Grazie Ladyhawke
per aver riesumato zia Muriel.
Grazie Rowena
per aver betato la storia.
I SEI PUNTI
FONDAMENTALI
Era quasi un anno che
Molly scrutava Bill con aria sospetta. Non era più lui, in un certo senso lo
trovava cambiato.
Subito aveva pensato al
fattore lontananza, ma dopo giorni di riflessioni lo aveva scartato.
No! Lui era cambiato dopo essere tornato dall’Egitto.
Se qualcuno le avesse
chiesto, però, in cosa, non avrebbe saputo rispondere.
Bill era il ragazzo
premuroso e gentile di sempre: non si tirava mai indietro se c’era un lavoro da
fare, rispondeva sempre “Sì!”, era responsabile e si comportava davvero da
bravo fratello maggiore.
Eppure lo aveva trovato
più di una volta in situazioni bizzarre.
Il campanello d’allarme
arrivò un giorno di inizio settembre: i ragazzi erano già rientrati ad Hogwarts e Molly aveva notato che Bill era particolarmente
nervoso. Lì per lì aveva pensato fosse colpa della situazione: la guerra era in
pieno svolgimento, i maghi più illustri scomparivano da un giorno all’altro e
in giro per le strade la tensione si poteva toccare con la bacchetta. Ma, di
punto in bianco, l’inquietudine era passata e tutto sembrava essere tornato
nella norma, nemmeno Bill avesse avuto il ciclo.
La signora Weasley aveva liquidato il tutto con un’alzata di spalle,
ma una mattina, circa un mese dopo, era andata in bagno e scrutando fuori dalla
finestra lo aveva visto seduto in mezzo al prato davanti a casa; aveva indosso
solo una felpa di cotone, i Jeans e le calze. Non si era infilato nemmeno le ciabatte e la brina aveva bagnato
i suoi calzoni; il vento gelido gli scompigliava i capelli, che stranamente
erano sciolti, senza che lui battesse ciglio. A Molly bastò immaginarsi nella
stessa situazione per rabbrividire, eppure il ragazzo non si curava di nulla,
preso com’era a fissare il nulla davanti a sé.
Molto tempo dopo era
rientrato in casa, a dopo aver salutato distrattamente i genitori, si era
diretto in camera sua, sempre sotto lo sguardo vigile e indagatore di Molly,
che per una volta si era dimenticata di minacciare il figlio per via dei suoi
capelli troppo lunghi. Per tutta la giornata non si era fatto vivo e, alla
richiesta di spiegazioni, aveva risposto con un paio di “Mmmh”,
o “Ah-ha!”, senza aver assolutamente compreso la
quanto gli veniva chiesto.
Il “Nulla davanti a sé”
dell’esterno, probabilmente, si era trasferito sul soffitto della sua camera.
Quella cosa, qualunque essa fosse, sembrava particolarmente interessante, tanto
che Arthur, passando davanti alla camera del figlio, si era fermato e, dopo
essersi coricato di fianco a lui che non se ne era minimamente accorto, aveva
osservato per cinque minuti buoni il soffitto: dopo aver constatato che c’erano
solo travi e ragnatele con i relativi occupanti, uscì dalla stanza con un
sonoro “Bah!”
Bill, nel mentre, era
sempre rimasto disteso nella stessa posizione, immobile, con le braccia dietro
la nuca e una radice di liquirizia in
bocca, incurante del mondo.
Ebbene, anche Arthur, per
la gioia della sua consorte, se ne era convinto: c’era qualcosa che non andava.
Ma come fare a spiegarlo a
Bill? O a chiedere spiegazioni?
In fin dei conti, lui
lavorava tutto il giorno o per la Banca o per conto dell’Ordine della Fenice e,
quando rincasava, dava una mano a sua madre; era raro persino che uscisse dopo
cena.
Come c’era da aspettarsi, la conversazione che
tentarono di avere con il ragazzo non andò bene: dopo vari tentativi di
spiegargli il problema, senza successo, lui li aveva guardati entrambi, e
apparentemente scocciato, aveva ricordato loro che il discorso ape-fiore gli
era già stato spiegato al meglio via gufo, all’epoca della sua prima
fidanzatina, quindi si era nuovamente rinchiuso in camera sua, lasciando i
genitori a crogiolarsi nell’imbarazzo.
A ben pensarci, la
risposta di Bill non c’entrava assolutamente nulla con quanto detto dai suoi
genitori: la sua tattica di sviamento aveva funzionato alla perfezione.
