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Autore: R e v a m    10/08/2013    1 recensioni
Gli uragani sono venti caratterizzati da piogge molto forti, possono superare i 250 km/h e formano grandi masse d'aria che si muovono in un movimento rotatorio in grado di risucchiare qualsiasi cosa.
Samuel viene risucchiato da un uragano. Un uragano alto appena un metro e cinquantacinque centimetri, con dei grandi occhi neri e un sorrisetto in grado di spazzare via tutto il mondo circostante.
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"In quello stanzino faceva caldo, se ne resero conto entrambi. Stavano sudando. Nessun rumore arrivava alle loro orecchie, il silenzio e l’aria impregnata dai loro respiri facevano sembrare come se, in quel mondo, ci fossero solamente loro due."
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Quando Samuel tornò a casa sua madre non c’era. Gli aveva lasciato un bigliettino sul tavolo della cucina, in cui c’era scritto che fino alla sera non sarebbe tornata. Evidentemente il vecchietto a cui faceva la badante l’avrebbe trattenuta per tutto il giorno. Delle volte era arrivato a pensare che quello fosse un vecchio maniaco che si approfittava della gentilezza di sua madre per altri scopi. Ma un giorno l’aveva visto, e si era reso conto che non avrebbe in alcun modo potuto dar noia a nessuno visto e considerato che era paralizzato a letto e che aveva bisogno di aiuto anche per pisciare. Si sentiva un po’ stronzo a dirlo, ma non ne era affatto dispiaciuto.
Si fece una doccia veloce e si buttò sul letto, non preoccupandosi neanche di vestirsi.
Nonostante fosse già Settembre, non riusciva a sopportare il caldo soffocante che ancora impregnava l’aria. Non vedeva l’ora di andarsene all’Old West, lì almeno c’era un ventilatore. Era mezzo rotto e funzionava una volta si e tre no, ma c’era un cavolo di ventilatore.
Si girò più volte fra le coperte prima di trovare una parte di letto fresca e confortevole, e poi lo vide.
Lì, per terra, caduto dalla tasca dei pantaloni bellamente mollati sul pavimento.
La dichiarazione di guerra di quella stupida mocciosa.                              
Sbuffò, girandosi di nuovo dalla parte opposta del letto.
 
 
 
<< E questo che cavolo è? >>
Sul banco di Rebecca si spiaccicò una mano, che subito dopo si rialzò mostrando il foglietto che lei stessa aveva scritto.
<< Non sai neanche leggere? >>
Samuel dovette far richiamo a tutto quel poco autocontrollo di cui disponeva e sospirò, guardandola negli occhi. Lei ricambiava il suo sguardo, sicura, decisa. Si accorse che nessuno lo guardava in quel modo, in quel posto. C’erano persone che evitavano il suo sguardo e persone che lo sfottevano e parlavano male di lui alle sue spalle, o chi semplicemente lo reputava così insignificante da non rivolgergliene neanche uno, di sguardo.
Ma nessuno si era mai messo contro di lui. E, soprattutto, senza un valido motivo. Possibile che quella mocciosetta facesse tutto da sola e di testa sua? Sì, lui non le aveva rivolto delle belle parole qualche ora prima, ma se l’era decisamente meritato. Avrebbe dovuto solamente accusare il colpo e starsene zitta.
Ma quando mai le cose andavano nel modo in cui voleva lui, nella sua stupida vita?
<< Questa è guerra! >> Lesse ad alta voce Luca, spuntando dalla schiena di Samuel e prendendo il biglietto fra le mani.
<< Wow, figo! >>
Samuel gli lanciò l’ennesima occhiataccia, ma Luca non si scompose e sorrise compiaciuto. Lo sapeva, lo sapeva benissimo che si stava divertendo un mondo a vederlo in situazioni come quella.
<< E in cosa consisterebbe queste “guerra”? >> Chiese, rivoltando lo sguardo verso una Rebecca che, nel frattempo, si era alzata e aveva preparato il suo bello zainetto firmato per tornarsene nella sua casa da ricconi. Bleah.
<< Nel distruggerti. >> Aveva detto, sorridendogli complice per poi sorpassarlo, trascinando dietro di lei la sua fidata amica che non esitò a chiederle cosa diavolo volesse dire con quella frase.
Ma Samuel non riuscì a sentire la risposta e, semplicemente, accartocciò quello stupido foglio e se lo rimise in tasca.
 
