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Autore: Ely79    12/08/2013    2 recensioni
Vorreste trasformare la vostra ridicola Urbanhare in un mostro capace di far sfigurare le ammiraglie del Golden Ring? Cercate più spinta per i vostri propulsori a vapore compresso? Spoiler e mascherine su disegno per regalare una linea più aggressiva al vostro mezzo da lavoro? Una livrea che faccia voltare ogni testa lungo le strade che percorrete? Interni degni di una airship da corsa, con quel tocco chic unico ed inimitabile?
Se cercate tutto questo, grande professionalità ed un pizzico di avventura, allora siete nel posto giusto: benvenuti alla "Legendary Customs".
[Ambientazione Steampunk]
Genere: Avventura, Commedia, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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L.C. - Cap. 9
9

Il corteo di mezzi della “Legendary Customs” sfilò per le strade di Port Serafine invase dalla luce ambrata del tramonto, lasciandosi alle spalle passanti stupiti e ammirati.
Charlotte e Sandy avevano preso posto sulla Torran, insieme a Clay e Scorch; dietro venivano la Urbanhare di Patch, il trabiccolo di Ozone e a chiudere la fila la Aries di Jack No Way.
«Cosa ti avevo detto?» borbottò Alexandra, controllando il trucco nello specchietto da borsetta.
La donna roteò esasperata gli occhi scuri, liberi dalle lenti che usava abitualmente al lavoro.
«Non capisco cos’abbia di sbagliato il mio vestito» obbiettò esasperata Charlotte.
«So che non ti piace avere la pelle a vista, ma così non troverai mai un fidanzato!» e l’additò imbronciata.
Era avvolta da una cascata di raso color caramello, che scendeva aderente dal collo ai fianchi, dove si allargava in un’ampia gonna. Il colletto e le lunghe maniche di pizzo avorio erano allacciati all’abito con nastri bruno scuri, che contornavano il bustino nascosto sotto la stoffa.
«Smettila di fare l’agenzia matrimoniale. Non ti è mai riuscito granché bene» la riprese Clay.
La donna si allungò fino a cingergli le spalle con le braccia.
«Parli per esperienza diretta?» sussurrò cattiva, sfiorandogli l’orecchio con le labbra.
«Lasciala in pace» grugnì, reprimendo il brivido che dalla nuca puntava dritto al basso ventre.
Quella carogna sapeva fin troppo bene come fargli male senza alzare le mani o attentare al suo portafogli.
«Davvero non sei fidanzata, Charlotte?» domandò, sperando di portare altrove il discorso.
«È più di un anno che lavora con noi e te ne accorgi solo ora? Bel capo che sei!» sbottò Sandy, giocherellando con la lunga treccia castana punteggiata di perle mentre tornava a sprofondare nel sedile.
«Ehi, io sto in officina, non alla scrivania!» ruggì lui.
«Cosa vorresti dire? Che ti saresti interessato di più se fosse andata in giro sporca di grasso e con una chiave inglese al posto della penna?» strillò.
Clayton fece spallucce e svoltò sbandando di proposito lungo Galata Kulesi1 Street, sballottando le passeggere senza troppi riguardi.
«Come non detto! Charlotte, hai fatto bene. Non cercarti il ragazzo se devi avere a che fare con uno stronzo! Stattene sola, hai tutto da guadagnare!» urlò inviperita mentre tentavano di districarsi l’una dall’altra.
A quelle parole Scorch si volse, poggiando la guancia livida sulla spalla, mettendo in campo la sua migliore espressione da consumato seduttore.
«Forse la signorina preferisce un uomo ad un ragazzo» commentò allusivo.
«Povera cara. Quelli degni di questo nome sono ancora più rari. E qui non ne vedo nessuno!» berciò Sandy, dando un calcio al sedile di Clay.
La replica dell’ex-marito non tardò ad arrivare e fu sostenuta a spron battuto dal cugino.
Se cominciamo così, questi tre si salteranno alla gola prima che vengano a prendere le ordinazioni, pensò preoccupata Charlotte.

