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Autore: Melliola    21/02/2008    3 recensioni
Un sogno durato circa un anno. Gli ultimi respiri di una vita spezzata e buttata al vento, senza tante cerimonie..

Genere: Triste, Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Merope Gaunt, Tom O. Riddle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Solo un sogno…

Ciao a tutti, vi presento la mia prima FanFiction che pubblico con il mio nuovo account, e inedita!
Buona lettura, per chi volesse!!

 

Solo un sogno…

 

 

Quella era stata, per la prima volta nella sua vita, la prima notte senza sogni, né incubi. Il vento che entrava dalla fessura sotto la finestra malridotta l’aveva dolcemente cullata, quella notte. E, al risveglio, neanche le ossa le facevano male, forse perché per la prima volta aveva dormito su quella specie di divano dalle molle saltate via. Beh, sempre meglio del freddo e duro pavimento.
Merope alzò la testa lentamente, si guardò attorno: no, non c’era traccia né di suo padre, tanto meno di suo fratello. Neanche un rumore, per la prima volta, in quel tugurio.
Appena poggiò i piedi a terra, ebbe un lampo: sì, aveva sognato! Un bellissimo sogno, dai capelli neri un po’ mossi, dal sorriso spendente… aveva sognato lui per la prima volta… senza timore di essere scoperta!
Felice, si avvicinò a quel che doveva essere l’angolo cucina, raccolse da terra una padella incrostata di sporco; poi un’altra, quando trovò, nascosta sotto un mobile che stava su per miracolo, la sua bacchetta.

Un libro, dall’aria invecchiata e molto pesante, un calderone scrostato alla meglio… un fumo che saliva a spirali e tanti odori.
Merope era seduta a terra, ispirata sempre più fortemente dal magnifico sogno, qualche ora prima si era buttata alla ricerca del vecchio libro di suo padre: aveva disperatamente bisogno di quella pozione.
Mentre mescolava velocemente, si soffermò a guardare la sua immagine riflessa nella pentola: come per vergogna, le sue gote si tinsero lievemente di rosso su quel viso pallido come la morte e sporco qua e là. Anche i capelli erano un po’ appiccicati tra di loro, sbiaditi com’erano da tempo…
ricadevano sul viso ondulati e le disegnavano una strana espressione. Si ritirò, quando vide riflessi anche gli occhi neri, storti, che spesso guardavano in due direzioni completamente opposte quando era sovrappensiero. Ma il suo aspetto non le importava minimamente. Sì alzò per dirigersi verso la finestra: voleva lasciar entrare un po’ di luce e un po’ di aria fresca, nell’istante in cui lo faceva pensò a suo padre e a quanto odiava la luce. D’istinto ritirò la mano, ma solo allora realizzò che la casa era vuota, a parte lei. Poco dopo, un rumore di zoccoli… un singolo rumore di zoccoli.
Il cuore le prese a battere, si tirò con la schiena verso il muro e cominciò a spingere coi piedi, come a voler scomparire attraverso il muro… solo quando i passi si fecero più intensi e vicini, solo quando il volto del bel ragazzo tornò vivido tra i suoi pensieri, si fiondò verso la pozione e ne prese un bicchierino. Con la bacchetta nell’altra mano, uscì fuori e si nascose dietro la solita siepe, che ormai aveva preso le sue forme.
Eccolo, era molto vicino… troppo vicino..
“I… impedi… impedimenta!!” sussurrò e puntò la bacchetta verso le zampe anteriori del cavallo, portandosi una mano alla bocca, inizialmente meravigliandosi del suo tono di voce rimasto sigillato per anni dentro di lei, poi vedendo il bel viso del ragazzo che abita nella casa grande lassù cadere a terra.
Corse allo scoperto verso di lui che imprecava e si massaggiava la testa, mentre il cavallo, spaventato, correva via… e, alla vista di Merope, indietreggiò.
“Chi- chi sei tu, va via! Via!” esclamò, spaventato dall’orribile visione.
Merope, d’altro canto, allungò le mani, coprendosi il volto, mostrando la pozione.
Il ragazzo smise di dimenarsi. Aveva male ad una caviglia ed aveva sete, sotto quel sole che picchiava. Quando la… cosa, di fronte a lui le allungò quella bevanda, subito l’odore della sua bella Cecilia gli invase le narici, che poi si trasformò nel fresco profumo dei tulipani, che sua madre ogni mattina cambiava nel salotto di casa Riddle. Allungò la mano, inebriato e stordito da quei buoni odori, e bevve, bevve lunghi e saporiti sorsi.
Quando aprì gli occhi, tutto appariva diverso.

