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Autore: Fink    15/08/2013    2 recensioni
Leroy Jethro Gibbs e Jennifer Shepard due agenti sotto copertura. Dal loro primo incontro alla fine, prima che lei diventasse direttore.
Incuriositi?
(Il primo capitolo sarà solo eplicativo dell'argomeno).
Il titolo è preso in prestito dal film del 1973 diretto da Sydney Pollak, con Robert Redford e Barbara Streisand.
L'aggiornamento alla storia è momentaneamente sospeso, riprenderà appena possibile.
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Jennifer Shepard, Leroy Jethro Gibbs
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
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Disclaimer: quasi tutti i personaggi sono di proprietà di D.P. Bellisario e di D. McGill che ne detengono tutti i diritti. Questa storia non è scritta a fini di lucro ma per diletto personale e di tutti coloro che avranno voglia di leggere.





CAPITOLO DODICESIMO


 
Los Angeles -  Prigione femminile
 
 Le inferriate della cella si aprirono con un clangore metallico e la donna fu spinta all’interno con una manata sul sedere da parte della guardia che accompagnò il gesto con una sonora risata.
“Ci vediamo domani mattina, zuccherino.”
Jen si voltò di scatto, gli occhi fiammeggianti di rabbia, pronta a scagliarsi contro l’uomo, ma le sbarre si erano già richiuse. “Rifallo un’altra volta e giuro che domani ti ritroverai disteso su uno dei letti dell’infermeria.”
L’uomo, al sicuro dall’altra parte, le lanciò un sorrisetto beffardo “Vedremo Leruan…vedremo.”
“A quanto pare Watson ha allargato il suo territorio di caccia.” Proferì divertita Alexander, che aveva assistito al siparietto dalla brandina. “La compagnia della Johnson e di metà delle detenute di questo carcere non è più sufficiente per lui.”
“È rivoltante.”
“A molte va bene così.”
 “Prima o poi gli pianterò un bisturi in una gamba. Proprio a lui dovevano affidare il turno di guardia in infermeria questa settimana?” chiese retorica.
“Cos’è, la principessina non sopporta di essere guardata? Beh, abituatici cara, non so se te ne rendi conto ma qui non sei più in isolamento, dove avevi un trattamento speciale.”
“Se chiami trattamento speciale starsene tutto il giorno chiusi nella semi-oscurità a consumare il cibo con la sola compagnia di qualche ragno e con la possibilità di uscire ridotta a mezz’ora ogni due giorni, beh, se vuoi puoi sempre chiedere al direttore di fartici mandare.”
“Temo che non mi ascolterebbe.” Si sollevò dalla branda e la fissò dritta negli occhi, prima di continuare con tono mellifluo “non sono io la sua detenuta preferita.”
“Che cosa vuoi dire con questo?”
“Lo sai benissimo.”
“No. Perché non provi a spiegarmi.”
“Sei qui da quanto? Due mesi. E in due mesi sei già finita tre volte dal direttore. La donna che era in cella con me prima, è finita in isolamento dopo il primo richiamo.
E tu invece...guardati. Sei ancora qui. E sembra quasi che tu faccia di tutto per fartici mandare di proposito. Non starai mica… ”lo sguardo indagatore fermo sul volto.
Jen che durante tutta la conversazione era rimasta in piedi accanto al suo letto, fece un passo verso Rosalie. Il cuore stava martellando furioso nel petto e un sospetto iniziava a farsi strada nella sua mente, forse Rosalie aveva intuito qualcosa.
Sciocca. Che sciocca era stata, farsi richiamare con tanta frequenza. L’ennesimo errore da principianti.
Inoltre qualche giorno prima Rosalie si era accorta che aveva cercato qualcosa nel suo borsone, perché una delle cerniere era rimasta per metà aperta. Fortunatamente Jen se l’era cavata mostrandole la spazzola per capelli e con tono innocente aveva affermato che la sua era stata spezzata a metà, cosa fortunatamente vera.
L’aveva scampata per un soffio, ma doveva stare attenta, a quanto sembrava la donna era molto meticolosa e si accorgeva di ogni cosa fuori posto.
McCallister non era molto incline a perdonare gli errori e inoltre se non avesse scoperto presto qualcosa avrebbe dovuto abbandonare la missione.
Doveva mantenersi calma, in fin dei conti Rosalie non aveva alcuna prova che lei stesse facendo il doppio gioco, pensò, perciò di cosa doveva preoccuparsi.
Sfoderò il suo sorriso più innocente e con tono pacato ma deciso si rivolse alla sua compagna “Che cosa stai cercando di dire. Mi stai forse accusando di qualcosa?”