***

Quando scesero dalla Urbanhare, Odrin e Wilmar si scambiarono una smorfia sollevata. Pur essendo una versione ampiamente modificata dell’utilitaria più venduta nel mondo negli ultimi dieci anni, il suo uso era rimasto invariato, come testimoniavano gli avanzi di merendine, i fazzoletti di carta usati e i capi di vestiario abbandonati ovunque dai quattro figlioletti del collega. Secondo Pancake, il rischio biologico prodotto dalla nidiata dei Felton era più elevato di quello di una discarica abusiva di scorie d’altoforno, visto che Patch si guardava bene dal ripulire il mezzo più di una volta l’anno.
Tanto durerebbe dieci minuti, che la lavo a fare?, domandava lui di rimando.
«Vivi» sospirò l’Andull, stringendo la mano al carrozziere.
«Anche questa volta» confermò lui, frugando nervosamente nella giacca. «La Madonna ci assiste» aggiunse l’uruguayano, portando alle labbra una medaglietta della Vergine.
Patch cominciò a lanciare versi senza senso, indicando convulsamente Charlotte che, presa alla sprovvista, rimase in bilico sul predellino della Torran, scambiando sguardi spaventati col gruppo. Gli occhi dei presenti corsero in basso, oltre l’orlo della gonna che era costretta a sollevare per vedere dove metteva i piedi. Indossava un paio di stivali in pizzo e cuoio bianco, aperti dalla punta fino al ginocchio.
«Hai le gambe! Boy diceva che sopra le caviglie avevi dei pistoni pneumatici!» urlò sconvolto il carrozziere.
Il ragazzo, dietro suggerimento di Ozone, non rispose alla provocazione, limitandosi a nascondere esasperato la faccia tra le mani.
«Spiacente di deludervi, ma le protesi le uso solo al lavoro. Fuori preferisco usare queste» ribatté altezzosa, lasciando ricadere la gonna con grande rammarico di Scorch e Odrin.
Il locale scelto per i festeggiamenti si trovava a cavallo dei quartieri del Core e di Uplands, all’interno di quella che era stata la dimora di un ambasciatore. Su una grande villa in stile coloniale erano state innestate suggestioni di tutti i luoghi visitati dal proprietario; così, tra i pilastri del porticato erano comparsi archi moreschi chiusi da splendide vetrate multicolori, guglie gotiche svettavano agli angoli, minuscole pagode siamesi illuminate da lanterne di carta coprivano terrazzini nascosti. Più in basso, l’imponente basamento in grandi blocchi pietra grigia incrostata di felci e piante rampicanti ricordava i templi della giungla andina. Eppure il caleidoscopico insieme possedeva una propria, insolita, curiosa armonia. Persino la grande insegna, dove il nome del locale era decorato da grappoli di vetro opalino e sbuffi di vapore, sembrava essere germogliata direttamente dalla struttura.
Una donna aspettava seduta su uno dei dondoli della veranda, oscillando lenta. Voluminosi boccoli scuri striati di corallo contornavano il viso d’ebano, richiamando le sfumature del trucco e dello smalto sulle unghie lunghe e ben curate. Quando il gruppo giunse in prossimità della scalinata d’ingresso, andò loro incontro, accompagnata dal vaporoso fruscio dell’abito di seta verde.
«Sbaglio o dicevi che quel colore non è di moda quest’anno?» ridacchiò Charlotte all’indirizzo di Sandy, che fissava indispettita la maitresse.
«Finitela di spettegolare» borbottò Clay, spingendo avanti Charlotte. «Buona sera, signorina. Siamo in orario?» salutò, sforzandosi di non scoppiare a ridere.
«Capo, tu sei in orario solo quando si tratta di consegne e paghe, per il resto… non farmi parlare» rise la donna con una voce piuttosto robusta. «Comunque non è te che aspettavo questa sera, è la signorina Vernet la vera ospite. Benvenuta al “Bull(es) de Mousse”, cara» salutò, facendo l’occhiolino da dietro il ventaglio.
