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Autore: ChiiCat92    15/08/2013    1 recensioni
"- Bene Sora, hai appena ottenuto un buono per una cerimonia di benvenuto offerta dalla Vanitas Incorporated. - Riku e il biondo ridacchiarono sommessamente, scuotendo la testa - In realtà, dovrei essere io a ringraziarti, sai? Mi stavo annoiando, e sono mesi che non vediamo una matricola. Sembra che il destino ti abbia voluto portare da me. - Vanitas poggiò le mani sulle spalle di Sora, e si abbassò un poco, in modo che i loro occhi fossero allo stesso livello - Nessuno ti ha accolto nel giusto modo, vero? -" dal cap. 1
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è la prima FF che scrivo su KH, volevo un po' sperimentare!
mi sono chiesta cosa succederebbe se i personaggi di KH fossero studenti di un istituto prestigioso...e questo è il risultato!
Il raiting in alcuni capitoli oscilla verso l'arancione con sfumature di rosso, cercherò di avvertire prima nel qual caso dovesse succedere.
probabilmente la pubblicazione sarà settimanale, il giovedì :3
leggete e, se vi va, lasciatemi un commento!
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Nessun gioco
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Attenzione:
In questo capitolo sono presenti parole contrassegnate con un asterisco, perché sono parole di cui non viene spiegato il significato nel corso della storia; a piè pagine troverete le spiegazioni!


6

Il Bolide Fellone

 

- Mi dispiace non poter rimanere a farti compagnia... -

- Tranquillo! Troverò qualcosa da fare! -

Ventus guardò Sora di sottecchi.

Così sorridente, così sereno, così brillante, come un diamante puro e lucido.

Il suo calore provò a riscaldare il suo petto, e in qualche strano modo vi riuscì.

- Se non avessi il torneo di scacchi, rimarrei con te a studiare... -

Incalzò il biondo, con l'espressione contrita.

- Uffa, ancora? Va bene così! Mi farò un giro...e poi è probabile che io abbia bisogno di un po' di tempo extra per trovare la biblioteca. -

Camminavano lungo il viale alberato che portava alla stazione.

Il sole era alto nel cielo, e brillava come fosse una giornata d'estate.

Sora rimpianse il suono del mare, il fresco dell'acqua, l'andirivieni delle onde, e la sensazione della sabbia tra le dita.

A quell'ora, i suoi amici sull'isola stavano sicuramente correndo sulla spiaggia, liberi dopo una giornata di scuola, godendosi gli ultimi sprazzi di calura estiva.

Wakka di certo si era messo a giocare con il suo inseparabile pallone, asfissiando gli altri perché facessero qualche palleggio con lui.

Avrebbero pranzato con un gelato, e poi sarebbero tornati a casa per studiare per il giorno dopo, senza troppo entusiasmo: con il caldo, non era facile concentrarsi.

Forse la sera si sarebbero visti per guardare le stelle, lamentandosi del fatto che le vacanze estive erano finite troppo in fretta.

Ma poi, con il rumore del mare sempre nelle orecchie e la sua presenza agli angoli degli occhi, potevano finire davvero?

Avrebbero parlato di lui, mentre aguzzavano la vista per intercettare qualche lasciva stella cadente?

O si erano già dimenticati della sua presenza, cancellata dalle onde come una scritta sulla sabbia?

- Sora? - il suo vagabondare smarrito fu interrotto dallo sguardo preoccupato di Ventus. Sora si grattò la testa, ridacchiando imbarazzato. - Dove te n'eri andato? Sembravi in viaggio per un altro mondo! -

- In un certo senso... - biascicò lui, con le guance leggermente arrossate - ...pensavo alla mia isola, e ai miei amici. A quello che staranno facendo adesso...senza di me. -

Mise il broncio.

A Ventus quell'espressione triste spezzò il cuore.

- Eravate...molto uniti? -

Sora sospirò.

