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Autore: radioactive    15/08/2013    5 recensioni
CAP. 6 Il cigolio del legno si mischiava al battito del cuore del ragazzo tanto da confondergli le idee, non capiva più se il suo cuore era malandato come quelle travi o se l’Arena era viva quanto il suo cuore, aveva il terrore che ciò che lo teneva sospeso in aria crollasse sotto i suoi piedi.
Ma Ariel si bloccò di colpo, Lyosha avrebbe voluto chiederle che diamine stesse facendo, che erano inseguiti!. Ma lei non si muoveva, immobile, fissava ciò che solo in un secondo istante il fratello identificò come Sean, quello che li aveva derubati.
«Ciao, otto»
[...] Stavano per morire, stavano per morire!
CAP. 10 Caesar Flickerman trattava tutti i tributi come validi concorrenti, Lyosha invece, agli occhi del presentatore, era già morto.
| 72esimi Hunger Games ● Lyosha e Ariel Isaacs ● DISTRETTO 8 |
EDIT - testo in via di revisione e betaggio (01 capitoli su 14) + cambio grafica [in data 11/11/2013]
→ I capitoli 15, 16 e 17 sono degli SPINOFF di Die on the front page, just like the stars.
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovi Tributi, Nuovo personaggio, Tributi edizioni passate
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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     » CAPITOLO 02

              in lontananza si udì un urlo che Lyosha non poteva lanciare.

 

 

 

 

Il primo ad armarsi fu Fraser e subito dopo si udì il grido di una bambina. Lyosha temette per la sorella ma vide che Ariel stava ancora correndo, ma non verso la Cornucopia: aveva adocchiato un piccolo zainetto che sbucava appena dall’acqua sporca, pensò che fosse davvero brava: non si era gettata in mezzo ai combattimenti e ringraziò mentalmente il cielo per il buonsenso di cui era stata dotata e aveva seguito il consiglio che Lloyd ripeteva ogni giorno da quando era diventata Mentore, e la cosa comica era che Cecelia non la fermava – a quanto pareva, era un suggerimento molto efficace. Senza che se ne accorgesse lui si stava già affrettando per raggiungerla.

Poteva quasi ritenersi soddisfatto, Lyosha: si sarebbe riunito a sua sorella ed insieme avrebbero cercato un posto dove nascondersi, elaborare una qualche tattica scadente per tentare di sopravvivere e lasciare che gli Hunger Games facessero il suo corso, l’avrebbe protetta dagli aggressori come poteva e lei sarebbe diventata la Vincitrice, tornando a casa. Ma prima di raggiungere la piccola Ariel si ritrovò davanti la ragazza del Distretto 7 (la riconobbe dal numero stampato sul colletto della giacca e dai capelli ramati che erano stati lodati durante la sua intervista), doveva avere la sua età – ma non fece in tempo a capirlo che l’avversaria gli sferrò un pugno dritto sulla guancia, facendolo barcollare e poi cadere nell’acqua, quando aprì gli occhi notò che la giovane donna aveva estratto dalla cinghia dei pantaloni un coltello lungo e sottile, fece per calarlo su di lui ma Lyosha ruzzolò di fianco, allora lei riprovò a colpirlo tagliandogli la giacca e ferendogli il braccio, Lyosha ingoiò un paio di volte l’acqua melmosa che scese come veleno nella sua gola.

Ci siamo, si disse, alla prossima muoio. E nel momento in cui si immaginò il coltello piantato nel petto una pietra colpì la ragazza sulla spalla facendola cadere di fianco a lui. Prontamente Lyosha afferrò il pugnale, la bloccò con la faccia nell’acqua mentre questa si dimenava furiosamente, si mise a cavalcioni su di lei e appoggiò un ginocchio sulla spalla ferita di lei appoggiandoci tutto il peso del suo corpo e con un movimento fluido e istintivo le piantò la lama nella schiena, sfilandole poi dal braccio una sacca che aveva raccolto alla Cornucopia.

Alzò lo sguardo, realizzando che a lanciare la pietra era stata Ariel, ora immobile a pochi metri da lui, spaventata. Lyosha la guardò con preoccupazione e prima che potesse constatare quante altre persone erano morte nel giro di quei istanti e quante stessero ancora combattendo, si alzò, afferrò la sorella per il braccio e scappò tra gli alberi.

In lontananza si udì un altro urlo.

 

 

Sembravano essere passate già ore, ma qualcosa dentro di lui diceva che erano trascorsi solo pochi minuti. Camminava con il fiatone dopo una corsa estenuante in un terreno fatto di cespugli, radici e terra bagnata, tenendo la sorella stretta per il polso. Aveva fatto come gli era stato detto da Lloyd: aveva corso, corso per sua sorella.