“Ti scopi il direttore?”
Diretta come sempre.
Jen scoppiò in una risata, liberando la tensione che si era accumulata in quei brevi attimi.
Era questo che pensava la Alexander? Che andasse a letto con Levine?
Quando si fu calmata sollevò di nuovo lo sguardo verso la sua compagna di cella: a quanto pare sul suo viso non  c’era traccia che sospettasse di altro.
Se era questo che pensava, meglio farle credere che avesse ragione per non alimentare ulteriori sospetti. 
“Sì. Vado a letto con il direttore, o credi davvero che mi abbia fatto uscire dall’isolamento per buona condotta? Abbiamo fatto un patto. In cambio di una maggiore libertà, io gli offro un po’ di compagnia, ogni volta che vuole.”
Un’ombra di disgusto le era passata sul volto aggraziato.
“E poi ti lamenti di quelle come la Johnson.”
“Affatto, solo che non mi va di perdere tempo con i secondini, non ottengo nulla in cambio…andando con loro.” Ammiccò Jen.
“Se hai il gusto dell’orrido… per me va bene.” Rosalie fece un gesto di rassegnazione e si piegò verso la propria brandina, sfilando da sotto il materasso un quaderno e una penna che era riuscita a sottrarre dalla biblioteca; non era permesso tenere oggetti acuminati all’interno della cella per timore che qualcuna decidesse di suicidarsi o attaccare la compagna di stanza.
Come se l’assenza di un oggetto contundente potesse fermare un intento suicida o omicida.
Prese il libro che aveva da poco finito di leggere, lo aprì sfogliando alcune pagine fino a trovare quella desiderata, poi fece lo stesso con il quaderno e iniziò a trascrivere alcune frasi del libro su una pagina immacolata.
Mentre sollevava il materasso Jen ne approfittò per sbirciarci sotto.
Oltre al quaderno, Rosalie aveva nascosto anche due piccoli plichi, legati con un elastico per capelli: uno era composto da un paio di cartoline, quella del fratello e della cugina, l’altro da quattro lettere con buste di colore differente e su una, come ben sapeva, c’era lo stesso serpente del suo tatuaggio.
Doveva assolutamente riuscire a darci un’occhiata, ancora non sapeva come, non riusciva mai a stare in cella da sola abbastanza a lungo per poterle leggere.
Solitamente i turni in infermeria e in biblioteca coincidevano, e nelle poche occasioni in cui aveva molto tempo a disposizione, le due celle di fronte alla sua erano sempre occupate e non poteva certo rischiare che altre detenute la vedessero frugare nella roba della Alexander.
Avrebbero potuto metterle una pulce nell’orecchio e allora addio copertura. No, troppo rischioso, doveva essere certa che sarebbe stata sola.
“Annoto le frasi che più mi hanno colpito, che ho amato o che ho odiato.” Rispose la donna vedendo l’espressione incuriosita e pensierosa di Jen.
“Qualche bella frase da scrivere a tuo fratello quando risponderai alle sue lettere?” chiese, riscossa dai suoi pensieri.
“O da suggerire alla Johnson la prossima volta che incontrerà Watson. Vuoi che ne suggerisca qualcuna da bisbigliare al nostro caro direttore?”
“No grazie, faccio da sola.”  
In quel momento una delle guardie si stava avvicinando alla loro cella, Rosalie ripose velocemente quaderno e penna, nascondendoli sotto al materasso e finse di concentrarsi unicamente sul libro.
“Forza Alexander.” Sbraitò il secondino aprendo le inferriate “inizi il turno in biblioteca tra cinque minuti.”
La prese per i polsi e le mise le manette, prima di sospingerla verso il corridoio.
La rossa sorrise tra sé, forse quel pomeriggio avrebbe potuto dare un’occhiata alle lettere, il turno in biblioteca durava fino all’ora di cena, perciò aveva quattro ore a disposizione.
“Vedi di non frugare di nuovo tra le mie cose” disse rivolta a Jen, quasi a leggerle nel pensiero “me ne accorgerò se ci sarà qualcosa fuori posto.”
Lei si limitò a sorridere.
“Richiederebbe troppe energie e dopo una mattinata tra malati e a tenere a bada Watson, credo che mi limiterò a leggere il mio libro” rispose sollevando un piccolo volume dalla copertina azzurra con i caratteri dorati “perché non mi porti qualcosa di nuovo, questo l’ho quasi finito…lascio scegliere a te.”
Quando Alexander fu sparita oltre la sua visuale, assieme alla guardia, sbirciò oltre le inferriate: le due celle erano sempre occupate.  Sospirò sconsolata e si sdraiò sul letto, il libro sollevato sopra la sua testa, rassegnandosi all’idea che nemmeno quel giorno avrebbe avuto fortuna.
 

