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Autore: Gnocconana    14/08/2013    2 recensioni
Il campanello sopra la porta tintinnò, del tutto inaspettato. Ne entrò una ragazza bionda, dallo sguardo severo che inizialmente puntò nelle sue immediate vicinanze, come per dare un giudizio critico all’aspetto del negozio nel quale si era appena introdotta. Impropriamente, tra l’altro.
Successivamente, si voltò verso di lui. Gli sembrò di ritrovarsi senz’aria tutto d’un tratto, tanto quello sguardo era intenso. La prima opzione gli sembrò la più adatta: ne fu spaventato.
{ Chapter #3: Long time no see }
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Annie Leonhardt, Berthold Huber
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Sweet, old pages
Chapter #1: Meeting You


A Bertholdt Fubar la stabilità era sempre andata a genio. E data in effetti la sua, diciamo, particolare predisposizione allo stress per qualunque problema più grave di una lampadina fulminata, c’era pure da aspettarselo. La persona più incapace a gestire qualunque tipo di imprevisto si era dunque ritrovato a continuare l’opera dei suoi genitori, la gestione di quel piccolo e accogliente negozio di libri usati. Una mediocre impresa se si parlava di profitti o dimensioni effettive, ma sicura e affidabile. Inoltre, aveva sempre sognato di riceverla, se così possiamo dire, in eredità, una volta andati in pensione i suoi.
C’era solo, ahimé, la noia con cui fare i conti. Non erano in molti a fermarsi nel bel mezzo delle loro impegnatissime giornate per dare un’occhiata a qualche vecchio manoscritto, o la prima edizione de L’Assommoir di Zola.  O i trattati di storia moderna, intere enciclopedie, le prime traduzioni delle favole di Fedro. Erano al contrario in molti a liberarsi di tutta questa ‘carta straccia’ per ricavarne qualche soldo, preferendo liberare l’ammezzato piuttosto che godersi il tuffo nel passato sfogliando quelle pagine ingiallite e tanto, troppo fragili.
Era ciò che aveva finito per fare lui in ogni momento libero. Preoccupato anche solo di piegare leggermente un angolo delle pergamene finemente decorate, leggeva più che poteva. Certe volte era anche felice di non sentire la campanella attaccata alla porta suonare per intere ore, perché significava più tempo per finire un capitolo, un paragrafo. A volte gli bastava completare una frase per sentirsi soddisfatto.
Il suo amico d’infanzia e attuale co-gestore del negozio, Reiner Braun, non faceva altro che redarguirlo al proposito, probabilmente preoccupato per lo scarso numero di ore che Bertholdt spendeva all’aria aperta, sacrificate alla lettura. E se solitamente il ragazzo ascoltava ciò che l’amico aveva da dire, calando la testa e trovandosi quasi automaticamente d’accordo con ogni sua affermazione, in quel caso si trovava costretto a deviare dalla via che il biondo sceglieva, in buona fede, per lui. Non trovava l’idea di mettere piede fuori da quel negozio poi così invitante, quando proprio dove era ora poteva andare dove voleva, aprendo un qualsiasi libro. Era una specie di magia che ormai in pochi apprezzavano, salti nel tempo e nello spazio che lo facevano sentire più libero di tutte le corse in moto possibili, e Reiner col tempo l’aveva accettato. Vent’anni di amicizia gli avevano insegnato ad accogliere con gioia quelle rare occasioni nelle quali ‘Bertl’ prendeva una decisione con la sua testa, qualunque essa fosse.
 
Come quella, per esempio, di aprire il negozio quel pomeriggio. Una domenica. ‘Solo per questa volta, devo controllare una cosa!’ era ciò che aveva detto a Reiner, il quale si era limitato a sospirare e a lanciargli un’occhiata esasperata. Gli concesse un’ora e una soltanto, dopodiché l’avrebbe prelevato con la forza per portarlo a mangiare qualcosa e a fare un giro. ‘Hai 25 anni, non 60!’ aveva iniziato, perdendosi in discorsi sulla vita e su come era loro dovere viverla al massimo, uscendo e vedendo facce nuove piuttosto che sempre le solite vecchie pagine rovinate – ‘abbellitte’, avrebbe voluto aggiungere – dal tempo. Era in quei momenti che Bertholdt dubitava delle vere passioni dell’amico, e si chiedeva se non avesse accettato di lavorare con lui solo per una sorta di complesso del fratello maggiore. Tenerlo d’occhio il più possibile, preoccuparsi per lui come una mamma chioccia… nonostante fosse più grande di lui solo di qualche mese.
Ad ogni modo, acconsentì di buon grado all’ultimatum di Reiner, e una volta ognuno per la propria strada, si incamminò verso il negozio con aria assente, e un lieve sorriso in volto.
 