Charlotte rimase a bocca aperta per la sorpresa, quando la riconobbe.
«Lamar?»
Dell’addetto ai lavori pesanti permaneva una traccia irrisoria: non c’era nulla, in quella donna, che potesse ricordarlo. Le pieghe dell’abito nascondevano il fisico massiccio, il trucco e la parrucca ne ingentilivano i lineamenti spigolosi, la voce impostata alleggeriva la nota greve della sua parlata abituale. C’era però quel tremito, il buffo vibrare delle sopracciglia quando rideva, che non poteva essere dissimulato in alcun modo.
«Oh, no, cherie. Non sono né Lamar Parker né Iron. Qui tutti mi chiamano Houpette2» rispose agitando graziosamente i piumini iridescenti che decoravano il ventaglio.
«Quindi… questo… è un club…» scandì lenta, scrutando i volti intorno.
Nella penombra delle luci a gas che sfavillavano dai soffitti, figure androgine o esageratamente femminili si mescolavano ad altre la cui sobria eleganza faceva sfigurare le poche donne effettivamente presenti. Con enorme invidia di Sandy, che disperava di ricevere il solito carico di apprezzamenti.
«Dove si esibiscono delle drag queen? Bien sure» annuì Houpette. «Le più belle e talentuose trasformiste della città e dello stato!» motteggiò spalancando le braccia come un’autentica vedette.
«Pronti che adesso scappa» ghignò soddisfatto Choncho, sfregando le mani.
«Scapperai prima tu. Quella non è la tua amichetta?» ridacchiò Sandy, indicando una figura tracagnotta che si sbracciava dalla veranda al primo piano all’indirizzo del sudamericano, che si nascose prontamente alle spalle di Ozone.
«Segati la lingua, Sandy!» ringhiò Choncho.
«Non usare certi termini… Fiery Willie» l’ammonì con uno sguardo malevolo.
L’uomo impallidì ed incassò la testa fra le spalle.
«L’ammiratrice di Choncho è piuttosto insistente e una volta l’ha accontentata. Per errore» spiegò sottovoce Clay a Charlotte, segnando un bicchiere con la mano. «Ti sarei grato se non ne facessi parola con Maria Pilar, lei non sa niente di questa faccenda e Choncho… beh, puoi immaginare».
Lei però sembrava presa da un ragionamento impegnativo: mostrava la stessa concentrazione di quando stilava i conti dell’azienda.
«“Bull(es) de Mousse”» mormorò. «“Le bolle di schiuma”… “Il toro di schiuma”... È un gioco di parole. Si riferisce alla clientela e… alle artiste» disse Charlotte, indicando l’insegna dove un occhio attento avrebbe potuto scorgere una sagoma bovina che balzava attraverso il luccichio delle sfere.
«Quanto è sveglia la nostra Charlotte!» trillò felice Houpette prendendo sottobraccio lei e Sandy, scortandole all’interno. «Indovinato. Molto sottile, non trovi?»
«Più del tuo culo di sicuro» commentò sarcastico No Way, additando il voluminoso cuscinetto di crinolina alla base della schiena nuda e solida della maitresse.
Questa si fermò in cima alla scalinata, rivolgendogli uno sguardo truce. Poi, le tre signore si scambiarono un’occhiata complice e diedero contemporaneamente un calcetto all’indietro, facendo ondeggiare gonne e strascichi in spregio agli accompagnatori, che rimasero con un palmo di naso.
«Screanzato» ruggì Houpette, tornando al consueto tono mascolino.
Ozone, l’unico ad aver incassato il gesto con nonchalance, batté una mano sulla spalla di Clay che sbottò, avviandosi con la schiena curva in avanti e le mani sprofondate nelle tasche dei pantaloni:
«Non dire niente. Per pietà, non dire niente».