☼☼☼
 

Washington – Sede del NCIS

 
McCallister interruppe il suo discorso per prendere il bicchiere di brandy e portarlo alle labbra, ne assaporò il gusto dolciastro, mentre lo sguardo, chiaro e tagliente come una lama di ghiaccio, vagava dall’uno all’altro degli uomini che aveva di fronte in attesa di una reazione, soprattutto da parte del suo agente.
Il volto di Gibbs era una maschera di collera, ma per una volta sembrava avesse deciso di comportarsi in modo civile e di attendere la fine delle spiegazioni.
“Come stavo dicendo, si fanno chiamare le serpi della notte.” proseguì il direttore “reclutano persone di ambo i sessi in un età compresa tra i sedici e venticinque anni, per lo più emarginati. Li addestrano a non provare dolore e pietà, li convincono che quello sia l’unico modo di vivere. Quando sono abbastanza grandi, di solito ai diciotto anni, oppure dopo un anno, per quelli più grandi, li obbligano a dare prova della loro fedeltà. Una prova di iniziazione che solitamente consiste nel far fuori il boss di una piccola banda di quartiere, sostituendosi a lui. In altri casi…” McCallister prese un altro sorso di liquore. L’unico che sembrava imitarlo in questo era Fester, il giovane agente del FBI, Fornell e Gibbs, al contrario, non si erano neanche inumiditi le labbra.
“…in altri casi, la loro vittima è un membro del gruppo, una persona che viene sospettata di tradimento o che semplicemente non si è attenuto alle regole o ha voluto uscirne.”
“E il secondo capo Dawson era uno di questi?” chiese Gibbs dopo un lungo silenzio.
 “Sì.” Asserì il direttore.
“Il secondo capo Dawson era stato convinto dalla sua fidanzata Rosalie Alexander, ma quando si era reso conto di quello che facevano in quella cerchia ha provato ad uscirne. Ha cercato di convincere anche lei che quello era un gruppo di pazzi, ma ormai era tardi, le avevano fatto il lavaggio del cervello; lo aveva dimenticato ed era entrata nella cerchia più ristretta e vicina al capo del gruppo di Los Angeles.
Le hanno ordinato di ucciderlo e lei c’è quasi riuscita, fortunatamente una coppia ha sentito le sue grida ed è riuscito a salvarsi. La donna è fuggita, ma due settimane dopo è stata fermata per spaccio e identificata grazie all’identikit fornitoci da Dawson.” Spiegò Fornell, vuotando in un solo sorso il bicchiere e porgendolo a McCallister “non è che potresti riempirlo di nuovo?”
McCallister versò due dita di liquore e proseguì “Ha chiesto protezione e in cambio avrebbe testimoniato contro la ragazza.”
“Ed è stato messo sotto la protezione del FBI, nonostante fosse della marina?” Gibbs spostava lo sguardo torvo da Fornell al direttore.
“Sì. Quello di Dawson non è stato il primo caso. Da alcuni mesi si trovano vittime che riportano i segni di torture e tatuaggi con lo stesso teschio e serpente, l’FBI ci lavora da tempo. Dawson però è stato il primo marinaio coinvolto, l’FBI ha accettato la collaborazione tra le due agenzie, ma si è valsa del diritto di prelazione per ottenere la custodia protettiva.”
“Abbiamo trasferito Dawson da Los Angeles a Washington fino al processo. Speravamo di ottenere qualche informazione sul modo di agire, i nomi dei loro capi, ma Dawson era un pesce piccolo.”
“A quanto pare qualcuno ha scoperto dove si trovava, credo abbiate una talpa nell’agenzia.” Asserì Jethro guardando Tobias “due dei vostri agenti sono morti e un testimone è finito all’obitorio”.