 
 
Bene, voleva la guerra? E la guerra avrebbe avuto.
Avrebbe dovuto dire una cosa del genere in questa situazione, ma lui era Samuel Lucchesi. Si lamentava parecchio della sua vita –come, appunto, stava facendo in quel momento-, ma vivere nel suo mondo infondo non gli dispiaceva per niente. La sua giornata tipo era abbastanza regolare: scuola, amici, lavoretto part-time. E sì, avrebbe voluto cambiare molte cose di quella vita. Ma di certo non l’ordine quotidiano che era riuscito a crearsi. Per questo andare a scuola per fare la cosiddetta guerra con una ragazzina annoiata dalla sua vita perfetta e che non aveva altri modi per divertirsi non era un pensiero che lo allettava particolarmente. Ma poi…che tipo di guerra? Si sarebbero tirati i pezzi di gomma fra i capelli durante le lezioni? Cazzo, non aveva più l’età per fare cose simili!
 
 
 
Rebecca poggiò il peso del suo corpo sulla gamba sinistra, facendo un po’ riposare quella destra. Era già da un po’ che le fischiavano le orecchie. Forse era per il baccano che tutte quelle mamme facevano quando parlavano dei propri figli esaltandone le capacità e le doti. Eh certo, perché per fare una divisione a due cifre ci vuole una grande intelligenza.
Sbuffò, guardando l’orario sul suo telefono. Ma non li facevano più uscire quei poveri bambini? Già dovevano trascorrere otto ore della loro giornata chiusi in quelle quattro mura, che almeno li facessero uscire in orario.
Come se qualcuno avesse voluto accontentare il suo desiderio di andarsene presto da quel posto, il portone della scuola elementare Santa Lucia si spalancò, dando il via alle file e file di grembiulini blu che correvano in direzione delle loro mamme.
Si sporse un po’ oltre qualche testa e finalmente vide anche Sofia , che stava facendo cenno alla maestra indicando proprio lei. Sicuramente le stava dicendo che anche quel giorno era venuta a prenderla a scuola sua sorella maggiore. Come sempre, d’altronde.
<< Allora, com’è andata oggi? >>
Sofia, dopo averla presa per mano ed averle dato il suo zaino, sbuffò in modo teatrale.
<< Lo sai che ha fatto Marina? >>
Per quanto ne sapeva Becca, Marina era la migliore amica di Sofia sin dalla prima elementare. Inseparabili proprio come lei e Greta.
Rimase in silenzio, aspettando un continuo.
<< Mi ha detto che vuole fare un club! Hai visto lo Sleepover Club? >>
Rebecca annuì. Eh si, forse la tenera Sofia non se ne rendeva conto, ma aveva sempre lei il pieno controllo della televisione quando tornava a casa, quindi era ovvio che Becca conoscesse qualsiasi tipo di programma per bambini potesse esistere.
<< Ecco, un club come quello. E sai chi ha invitato? Chiara! Lei era la prima che se n’era andata da quello vecchio! Poi si mette sempre a piangere quando litighiamo e le maestre danno sempre ragione a lei, l’altro giorno erano tutti dalla sua parte e c’era solo Marina con me! >>
<< Perché avevate litigato, tu e Chiara? >> Chiese, ridacchiando sotto i baffi. La tranquillità non doveva essere una dote di famiglia.
<< Boh, non me lo ricordo. Però abbiamo iniziato a disegnarci a vicenda e quando ha visto che l’avevo fatta bruttissima perché ce l’avevo con lei si è messa a piangere. >>
<< Sofia! >> Becca rise, dando uno scappellotto alla sorella. << Ma poverina!  >>
<< Comunque voglio un gelato. >> Interruppe il discorso l’altra, trascinandola verso la gelateria.
Becca aveva a mala pena due euro nel portafoglio, e si sarebbe tanto voluta prendere una bottiglietta d’acqua per rinfrescarsi dal caldo, fino a qualche secondo prima.
<< Chiedilo per bene. >> La ammonì, facendo spuntare un sorriso sul viso della bambina e facendosi stritolare in un abbraccio che lei ricambiò accarezzandole i capelli. Sofia ormai aveva quasi dieci anni. Le arrivava su per giù quasi alle spalle. Neanche lei sarebbe venuta molto alta da grande, ma non doveva preoccuparsi,  sarebbe stata in compagnia.
<< Per favore. >> Aggiunse poi, facendo una smorfia divertita.
<< Okey, okey. Aspettami all’altalena. >>
 
