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Autore: KittyPryde    07/10/2004    7 recensioni
il mio amore è morto con gli occhi chiusi
[Jean/Scott]
Genere: Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jean Grey, Scott Summers/Ciclope
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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La bambina giocava a “luna” con un piccolo sasso rotondo, calma e spazio profondo, le dimensioni del sogno, la polvere per terra.
La bambina aveva i riccioli rossi e gli occhi simili ai miei, luminosi, rapaci; la gonna a pieghe danzava sulle sue ginocchia ad ogni salto
Una gamba, due, una gamba, cercava di raggiungere il sasso finito sulla casella, la numero sei.
Nessuno ad accudirla, nessuno a badarla, parco giochi deserto nella dimensione alterata del sogno.
Non avevo una forma, non un peso, i capelli di fuoco giocavano a solleticarmi le guance, ricordo la sensazione calda della sabbia sui piedi, e il parcogiochi diventava una spiaggia, mare limpido e spumoso, agitato nelle onde azzurre che si sbattevano a riva con violenza.
La bambina recupava il sasso sulla casella del sei, una gamba sola, in equilibrio, la corona dei miei capelli bruciava ancora mentre la piccola si voltava, mi guardava, mi vedeva. “signora…” la voce zuccherata ed educata “signora, lu non deve prendere l’aereo oggi…”

Mi svegliai, annaspando tra le lenzuola umide di incubi, lo sguardo verde acceso della visione ancora negli occhi, Scott accanto a me mosse una mano cercandomi sul letto
“Jean…” mi chiamò assonnato sedendosi sul materasso, rumore di lancette nel silenzio, accese la luce guardando l’orologio, guardando dov’ero “Jean…” più lucido, consapevole e apprensivo, io ancora avvolta nel silenzio, pensavo alle schegge di luce brillante negli occhi della bambina, nei capelli rossi, capelli di fuoco
“ho fatto un incubo Scott…” la razionalità mi imponeva di chiudere la discussione, ma l’istinto si prende troppo spesso delle libertà “credo che non dovresti partire oggi…” lo vedevo nella penombra, scuotere la testa davanti alla capricciosa richiesta della sua moglie bambina, riflesso rosso rubino nel chiaroscuro della stanza
“Jean… qualunque cosa fosse, era un sogno” lasciai la finestra, le tende si muovevano lente, mi chiesi se non stessi ancora sognando
“Chi è dotato di poteri telepatici ha sempre un po’ paura di quello che vede e sogna…”
“ma non stavolta” Scott si era alzato cingendomi le spalle con le mani, guardandomi negli occhi attraverso i suoi occhi di vetro, abbassai lo sguardo, con la remissiva consapevolezza che non potevo provare la verità delle mie paure.

Non mi aveva creduto, partito qualche ora dopo lasciando un bacio alla sua bella addormentata, cercando di scrivere la favola a rovescio, senza svegliare la sua regina dal lungo sonno; quando sentii le sue labbra calde sulla fronte e sulla bocca, la carezza cauta e ragionata sulla guancia, la voce zuccherata sussurrare un “torno presto”, il mio cuore si riempì tragicamente della certezza che gli occhi della bambina non mi avrebbero mentito, che non lo avrei più rivisto.
Mi addormentai soltanto dopo molte ore, quando la luce cominciava ad albeggiare, bianca, fuori dalle persiane.
Sonno senza sogni, sonno profondo e agitato, imposto dalle mie membra stanche, rifiutato dalla mente stressata, ad ogni rumore aprivo gli occhi in un dormiveglia razionale per poi richiuderli subito dopo cercando un sonno del quale, mi rendevo conto, avevo necessità.

