente, le piccole sopracciglia di avvicinarono come in uno sforzo di concentrazione, mentre, piegandosi leggermente in avanti, avvicinò il suo volto a quello di Gokudera che sentì le guance accalorarsi improvvisamente. -… che hai fatto alla guancia?-
 
A Gokudera ci vollero diversi secondi per analizzare la situazione: prima si sentì rincuorato per il gentile sorriso del proprio boss, poi ancora una volta dispiaciuto per averlo fatto preoccupare ed ansioso di tranquillizzarlo su quanto non avesse commesso alcun errore - la colpa era solo sua, poi la mente gli tornò confusa non appena il suo volto gli fu improvvisamente vicino, per poi realizzare che ciò a cui si stava riferendo non era nient’altro che il livido violaceo sulla propria guancia.
 
Si portò la mano allo zigomo, per poi balbettare qualche sillaba confusa. Non poteva certo raccontargli cos’era accaduto, lo avrebbe sicuramente fatto preoccupare e, ora che la riappacificazione gli era sembrata così vicina non poteva permettersi alcuno strafalcione, ma le scuse che gli venivano in mente sembravano talmente ridicole, ed il tempo stava passando così in fretta… lo sguardo di Tsuna si ottenebrò per un attimo.
 
- Hai fatto di nuovo a botte con qualcuno?- La sua voce era imbottita di delusione e sincera curiosità ed i suoi occhi erano grandi e riflettevano l’ansia che gli ricordò orribilmente quella che gli aveva rabbuiato il volto quella sera.
 
- N-no io…- Gokudera riuscì solo a balbettare qualcosa di confuso mentre la testa cominciava a dolergli nel tentativo di accampare qualche scusa. Stava quasi per rinunciare, tacere ed abbassare il capo colpevole quando fu Yamamoto a parlare.
 
- È colpa mia.-
 
Tsuna e Gokudera si voltarono entrambi verso di lui, entrambi con la stessa sorpresa negli occhi. Yamamoto sbatté le palpebre un paio di volte, con aria altrettanto stupita, come se non avesse idea del perché avesse pronunciato quelle parole, un ultimo sguardo verso Gokudera per poi sorridere con aria allegra e posare una mano sulla spalla di Tsuna.
 
- Dopo che vi siete separati è venuto a cercarmi… ha girato un bel po’ prima di trovarmi e io…- Yamamoto si bloccò, come se non riuscisse a trovare le parole, lanciò uno sguardo al di sopra della spalla di Tsuna, verso un Gokudera che lo stava fissando con la stessa aria incuriosita ed attonita di quando aveva parlato la prima volta.
 
-… mi sentivo poco bene. Gokudera mi ha accompagnato a casa ma… io sono inciampato e l’ho fatto cadere. È colpa mia.- Ogni parola malamente attaccata a quella precedente, la voce tremante e il sorriso che traballava come sul punto di infrangersi. Gli occhi immobili sul volto di Gokudera, lo aveva fissato per tutto il breve tempo che gli era stato utile per accampare quella scusa debole e fragile.
 
Gokudera non fu capace di aggiungere nulla, esattamente come si scoprì incapace di distogliere lo sguardo quello di Yamamoto, almeno finché non avvertì quello del Decimo su di sé. Lo fissava con aria sorpresa, come in attesa di una conferma non richiesta.
 
- Sì, è… andata così.- Concluse Gokudera alzando nuovamente lo sguardo sul volto di Yamamoto, che gli sorrise appena, con quel sorriso che Gokudera non vedeva da così tanto tempo. Un sorriso divertito e complice, dolce e caldo che gli face scoprire d’aver dimenticato l’ultima volta cin cui l’aveva visto. Sentì un calore al petto, debole ed impercettibile, che si infranse nel momento in cui distolse nuovamente lo sguardo da lui.
 
- Ti fa male?- Chiese Decimo con aria preoccupata, dopo pochi secondi di silenzio che aveva ancora il sapore del dubbio.
 
Gokudera arrossì appena a quelle attenzioni, scuotendo il capo e beandosi del sorriso sollevato del proprio boss, sorridendogli a sua volta, mentre il calore prendeva di nuovo vita all’interno del suo petto, scaldandolo. Alzò un ultima volta gli occhi, appena in tempo per scorgere il sorriso di Yamamoto svanire completamente da suo volto, sostituito da quell’espressione colma di tristezza e dispiacere mal trattenuti.
 