- Sì...passavamo insieme praticamente tutte le nostre giornate, d'estate e d'inverno...ci conosciamo da quando eravamo bambini... - per un attimo, un fugace attimo, Ventus fu geloso di quegli amici di cui non conosceva i nomi e i volti. Fu geloso di loro che avevano visto Sora crescere, e che avevano potuto condividere la vita con lui, sin da quando era cominciata. Fu geloso perché non c'era nei suoi ricordi, e non l'avrebbe mai visto e sentito parlare così di lui, con quella nostalgia, con quel tono di voce, con quegli occhi che guardavano lontano. - Però, sono contento di essermi trasferito. Altrimenti non avrei conosciuto te. - Sora gli rivolse il più dolce dei sorrisi, e la gelosia di Ventus si trasformò in vergogna, che pesante come un macigno gli scivolò sul cuore - Di' un po', dov'è che fai questo torneo di scacchi? -

Continuò il bruno, visto che Ventus si era ammutolito di colpo e aveva assunto una strana espressione.

- Uh...al Monte Olimpo. Organizzano sempre dei tornei. -

- Wow, ma allora è una cosa seria! Non sono quei tornei super selettivi dove si vincono munny e cose del genere? -

Il biondo gli lanciò un'occhiata di sottecchi.

Sembrava davvero sbalordito, genuinamente sorpreso.

Il suo entusiasmo lo fece sorridere.

- Sì, quelli. Una cosa da secchioni per un secchione no? -

Sora incrociò le braccia dietro le testa.

- Mmm io non penso che tu sia un secchione. Sei intelligente! Io non potrei fare neanche la metà delle cose che fai tu... -

- Naa...potresti invece! - la risposta di Sora fu uno sbuffo divertito. Di certo, non si immaginava a giocare a scacchi in un torneo internazionale. - Facciamo così, t'insegno a giocare un giorno di questi, ok? -

- Va bene, ma non farmi vincere. -

Ventus rise.

- No, non lo farò! -

Arrivarono alla stazione.

C'era poco via vai. Ormai, tutti quelli che potevano tornare a casa l'avevano fatto.

A scuola rimanevano solo i membri dei club, e chi voleva approfittare della biblioteca per studiare.

Un ultimo treno era in partenza per Traverse Town. Ventus doveva prendere una coincidenza in città, per andare al Monte Olimpo.

Si avvicinarono al binario, camminando fianco a fianco in silenzio.

A Sora piaceva anche la sua silenziosa compagnia. Non c'era bisogno che riempisse i vuoti con parole inutili. Non si sentiva per niente a disagio.

Arrivati al treno, Ventus indugiò sul primo gradino per salire sulla carrozza. Si volse indietro appena un attimo.

- La prossima volta, ti aiuto a studiare, davvero. -

Sora gli diede una piccola spinta.

- Vai su! Smettila di dirlo e vinci il torneo piuttosto! -

- E fino alle cinque che farai? -

- Riorganizzerò le idee, farò un giro, scoprirò le potenzialità nascoste della scuola... -

Elencò Sora, contando sulle dita.

- Ti annoierai a morte... -

Aggiunse Ventus, con lo stesso tono.

- Quanto si vince a questo torneo? -

- Non cambiare argomento! -

- Eddai! -

Il biondo alzò gli occhi al cielo, con un sorriso.

- Mille munny. -

Sora quasi si affogò con la saliva.

- Mille?! Mitico! E che cosa ci comprerai?! -

- Lo dici come se fosse scontato che vincerò. -

- Infatti, lo è. - asserì Sora, annuendo serio - Allora, che ci compri? -

- Mmm... - Ventus ci pensò su un attimo - ...penso che li metterò da parte per l'Università... - lo sguardo sgranato di Sora lo fece sorridere - Ho detto una cosa da secchione, vero? -

- Giusto un po'. - i due si guardarono in faccia e scoppiarono a ridere. Il capotreno mandò un fischio, annunciando ai passeggeri e al macchinista che il treno era in partenza. - Ciao Vi-chan*, in bocca al lupo! -

Ventus sentì un piacevole pizzicore sul fondo dello stomaco.

- Nessuno mi aveva mai chiamato Vi-chan! -

La porta della locomotiva si chiuse in faccia al biondo quando ancora non aveva finito di parlare.

