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Autore: Chi no Yuuki    12/08/2013    1 recensioni
Quattro ragazzi in fuga dalla follia di un giovane e spietato reggente. Saranno accompagnati da uno scostante principe e dalla sua fenice, e da una strana ragazza dai capelli color della neve.
Cavie inconsapevoli di un esperimento che sconvolgerà l'ordine naturale delle cose, saranno in grado di rimettere le cose al loro posto? Vittime di un destino cieco che a volte ha uno strano senso dell'umorismo, impareranno a fidarsi solo delle proprie forze e visiteranno luoghi selvaggi ai confini dei pianeti conosciuti. Impareranno che viaggiare nello spazio non sempre è divertente e apprenderanno sulla propria pelle il significato dell'essere braccati. Accompagnati dal proprio spirito, dovranno affrontare i propri demoni per trovare la soluzione a questo pericoloso gioco.
Bisogna fare in fretta, l'ordine deve essere ristabilito.
// E' la mia prima storia... Ditemi cosa ne pensate, sono curiosa di saperlo, c'è sempre modo di migliorare no?
Genere: Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Elinor… Elinor- qualcuno mi chiamava. Mi guardai intorno, alla ricerca del proprietario di quella voce che però sembrava provenire semplicemente dall’ambiente circostante. Mi accorsi solo in quel momento di essere appollaiata su un grosso ramo; tutt’attorno a me c’erano alberi, buio e nebbia. Ero spaventata, sentivo che qualcosa strisciava nell’ombra attorno a me, che mi osservava, che mi voleva e avevo una dannatissima, gelida, paura. Un paio di occhi grandi e gialli mi comparvero davanti, accanto ad essi, come se nascessero dalla nebbia che celava il resto dei loro corpi, ne comparvero un paio verdi,  ed un paio grigi. Terrorizzata e fuori controllo cominciai a strisciare lungo il ramo, finchè non si ruppe ed io caddi giù.
Atterrai senza alcun dolore su un tappeto di erba morbida e umida e credetti, nell’illusione di un secondo, di essere salva, ma le tre paia di occhi ricomparvero. Lentamente come se fossero fatti di nebbia, i corpi di quelle creature emersero dal buio e cominciarono a girarmi attorno: squali attorno alla preda. La nebbia vischiosa, densa, avvolgeva ogni cosa, staccandosi dai corpi e fluttuandovi attorno in un’atmosfera da racconto dell’orrore. Ero bagnata, immersa in quella foschia bianchiccia da cui pensavo che non sarei mai più uscita.
Dal nulla, all’improvviso, quella voce parlò ancora. il timbro non mi era più estraneo come all’inizio, cominciavo a ricordare dove avevo già sentito quel suono.
La creatura strascicava un po’ la ‘s’ e la ‘r’ rendendo il modo di parlare simile ad un costante frusciare di foglie, piacevole e inquietante allo stesso tempo.
Guardai le tre figure sinuose che mi si ponevano davanti, ravvicinando i loro corpi asciutti e muscolosi a quelli di animali che già conoscevo, sebbene questo non mi desse la sicurezza sperata. Di fronte a me stavano, finalmente sedute e ferme, tre femmine di felino. Come sapevo che erano femmine? Lo sentivo, se loro erano realmente parte di me, quello era il momento giusto per averne una prova.
Erano tre creature magnifiche, grandi quanto dei robusti pony da tiro, con il mantello lucido, gli occhi vispi e attenti e le zampe poderose. Una delle tre, la leonessa bianca dagli occhi gialli mi fissava, doveva appartenere a lei quella voce. mi disse, ed io allora cominciai a capire qualcosa in più.
Studiai dapprima la leonessa. Negli occhi giallo dorati fluttuavano pagliuzze color onice e raggi arancio partivano dalla pupilla per diffondersi nell’iride. Il mantello appariva particolarmente morbido, ma non era bianco come mi era parso di vedere, bensì color panna con sfumature d’oro puro ad illuminarlo. Era indubbiamente bellissima, ma non riuscii a sceglierla; non capivo cosa in lei mi preoccupasse, finchè non tornai a guardarla negli occhi. Sebbene il loro colore fosse caldo e rassicurante, l’espressione era gelida, calcolatrice e crudele. In quegli occhi mi rividi pugnalare al petto, senza rimorso e col sorriso il mio primo nemico. Amavo combattere, lo avevo sempre amato, e la crudeltà faceva parte di me. La leonessa faceva parte di me.
Spaventata da me stessa spostai lo sguardo sulla seconda figura, sperando di trovarvi qualcosa di migliore, una parte migliore di me. Aveva gli occhi grigi, come il cielo quando è ancora indeciso, quando ancora le nuvole non sono scure, ma non sono nemmeno più bianche ormai. Piccoli diamanti candidi e brillanti punteggiavano quel grigio, rendendolo magnetico ed attraente. Spostai lo sguardo sul mantello e le mie labbra disegnarono una piccola “o” di stupore. Era nero, non come la notte punteggiata di stelle, non come un abisso nel quale la luce riesce a penetrare, no; quel mantello era nerocome il buio. Assorbiva la luce voracemente, quasi avesse fame di essa. Era una gioia per gli occhi vederla, di lei ci si sarebbe innamorati, e lei lo sapeva. Vanitosamente si sollevò a quattro zampe, fece un giro su se stessa, mostrandomi quanto potesse risultare bella, arricciò la coda, mosse i fianchi sinuosi e tornò al suo posto. Anche quell’immagine richiamava alla mente vecchi episodi della mia vita. Mi rividi, qualche anno prima, a pavoneggiarmi davanti agli amici di  mio fratello, attraendoli per poi rifiutarli ad uno ad uno. Crudeltà e vanità.
Sconsolata mi voltai ancora. La terza e ultima figura era una tigre. Sentivo il suo sguardo puntato addosso, come se già sapesse che ero destinata a scegliere lei.
I sogni non sbagliano mai.
ille sfumature di verde si muovevano in quei grandi occhi rotondi. Il mantello era una fusione dei due precedenti, fondo bianco e strisce nere che sembravano nutrirsi l’uno delle altre. Il nero profondo catturava la luce del bianco, che, punteggiato di piccoli diamanti, sembrava emanare luce propria. Aveva indubbiamente la bellezza. La muscolatura era possente, le zampe grandi quanto la mia mano. Nei suoi occhi si leggeva la determinazione, la voglia di vivere e di combattere. Aveva la forza.
Nei suoi occhi vidi ciò che volevo essere.
Rimanemmo sole, io e lei, a fissarci per qualche secondo.
D’improvviso caricò sulle zampe posteriori e con un ruggito, il più possente che avessi mai sentito, mi si avventò addosso. Non sentii alcun impatto, ma i miei occhi videro finalmente, dopo la penombra del sogno, la luce.

  
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