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Autore: Ukki    11/08/2013    2 recensioni
Fic scritta per il compleanno di _Juddy_, che sarà libera di ammazzarmi nel peggiore dei modi se non le piacerà.
La vita è fatta di scelte, e ognuna comporta una rinuncia. Perdiamo tutto, persino le persone che più ci stanno a cuore, ma il loro ricordo non può essere cancellato. Neppure se a separarci ci sono infinite dimensioni.
Genere: Malinconico, Science-fiction, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Celia/Haruna, Jude/Yuuto, Nuovo personaggio
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Multiverso

 

La ragazza frequentava spesso la casa dello zio, un'abitazione signorile situata nel più lussuoso quartiere della città. Ad attirarla non erano tanto le colonne corinzie che decoravano l'ingresso, i cespugli potati a forma di animali, o la schiera di domestici che ogni giorno pattugliava pavimenti e vetrate per controllare che non un solo granello di polvere fosse sfuggito alle loro implacabili pulizie, no. Le cose che più amava erano quelle piccolezze tipiche dello zio nascoste in un armadio o dietro uno scaffale. Quelle che non avresti notato a meno che tu non le stessi cercando.

E le piacevano, le piacevano da matti. Le bamboline orientali di porcellana con la pelle tanto liscia che le dita ci scivolavano sopra senza riuscire davvero a ghermirle, il pallone da calcio consumato che troneggiava dall'angolo buio di ogni stanza, l'odore fruttato che permeava il tutto e che lui le aveva detto essere profumo di magia.

«Buongiorno, mei-chan. Com'è andata a scuola?» la salutò lo zio quel giorno, secondo un'abitudine diventata rito.

"Mei" non era il suo nome: lei si chiamava Giulia, Giugy per gli amici. Era lui a chiamarla così, mei-chan, nipotina. D'altronde, neanche lei lo chiamava mai per nome -non era neanche sicura di saperlo, il suo nome-, solo oji-san.

A volte tra loro parlavano in giapponese (da lì proveniva la famiglia dello zio, prima di trasferirsi in Italia quando lui aveva poco più di dieci anni e adottare quella che adesso era la madre di Giulia), e grazie a lui la ragazza aveva imparato a leggere gli ideogrammi più semplici.

«Bene, oji-san, grazie.»

Lo zio annuì, tornando ai libri lasciati aperti sulla scrivania, e lei se ne andò a curiosare, come sua consuetudine. Dopo tanti anni, era sicura di non aver ancora scoperto tutte le sorprese che quella casa aveva da offrirle.

Salì in soffitta, attenta a non posare il piede sul quarto scalino della scala a pioli, che era instabile. La luce di una finestrella posta vicino al soffitto illuminava i granelli di polvere che fluttuavano nell'aria. Giulia lasciò cadere lo zaino -che, come sempre, si era dimenticata in spalla- e iniziò a guardarsi intorno. L'immancabile vecchio pallone, i soliti libri sul multiverso (lo zio era fermamente convinto che esistessero più dimensioni parallele, ed era determinato a dimostrarne l'esistenza), un pinguino di peluche mangiato dalle tarme, un vecchio baule. I suoi occhi celesti si posarono su quello. Si avvicinò e lo aprì, quasi soffocandosi con il nugolo di polvere che si sollevò. Era pieno di quaderni, quel baule, tutti con il titolo accuratamente annotato in kanji. La maggior parte trattava teorie sul multiverso, ma uno in particolare attirò la sua attenzione. Un libretto rilegato in pelle nera, con le pagine sgualcite e in parte macchiate. Non c'era titolo. Lo prese in mano e, scostandosi uno dei corti riccioli castani dagli occhi, lo aprì.

 

La bambina amava il suo fratellone più di sé stessa. Con lui si sentiva protetta, rassicurata, si sentiva forte.

Camminavano nel bosco, su un sentiero di ciottoli blu e verdi, i mignoli incrociati come quando stringevano una promessa. Ridevano, lanciavano sguardi divertiti alle creature dai colori brillanti che li sbirciavano nascoste in mezzo ai cespugli. Alcune, le aveva spiegato lui, erano pericolose: disavventure pronte ad aggredirli, le aveva detto. Ma finché stavano insieme non avrebbe avuto nulla da temere, perché lui sapeva come ammansirle, quelle belve.

Così la bambina non aveva paura, faceva la boccacce alle disavventure e osservava ammirata il fratello che palleggiava con abilità, seguendo con lo sguardo il pallone da calcio che andava su e giù, su e giù al ritmo dettato dal suo ginocchio. «Come sei bravo, Yuu-chan!»esclamò battendo con forza le manine paffute.

Yuuto le fece un largo sorriso e le indicò un grosso orso bruno con ridicole alette da pipistrello. «Stai attenta a quello, Haruna: anche se non sembra, è una brutta sventura. Se ti aggredisse, come minimo ti verrebbe il mal di denti.»

Haruna si strinse di più al fratello e mostrò la lingua all'orso. Continuarono a camminare, accompagnati dal suono sordo del cuoio che colpiva la pelle del ragazzino.

«Onii-chan, quando finisce questo sentiero?»

Yuuto si fece pensieroso. «Non saprei, ma tra poco dovremmo arrivare a un bivio. Possiamo fermarci a riposare, se vuoi.»

La bambina scosse energicamente la testa, in un turbinio di corti capelli blu. Non si sarebbe mostrata debole davanti al suo fratellone, avrebbe continuato a camminare sul sentiero verde e blu anche se le facevano male i piedi.