Passò del tempo: la
situazione peggiorò subito dopo le vacanze di Natale, durante le quali Ginny si lamentò
almeno un paio di volte che il suo fratellone preferito era entrato nella sua
camera credendola la propria.
A cena, una sera come
tante altre, Arthur stava raccontando la sua giornata in ufficio parlando del
Ministro che era sempre più preoccupato, e degli Auror
che erano sempre più nervosi per come si stavano mettendo le cose. Ad esempio, Kingsley con Tonks: lui le aveva
fatto un appunto, una sciocchezza, e lei gli era quasi saltata alla gola.
“Anche io l’ho vista un
po’ stressata negli ultimi tempi”, aveva esordito Molly, prima che il marito
continuasse elencando nuovi provvedimenti, inutili, che sarebbero stati presi
per difendere la gente dai Mangiamorte.
A metà dell’elenco Bill si
era alzato per ritirarsi in camera sua sotto lo sguardo basito di Molly e di
Charlie, senza aver toccato cibo.
Dallo choc, la signora Weasley non era riuscita a dire nulla: aveva passato i
successivi minuti a fissare il piatto pieno di patate al forno, come se fosse
una vittima della guerra.
Il giorno seguente,
uguale. Piatto pieno.
“Bill, devi mangiare
qualcosa: guardati, stai dimagrendo!”
Il ragazzo, l’aveva
guardata con aria di chi capisce ma non ha alcuna intenzione di prestare
ascolto.
“Non mi va”, aveva
risposto, “Non ho fame.”
E quelle parole, per Molly
erano state come una pugnalata al petto; dopo di che, aveva iniziato ad
inseguirlo per tutta la casa, chiedendogli cosa non andasse, senza desistere
per diversi giorni. Finalmente, quando Bill riprese a mangiare, si mise l’anima
in pace.
Fortunatamente per lui, la
guerra stava entrando nel vivo e l’Ordine era coinvolto in scontri sempre più
violenti e pericolosi quindi Molly non si accorse di tutti i gufi che
giornalmente arrivavano a casa e che , per tutto il tempo libero, Bill rimaneva
chiuso nella sua stanza. Fu un periodo anche abbastanza calmo sotto il punto di
vista dei suoi comportamenti bizzarri.
La signora Weasley si risvegliò improvvisamente quando una domenica
pomeriggio, anziché rimanere in casa, Bill aveva deciso di uscire.
Panico.
La guerra era in corso, e
la sera c’era il coprifuoco, ma lui, al posto di starsene al sicuro in casa, usciva.
“Ma è proprio necessario che
tu esca?”
“Ho una vita anch’io e non
voglio stare rinchiuso qui per dar soddisfazione a Voldemort.”
Colpita e affondata. Era
sempre stata lei ad usare quelle parole, ma di norma i suoi figli facevano
l’esatto opposto di quello che diceva.
“Tranquilla, sarò a casa
per cena..”
E così fu.
Dopo svariate domande sul
dove era stato, perché, come, e soprattutto con chi, alle quali non aveva
ottenuto risposta, la sera, Molly vide il figlio bere da un bicchiere e
contemporaneamente, Charlie piegarsi dal ridere sulla sua sedia.
Il bicchiere era vuoto.
Tutti cercarono di non
dare peso alla cosa, ma quando, pochi giorni dopo Bill diede a Molly quattro
risposte diverse, nel giro di pochi minuti, ad una domanda banale come: “A che
ora torni?”, la signora Weasley non poté fare finta
di nulla ancora una volta.
Rimasta da sola in casa e
assicuratasi che figli e marito fossero arrivati tutti sani e salvi al lavoro,
grazie a quel suo strano orologio, si prese dieci minuti per pensare alla
situazione.
Inutile dire che non ne
venne a capo. In un momento normale avrebbe già risolto questo dilemma da
tempo, anzi, probabilmente non sarebbe stato nemmeno un problema per lei, ma,
con la guerra in atto, pensare anche ad altre cose era molto difficile.
Il periodo tanto atteso
era arrivato! Colui che non deve essere nomiato era
morto!
Harry aveva sconfitto Voldemort, quasi tutti i Mangiamorte
erano stati arrestati e portati ad Azkaban.
Ormai, da quella battaglia
era passato più di un mese e la vita, finalmente, scorreva serena e tranquilla.
O almeno così credeva Molly…
Veramente lo credeva anche
Bill, tanto che si era tranquillamente coricato su una sdraio a sonnecchiare
mentre sua madre, seduta lì vicino, travasava alcune piante.
“Allora”, iniziò Molly,
quando vide che il ragazzo era intontito dal sonno e dal calore del sole al
punto giusto, “Hai niente da dirmi?”