 
Quando Becca tornò con il suo cono a due gusti –rigorosamente panna e cioccolato- trovò Sofia sdraiata sulla panchina del parco difronte alla gelateria. Era proprio una pigrona.
Ci aveva un po’ rimuginato sopra, ma era venuto il momento di dirle che il simpaticone del loro paparino non si sarebbe fatto vedere neanche per il suo compleanno. Per impegni di lavoro, così aveva detto.
O per impegni con le sue segretarie? Un traditore rimane sempre un traditore. Come aveva tradito sua madre avrebbe potuto benissimo tradire anche Paola, la sua seconda moglie. Lei non le stava antipatica, anzi, un po’ le faceva anche pena. Era stata solo sfortunata ad innamorarsi di un uomo come lui.
<< Svegliati, il gelato ti aspetta! >>
Senza farselo ripetere due volte Sofia si alzò prendendo il cono fra le mani e facendo spazio a sua sorella, che la guardava intenerita.
Sofia era la cosa a cui Becca teneva di più al mondo. Era ovvio che le volesse bene, erano sorelle. Ma lei non le voleva solo bene. Il loro rapporto era particolare: Becca era più una mamma che una sorella per Sofia, dopotutto. Non perché sua madre non fosse in grado di svolgere il suo ruolo di genitore, ma solo perché era troppo impegnata con il lavoro da quando c’era stato il divorzio. Ovviamente aveva dovuto aumentare i turni all’ospedale per far tornare più soldi in fondo al mese, dato che il mantenimento di suo padre veniva versato ma non poteva di certo bastare per mantenerle tutt’e tre.
Ma questo aveva voluto dire anche dimezzare il tempo che aveva per stare con le sue due figlie.
Sapeva che non era colpa sua. Nonostante non le piacesse quella situazione, sapeva che sua madre non poteva fare altro. Ma anche lei non poteva far altro che essere un po’ arrabbiata. Con nessuno in particolare, arrabbiata e basta.
<< Senti, Sofi...stamani papà ha chiamato mamma. >>
Sofia alzò la testa dal gelato e la fissò con gli occhi brillanti.
Quanto odiò suo padre, in quel momento.
<< Ha detto che non pensa che ce la farà a venire Sabato prossimo. >> Prese un lungo respiro, carezzandole i capelli. << Gli dispiace tanto. >>
Quando l’anno prima le aveva detto la stessa identica cosa Sofia aveva iniziato a piangere e a dire di volere il suo papà con una tristezza che fece stringere il cuore a Becca.
Per questo era già pronta a subire la rabbia che sarebbe esplosa in sua sorella dopo aver sentito ciò che aveva da dire. Rabbia, comunque, giustificata.
Ma Sofia non fiatò. Sospirò e si rimise a mangiare il suo gelato, guardando fissa davanti a sé un cagnolino che si rotolava sull’erba.
<< Tutto apposto? >>
Sofia annuì, con un’alzata di spalle. << Lo sapevo. Fa sempre così. >>
Rebecca strinse i pugni. Se avesse avuto le unghie un po’ più lunghe si sarebbe perfino sgraffiata i palmi delle mani.
Sofia pian piano stava diventando proprio come lei. Aveva imparato ad accettare le cose. Ad essere più consapevole. Ma quella consapevolezza portava con sé anche il senso di vuoto ed eliminava la speranza.
Rebecca non sperava più che suo padre tornasse ad essere quello di un tempo. Che la sua famiglia tornasse ad essere quella di un tempo, e che finalmente avrebbe potuto smettere di essere così arrabbiata con il mondo intero.
E adesso neanche Sofia sperava in tutto questo.
Rebecca le prese il gelato dalle mani e gli dette un leccata, facendo irritare e sbuffare contrariata la sua sorellina.
 