«Sono stanca…» mormorò flebilmente. Allora si sedettero su una grossa radice che spuntava fuori dal terreno dietro un arbusto molto folto. Sapeva che era un pessimo nascondiglio e quindi pregava che gli altri fossero così impegnati ad ammazzarsi tra loro da non aver fatto attenzione alla direzione presa dai due.

Lyosha ripercorse velocemente quei primi momenti degli Hunger Games: una bambina era morta e lui aveva già ucciso una persona, i sensi di colpa lo invasero, presto cancellati da tre semplici parole: istinto di sopravvivenza. Ripensò al corpo inerme della ragazza del Distretto 7 e al sangue che sgorgava dalla sua ferita sporcando l’acqua  di rosso – scosse la testa, scacciando quei pensieri: ci avrebbe pensato durante la notte, mentre quelle immagini lo avrebbero tormentato sottoforma di incubi, o almeno così pensava.

Capì che non era il doversi uccidere che li rendeva simili alle bestie, quando l’istinto che prendeva controllo delle  azioni e facevano far loro cose di cui non si sarebbero mai creduti capace, come uccidere; pensò alla sorella e al lancio del sasso, e questo gli bastò per avere conferma della sua teoria.

Si girò a guardare Ariel: aveva una tuta uguale alla sua ma che si differenziava solo per il taglio femminile. I capelli erano raccolti in uno chignon strettissimo con un elastico nero e in mezzo all’adrenalina parecchi ciuffi si erano liberati dall’acconciatura e le ricadevano scomposti attorno al viso, alcuni erano attaccati alle tempie e ai zigomi per il sudore e le guance arrossate dal caldo e dalla fatica.

Era davvero successo, allora: erano dentro gli Hunger Games. Niente brutto sogno come aveva sperato, niente scherzo, nulla di tutto questo. La fuori c’erano almeno altri venti ragazzi pronti a scatenare tutto il loro “istinto di sopravvivenza” – esattamente come i due e non importava distretto, sesso o età della vittima. Sospirò pesantemente passandosi una mano tra i capelli e allora si ricordò di essere stato ferito al braccio, avrebbe voluto biascicare qualche imprecazione ma si limitò a digrignare i denti mentre si faceva sempre più consapevole del dolore. Si tolse la giacca con movimenti goffi, potendo usare un arto solo e notò uno squarcio scarlatto sul bicipite.

Ariel lo guardava nella speranza di essere rassicurata o comunque di vedere nel fratello una guida, ma quando notò la ferita capì che doveva fare qualcosa, iniziò quindi a frugare negli zaini che avevano raccolto, incominciando dal proprio: era piccolo e conteneva un coltello, un accendino (che ci avrebbe fatto, con un accendino?, dato fuoco ai capelli di un qualche tributo?... ma se era dentro lo zaino, doveva servire a qualcosa!) e un piccolo cilindro che all’interno conservava un tubetto con delle pastiglie verdi e una boccetta spray piena di liquido ambrato e nessuna indicazione su come usarlo.

Lanciò uno sguardo rapido al fratello il quale aveva già rubato il coltello uscito dallo zaino di Ariel e con quello si tagliava alla bell’e meglio della stoffa dalla manica della giacca della tuta. Rapida, afferrò la borsa che aveva rubato alla ragazza e dentro vi trovò una coperta, una scatolina con della mela tagliata a fette e delle pasticche sottilissime e di diametro maggiore rispetto alle altre, erano impilate come delle monete e tenute assieme da un filo: uno splendido pacco regalo per chi sta andando in contro alla morte.

«Che faccio?» chiese, guardando ciò che avevano sparso sull’erba, i suoi occhi volavano veloci da una parte all’altra del suo campo visivo soffermandosi rapidamente su ognuno degli oggetti, come per capire cosa potesse servire a cosa. Non sapeva quale pasticca o se la boccetta servisse per la ferita del fratello che, tral’altro, sembrava dolergli molto. Non riusciva a ragionare e tantomeno a rievocare i ricordi dei pseudo-corsi di sopravvivenza che aveva fatto in quelle due settimane di preparazione, «Thanh… che faccio?» richiese alzando la voce, non ottenendo ancora risposta, «DANNAZIONE LYOSHA CHE DEVO FARE!» disse poi a voce alta, troppo alta per non ottenere reazione dal fratello che, in tutta risposta, si buttò su di lei con la mano del braccio buono sulle labbra e un’urgente richiesta di silenzio negli occhi.

Silenzio, la cosa che Lyosha richiedeva e che riusciva a fare meglio.