Bill scosse la testa.
“Sicuro?”, continuò la
donna con tono pacato. Questa volta aveva avuto tempo di riflettere, era più
lucida e tutti i tasselli si erano infilati al loro posto con una facilità
incredibile.
“Sicuro”, rispose il
ragazzo in modo svogliato.
Molly sogghignò, ma Bill
non poté notarlo; lasciò passare giusto un paio di minuti, non troppi, non
pochi. Infine, tornò all’attacco.
“E con la tua ragazza,
come va?”
“Bene.”
Panico. C’erano trenta
gradi quel giorno, ma Bill stava comunque sudando freddo. E molto.
Cercò di fare
l’indifferente: in fondo era normale che sua madre notasse certe cose, ma non
vi riuscì, così pensò di optare per il classico -Nega, nega a qualunque costo.-
“Allora, non mi dici
nulla?”, infierì la donna.
“Cosa vuoi sapere?” Per
non essere torturato ulteriormente, abbandonò il suo piano, rassegnato.
“In primo luogo, perché
non mi hai detto nulla. Ci ho pensato, e credo che la cosa vada avanti da un
bel po’.”
Già, ormai era quasi un anno…
“Scusa. So che avrei
dovuto dirtelo, ma con la guerra in corso non volevo darvi ulteriori pensieri.
So quanto sei apprensiva, e dirtelo avrebbe significato aggiungere una persona
alle tue preoccupazioni.”
Era la verità. E
soprattutto per questo motivo la sua ragazza aveva acconsentito a non dire
nulla.
“Ma adesso la guerra è finita…”, incalzò la donna un po’ offesa.
“Lo so, e infatti avevo in
programma di dirtelo. Adesso non sarebbe un buon momento, ma se vuoi, una sera
la porto qui.”
“Se voglio?”, urlò Molly.
“Certo che voglio! Come mai non è un buon momento?”, chiese poi con un tono più
controllato e curioso.
“Sai, ci stiamo
assestando. Per colpa di quanto successo non abbiamo potuto avere un vero e
proprio rapporto, così stiamo cercando di recuperare. E vogliamo vedere come
andranno le cose.”
Il tono con cui lo aveva
detto a Molly era parso strano, ma non vi aveva fatto caso più di tanto. Guardò
il figlio e sorrise.
“Non mi dici com’è? Il
nome? Nulla?”
Bill scosse la testa.
“Nulla. Non voglio
rovinarvi la sorpresa, se così la si può definire.”
Molly sbuffò. “E va bene,
aspetterò. Ma ti do poco tempo per portarla a casa!”, lo ammonì.
“Posso chiederti come hai
fatto?”
La donna si alzò e fece
due passi verso casa. “Segreti di madre.”
In realtà, le era riuscito
piuttosto facile: le era bastato ricordarsi dei Sei punti fondamentali che le aveva insegnato Zia Muriel. Non avevano funzionato una sola volta, erano
completamente sconclusionati e senza senso, ma in quel caso le erano stati
molto utili.
Bill era passato da un
nervosismo iniziale, sintomo secondo Muriel di pre primo appuntamento, ad una dimensione ultraterrena
tutta sua. Ergo, l’appuntamento era andato bene.
Poi c’era stato il periodo
di panico, durante il quale non aveva mangiato: primo litigio. Anche quello,
superato.
Infine, c’era stato un
momento di sbandamento finale, durante il quale Bill era più distratto del
solito, tanto da essere stato paragonato a Ninfadora.
Ma per quel punto, non c’era da preoccuparsi: significava che stava andando
tutto secondo i piani.
Molly si sedette in cucina
ripercorrendo i passi del suo ragionamento. A conti fatti, i punti toccati
erano cinque: pre primo appuntamento; primo
appuntamento superato; fase di transizione distratta; primo litigio; seconda
fase di transizione.
Ne mancava uno. Non aveva
idea di quale fosse, non lo ricordava, ma molto probabilmente lo avrebbe
scoperto con il tempo.
Con la bacchetta la
signora Weasley accese l’acqua sotto al calderone
ridacchiando tra sé e sé.
Mai e poi mai avrebbe
immaginato che quei sei inutili e balzani punti fondamentali di Muriel le sarebbero tornati utili.
Tutte le volte che Bill
entrava in cucina, Molly gli lanciava occhiate significative e a volte non si
limitava solo a quelle.
“Allora? Quando?”
E matematicamente, tutte
le volte, Arthur rideva sotto i baffi nascondendo la testa dietro alla Gazzetta
del profeta, che non mancava mai di portarsi appresso.