Mia dolce Merope” Tom si mise a sedere sul letto. Accarezzò gentilmente la pancia della donna, era enorme. A breve, un piccolo bimbo, o una bellissima bimba, sarebbe nata.
Merope sorrise alla vista di Tom, quell’uomo che amava più della sua stessa vita… finalmente, tanti sogni erano diventati realtà, e lei non chiedeva di meglio. Vivere lì per sempre, all’oscuro di tutto e di tutti.
Tom scosse la testa e la guardò in un modo strano.
La pozione.. è quasi ora!
Come tutte le mattine, si alzò di scatto e corse al secondo piano, poi girò a destra di un buio corridoio: alla fine, un porticella bassa e stretta. La aprì ed entrò, e vari profumi la avvolsero.
La pozione ormai aveva effetti sempre più lunghi su di Tom, che da mesi ne ingurgitava generosi sorsi ogni mattina. Merope si portò dietro un calderone, sedette sulla piccola sedia e, prima di cominciare, si voltò e vide un piccolo specchio rotto seminascosto sotto un mobile. Lo prese, e si osservò… vedendosi più bella, come mai si era vista.
Fece levitare lo specchietto all’altezza della sua faccia, poi prese un coltello e afferrò due ciuffi della sua capigliatura non più sporca come tanti mesi fa… e cominciò a tagliarsi i capelli. Ora, alcuni, le ricadevano gentili sulla fronte, quasi fino agli occhi; altri le sfioravano le spalle.
Lasciò cadere specchio e coltello e si strinse la pancia. Il piccolino batteva forte contro le sue pareti e lei sorrise al pensiero di sentirlo così vivo, e figlio di Tom.
Tornò quindi a preoccuparsi della pozione, e l’odore di Tom di nuovo la assalì: pianse.
Pianse, pensando al finto amore che Tom provava per lei, retto in gioco soltanto da una stupida pozione! Tante volte aveva pensato di smettere e troppe volte non aveva avuto il coraggio.
Si sentiva oppressa e sconfitta da quel sentimento… ma ormai Tom doveva per forza provare qualcosa per lei, avevano un figlio!
“N-no..” sussurrò.
Si alzò dalla sediolina ed uscì fuori, senza la pozione. Ritrovò Tom seduto in Salotto, con in mano un pezzo di legno e un coltello enorme.
“Merope, tesoro… stai bene?” disse lui, guardandola entrare.
Lei rispose di sì, mentre come in ghiacciolo si scioglieva alle dolci parole di lui. Si lasciò dondolare dal fatto che, pozione o non pozione, Tom sarebbe rimasto per sempre l’ con lei.
“Cosa stai facendo?” disse lei sorridendo ed avvicinandosi.
Quando lo guardò negli occhi, Tom ebbe un sussulto, ma subito si riprese, accarezzandola in viso. “è la culla per il piccolo” disse, e di nuovo scosse la testa.
“Cosa hai?” chiese ancora lei.
“Non lo so… ho forse bisogno di dormire.. ho dormito poco, stanotte..” e scivolò via di lì, sempre più scosso.
Merope, d’altro canto, si lasciò scivolare pensierosa dove un attimo prima era seduto Tom.
Sicura, Merope, di quel che fai?” le sussurrò una voce che non aveva mai sentito. Spaventata, si alzò e un dolore fortissimo la colse alla pancia, come se il bambino volesse venir fuori.
“No.. no..!” quasi urlò lei.
Non funzionava, e non avrebbe funzionato. Tornò di sopra come un fulmine, prese un po’ della pozione che ancora rimaneva e tornò in camera da letto, dove Tom sembrava dormire abbastanza male… sudava freddo.
Merope si avvicinò lui, anche se si agitava e si dimenava, riuscì a sollevargli la testa quel tanto che bastava per fargli scivolare in bocca la pozione… incantò la fiala e proprio all’ultimo l’uomo, con uno scossone, girò la testa di lato e l’intero contenuto della pozione si rovesciò sul materasso. Il ragazzo spalancò gli occhi, un familiare e remoto odore di tulipani invase le sue narici, accompagnato con un altro odore, di donna… elegante…
“Ceci..sussurrò, ma si bloccò alla vista di quella cosa, che le era accanto.
Aveva gli occhi storti, un orribile taglio di capelli e per di più sembrava non reggersi bene in equilibrio dato l’enorme peso che portava in groppa. Aveva addosso dei laceri cenci, che a malapena le si reggevano in corpo.
Scosse la testa impaurita ed emise come un sibilo… Sul letto, Tom indietreggiò.
“Chi sei!” urlò, indicandola.
“A-amore” disse lei, con una vocina stridula e serpentina.
“Cosa?” chiese lui. Non ci stava capendo molto. “Dove sono? Dov’è Cecilia! L’ho sentita!” aggiunse.
“No, no.. Cecilia, no.. io, amore, io, Merope!La culla quella… tuo figlio!” disse lei, indicando un pezzo di legno ai piedi del letto. Piangeva.
Non è possibile, non ho davvero messo incinta questa qui.. pensò Tom, sconvolto.
“No, no, ti stai sbagliando, non sono io! Quello non è mio figlio!” disse, sempre più spaventato.
“Sì! Non ricordi
? Casa tua… nostra! Un anno fa!”continuò la ragazza.
Tom si sforzò di ricordare… in effetti non aveva ricordi di quasi.. un anno fa.. cosa era successo?
Ma piano piano cominciava a ricordare… di quella mattina assolata quando il suo cavallo scappò via, e una bruttissima ragazza aveva offerto lui…
“Mi hai…” cominciò, ma non trovò le parole giuste per continuare.
“Tom, oh Tom… bevi! Tu hai sete! Bevi!” e corse via, smettendo di piangere.
“Mi ha stregato… devo uscire di qui” sussurrò a sé stesso, sentendo lei che saliva qualche scala.
E quando Merope tornò, quel che trovò fu solo un letto disfatto. Un forte vento, nel frattempo, fece sbattere con forza il portone, e solo allora Merope si rese conto di quanto era stata sciocca a lasciare Tom lì da solo. Sapeva anzi.. avrebbe dovuto sapere…
Corse come una matta verso il portone, lo spalancò, e vide una figura lontana che scappava via, ogni tanto guardandosi indietro.
Strinse forte a sé la magica fiala e cominciò a correre, noncurante del peso che portava in grembo, noncurante dei cenci che indossava svolazzavano a destra e a manca.
“TOM! TOOM!” gridava come un’ossessa, senza mai fermarsi, cercando di raggiungere quel puntino che sempre di più si allontanava.
Sembravano essere passati mesi da quella maratona, ma ancora correva e correva, e urlava il suo nome senza mai stancarsi. Le lacrime uscivano libere dagli occhi, a bagnarle le gote, incurante del freddo pungente che le stavano ghiacciando. Cominciò a nevicare.
Le luci del paese si accesero, mentre lei continuava la forsennata corsa verso il nulla, ormai il puntino da seguire era del tutto sparito. Allungò una mano e afferrò il vento. Cadde a terra.