I seem to forget how easy I fall out…
Delle dolci note iniziali, seguite da una voce femminile e una chitarra classica, si diffusero per il negozietto nel quale Bertholdt si era rifugiato più o meno da un quarto d’ora. Le parole inglesi risultavano ovattate alle orecchie del giovane che, sommerso da scaffali contenenti i generi di libri più disparati, si era appena fermato di fronte ad uno di essi dove erano riposti solo dizionari. In particolare voleva assicurarsi di aver riposto nel luogo esatto il secondo volume del Larousse pour tous, per evitare di dover ribaltare mezzo negozio alla sua ricerca.
Ma era lì, intatto e perfetto come sempre, accanto al primo volume. A Bertholdt sembrò quasi di aver perso tempo, una volta tanto… Passandosi una mano tra i corti capelli neri, uscì da quel labirinto di scaffali per tornare all’entrata, e sedersi al bancone. Dall’unico cassetto prese la sua copia personale de Le rouge et le Noir di Stendhal, dato che quella che avevano in negozio era troppo delicata per una lettura casuale. Troppo delicata anche per lui.
Si preparò a spendere i rimanenti tre quarti d’ora compatendo Julien Sorel per tutte le complicazioni nelle quali pareva tuffarsi di testa, con un certo orgoglio personale – e che, sotto sotto, lui pensava si meritasse. Abbassò il volume della radiolina al suo fianco, si abbandonò contro lo schienale della sedia, e abbassò gli occhi sul libro appena aperto. La canzone di prima era più o meno a metà.
 
Oh, you taste so sweet, I can’t wait to meet~
Il campanello sopra la porta tintinnò, del tutto inaspettato. Ne entrò una ragazza bionda, dallo sguardo severo che inizialmente puntò nelle sue immediate vicinanze, come per dare un giudizio critico all’aspetto del negozio nel quale si era appena introdotta. Impropriamente, tra l’altro.
Successivamente, si voltò verso di lui. Gli sembrò di ritrovarsi senz’aria tutto d’un tratto, tanto quello sguardo era intenso. La prima opzione gli sembrò la più adatta: ne fu spaventato.
 – E-Ehm… – aprì bocca ma non seppe precisamente per quale motivo. Voleva dirle che il negozio era chiuso, che avrebbe fatto meglio a passare l’indomani mattina, che non l’aveva mai vista in giro di recente ma allo stesso tempo sentiva di conoscerla già, che non si era introdotto illegalmente ma era il legittimo proprietario di quel posto, non si sa mai.
Che aveva degli occhi stupendi. Terrificanti, ma stupendi.
Non riuscì a dire niente, ma apparentemente non ce ne fu bisogno.
– Sull’insegna c’è scritto ‘aperto’. – ribattè la ragazza a quell’inutile tentativo di spiegarsi da parte del ragazzo, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio e successivamente indicando dietro di sé.
 – A-Ah, sì… – si era dimenticato di girare il cartello. Tipico.  Tentò di non seguirla con lo sguardo mentre si muoveva per il negozio come se ci vivesse, con scarsi risultati. Lei dovette essersene accorta, perché si diresse velocemente verso l’interno e scomparve dietro uno scaffale. Doveva averle dato fastidio. Bertholdt si sentì ancora più a disagio, e tornò a farsi viva quella preoccupazione cronica per qualunque cosa gli accadesse intorno, una sensazione che non provava da molto. Con la fronte imperlata di sudore nonostante fosse a malapena Marzo, allentò il colletto della polo già largo di suo, e deglutendo cercò di tornare alla lettura del suo libro. La consapevolezza di quella ragazza intenta a scorrere le dita sui dorsi dei suoi libri, circondata da quel labirinto di scaffali, non lo abbandonò però del tutto.
Anzi, diciamo che non smise un attimo di pensarci. Ormai le disavventure e gli intrallazzi romantici di Sorel erano del tutto dimenticati.
Si ritrovò a sperare che alla ragazza servisse un libro posto davvero molto in alto.
– Uno sgabello. – riconobbe la voce della sconosciuta, d’altronde l’unico essere umano lì dentro oltre lui. Bertholdt si affrettò a posare il libro senza neanche tenere il segno della pagina alla quale era arrivato, e ad andarle in contro. Le ci volle un po’ per trovarla, e nonostante avesse compreso chiaramente la richiesta della ragazza, una volta esattamente di fronte a lui sentì il bisogno di perdere ancora un po’ di tempo.
– Mi scusi? – si rivolse formalmente come era abituato a fare con tutti, anche se aveva come l’impressione di essere più grande di lei di almeno una decina d’anni. Ma forse era solo la differenza d’altezza a confonderlo. Quelli non erano certo gli occhi di una normale adolescente.
– Mi serve uno sgabello. Ce l’hai? – lei invece non si era fatta problemi a passare al ‘tu’. Doveva offendersi? Esserne felice? Non sapendo come comportarsi, e sentendo un brivido giù per la schiena quando si ritrovò puntati nuovamente addosso quello sguardo glaciale ma allo stesso tempo come spento, si limitò a tornare sui suoi passi. Ce l’aveva uno sgabello, anche se non gli era quasi mai capitato di usarlo.
Tornò dove aveva lasciato la ragazza per trovarla con lo sguardo puntato adesso in alto, il profilo del volto di un’eleganza inusuale nonostante la forma particolare del naso. In un certo senso, quella gobbetta le stava anche bene. Non riusciva già ad immaginarsela senza… si spaventò dei suoi stessi pensieri, soprattutto per la nota nostalgica che emanavano.
Si schiarì la voce giusto per farsi notare, ma la ragazza a malapena si voltò verso di lui.
– Lo sgabello- Posso chiedere a cosa le- ti serve? – incespicando un po’ mentre parlava, le porse ciò che lei aveva richiesto. Dallo sguardo che gli rivolse, sentì però di aver sbagliato domanda. O meglio, avvertì che le domande non le piacevano proprio.
– Mi sembra ovvio, per salirci… – in quel momento si sentì un deficiente. E per una buona ragione. Certo che era ovvio. Più che ovvio. Ma con la testa da tutt’altra parte, non ci aveva proprio pensato. Per salirci.
Con lo sguardo basso, sia per una questione d’educazione che per la vergogna, aspettò che lei salisse, prendesse un libro, o due, o trenta, non riuscì a vederlo, per poi scendere. Solo allora alzò lo sguardo, quel che bastava per sbirciare che libro avesse scelto. Ma lo copriva così bene con i palmi delle mani da non fargli intuire nemmeno l’autore.
Ricevette un ‘grazie’ da parte della ragazza, poco prima di vederla muoversi velocemente verso la cassa. Non aveva fatto niente di che, ma il ragazzo accettò il ringraziamento con sollievo, e un sorriso meno nervoso di prima. Dopodichè la seguì a passo lento, temendo di farla innervosire se le avesse camminato davanti o addirittura fianco a fianco.
 