***

Houpette aveva prenotato una loggetta al primo piano, aperta sul salone principale perché si potesse godere della miglior vista sul palco dove si sarebbe esibita di lì a breve. Accomodati su basse poltroncine e grandi cuscini di broccato, gli uomini e le donne della “Legedary Customs” creavano un insieme bizzarro, dal quale emergevano Ozone, che si era presentato con una pesante salopette grigia decorata da toppe di vari tipi di cuoio, che ben si accordavano con le sfumature di barba, capelli e della faccia rugosa, e Sandy, il cui un mini abito arancione con tre code di pizzo e organza sfidava le leggi della gravità, sostenendosi unicamente ad un risicato corsetto in piastrine d’ottone, che le permetteva di mettere in mostra le lunghissime gambe, infilate in alti stivali guarniti da un’infinità di lacci e fibbie. Gli altri avevano optato per un abbigliamento meno chiassoso, quasi banale.
Odrin poteva essere considerato la giusta via di mezzo: sfoggiava un gilet ed un paio di pantaloni di pelle chiara, che lui stesso aveva realizzato. Viste de vicino, le varie pezze che li componevano rivelavano essere avanzi di altre lavorazioni e ritagli irregolari, ma allontanandosi di un passo era impossibile notare il dettaglio. Tentava di non sembrare distratto, ma troppe volte la sua testa divagava in fantasie dove lui e Charlotte restavano soli ad amoreggiare indisturbati in quell’alcova.
Lei sorseggiava un Berries Kefir3, scambiando pareri con Sandy e Houpette e osservando con educata curiosità le mise esibite dalle drag queen. Alcune erano talmente ardite da sfociare nel grottesco, tuttavia la maggior parte era curata in maniera impeccabile, al punto che era quasi impossibile credere che la maggior parte dei presenti fossero uomini e non donne.
«Come mai Delmar non è venuto? Pensavo dovessimo esserci tutti quanti» chiese Charlotte, spiando tra la folla di artiste e accompagnatori in cerca della sagoma ballonzolante dell’altro Parker.
Inizialmente aveva pensato che i due fratelli attendessero direttamente al locale, invece una volta giunta lì era stato impossibile non notare l’ingombrante assenza.
«Del depreca le mie inclinazioni sessuali e il modo in cui scelgo di esprimerle. Da sempre» rispose Houpette rattristandosi. «Per lui esisto solo in officina, Iron è l’unica immagine che vuole avere di suo fratello. Lamar o Houpette non…» e si fermò per emettere un sospiro teatrale quanto sincero. «Non gli sono congeniali».
«Pancake è buono e caro ma è davvero ottuso, anche se non ne ha l’aria. Fargli capire che il mondo non è come lo immagina lui è impossibile. Sembra che viva con la testa in un fusto di morchia e rottami. Per questo lo chiamiamo Bidone, non solo per lo schifo che mangia. Persino Choncho ha meno pregiudizi di lui, e ne ha a valanghe, come ben sai» sottolineò Jack indicando il collega con il calice di vino rosso e denso che stava bevendo.
«Ehi, che cazzo vuoi?» ruttò Wilmar, abbandonando per un secondo la pinta di birra.
«La risposta potrebbe non piacerti» malignò Patch da dietro un frullato di fragole e rum, riducendolo nuovamente al silenzio.
«Tu piuttosto. Pensavamo saresti svenuta per lo spavento» sghignazzò Sandy tra un sorso e l’altro di Gold Velvet4.
«Perché?»
«Perché sei tutta così per bene, a modo, rigida e normale! Loro speravano potessi sentirti almeno un pochino in imbarazzo» cinguettò Houpette indicando gli altri col ventaglio.
«Speravate che…»
«Lascia stare» tagliò corto Clay, per evitare di degenerare in una lite. «Come mai tutta questa benevolenza? Insomma, puoi capire… per noi maschi non è… facile. Abbiamo faticato parecchio le prime volte che siamo venuti, prima di cominciare a sentirci… a nostro agio».
Avrebbe voluto dire “fuori pericolo”, ma sapeva che non era così: c’era sempre qualche nuova madamoiselle che tentava di abbordarli, nonostante Houpette avesse messo in chiaro tra amiche e camerieri che il ruolo dell’iniettore spettava ai suoi ospiti e i motori in cui aspiravano inserirsi erano di un solo modello.
Il “Bull(es) de Mousse” era stato eletto a locale di festeggiamenti sette anni prima, dopo che quasi tutti erano riusciti ad accettare appieno il vero io del collega. Sorvolando sul trascurabile problema delle attenzioni non richieste, era un posto piacevole, tranquillo, pulito, con un bar ed una cucina ottimi quasi quanto gli spettacoli che vi si tenevano – che andavano dai concerti alle gare di improvvisazione teatrale - e con un servizio eccellente.
«Non posso dire di condividere al cento per cento certe scelte. Ho una visione vecchio stile dell’uomo e della donna e dei loro rapporti. Non riesco a immaginare cosa possa scattare in un uomo o una donna per orientarsi secondo tali… desideri. E quindi fatico a comprenderli» ammise. «Però trovo ci siano cose ben peggiori nell’essere umano che l’amare una persona del proprio sesso o indossare abiti di quello opposto. Cose che possono offendere o ferire chiunque, a prescindere dal genere. E che lo possono fare in maniera molto profonda e duratura» rispose Charlotte con un sorriso schietto e triste.
La sua mente correva a qualcosa di distante e doloroso, era evidente. Fu solo per caso che il suo sguardo venne calamitato un istante di troppo dal bicchiere di liquore di Scorch, che la fissò accigliato. Nessuno, neppure lei, notò il tremito rabbioso delle sue dita sul vetro.
«Vogliamo fare filosofia tutta sera?» brontolò Sandy, scalciando dal suo trono tanto da far piovere parte del cocktail sui presenti. «Siamo qui per festeggiare!»

