Ad Alessia, la mia migliore amica e
compagna di vita, non che devotissima
lettrice di fanfiction e consigliera fedele.
"I'm still alive but I'm barely breathing,
Just prayed to a god that I don't believe in,
'Coz I got time and she got freedom,
'Coz when a heart breaks, no it don't breakeven."
Doncaster, 13 settembre 2013.
Non facevo altro che rigirarmi quel pezzo di carta, ormai quasi straccia, tra le mani pallide.
Si, proprio quel pezzo di carta.
Quello che non avevo avuto il coraggio di dargli 4 anni prima, il 13 settembre 2009.
Quel fottuto senso di terrore che mi prende all’improvviso è decisamente insopportabile; molti psicologi lo attribuiscono ad un trauma infantile, non che io ci sia andata di recente.
Tutt’altro.
L’idea di raccontare i fatti miei ad estranei mi rende doppiamente nervosa.
Sapete, la scusa del ‘troppo piccola’ funziona sempre in questi casi.
Troppo piccola per pensare, troppo piccola per parlare, troppo piccola per amare.
Perché quella fottuta parola mi spaventava così tanto?
Perché ero così codarda da lasciare che i miei desideri e i miei sogni andassero in fumo così miseramente?
Perché una cosa che agli occhi degli adolescenti è tutto, è aria, è luce, è persino felicità, a me sembrava la merda più assurda del mondo, perché ne potevo solo soffrire e avere paura?
Domande senza risposta, per una come me.
Per una codarda, una bugiarda e a volte manipolatrice.
Per una come me, che in fondo non era cattiva.
No, non lo è.
Per una come me, capelli insensatamente rossi e una cascata di lentiggini in viso.
Per una come me, occhi vispi grigio topo e corpo minuto.
Per una come me, Alice Isabel Dupree.