- Tsuna, io devo andare adesso, sono già in ritardo.- Mormorò Yamamoto, con un nuovo sorriso, terribilmente mal costruito ma che, in Decimo, non sembrò sollevare il minimo dubbio.
 
- Va bene, grazie di avermi aiutato con gli ultimi compiti!- Rispose Decimo regalando anche a lui il solito, bellissimo, sorriso gentile.
 
Gokudera rimase immobile, anche quando Yamamoto lo superò mormorandogli un - ciao- con quel tono imbarazzante e fastidiosamente intimo. Ma né quello, né la mano con cui gli sfiorò la spalla sembrarono destargli traccia del solito disturbante disgusto che lo attanagliava ogni volta che lo aveva vicino. Gokudera, solo per un attimo, ebbe l’impressione di star provando imbarazzo verso se stesso. Non seppe perché, né con quale forza riuscì a farlo, ma le parole gli uscirono di bocca e le gambe gli si mossero da sole, con molta più facilità di quando aveva cercato una scusa, solo pochi attimi prima.
 
- Torno subito, Decimo. Aspettate un momento.-
 
Si voltò ed attraversò il vialetto con passi svelti e sicuri, aprì il cancello, lasciandoselo appena accostato alle spalle. Si guardò intorno fino a scorgere la figura alta di Yamamoto che camminava, poco lontano da lui; con ancora il cuore agitato ed approfittando della mente confusa, gli andò dietro, correndo per quella poca distanza che li separava. Forse udendo il rumore agitato di passi alle sue spalle, Yamamoto si voltò, regalandogli un’espressione sorpresa ed attonita.
 
- Gokudera…?- Le guance gli si imporporarono appena, come qualche giorno prima nel ristorante di suo padre. Gokudera si fermò davanti a lui, con sicurezza ritrovata, si schiarì la voce e poi parlò.
 
- Perché?- Il tono duro dal quale traspariva l’urgenza di una risposta. Yamamoto sembrò non comprendere, mentre seguitava a fissarlo con quell’espressione stupita e curiosa che gli ricordò quanto la considerasse stupida in quel tempo dimenticato, prima che tutto quello cominciasse.
 
- Perché hai detto al Decimo che è stata colpa tua?... Avresti potuto dirgli la verità, lui mi avrebbe odiato, mi avrebbe compatito… e tu… avresti potuto…- Le parole gli morirono in gola.
 
Solo poco tempo addietro, se gli avessero detto che lui avrebbe chiesto spiegazioni, sinceramente incuriosito da un comportamento di Yamamoto, non solo non ci avrebbe creduto ma avrebbe sicuramente fatto esplodere qualcosa a causa dell’irritazione che gli avrebbe procurato la domanda. Non gli erano mai importati i motivi che spingevano Yamamoto a comportarsi come si comportava dato che, la prima ed unica volta in cui gli aveva chiesto spiegazioni, si era ritrovato trascinato in una serie di eventi che voleva solo dimenticare. Le gambe gli si erano semplicemente mosse da sole, e la voce gli era uscita incontrollata e nemmeno troppo sicura.
 
Il tono con cui gli aveva fatto quelle domande era arrabbiato e trasudava una curiosità tra il ferito e l’incomprensione. Non si era nemmeno preoccupato di parlare troppo piano, una disattenzione che solo poche ore prima avrebbe reputato imperdonabile. L’espressione di Yamamoto era mutata di nuovo: non più sinceramente attonita, ma rilassata e seria, come se, in qualche modo , non fosse stupito da ciò che Gokudera gli aveva chiesto.
 
- Io non voglio che Tsuna ti odi.- Mormorò come se fosse ovvio -… e non voglio che tu odi me.-
 
A queste parole l’irritazione che sembrava aver abbandonato Gokudera, riavvampò flebile in quel luogo nascosto all’interno di se stesso.
 
- Alla fine sono comunque più egoista di quanto non sembri. C’è sempre un secondo fine, eh?- Aggiunse Yamamoto abbassando lo sguardo, addolorato.
 