- Io posso? -

Il rumore dello sferragliare del treno coprì la voce di Sora.

- Cosa?! -

Urlò Ventus da dentro il vagone, la voce attutita dal vetro.

- Io posso?! -

Il treno cominciò a muoversi sui binari, prendendo lentamente velocità.

- Non ti sento! -

- IOOOOO POOOOOOOOSSOOOO?! -

Sbraitò Sora, con le mani a coppa davanti alla bocca.

Ventus rise di cuore.

- Sìììììììì!!! -

Il bruno sventolò le mani finché il treno non fu più in vista.

Gli venne da ridere quando si rese conto di aver appena offerto al capotreno quella che sarebbe potuta essere la scena di un film.

Però non se ne vergognava, anzi.

Pensò a Ventus e al suo sorriso con piacevolezza.

Mentre usciva dalla stazione, non riusciva a non tenere le labbra tese verso l'alto.

Tutti i pensieri nostalgici che l'avevano preso non avevano più importanza, anzi, sembravano essere finiti nel dimenticatoio.

I giorni passati sulle Isole del Destino erano un lontano ricordo, che forse appartenevano a qualcun altro.

Tornò sul viale, fischiettando allegro.

C'era ancora tempo, e non aveva molta voglia di infilarsi in biblioteca e cominciare a studiare per conto suo.

Il suo lato indolente e pigro cominciava a prendere il sopravvento su quello spaventato e umiliato che aveva regnato indiscusso per tutta la giornata.

Voleva dare un'occhiata in giro.

Sapeva che la scuola aveva una cittadella sportiva con due piscine, una coperta e una scoperta, un campo per la corsa campestre e uno da calcetto. C'era anche una grande palestra, con gratinate in grado di contenere buona parte degli studenti durante le manifestazioni sportive nel caso il tempo non fosse buono abbastanza per stare fuori. Da qualche parte doveva esserci anche il campo da pallavolo all'aperto.

Visto che era una bella giornata, era probabile che il club di pallavolo di Kairi stesse giocando all'esterno.

Non voleva sembrare uno stalker, e finire per spiarla. Quindi allontanò con tutte le sue forze il desiderio pulsante di vederla.

"Chissà dov'è il campo di calcetto...” finì col chiedersi, giusto per allontanare il pensiero da Kairi.

Vagò per un po', all'ombra della scuola, che sembrava volerlo sovrastare.

Il suo sguardo finì sulla finestra dell'ufficio del Superiore, e gli venne un brivido.

 

Fece il giro del plesso, e scoprì che la famosa cittadella sportiva dava bello sfoggio di sé sul retro.

C'era un enorme spiazzo, che doveva fungere da parco gioco per la ricreazione dei bambini della scuola materna, con scivoli, giostre, animali a molla, e strutture per arrampicarsi.

Subito oltre, delimitato da una serie di gratinate di legno, c'era il campo da calcetto, fervente di attività.

Due squadre da cinque elementi si stavano affrontando in quella che sembrava una partita di allenamento.

I capitani delle sue squadre avevano fasce colorate al braccio destro per distinguersi meglio dagli altri giocatori.

Si erano divisi le maglie, rosse e blu, mentre i capitani tenevano sul braccio una fascia nera e una bianca.

Sora si sedette sul primo scalino della gratinata, con la faccia tra le mani, guardandoli giocare.

Erano piuttosto esagitati, per essere in allenamento. Giocavano come se fosse una cosa seria.

Il capitano con la fascia nera (che era a capo dei blu) urlava ordini a destra e a manca ai suoi quattro compagni senza riscuotere molto successo: facevano quello che gli pareva, passandosi la palla andando contro i suoi suggerimenti. D'altronde c'era anche da aspettarselo, visto che quello che diceva il 99% delle volte era una contraddizione con quello che aveva detto un attimo prima.

Era un ragazzo magro e alto, con capelli biondo scuro rasati ai lati della testa e pettinati a spazzola, verso l'alto, al centro, con tre ciuffetti spettinati che gli scendevano sulla fronte. Sopracciglia sottili erano disegnate sopra occhi color verde lime, grandi e monelli, come quelli di un bambino.