***

Tell me your story, I’ll tell you mine
No tricks, no lies.
Where’s the innocent child?
Where’s the house of memories?
We’ll return there, along a rainy road.5

La voce di Houpette si levò lenta e calda dal palco, dove grandi lanterne di vetro piombato proiettavano eleganti arabeschi. Le note sospirate di un organo a vapore zittirono le ultime chiacchiere. Dalla loggia, i colleghi ascoltarono rapiti il brano di Theressita Santana che parlava di ricordi amari e impalpabili speranze.
La drag queen era rimasta piacevolmente colpita dalla reazione di Charlotte: tutto si aspettava da un tipo così severo e inflessibile, tranne un’approvazione. Avevano avuto modo di scambiare poche altre parole a riguardo, perché i cocktail, le battute e soprattutto Sandy, li avevano distratti. Tuttavia era parso subito evidente che la cosa non la disturbasse quanto aveva temuto.
Lamar aveva impiegato cinque anni per rivelare al gruppo delle sue tendenze sessuali. Era stato uno sforzo immane, molto più che sollevare due bancate a mani nude e senza paranco, e per diversi mesi gli attriti e le battute prezzanti sul suo conto si erano susseguiti con cadenza oraria. Ciò nonostante, poco alla volta la diffidenza aveva ceduto il passo ad una sorta di disinteresse, per approdare ad una muta accettazione.
Accettazione che non aveva coinvolto Delmar. Purtroppo, per quante volte avesse provato a chiarirsi con lui, questi non aveva fatto altro che buttargli in faccia il proprio disprezzo, senza mai tentare di discutere in maniera civile della cosa. Lo riteneva un abominio, un vergognoso orrore della natura – o, per meglio dire, della sua mente bacata – perché non esisteva neppure la remota possibilità che un maschio potesse interessarsi a qualcosa che non fosse una femmina. E peggio ancora, riteneva osceno che un uomo si divertisse portando trucco, tacchi e gonne. A Del non importava che Lamar – il fratellino cui aveva insegnato a giocare e cantare nelle sterrate agresti di Three Weirs -  fosse una brava persona, che avesse ottimi rapporti con i vicini di casa e i parenti, avesse un lavoro rispettabile, pagasse le tasse, esercitasse il suo diritto al voto e fosse rispettoso delle leggi. Neppure il fatto che evitasse di sbandierare la propria omosessualità a destra e manca quasi fosse un bersaglio mobile, o che sfoggiasse abiti femminili solo al “Bull(es)” – a differenza di altri che li indossavano ovunque -, aveva aiutato Delmar a farsene una ragione. Rifiutava di superare la barriera emotiva che aveva creato da sé e che gl’impediva di riconoscere il fratello minore fuori dalle mura della “Legendary”.
Lamar non si sarebbe arreso. Avrebbe aspettato anche per tutta la vita che Delmar capisse, che accettasse la realtà. Così avrebbero potuto festeggiare insieme agli altri. Avrebbero riso come un tempo. Si sarebbe fatto prendere in giro per le sue performance allo stesso modo della loro infanzia, quando Pancake si vantava di cantare meglio di lui. E Delmar avrebbe adorato i pancake d’orzo grezzo e nocciole con sciroppo di lamponi del “Bull(es)”.
E per propiziare tutto ciò,  avrebbe cantato all’infinito quella canzone, “Along a rainy road” di Theressita  Santana. Perché era sempre stata la preferita di Del.