Gokudera non capiva, davvero non capiva, non solo le azioni che lo spingevano a comportarsi a quel modo, a dire quello che diceva, ma anche il fatto che sembrava, costantemente comportarsi e dire cose che poi sembravano finire, comunque, per ferirlo. L’irritazione crebbe ancora di più, Gokudera gli si avvicinò ancora un po’ giusto per potergli sibilare, a denti stretti, il suo disappunto e la sua rabbia.
 
- “Non vuoi che io ti odi”!? Beh… avresti potuto pensarci prima, non ti pare!?
 
Yamamoto abbassò ancora lo sguardo, tanto che Gokudera, per un momento, non riuscì a scorgere nulla della sua espressione. Quando alzò di nuovo il volto fu per prendere un lungo respiro e tacere ancora pochi secondi, prima di schiarirsi sonoramente la gola, con la voce che sembrava tremargli.
 
- Ti ricordi quando ti telefonai quel pomeriggio? Quella volta in cui ti facesti tutta la strada di corsa, come se l’arrivare in ritardo di anche solo qualche secondo potesse costarti la vita…?-
 
Gokudera non ripose. Non ve ne era il bisogno. Sapeva che la sua domanda era retorica: come avrebbe potuto dimenticare quel giorno? Il giorno in cui si era reso ridicolo davanti a se stesso e alla persona che più disprezzava al mondo. Yamamoto tacque qualche secondo, giusto per prendere un nuovo sospiro e continuare.
 
- Quando sei entrato nel ristorante, quella volta… avevi appena cinque minuti di ritardo ma le gambe ti tremavano per quanto avevi corso, non avevi neanche la forza per respirare né per bere dell’acqua, eri madido e tremavi dalla testa ai piedi… e la tua espressione… Dio, la tua espressione. Eri terrorizzato.- Non aveva alzato gli occhi su di lui nemmeno una volta e Gokudera gli fu grato perché il solo sentirne parlare era un’umiliazione ancora troppo grande.
 
-… Non voglio farti paura Gokudera! Sei terrorizzato da me… e io non lo sopporto. È orribile.-
 
“Sai quello che devi fare!” Avrebbe voluto urlargli “Finiamola con questa cosa e che tutto torni come era prima!” Sentiva la gola bruciargli per l’impellenza di urlarglielo,  ma non lo fece. Sapeva che sarebbe stato inutile. Anche quando Yamamoto avesse accettato, cosa che riteneva impossibile, nulla sarebbe tornato mai come prima. Yamamoto lo guardò per un attimo prima di riabbassare lo sguardo e nascondersi la faccia dietro la mano.
 
-… Non volevo che fosse così, perdonami…- Sussurrò, la voce senza suono e le mani che tremavano.
 
Gli si avvicinò ancora, fin quando non furono distanti che pochi centimetri. Gokudera non provò nulla, né compassione, né dispiacere, né irritazione. Nulla. Rimase semplicemente immobile, con espressione vuota davanti a lui. Anche quando avvertì la sua mano stringergli il bordo della manica non si mosse.
 
- Non avere paura di me, ti prego.- Mormorò di nuovo, stringendogli la manica ancora più forte.
 
Passarono pochi secondi in cui sembrò che i rumori attorno a loro si attenuassero improvvisamente: le cicale non facevano alcun rumore, così come i pochi passanti che non li avevano degnati di uno sguardo, o i pochi portelloni dei negozi che si erano abbassati.
 
- Lasciami, devo tornare indietro.- Disse Gokudera, la voce poco più espressiva del volto, da cui trasparì una minima traccia di imbarazzo ed urgenza.
 
Yamamoto non rispose, si limitò a far scivolare, lentamente, il tessuto della sua manica tra le proprie dita che non avevano smesso di tremare nemmeno per un secondo. Si accarezzò la nuca con una mano, l’espressione inconfondibilmente delusa. Gokudera non lo degnò di uno sguardo nemmeno prima di voltarsi e ricominciare a camminare verso casa di Decimo.
 