Da quando i loro genitori erano dovuti salire in cielo -colpa di una di quelle brutte disavventure, sicuramente- non aveva nessun altro a farle da famiglia, ma lui le bastava: erano felici, insieme. Alzò la testa e agitò la mano, certa che, se avesse avuto un cannocchiale, avrebbe visto mamma e papà rispondere al saluto dalla loro casetta candida in mezzo alle nuvole.

«Chi saluti, Haruna?»

«Mamma e papà.» rispose lei con un ampio sorriso, senza fermare la mano «Dovresti farlo anche tu, sai? Sarebbero felici.»

Yuuto annuì, pensoso, e agitò il braccio verso il cielo, impreziosito da nuvole a forma di coniglio, di dinosauro e di pesciolino. Smise solo quando arrivarono al bivio. Nessun cartello, nessuna indicazione, solo due strade: la prima, verso sinistra, perennemente ombreggiata da alberi morti che tendevano i loro rami verso il sentiero sconnesso come fossero state mani rachitiche; la seconda, verso destra, baciata da un tenero sole primaverile che incendiava di sfumature i lucidi ciottoli colorati.

Haruna sorrise. «Andiamo di là, non è vero, fratellone?» domandò puntando il dito verso la strada di destra.

«Certamente. Solo un pazzo potrebbe prendere l'altra. Ora però ci conviene riposarci un po', poi andremo avanti.»

La bambina annuì e si accoccolò sull'erba morbida, dando sollievo ai piedi doloranti. Si addormentò quasi subito sotto lo sguardo divertito di Yuuto, che continuava a palleggiare controllando di tanto in tanto che nessuna disavventura si avventurasse fuori dal sentiero spettrale.

Era troppo concentrato su quella strada inquietante per notare il grosso gatto nero che, nascosto in mezzo ai cespugli, puntava proprio al suo pallone. Così quando, con uno scatto, la disavventura gli rubò la palla e si mise a correre a tutta velocità verso il sentiero sconnesso con gli alberi rachitici, lui quasi perse l'equilibrio per la sorpresa. Poi, senza pensarci troppo, la seguì, determinato a riprendersi ciò che gli era stato sottratto per poi tornare da Haruna. Ma la sventura era veloce, troppo veloce perché Yuuto potesse notare i pesanti cancelli neri che, appena dopo il suo passaggio, erano comparsi a sbarrare la via del ritorno.

La bambina si svegliò qualche minuto dopo, stropicciandosi gli occhi ancora gonfi di sonno.

«Onii-chan, dove sei?» chiamò, aspettandosi di vedere le iridi cremisi del fratello spiarla da dietro l'albero dove si doveva essere nascosto per farle una sorpresa.

«Onii-chan!» gridò ancora, prima di notare i cancelli che impedivano l'accesso alla strada di sinistra.

Yuuto doveva averli visti prima di lei, e aver preso quella di destra. Magari non l'aveva aspettata per lasciarla riposare, pensando che un sentiero così delizioso non fosse pericoloso neanche per una bambina piccola. Lo avrebbe ritrovato seduto su un ceppo d'albero, e lui si sarebbe congratulato per il coraggio che aveva dimostrato. Ne era sicura.

Si mise in cammino verso il tramonto, su una strada che, senza il mignolo di Yuuto incrociato al suo, si prospettava inaspettatamente lunga.

 

L'ultima pagina era stata strappata. Giulia chiuse il libro di scatto, sentendo un peso proprio sopra il cuore. Lo strinse tra le mani e scese in fretta al piano di sotto, quasi dimenticandosi di non toccare lo scalino rotto della scala a pioli.

Lo zio era ancora nel suo studio a consultare volumi sul multiverso, seduto nella stessa posizione in cui lo aveva lasciato.

«Oji-san,» gli tamburellò sulla spalla per attirare la sua attenzione «ho trovato questo libro in soffitta, ma manca l'ultima pagina. Tu lo hai scritto, quindi devi saperlo: Yuuto e Haruna alla fine si rincontrano?»

Lo fissò con trepidazione, aspettandosi un "sì" seguito da un finale felice, ma lo zio alzò su di lei due occhi cremisi umidi di lacrime.

«No,» sussurrò con la voce appena incrinata «non in questa vita.»

Nella mente di Giulia si disegnò l'immagine di suo zio che giocava a calcio insieme alla sua squadra, mentre Haruna lo incitava dalla panchina. Insieme. In un'altra dimensione.

 

Angolo dell'autrice:

Bene, innanzitutto: auguri Juddy! Spero che questa fic, per quanto un po' triste, ti sia piaciuta (e se fa schifo, puoi linciarmi).

Okay, ricomponiamoci. Quante volte ho provato a scriverla...? Forse cinque. La buttavo giù, non mi piaceva e la cancellavo, poi ci riprovavo. Una mattina mi sono svegliata ispirata e sono riuscita a partorire questa cosa.

Atsuya: Tanto verrai linciata.

Grazie dell'incoraggiamento. Non fai anche tu gli auguri a Juddy, maleducato che non sei altro?

Atsuya: Auguri, amica di questa deficiente con cui condivido l'angolo!

Te la do per buona. Inaspettatamente, non ho altro da dire, quindi vi saluto!

Baci

Ukki

PS So che esistono vari libri sul multiverso e le dimensioni parallele ma, paradossalmente, non ne ho letto nemmeno uno ^^”

  
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