 
 
Samuel non si sarebbe mai aspettato…quello. Guardò Luca con un ghigno schifato sul viso, mentre l’altro sobbalzò e si alzò dalla sedia facendo voltare gli occhi indiscreti dei loro compagni di classe.
<< Che schifo, toglilo da lì! >> Il grido a donnicciola di Luca fece squittire una Rebecca Nieri a dir poco divertita seduta difronte a loro, che di rimando si beccò un’occhiata scioccata dal povero malcapitato che si era ritrovato un ragno abnorme sul banco. Morto.
Cos’era, una minaccia stile “Il Padrino?”
Dio, che schifezza.
<< Io non lo tocco quel coso. >> Rispose Samuel convinto, tirando Luca per la maglietta per farlo avvicinare mentre l’altro continuava ad insistere cercando di buttarlo a terra soffiandogli sopra.
Rebecca rise di nuovo, e Greta l’ammonì guardandola rassegnata. << Come diavolo hai fatto a portare quel coso disgustoso sul loro banco? >>
Prima che Rebecca potesse anche solo fiatare, vide pararsi difronte a lei un Samuel Lucchesi decisamente poco felice, vista l’espressione che aveva sul viso.
<< Ora tu levi quel coso dal mio banco. >> Si espresse minaccioso, mentre Luca gli intimava di correre da lui e di non lasciarlo solo. Nel frattempo si era anche messo a girare per la classe chiedendo a chiunque di liberare il suo banco da quello schifo, ovviamente con scarsi risultati di successo.
<< Non sono stata io. >> La noncuranza di Rebecca fece sì che Samuel trattenesse il respiro per qualche secondo, prima di chiudere gli occhi e sospirare teatralmente.
<< Sai, nana, anche se può sembrare non hai più cinque anni! >>
Rebecca nel sentire una frase del genere avrebbe risposto per le rime con la lingua tagliente che si ritrovava, ma in quel momento si limitò a fare un sorrisetto compiaciuto.
<< Cos’è, Samuel Lucchesi ha paura di un ragnetto? >>
Samuel ci mise un po’ a rispondere:
1- perché si vedeva lontano un miglio che era solo una provocazione e lui voleva essere superiore a certe cretinate.
2- Perché sì, i ragni non gli erano molto simpatici. Soprattutto quelli morti e spiaccicati sul suo banco.
3- Rebecca Nieri l’aveva chiamato per nome. Ora, non che ci fosse qualcosa di strano, ma questo voleva dire che aveva preso la cosa molto seriamente visto che si era ricordata perfino come si chiamava.
<< Se non levi quel coso dal nostro banco giuro che cambio posto! >> Gli urlò un Luca disperato che aveva leggermente mandato a farsi fottere l’autocontrollo e la tranquillità che solitamente lo distinguevano.
Samuel guardò con astio gli occhi scuri di Rebecca per un ultima volta e poi si allontanò, pronto a fare l’eroe e a salvare il mondo dal cadavere di quel povero ragno. Prese un libro e, pian piano, cercò di buttarlo in terra spingendolo prepotentemente, ma qualcosa lo anticipò.
La mano dell’amica di Becca, una certa Greta a quanto aveva capito, armata di fazzoletto prese il ragno e, con nonchalance, si alzò e lo buttò nel cestino della spazzatura, sotto gli sguardi basiti delle due vittime e dell’assassino –ossia il povero Luca, l’irritato Samuel e la trionfante Rebecca.
La quale, però, guardò Greta riavvicinarsi al suo banco con la bocca spalancata e un’aria tradita.
<< Hai aiutato il nemico. >> Le disse con tono fintamente affranto, mentre l’altra si risiedeva nel posto accanto al suo.