Non ricordo per quanto dormii, ma quando scesi in cucina spinta dai morsi della fame, l’ora di pranzo era già passata da molto, l’istituto era immerso nel silenzio tipico delle ore di lezione, poche persone lungo i corridoi, nessuno nella grande cucina, solo il frigorifero giallo ronzava in quella stanza che, anche deserta, continuava a riflettere il calore della Mansion.
Biscotti all’arancia, aerei in volo, svegliandomi avevo perso il contatto onirico che aveva contraddistinto le ultime ore e avevo ripreso a misurarmi con la realtà, gli occhi della bambina rossa si erano lentamente spenti nel calore del tè appena fatto.
Eppure, quando il richiamo telepatico del professore raggiunse la mia mente, sentii il mio corpo scuotersi in un brivido anche troppo famigliare; la paura, l’apprensione, la consapevolezza di essere parte degli X-men e di doverne accettare i compromessi.
Non risposi, mi limitai ad alzarmi e a seguire la voce mentale di Charles.

Il mentore, il maestro, il padre che mi aveva insegnato a camminare nello spazio invisibile del piano astrale, mi invitò ad entrare prima ancora che bussassi, riconosceva la mia presenza.
Le mani strette l’una nell’altra, una parte lontana della mia mente sapeva già cosa volesse dirmi, ma del resto il mio corpo non avrebbe capito, non avrebbe accettato.
Attesi le sue parole con una trepidazione velata
“figlia mia…” il cuore fece un tuffo doloroso “Scott… ci ha lasciati”

la mia reazione fu imprevista e imprevedibile tanto per me quanto per lui… abbassai gli occhi, taglienti, tagliati, rividi la bambina che ancora mi sorrideva, pensai che non avrebbe mai conosciuto suo padre, e, silenziosamente, piansi.
Charles non disse una parola, passarono i minuti, passarono lenti, di tanto in tanto un sighiozzo rompeva il silenzio irreale che sostituisce ogni crisi nervosa, non parlavo, non respiravo, mi accorsi di non riuscire neanche a pensare, involontariamente lanciavo i miei richiami telepatici in tutte le stanze, in tutte le vie, in tutto lo spazio che mi divideva dal cadavere dell’aereo nel quale ora riposava Scott.
Non ricevetti nessuna risposta e trovai il coraggio di esporre le domande che non credevo di avere, Charles mi rispose calmo, una patina velava lo sguardo del profeta, anche lui aveva perso un figlio
“l’aereo è precipitato, non ci sono stati superstiti…”
anche un x-men può morire così?
Pensiero che non riesco a trattenere, pensiero che non riesce a sfuggirgli
“mi dispiace… Jeannie”

Il mio amore è morto con gli occhi chiusi
Uscendo dall’ufficio di Charles ho bussato tre volte alla camera di Alex, in un primo momento non ha risposto nessuno, poi la porta si è aperta.
Capelli spettinati e viso sfatto di chi conosce la verità ed ha avuto il tempo di piangerla, Alex non voleva vedere nessuno, ma quando vide me mi abbracciò piangendo, bambino dei Summers che non riusciva a consolarsi…
Sedeva al fianco del Re, la vergine madre strinse i suoi capelli biondi sulla spalla, non ci dicemmo niente, anche il più semplice “mi dispiace” avrebbe avuto un suono forzato, i suoi singhiozzi caddero sul mio cuore con un tonfo sordo, le mie lacrime silenziose gli inumidirono i capelli
“Scott…” lo sentii mormorare, non so se furono i suoi pensieri o la sua voce
“lo so…”