***

«Dov’è Ozone?» domandò Houpette, tornando ad accomodarsi tra gli altri in un entusiastico scroscio d’applausi.
Cercarono con lo sguardo fra le alcove e i tavolini al piano inferiore, finché non scorsero l’attempato meccanico allungato su un fianco, preso da un languido baciamano ad una signorina i cui capelli lisci e corvini la facevano somigliare ad una sovrana egizia. Era talmente flessuosa e sensuale, dai lineamenti delicati e sottili, che solo il pomo d’Adamo ne dichiarava la vera natura.
«Cielo… non mi direte che…» balbettò Charlotte, coprendosi la bocca con la mano.
La visione dell’alter-ego di Lamar era stata più gestibile di quella del taciturno esperto di motori che se la spassava con una persona che poteva avere un terzo dei suoi anni, oltre che i medesimi attributi anatomici.
Senza contare che poco tempo prima, mentre aggiornava le schede del personale, gli aveva domandato se avesse moglie o figli, per contattarli in caso di necessità. Ovviamente non aveva ottenuto risposta, ma ripensandoci in quel momento ebbe il timore di essere incorsa in una tremenda gaffe.
«Oh, il vecchio non disdegna niente. In vita sua ne ha provate tante: dice che tutto fa esperienza, se lo si fa con criterio» rispose tranquillamente Boy, scrutando il maestro sfiorare il volto della nuova amica con la punta delle dita. «Prima o poi mi chiederà di fargli un paio di piercing, tanto i buchi alle orecchie li ha già».
Ridacchiò tra sé, considerando che, dato il fisico un po’ cadente, agganciargli un paio di pendenti ai capezzoli avrebbe significato con ogni probabilità vederli ciondolare oltre il bordo della maglia da lavoro.
«E tu, piccino, come sai delle sue “esperienze”?» chiese Houpette interessata, virgolettando con le dita.
«Me le racconta. Mica parliamo solo di motori» disse, sottraendosi all’ennesimo schiaffetto che minacciava di colpirlo sulla mano.
Houpette si era raccomandata un milione di volte che bevesse la birra dal bicchiere, come tutti gli altri, ma lui si ostinava a far tintinnare gli anelli che portava alle labbra contro il collo della bottiglia.
«Lui? Parla? Con te?» cantilenò Hito, un po’ brillo per l’eccesso di saké.
Boy gli rivolse un’inutile occhiataccia: il verniciatore aveva già intavolato una nuova discussione con Clay.
«Ma che caz… caspita credete?» si corresse il ragazzo, evitando l’ennesima gragnola di doppi sensi e gli sguardi di rimprovero di Charlotte. «Parliamo eccome. E dopo tutto, con chi dovrebbe parlare se non con me? Io sono il suo miglior discepolo!» rise inchinandosi con le mani giunte, ricevendo in cambio una marea di spintoni e schiaffi sulla nuca.
E lui è la persona migliore che abbia mai incontrato in vita mia, considerò spiandolo con la coda dell’occhio.



1 Galata Kulesi: Torre di Galata, uno dei più importanti monumenti di Istanbul.
2 Houpette: “piumino” in francese.
3 Kefir: è una bevanda turca a base di latte, simile allo yogurt
4 Gold Velvet: è un cocktail a base di birra e champagne
5 Dimmi la tua storia, io racconterò la mia / Niente trucchi, niente bugie / Dov’è quel bambino innocente / Dov’è la casa dei ricordi / Torneremo là, lungo una strada di pioggia.
   
 
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