Quando si risvegliò, vide molte persone passarle accanto che la guardavano con disprezzo e ridevano di lei.
Si girò attorno, vide un mucchietto di neve che si stava accumulando e vi si buttò dentro, senza avvertire il minimo freddo. Ma aveva sete, perciò con le mani si aiutò a mangiare un po’ di quella rinfrescante neve, anche se non era molto pulita.
Il bambino sembrava non muoversi più, e al sol pensiero di avergli fatto del male di nuovo Merope cominciò a piangere.
Sola e disorientata, affamata… si sollevò da terra e cominciò a camminare alla cieca, senza sapere bene dove andare. Non ci vedeva bene, inoltre la luce accecante della neve le dava fastidio, aggiunta alle lacrime che la offuscavano ulteriormente..
“Tom..” sussurrò, sfinita, quando si appoggiò ad un cancello nero, sentì che era aperto.
L’insegna era spenta e un po’ storta, non riuscì bene a leggere… forse era un ospedale! Ma chi mai le avrebbe dato delle cure… decise di tentare lo stesso, spinta dalla troppa fame e dal freddo.
Salì barcollando su per un paio di gradini, ancora invocando il nome di Tom… forse la stava aspettando l’ all’ospedale?
Bussò con quel poco di forze che aveva e scivolò, ma qualcuno giusto in tempo la trattenne.
“Ohh, accidenti… PORTATELA DENTRO, FORZA! Questa ragazza è incinta.. e pure di parecchio, vedo!”disse una voce. Poi, una ragazza scarna e dal viso affilato, afferrò Merope sotto le ascelle e prese a trascinarla per un lungo corridoio.
“Che qualcuno la aiuti!” urlò di nuovo l’altra voce. Intorno a lei, varie grida di bimbi eccitati. Quando finalmente una seconda ed una terza persona intervennero attorno a lei, la alzarono e la caricarono su di una barella molto comoda.
“Stai tranquilla.. di quanti mesi?” chiese una a Merope.
Ul… ultimo.. ultimo” rispose Merope, quasi sibilando.
“è la nono mese… e.. OHH! Secondo me sta per partorire!” disse l’altra.
Tom..”
“Scusa, cosa hai detto?”continuò la ragazza, prima di sentire un urlo agghiacciante da parte della donna stesa e quasi priva di vita. Stava davvero per partorire.
Cosa facciamo!” urlò la ragazza scarna, mentre la testa di Merope, lentamente scivolò via dalla sua mano.
“Spero che… spero che somigli… somigli al suo papà..” sospirò, prima di chiudere gli occhi.
“è morta?”