Quella bella canzone, della quale non conosceva né il titolo né l’artista, era finita da un pezzo. Adesso alla radio c’erano le previsioni del tempo, quindi una volta aggirato il bancone Bertholdt si premurò di spegnerla, in modo tale da donare tutte le sue attenzioni a quella cliente molto particolare.
– Di solito non siete aperti la domenica. – la ragazza lo sorprese iniziando lei una conversazione, con tono di voce inquisitorio. Aveva già tra le mani il libro imbustato, una raccolta di favole di Fedro, ma non sembrava avere fretta di andarsene.
Per un motivo che faticava a trovare, Bertholdt ne fu felice.
– S-Sì, è vero… – ovvio che era vero, decideva lui gli orari! Si diede nuovamente dello stupido, prima di continuare.
– È per questo che non ti ho mai vista prima? Puoi passare solo la domenica? – la ragazza fece un cenno affermativo con la testa, osservando la copertina del libro che aveva appena acquistato con fare pensieroso. Ma sembrava lo stesse ancora ascoltando, fortunatamente.
– Ti… mh, p-potrei aprire per qualche ora la domenica pomeriggio! Passeresti, in caso? Non ho quasi più clienti, e poi è sempre un piacere trovare qualcun altro interessato ai libri antichi… – un altro cenno affermativo, dopo qualche secondo. Il ragazzo sembrò raccogliere tutto il coraggio che gli rimaneva, soprattutto dato lo sguardo della ragazza nuovamente puntato sul suo. Si ritrovò a boccheggiare, a disagio o forse semplicemente intontito da quell’azzurro, prima di riprendere a parlare.
–  Allora… alla settimana prossima? – provò a dargli una sfumatura più decisa, ma l’augurio risultò più titubante che altro. Ci pensò la ragazza, la sconosciuta, la sua nuova cliente, lei.
– Alla settimana prossima. – e con quella conferma, Bertholdt la osservò uscire dal suo negozio con un peso in meno sullo stomaco.
 
Buttò uno sguardo all’orologio da polso, e notò che mancava ancora un quarto d’ora all’appuntamento davanti al negozio con Reiner. Posò Stendhal nel cassetto dove stava prima, ma per la prima volta da tanto sentì di non riuscire a rimanere in quel posto un secondo di più.
Prese la giacca, e uscì. Si fermò proprio di fronte alla porta d’ingresso di Sweet Old Pages, con un sorriso sulle labbra. Checchè ne dicesse Reiner,
aveva un nuovo motivo per amare quel negozio adesso.
 
 
 
I wanna be
With you
Again.

   
 
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