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Autore: MarsKingdom    13/08/2013    1 recensioni
“Contatterò io il suo manager per consegnare le foto alla rivista, d’accordo?”, dissi nervosa e spazientita, rigirandomi tra le dita la mia catenina con la triade, quella che non toglievo mai.
Aspettai inutilmente un cenno, una parola, anche un grugnito da parte del tizio.
Sembrava di parlare con un muro.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Shannon Leto, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mentre aspettavo stesa Matt, feci l’inventario dei vari fastidi.
La gola mi bruciava per aver appena rimesso il cibo e mi sentivo come se avessi un vuoto nel petto.
Non mi spaventai, avevo Matt con me e sapevo non mi sarebbe successo nulla.
Tornò con la sua borsa nera e sorrisi prendendolo benevolmente in giro.
“Chi abbiamo qua? L’allegro chirurgo?”, dissi.
“Se hai l’indecenza di sfottermi allora non stai tanto male”, rispose sorridendo.
Mi fece togliere la maglia e rimasi in reggiseno. Non mi imbarazzava stare mezza nuda di fronte a lui, ormai mi aveva visitato tante di quelle volte che conosceva il mio corpo meglio di mia madre.
Iniziò con l’auscultarmi il cuore e poi, storcendo il naso, mi misurò la pressione.
Alla fine sbuffai, mi sentivo meglio e volevo rialzarmi.
Si preoccupava troppo, ne ero convinta.
“Ebbene dottore, mi dica: quanto mi rimane da vivere?”, chiesi con un finto tono da telenovelas argentina.
“Che scema El! Scherzi a parte, di nuovo qualche aritmia. Bradicardia questa volta. Se capita di nuovo ti segno altre analisi e forse qualche farmaco. E ti farei visitare da un mio amico che è già laureato”.
Ok, un po’ adesso mi preoccupavo, non volevo aggiungere pure la paura di un infarto ai miei attacchi di panico.
“Non è grave, vero?”, gli chiesi seria.
Matt mi accarezzò i capelli.
“Tranquilla dolcezza, finchè sei con me non ti devi preoccupare di niente”, mi rassicurò.
“Ma dimmi di più: c’era davvero Shannon Leto in studio oggi?”, continuò.
Rimasi stesa ed annuii, per poi raccontargli tutta la giornata.
“Accidenti, adesso ti tocca rivederlo sul serio! Spero per te che la cotta che avevi per lui qualche anno fa adesso sia morta e sepolta”, mi disse ridendo.
“Cremata!”, mentii.
In realtà non avevo mai smesso di provare interesse per quello che era sempre stato più di un idolo, per me. Semplicemente per anni era rimasto sopito, mi ero in qualche modo arresa perché ero anche maturata, avevo avuto relazioni vere con persone reali, e le passioni adolescenziali erano rimaste nel più remoto cassetto del mio cervello.
Ma quell’incontro aveva sconvolto ogni cosa.
Me ne andai in camera mia e per prima cosa volli controllare al volo le condizioni dell’obiettivo: era davvero rotto, irrecuperabile.
Sfiorai i vetrini tra pollice e indice.
E se mi fossi sognata tutto? Non proprio tutto. Shannon Leto era davvero venuto al mio studio per un servizio, questo sì. Le foto ne erano una prova.
Ma se non ci fossimo presentati? Forse mi ero solo immaginata la sua proposta di ricomprarmi l’obiettivo e di aiutarmi con la post produzione.
Forse era una mia fantasia l’interesse che era trapelato dalle sue parole.
No, quei pezzi di vetro che avevo in mano erano la prova che ogni cosa era accaduta.
Doveva essere così.
E allora perché non mi aveva ancora contattato? Lui aveva il coltello dalla parte del manico, o detto più semplicemente, lui aveva il mio numero e io non avevo il suo.
Mi arrabbiai con me stessa.
Non dovevo sperare in questo genere di cose. Primo, perché avevo un lavoro in proprio, finalmente e avrei dovuto concentrarmi anima e corpo su di esso.
Secondo, perché si trattava di Shannon Leto, lo sciupa femmine più celebre di Los Angeles, il quarantenne incallito che usa le donne e poi le convince anche che è bello essere usate per…. Per cosa, poi? Sesso!
‘Probabilmente fantastico sesso’, disse una vocina dentro di me.
Allontanai l’attenzione da quei pensieri deliranti e mi accorsi del sangue che colava sul mio braccio. Piccole gocce stavano cadendo dalle dita.
“Idiota! Sono una deficiente, stupida, idiota”, imprecai tra me.
Presa dai troppi pensieri, mi ero conficcata i vetrini sui polpastrelli di pollice, indice e medio. Della mano destra.
Fantastico!
Scossi la mano e alcuni vetrini caddero con vari tintinnii a terra, sporcando qua e là anche il pavimento.
“Ma tu guarda!”
Andai in bagno e disinfettai quell’opera d’arte, mettendo poi anche dei cerotti a completare il tutto.
Tutte e tre le dita (il cui uso mi era fondamentale per il lavoro che facevo) pulsavano dolorosamente e cercai di non pensare alle eventuali schegge che potevano essere rimaste nella pelle.
E di sicuro questa volta non sarei andata a correre da Matt a farmi medicare.
Mi stesi in camera a meditare, a chiedere al Dio che mi stava guardando, quali altri peccati avrei dovuto scontare e pregai oziosamente il soffitto di cadermi addosso il prima possibile.
  
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