Ma quando Merope rinvenne, circa un’ora dopo… aveva davanti a sé un bellissimo bimbo, dai capelli scurissimi uguali ai suoi occhi. Non sorrideva, né piangeva, ma si limitava a scrutare la madre come se volesse dirgli qualcosa, qualcosa di brutto e triste.
Lei lo prese tra le braccia e, quando meglio lo mise a fuoco, rivide lo sguardo di Tom tutte le volte che lui l’aveva abbracciata teneramente. Sorrise e pianse ancora, accarezzando maldestramente, con le pochissime forze che le rimanevano, la testolina di suo figlio, e del figlio dell’uomo che aveva amato così tanto e che, allo stesso tempo, l’aveva ridotta così. Sentiva che la vita, piano piano la stava abbandonando, ma a lei poco importava. Voleva dedicare le ultime energie al piccolo, per tenerlo stretto, fino al suo ultimo sospiro. E poi: “Tom” sibilò, e ancora e ancora invocò il nome di lui, piangendo e sorridendo.
Il rumore attorno a lei, gli sguardi puntati su di lei per l’ora che seguì erano spenti e lontani, di poco conto. C’era solo lei, col suo piccolo, su quella barella arrangiata.
“Dovrà chiamarsi… chiamarsi Tom, come suo papà.. e Orv.. Orvoloson, come suo nonno” sussurrò, mentre sentiva qualcuno affrettarsi a scrivere i nomi.
“Orvoloson? Sarà del circo?” qualcuno bisbigliò alle sue spalle.
“Riddle, il cognome. Vi prego. È importante.” Ecco, guardò di nuovo il piccolo Tom, era bellissimo. Qualcuno aveva esaudito il suo desiderio.
Si toccò con una mano in petto, poi il collo… dov’era il Medaglione? Frugò quindi nell’unica tasca lacera della tunica, ma l’unica cosa che trovò furono dei bottoni che tirò fuori: no, erano galeoni, qualcosa più di dieci. Ancora lacrime a rigarle il volto, mentre ricordava solo allora di aver venduto il Medaglione di suo padre ad un signore, per qualche galeone per mangiare qualcosa. Sospirò.
E, l’ultima cosa che quegli occhi stanchi videro… furono altri due occhi, dei capelli neri e un po’ mossi, ed un sorriso splendente, come un sogno che, tanti mesi fa, l’aveva addolcita e cullata durante l’ultima notte nel tugurio dei Gaunt.

   
 
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