<< La storia della guerra mi ha già stufato. Perché entrambi non vi comportate da persone sane di mente e vi date una bella stretta di mano? Non dovete essere amici, solo smetterla di comportarvi da bambini. >>
Il tono pacato di Greta ricordò a Samuel quello di sua madre quando da piccolo lo sgridava perché dava noia a Billo, il gattino che Alessandro aveva portato a casa quando l’aveva trovato abbandonato per strada. L’amica di Rebecca era sicuramente più piccola di lui, visto che Samuel era stato bocciato due anni prima ed era un anno più grande rispetto ai suoi compagni di classe, ma le sue parole lo fecero sentire comunque in soggezione e piccolo piccolo.
Nonostante sapesse che era stata tutta opera di quella nana da giardino, doveva ammettere che lui le aveva dato corda sia il giorno prima che questa volta. Sia per il suo carattere scontroso, sia perché, alla fine...anche lui si stava annoiando a morte.
Guardò Rebecca, che a sua volta lo fissò sospirando.
Rebecca Nieri, che a casa era una specie di mamma tuttofare, si era messa a fare scherzi da bambini dell’asilo cercando di dar noia ad una persona che non conosceva neanche.
Si diede della stupida idiota. Greta lo capì, per cui sorridendole sorniona le prese la mano e l’avvicinò a quella di Samuel.
<< Su, da bravi. >>
Luca trattenne una risatina quando Samuel, con la faccia di uno che avrebbe voluto morire, strinse la mano della piccola Rebecca Nieri, la quale dopo pochi secondi ritrasse subito la sua senza dire una parola e si rigirò nel suo posto dandogli le spalle.
Così si risedette anche lui, quando vide il professor Melucci entrare in classe agitato e affannato per il ritardo.
Samuel vide Luca iniziare a prendere appunti da bravo studente diligente qual era e si disse che avrebbe dovuto riprenderlo con una telecamera quando aveva buttato via la maschera dell’essere perfetto per dar sfogo alla sua paura gridando come una donnetta con le mestruazioni.
In fondo a qualcosa era servito quello scherzo.
Anche se era una stupida ragazzina, doveva ammettere che Rebecca Nieri l’aveva fatto divertire.
Solo un pochino.
 
 


 
.Sproloquiando.
Si, si, I know. Ci ho messo parecchio ad aggiornare questo capitolo: non avevo ispirazione. Volevo approfondire un po’ di più i personaggi e quindi ho parlato molto di Rebecca e della sua situazione familiare –facendo comparire la piccola Sofia che sarà fondamentale per il proseguirsi della storia-, ma, boh…questo capitolo non mi convince per niente. I primi due mi piacevano abbastanza, mentre questo…insomma, è una ciofeca.
Però, vabbè, spero che a voi non abbia fatto così schifo. Se sì, tranquilli, potete dirmelo e vi darò pienamente ragione.
Però posso dirvi una cosa: io adoro il quartetto di personaggi protagonisti, per come me li sono immaginati, quindi spero che anche a voi stiano almeno un po’ simpatici. Ovviamente se ne aggiungeranno anche altri e verranno descritti tutti molto meglio, però li adoro. In particolar modo Luca, non so, lui e il suo cesto di capelli sono fenomenali <3
Insomma, spero che qualcuno mi dia una sua opinione su come gli è parsa la storia per adesso, anche se siamo solamente all’inizio :D
A presto…spero.

 
 
 
  
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