Non c'era modo di convincere i ragazzi a cooperare e coordinarsi con quello che diceva, e lui sembrò accorgersene solo quando subirono l'ennesimo goal da parte dell'altra squadra.

Il ragazzo si arrabbiò moltissimo. Pestò i piedi per terra e strillò che non era possibile giocare in quel modo, e che dava forfait.

- Smettila di fare il rotto in culo, se non riesci a fare il capitano non è colpa loro! -

Lo apostrofò uno dei giocatori dell'altra squadra.

- Rotto in culo a chi? Vieni a dirmelo in faccia, frocio del cazzo! -

Strillò in risposta il biondo, avvicinandosi con un'espressione pericolosa al ragazzo che aveva parlato.

Si sentì un fischio, e un omone dinoccolato si infilò tra i due, afferrandoli per la collottola.

- La vogliamo smettere? - fece l'uomo. Nella tuta da ginnastica nera che indossava sembrava trasandato, ma il suo corpo allenato diceva tutt'altro; parlava di lunghe giornate passate in palestra, e ore di sudore e stanchezza. Il volto era duro, sfregiata sul lato sinistro da una cicatrice, che attraversava tutto lo zigomo fino alla base del naso. Sull'occhio destro teneva una benda nera, mentre l'altro era una perla ambrata di pericolosa brillantezza. I capelli neri come la notte erano legati in una coda, che raccoglieva anche i ciuffi bianchi che partivano dall'attaccatura della fronte. - Vi state comportando tutti e due come dei rotti in culo, smettetela o non vi aiuto più negli allenamenti. - i due ragazzi si zittirono immediatamente. L'occhio buono dell'uomo sondò li sondò entrambi, come se si aspettasse che dicessero la parola che sarebbe diventata la goccia che fa traboccare il vaso. - Demyx - si volse verso il biondino - il tuo problema è che non sai cosa devi dire ai tuoi compagni di squadra, fai tutto come se potessero leggerti nel pensiero, e poi cambi strategia troppo velocemente! Scegli una linea di gioco e seguila, cazzo! -

- Va bene. -

Sbottò il biondo, Demyx, nero in volto come lo sarebbe un bambino a cui sono state tolte le caramelle.

- Forza, giocate. -

L'uomo infilò il fischietto tra le labbra sottili. Aspettò che i due capitani si mettessero l'uno di fronte all'altro, palla al centro, prima di fischiare; e la partita ricominciò.

Sora rimase a guardare l'omaccione guercio.

Doveva essere l'allenatore della squadra, o qualcosa del genere.

Metteva paura con quell'unico occhio dall'iride brillante. Sembrava un cecchino pronto a sparare.

Fissava tutto con sguardo famelico, senza farsi sfuggire niente.

I ragazzi apparentemente si autogestivano, ma bastava far cadere lo sguardo sull'uomo per accorgersi che era lui a dirigerli, senza bisogno di dire una sola parola.

Sora si chiese come mai non si fosse accorto prima della sua presenza. Forse era perché rimaneva in disparte dall'altra parte del campo, seduto in panchina, a monitorare la situazione.

Era affascinante e terrificante al tempo stesso.

Dal modo in cui parlava, si capiva che aveva un rapporto informale con i ragazzi; doveva seguirli da molto tempo, e conoscerli abbastanza bene da permettersi un linguaggio sboccato.

Ma non era da escludersi, viste anche le sue apparenze, che fosse semplicemente un aspetto del suo carattere.

- Attento! -

Sora non sentì l'urlo, impegnato com'era a fissare il guercio.

Però, sentì benissimo l'impatto del cuoio sulla sua faccia e il dolore che partì dal naso e si espanse come una fiammata fino agli occhi che immediatamente lacrimarono.

Il colpo lo fece rinculare indietro, mentre il pallone da calcio di cuoio rimbalzò lontano, e lui cadde riverso sulla schiena.

La vista gli si oscurò, i suoni si fecero ovattati.