Negli ultimi giorni, però,
il ragazzo sembrava essere ritornato in quella sua dimensione ultraterrena: non
capiva nulla di quello che gli veniva detto e più il tempo passava più era
facile trovarlo sul pero piuttosto che in terra. L’apice fu quando divenne anche
nervoso.
In un tranquillo, ma non
per tutti, dopocena alla Tana si levò un urlo.
“Bill!”
Il ragazzo, perso in
chissà quali pensieri era uscito dal bagno, dopo aver fatto la doccia, con solo
un asciugamano avvolto intorno alla spalle.
Accortosi di quanto aveva
appena fatto era corso nella sua stanza. Adesso, oltre a quel problema, aveva
anche traumatizzato una povera e forse non tanto innocente sorella minore.
Prima di riuscire ad
andare fuori e Smaterializzarsi ne luogo del suo appuntamento, quella sera,
Bill dovette rientrare in casa per ben quattro volte: in primis si era
dimenticato il mantello, poi si era accorto di non avere la bacchetta.
Rientrato in casa era uscito con la bacchetta, ma si era tolto il mantello,
così era dovuto tornare indietro a recuperarlo. L’ultima volta non si era
scordato nulla, ma aveva comunque voluto esserne sicuro.
Molly sorrise e scambiò
un’occhiata eloquente con Arthur: forse quella sera sarebbe stata la volta
buona!
Invece no. I progetti di
Bill per la serata erano molto, molto diversi.
Quella povera ragazza era
in preda alle convulsioni, non riusciva a smettere di ridere.
“Tu, hai fatto cosa?”,
chiese, cercando di contenersi. Alcune lacrime le rigavano le guance.
Appena la crisi mista di
isterismo e felicità si placò leggermente, lei rimase con le braccia intorno al
collo di Bill, in silenzio.
“Allora?”, la esortò lui.
“Ti sposo solo se uscirai
dal bagno, nudo, solo per me, in futuro.” Rise nuovamente, più per la gioia che
per l’aneddoto in sé.
“Prometto che lo farò solo
per te”, rispose facendola scostare leggermente, in modo da poterla guardare
negli occhi, ma lei chiuse nuovamente la distanza che c’era tra loro con un
bacio.
La mattina seguente, Bill
quasi saltava per la casa e, non appena incontrò sua madre, le disse che a
giorni avrebbe conosciuto la sua ragazza.
Visto che le giornate
estive lo consentivano Molly, dopo cena, era solita sistemarsi in giardino per
godersi la brezza estiva e dopo le parole del figlio, aveva avuto un motivo in
più per scrutare l’orizzonte.
Una sera la sua pazienza
fu premiata, una persona si era Materializzata alla Tana, ma con sua grande
delusione risultò essere Tonks e non la ragazza di
Bill. Era stata proprio Molly a dirle di passare a trovarla e adesso se ne era
quasi pentita.
I quattro rimasero a
parlare un po’ sotto al portico, e a Molly non sfuggì che la ragazza era
stranamente nervosa. Bill, alzandosi improvvisamente dalla sedia, si offrì di
andare in cucina a prendere da bere per tutti e la ragazza lo seguì, con la
scusa di aiutarlo.
“Allora? Pensi che sia il
momento buono?”, chiese entrando.
“Credo di sì… devo solo riuscirci.”
“Una cosa da nulla, vero?”
Bill prese i bicchieri
dalla credenza proprio mentre Molly entrava in cucina e li passò a Tonks, che a sua volta li ripose ordinatamente su un
vassoio. Come vide la madre a Bill cadde un bicchiere di mano che si andò ad
infrangere sul pavimento, provocando una strana reazione in Tonks
che però si limitò a riparare il malcapitato con un colpo di bacchetta.
Due più due, più due, a
Molly fu tutto improvvisamente chiaro: rimase di sasso.
Sclero di Bill, più apparizione di Tonks,
cucina, loro due insieme e lei che non combinava disastri, mentre lui sì.
Tutto ciò bastò a far
quadrare i conti: la donna sbiancò e iniziò a balbettare parole incomprensibili
fino a che il ragazzo, preoccupato, la
fece sedere.
“Tu!”, riuscì a dire,
infine la donna indicando Tonks, che capì.
“Già, io”, rise la
ragazza, felice che Molly ci fosse arrivata da sola; prese nervosamente tra le
dita una ciocca di capelli rosa, mostrando involontariamente un brillantino
sull’anulare sinistro, tenuto saldo da un cerchietto d’argento: in poche
parole, un anello.
Improvvisamente, Molly si
ricordò del punto sei di Zia Muriel e svenne:
matrimonio.