Sentiva qualcosa di pesante nel petto, era fastidioso, sì, ma non era né rabbia né irritazione… era come un desiderio per lenire l’incompiutezza che sembrava averli avvolti da quando Yamamoto aveva cominciato a parlare. Non si sentiva in pena per lui, era comunque arrabbiato, sapeva, nel profondo di se stesso, di essere ancora terribilmente arrabbiato con lui, per quella situazione, per quello che gli diceva, per quello che sembrava sfuggirgli senza sosta, quello che gli sembrava impossibile comprendere. Per l’ennesima volta le gambe gli si mossero da sole, facendolo voltare verso Yamamoto, che ancora, immobile, lo fissava allontanarsi.
 
- Ci vediamo a scuola…- Disse semplicemente Gokudera, prima di cominciare a correre, raggiungendo il cancello di casa Sawada e chiuderselo alle spalle, sparendo alla vista dell’altro.
 
Yamamoto sentì gli occhi bruciargli appena, e una sensazione dolorosa ma deliziosamente piacevole farsi strada nel suo stomaco. La guancia ferita gli fece male, e solo allora si rese conto di star sorridendo come uno stupido.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Non ci credete, eh? Dite la verità! ;D
No, non è uno scherzo ho veramente aggiornato improvvisamente e tra gli aggiornamenti non v’è stata alcuna rivoluzione civile, né cambiamento di stagione! In realtà i motivi del mio veloce aggiornamento credo siano pochi e semplici: i problemi di salute che mi hanno costretta in casa, e quindi davanti al pc (la febbre a 38 a fine luglio non la raccomando manco al mio peggior nemico), la mini scalettina con gli avvenimenti che mi ero preparata e il fatto che in questo capitolo ci sono più dialoghi che nei precedenti, e quindi meno descrizioni o introspezioni *_* Vedete bene che non c’è alcuna magia. Non vi prometto alcun aggiornamento altrettanto veloce, anche perché non credo di aver MAI aggiornato una fan fic in così poco tempo. Ma ringrazio principalmente tutte le bellissime recensioni che mi avete lasciato! Vi amo tutti <3
 
Le mie considerazioni sul capitolo sono poche:
Finalmente c’è aria di cambiamento, non sarà improvviso perché ci tengo sempre a sviluppare una storia in modo realistico, ma diciamo che il rapporto tra Yamamoto e Gokudera cambierà un po’ da adesso in poi.
Il padre di Yamamoto:… io amo quell’uomo! Non avendo avuto occasione di approfondirlo troppo nel manga (alla fine si sa solo che è una brava persona) mi sono presa un po’ di libertà, l’ho sviluppato secondo la MIA immaginazione: ossia un bravo papà attento e coscienzioso, perdonatemi se non coincide con il vostro immaginario, ma mi farebbe piacere una vostra opinione in merito!
La mamma di Yamamoto: allora, allora, allora… io odio e sottolineo “ODIO” gestire personaggi che non sono presenti nell’opera originale,  la mamma di Yamamoto è praticamente un mezzo OOC, dato che anche nel manga non c’è nessun accenno alla sua persona; solitamente non scrivo di questi caratteri poiché ho il terrore di avere a che fare con i passati dei personaggi non ancora narrati proprio perché ho paura che vengano, in futuro, a cazzotti con quella che è la loro storia in realtà. Ora… visto che il manga è finito e non rischio di essere “sbugiardata” né di essere messa in difficoltà dalle nuove, geniali invenzioni di Amano-sensei ho deciso di buttarmi. L’ho fatto senza alcuna pretesa, ma siccome la figura della mamma di Yamamoto mi servirà anche nel prossimo capitolo, temo che incorrerete in fatti ed avvenimenti passati completamente inventati da me! Odio fare queste cose… mi sento sempre in soggezione, come entrare senza permesso in casa di un altro! XD
Mi auguro, comunque, di fare un buon lavoro e, soprattutto, mi auguro che quello che scriverò vi piaccia!
Poi… che altro? Ah, sì: Yamamoto in questo capitolo mi ha fatto molta tenerezza ;_;
“Forza Yamamoto-chan, siamo tutti con te! <3”
 
Le note giungono dunque al loro termine, spero in un vostro gentile commento e vi auguro un buon proseguimento di vacanze! 
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Katekyo Hitman Reborn / Vai alla pagina dell'autore: Kumiho