- Oh cristo, l'hai preso in pieno! -

Disse una voce incorporea.

- L'ho avvertito, non è colpa mia! -

- Toglietevi di mezzo! -

Quella era la voce dell'uomo guercio, di sicuro. Anche se Sora non avrebbe potuto dirlo.

Batté le palpebre diverse volte, cercando di mettere a fuoco le figure slavate che aveva di fronte.

Il viso del guercio fu la prima cosa che gli riuscì di vedere quando finalmente i suoi occhi tornarono a funzionare.

Al suo fianco sinistro, un ragazzo dalla scombinata capigliatura rossa lo fissava, preoccupato. Aveva due occhioni color smeraldo, contornati sopra e sotto da un filo di eye-liner vinaccia. Aveva due triangolini rovesciati, dello stesso colore dell'eye-liner, tatuati sulle guance, e la più preoccupata delle espressioni dipinta sul volto sottile dalla carnagione pallida, sbarbato, dal naso lungo e le labbra carnose.

- Ehi, ci sei? -

Lo chiamò il guercio.

Sora sbatté ancora le ciglia, e fissò le due iridi cerulee su di lui.

- Sì...ci sono. -

Rispose.

Qualcuno lo aiutò a mettersi seduto (non capì se fosse stato il rosso o il guercio), e si ritrovò al centro di un cerchio di ragazzi che lo fissavano.

- Bene, tirati su, ce la fai? - continuò l'omaccione. Senza aspettarsi una risposta lo tirò su per un braccio, e lo mise in piedi a forza. Qualcosa di liquido cominciò a scendergli giù dal naso. Sora osservò le goccioline rosse che cadevano sulla camicia di Ventus. Per un attimo pensò che lui si sarebbe arrabbiato, e che sarebbe stato difficile far venir via quelle macchie. Poi la testa cominciò a girargli, e le gambe gli cedettero. - Oh, oh, oh. - due braccia grosse lo ressero, per evitargli una dolorosa caduta - No, non ce la fai. Axel, Demyx, portartelo in infermeria. -

- Noooo perché io! -

Piagnucolò il biondo Demyx.

- Perché ho deciso così, forza. -

Urlò il guercio, e Demyx rabbrividì per il pericoloso tono di voce che aveva usato.

Il rosso dalla strana pettinatura lo afferrò per un braccio, mentre il biondo si portò all'altro fianco.

Se lo caricarono praticamente sulle spalle, visto che non riusciva a reggersi in piedi.

- Ma che cacchio hai combinato, l'hai tramortito. -

Fece Demyx sottovoce.

- Non era un calcio così forte! -

Ribatté lui, come a volersi giustificare.

- No, certo. Era una cannonata. Dritta in faccia al ragazzino. -

- Sora... -

Biascicò l'interessato, che anche se semi-incosciente riusciva ancora a capire che stavano parlando di lui.

- Sora. - ribadì il rosso - Mi dispiace di averti colpito...non miravo di certo a te. -

- No, tu non miri mai, hai la stessa precisione nei lanci di un topo cieco. Però è capo cannoniere, ci crederesti? -

Borbottò Demyx, tutto imbronciato come un bambino.

- Penso di farcela, adesso. -

Fece Sora ad un tratto, più o meno quando si accorse che lo stavano portando come un sacco di patate; non voleva essere di peso a nessuno, neanche dopo aver ricevuto una pallonata in piena faccia.

I due ragazzi lo lasciarono nello stesso istante.

- Tieni, prima di morire dissanguato. -

Il rosso gli porse un fazzoletto, e Sora se lo portò subito al naso.

Ormai la camicia era irrimediabilmente macchiata di sangue.

Ora che era più lucido, Sora si chiese come avrebbe fatto a giustificare il tutto a sua madre. Forse, se avesse chiuso la giacca della divisa...non se ne sarebbe accorta. Ma poi chi gliel'avrebbe lavata? Doveva restituirla a Ventus!

Si chiese anche come mai si stesse facendo tanti problemi, visto che il più grosso era che poteva avere il naso rotto, se considerava il dolore atroce che sentiva.