Una strada, un sentiero, erba tagliata da poco, profumi primaverili che non potevo annusare ma che riuscivo a percepire; io, una donna, con l’espressione più triste, nessuno accanto a me, se non la sensazione persistente di una presenza, camminavo lungo il sentiero del parco, lungo la spiaggia, la bambina era ancora lì, da quando avevo ricominciato a sognare speravo di poterla incontrare di nuovo.
Mi guardava, gli occhi vividi e verdi erano sempre gli stessi, da quel secondo incontro capii molte più cose di quanto realmente sperassi.
Capelli rossi, era ferma in fondo al viale, aveva i pantaloni corti e le ginocchia sporche, ma non sembrava soffrire, forse avevo soltanto interrotto i suoi giochi.
Con la sicurezza telepatica che adoperavo nel Piano Astrale le sorrisi avvicinandomi più che potevo
“ciao piccola…” piegai le ginocchia abbassandomi alla sua altezza, quando mi vide il viso divenne triste e gli occhioni si riempirono di lacrime
“non glielo hai detto…” fu la sua risposta al mio saluto, inavvertitamente mi ritrassi mentre la bambina cominciava a piangere “non glielo hai detto…” ripeté
Io rimasi a guardarla intontita, incapace di capire se volevo svegliarmi o continuare a sognarla, poi la piccola smise di piangere e si avvicinò lentamente a me, potei carezzarle i capelli
“ci ho provato… credimi ci ho provato”
aveva i capelli rossi e le mie mani si muovevano con naturalezza sui suoi ricci, consolarla era un gesto così consueto, le mani si perdevano, mi fermavo nel tempo senza accorgermene; avevo dimenticato Scott, il dolore e la camera buia nella quale ancora riposavo.
La bambina si staccò da me tutto d’un tratto, recise il cordone ombelicale e mi guardò sorridendo
“mi parlerai di lui…” mi toccò il ventre, aveva qualcosa di magico

Mi svegliai di scatto, apendo solo gli occhi, raggomitolata nella mia parte di letto, cercando conforto nel mio stesso calore
Le memorie nebbiose del sogno si fecero man mano più chiare, limpide, la bambina con i capelli rossi aveva i miei stessi occhi, si… io te ne parlerò

Al funerale di Scott nevicava, il nostro buffone di corte aveva voluto lasciare un ultimo saluto alla sua maniera, le ali degli angeli e i passi degli uomini seguivano il corteo… il Padre, il secondo figlio, e la Regina dei cieli seguivano la bara, l’angelo l’uomo e il giullare erano dietro di noi a testa bassa.
L’omelia suonava piano accarezzata dai fiocchi bianchi, non avrei potuto immaginare scena più suggestiva per dire addio all’uomo che amo
La neve si scioglierà, l’elogio di Charles si perderà nel vento assieme alle mie lacrime e ai singhiozzi di Alex.
Al di là dei ricordi, al di là delle fotografie incorniciate e immacolate sulla scrivania, al di là dell’iscrizione sulla lapide marmorea dei caduti sotto il segno della grande X, al di là delle lacrime che si congelano nella neve… cosa può rimanere
Una stretta di mano, una condoglianza privata e profonda, sento il loro dolore in ogni gesto, ma non lo esporranno a me e ad Alex, vedovi dello stesso uomo, porteranno rispetto per il nostro immenso cordoglio.

Al funerale di Scott gli abitanti della Mansion sono rimasti in silenzio, le spoglie di un uomo che per molti era stato un eroe, un insegnante, un figlio, un fratello, un marito venivano nascoste dalla terra.
I Compagni tacevano nel freddo di quella neve che rimarginava le ferite
Bobby non alzò mai gli occhi
Warren non li ha staccati dalla bara
Hank mi teneva segretamente la mano, io l’ho visto piangere, ma il suo mantello è riuscito ad assorbire anche il dolore.
Mi toccai il ventre, troverò il coraggio, ti parlerò anche di questo.
Fiori stretti convulsamente nella mano, unghie sporche di terra, anche io non sono riuscita a parlare, ascoltavo la voce, per la prima volta incerta, del Professore salutare per primo il primo dei suoi figli.
Io tacevo
In quella neve che sembrava reale guardavo la bara sparire nel prato, pensai che sarei tornata solo quando l’erba avrebbe ricominciato a crescere, l’ultimo addio, fiori nella fossa, allora piansi, allora Hank mi strinse più forte la mano, allora Warren staccò lo sguardo fiero e affranto dalla bara, allora la neve smise, per un attimo di scendere.

Il mio amore è morto con gli occhi chiusi…
   
 
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