Tom Fester si agitò sulla sedia, come se d’un tratto fosse diventata improvvisamente scomoda “è quello che sospettiamo, anche perché finora, qualsiasi azione abbiamo intrapreso contro di loro, qualsiasi indicazione su una possibile attività, loro erano sempre un passo avanti.”
“ Gibbs.” McCallister si rivolse direttamente al suo agente “dato il nuovo coinvolgimento del NCIS, mi aspetto una collaborazione tra le due agenzie.”
“Avete detto che la ex ragazza di Dawson era entrata nella cerchia più ristretta, magari aveva un coinvolgimento diretto con i pezzi grossi, perché non interrogare lei.”
“Già provato, ma non si ottiene nulla, almeno non in modo diretto, ecco perché abbiamo deciso di infiltrare qualcuno dei nostri nella prigione femminile di Los Angeles.”
Fornell e McCallister si scambiarono un breve cenno di assenso, ma a giudicare dall’espressione sorpresa di Fester, il giovane non ne era stato informato. Quanto a Gibbs il volto sembrava indecifrabile.
“Vogliate scusarci” disse McCallister rivolgendosi ai due agenti del FBI.
“Certo. Vi terremo aggiornati. Grazie del brandy, davvero un’ottima annata.”
Anche Fester uscì salutando educatamente e quando i due uomini si furono chiusi la porta alle spalle Gibbs si rivolse al suo direttore “avete infiltrato un agente del NCIS in una prigione femminile, quando pensavi di dirmelo Riley? Spero no si tratti dell’agente Cormac.”
“No. si tratta dell’agente Shepard.”
Le sopracciglia di Jethro si alzarono per la sorpresa “spero tu stia scherzando. È troppo giovane, è inesperta.”
“Per ora se la sta cavando molto bene.”
“Quindi hai davvero mandato lei in una prigione femminile con la speranza di farsi dire qualcosa dalla Alexander? È questa la missione che le avevi affidato dopo Parigi? Chi è il suo tramite?”
“Il direttore della prigione, Adam Joseph Levine.”
“Immagino che sia senza copertura.”
McCallister non rispose, limitandosi a fissare l’agente.
“La farai ammazzare.” Gibbs strinse i pugni. Non poteva crederci, il direttore non poteva aver mandato un agente novizio sotto copertura in una prigione femminile, senza alcun appoggio esterno ad eccezione di un tramite, le cui sorti potevano cambiare da un momento all’altro.
“È un buon elemento.”
“È inesperta.”
“Non mi sembra di averle chiesto la sua opinione, agente Gibbs.” McCallister si fece improvvisamente duro “Shepard è un mio agente, come lo è lei. Ha le capacità per farlo, inoltre è nel NCIS da poco, nessuno la conosce, il rischio di venir scoperta è basso.
Che cosa mi dice invece del marinaio Dawson? Ha avuto notizie dai suoi agenti?”
“Ci stanno lavorando.” E così dicendo fece un mezzo giro su se stesso e uscì dall’uffico sbattendo la porta.
 





☼☼☼


 
Washington – Appartamento a George Town

 
L’uomo prese uno dei fogli dal cassetto della scrivania, una busta azzurra e un piccolo timbro, poi si accomodò accanto al tavolo di legno verniciato.
Prese un penna e tolse il tappo , rivelando la punta d’acciaio di una penna stilografica e la avvicinò al foglio, scrivendo solo poche parole.
 
Hai compagnia. Guardati le spalle.
 
Piegò il foglio e lo infilò nella busta che sigillò con cura. Immerse il timbro nell’inchiostro e lo accostò ad uno dei margini inferiori, premendo con forza.
Quando lo sollevò un serpente avvolgeva le proprie spire attorno all’immagine di un teschio.
   
 
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