- Mi dispiace, mi dispiace davvero. - fece il rosso, e sembrava dispiaciuto sul serio - Ti fa male? -

- Un po'. -

La voce di Sora era attutita dal fazzoletto, e leggermente nasale.

- Fa' un po' vedere. - chiese il biondo. Sora allontanò il fazzoletto. Il naso cominciava a tumefarsi, e si era gonfiato. Tutto il viso, in generale, era arrossato, e incrostato di sangue. - Ahi, non ha un bell'aspetto. -

Il rosso gli diede una spallata, e riempì il campo visivo di Sora, per accertarsene di persona.

In effetti, non aveva davvero un bell'aspetto. Come non lo avevano gli occhioni blu del ragazzino, resi giganteschi dal dolore, e lucidi dalle lacrime.

- Merda! -

Sbottò il rosso. Si passò una mano sul volto, disperato.

- Ora gli passa. - fece il biondo, con un gesto pigro della mano - A proposito, io sono Demyx, e lui è Axel, ma puoi chiamarlo “quello-che-mi-ha-fracassato-il-naso”. -

Per qualche ragione, Sora provò a fare un sorrisetto, anche se una fitta di dolore lo trasformò in una smorfia.

- Demyx ti ammazzo! - lo apostrofò Axel, che minacciò l'amico con un pugno alzato. Lui si portò indietro, proteggendosi il volto con entrambe le braccia. Il rosso alzò gli occhi al cielo, disperato. Poi cambiò tono, e atteggiamento, e si rivolse a Sora con gentilezza. - Adesso andiamo in infermeria, va bene? Ti rimetteranno a nuovo. - Lui si limitò ad annuire.


Note

*Vi-Chan:
il chan utilizzato come vezzeggiativo, propriamente verso i bambini con i quali nel linguaggio occidentale corrisponderebbe all'appellativo "piccolo/a" o ad un diminutivo (es. Carletta, Luigino). Può però (ed è diffusissimo in tal senso) essere utilizzato anche fra persone adolescenti o adulte e in questi casi indica forte amicizia e confidenza, come per esempio fra amiche di scuola, ma può indicare anche affettuosità e un certo grado di intimità, come fra coppie o fra parenti più grandi verso parenti più piccoli (es. la madre al figlio). Generalmente si utilizza più spesso e con connotazioni meno strette fra ragazze, mentre se usato da un ragazzo per rivolgersi ad una ragazza non parente è più probabile che indichi che vi sia un rapporto particolare fra i due (es. fidanzati o amici d'infanzia), altrimenti i ragazzi chiamano le ragazze (per esempio le compagne di scuola) con il cognome seguito dal -san, ed anch'esse chiameranno i maschi per cognome (spesso con il -kun), mentre è comune chiamarsi per nome fra persone dello stesso sesso. Fra amici maschi è più raro e ha prevalentemente sfumature scherzose o ironiche o deriva da una lunga amicizia. Rivolto ad un uomo può però anche risultare offensivo. Utilizzare -chan con persone adulte che si conosce appena può essere visto come scortesia. Viene utilizzato anche per gli animali domestici. Il -chan può essere usato anche dopo un'abbreviazione del nome.
In questo caso, Sora utilizza il -chan abbreviando il nome di Ventus, come faremmo chiamando "Elisabetta" "Eli", o "Alberto" "Al" e via dicendo.

Un grazie speciale a:
_Mango_, _NekoRoxyChan_ e Hiryu Highwind per le recensioni, e a tutti coloro che hanno inserito questa storia tra le seguite/preferite/ricordate!

The Corner

Ciao di nuovo!
siete arrivati fino a qui?
braaaaaavi!
povero Sora, gliene andasse una giusta! una!
sembra che la sfiga si sia aggrappata al piccoletto, e che non abbia intenzione di lasciarlo andare!
almeno, ogni tanto, trova qualcuno di buono che lo aiuta!
coooooomunque, avvertimenti per la prossima settimana:
la pubblicazione avverrà regolarmente giovedì prossimo, 22 Agosto!
un bacio a tutti :)

Chii

   
 
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