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Autore: aelfgifu    10/08/2013    3 recensioni
Elettra, Filottete, Antigone: due giovani donne e un guerriero sospesi tra amore e odio, vendetta e giustizia, obbedienza e ribellione, vita e morte. Le loro voci.
Nota. I monologhi dei tre personaggi sono da situare in momenti ben precisi della loro vicenda. Quello di Elettra si colloca prima dell'arrivo di Oreste a Micene e del bagno di sangue che ne consegue; Filottete parla a Neottolemo che gli ha appena rivelato la sua identità e lo scopo del suo arrivo a Lemno; i pensieri di Antigone vengono formulati mentre la ragazza si reca a incontrare la sorella Ismene (e a esporle la sua risoluzione suicida) all'alba del giorno fatale davanti alle porte del palazzo reale di Tebe.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Poesia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Parla Filottete

 

(Rivolto a Neottolemo)

 

Non pensare alla bellezza di queste rupi

a strapiombo, che s’immergono nel mare

come se ascendessero invece

verso una vetta numinosa;

e non pensare alla sacra oscurità

di questi boschi, così mistica;

la bellezza è per chi guarda,

chi c’è dentro ne conosce il pericolo.

 

Questo non vale a scusarmi.

Ho commesso uno sbaglio,

mi sono preso la punizione.

I terrori, quelli, li lasciamo fuori…

Ma tutto il resto…

 

(Si interrompe, fa qualche passo in giro, poi riprende)

 

Perfino contemplare la notte

da sotto queste foglie,

tra fruscii che non sai che sono,

se il battito d’ali di una falena

o i passi di una belva,

mette addosso uno spavento mortale.

Ma se mi ha stretto il cuore

per tutto questo tempo

è anche l’unico posto di cui posso dire

che è casa mia.

Intanto tu dici, tornare. Tornare dove?

Si vincerà una guerra

da cui ognuno uscirà peggiore,

perché se ora litigano per il comando

domani litigheranno per il bottino

e così via un giorno dopo l’altro,

e l’invidia e la fame dell’oro

li faranno sbranare a vicenda;

alla fine torno per questo.

Ma tu questa lingua non la capisci.

Ahi che male, che male!…

Però, se potessi far sì che la mia mente

resti chiara anche in mezzo

a questi angosciosi misteri,

se potessi dimenticare Lemno

e dare il mio valido contributo

in questo scannamento –

così che i cantori mi celebrino

durante i pranzi, e perché no –

non hai qualche nepente per me,

qualche erba della dimenticanza?

 

Ma non sopporto l’idea

di essere questo strumento inerte

tra le mani di qualcuno, quale che sia.

Ne va del sangue che ho buttato

anch’io, quaggiù, a mio modo;

e sapere che non peserà niente

sul piatto della bilancia…

 

Oppure fa’ una cosa,

legami mani e piedi

e trascinami via

  
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