Le mise in mano il coltello con la lama posta in orizzontale, cercò a tastoni l’accendino in mezzo all’erba e, dopo aver provato più volte a farlo scattare, notò con piacere la fiammella che ballava. Con cautela andò a mettere il fuoco sotto la lama, aspettando pazientemente che si scaldasse.

Ariel capì. Glielo avevano insegnato a Capitol City, come curarsi una ferita nel modo più efficace possibile, serviva solo ferro e fuoco e si dava il caso che loro avessero entrambi, si chiese se l’accendino servisse proprio a quello. Fasciarsi una ferita non le sembrava una buona idea, qualcosa – guardando quel posto – le diceva che ci sarebbero stati svariati modi per procurarsi una qualche infezione, e quindi cicatrizzare il taglio era la cosa migliore che potesse fare.

Al pensare alla lama rovente sul braccio del fratello, la mano di Ariel tremò e gli occhi si gonfiarono di lacrime: avevano appena iniziato e lui già doveva soffrire per la sopravvivere, e lei lo sapeva che lo stava facendo per la sua sorellina. Si chiese quanti di quei tagli si sarebbe chiuso ancora per proteggerla, perché era così che si erano messi d’accordo: lui sarebbe vissuto per proteggerla, e lei sarebbe tornata a casa, vittoriosa e sorridente.

«Bruciando il tessuto viene prodotto calore il quale produce la coagulazione delle proteine dei tessuti organici circostanti la ferita» recitò lei, ricordando le parole degli allenamenti senza sapere realmente il loro significato. Era sempre stata brava a ricordare... era brava a fare un sacco di cose in effetti, eppure tutte sembravano futili davanti alla crudeltà di quei giochi.

Lyosha alzò lo sguardo e sforzò un sorriso, che sembrò più una smorfia di dolore mal celata.

Aspettarono in silenzio che la lama fosse abbastanza calda, con le orecchie ben tese per sentire l’arrivo di qualcuno, il sangue continuava a sgorgare dalla ferita mischiandosi con il sudore e sporcando con lunghi rivoli il braccio magro ed esile di Lyosha, inappropriato per combattere, provocandogli un fastidio enorme perché lui odiava essere sporco – ma si rese presto conto che la sporcizia sarebbe stata inevitabile, lì dentro.

«Ci siamo» mormorò pianissimo Ariel, come se avesse paura che qualcuno li stesse guardando oltre il cespuglio. Lyosha annuì piano e riposò l’accendino sull’erba, si allungò a prendere la giacca e tamponò la ferita in modo da riuscire a distinguere il taglio dal sangue, consapevole che l’avrebbe buttata molto presto, con un gesto della mano si fece passare il coltello rovente.

La più piccola si tappò le orecchie e strinse le palpebre girandosi dall’altra parte, nonostante sapesse che Lyosha non avrebbe neanche grugnito, solo storpiato i suoi lineamenti ancora da bambino senza proferire neanche un rumore.

E poi le fece, premette il ferro rovente contro il braccio mentre il calore si espandeva come fitte di dolore tra i muscoli, dentro i nervi. Strinse i denti attento a non mordersi la lingua e chiuse gli occhi, sentendo le lacrime scendere presto sulle goti per il dolore.

Si diede dell’idiota, perché stava davvero piangendo per quella che poteva considerare una sottigliezza.

Quando allontanò la lama dal braccio e riaprì le palpebre lentamente, lasciò che il coltello cadesse a terra e afferrò il lembo di giacca nella mano buona, chiamò Ariel toccandole la spalla e le fece segno di legare il tessuto attorno alla ferita, una precauzione abbastanza inutile, ma era qualcosa che gli dettava la coscienza e Lyosha non si sentiva in grado di obbiettare.

Si chinarono sugli oggetti per rimetterli nei due zaini, la ferita gli pulsava ancora sotto il bendaggio improvvisato ma Lyosha confidava nel tempo che leniva ogni cosa, anche il dolore. Ripiegò alla bell’e meglio la coperta e in quel momento qualcosa gli si bloccò in gola, come se si fosse completamente chiusa.

Si mise una mano sulla bocca e una sullo stomaco, iniziando a tossire violentemente, piegò il capo di lato e rigettò succhi gastrici e acqua. Faticava a respirare e il corpo iniziò a tremare, quasi preso dagli spasmi, il freddo gli colò sulla pelle come una doccia ghiacciata.

Ariel lanciò un urlo e si tuffò sul fratello, facendogli alzare il viso e pulendogli con le mani le labbra dal vomito, incurante della spiacevole sensazione. Lyosha alzò le mani e fece pochi movimenti per dire solo tre parole alla sorella: l’acqua era avvelenata.

 

 

Sul treno, Lloyd era seduta davanti a loro in una di quelle costose poltrone in pelle, Cecelia era andata un attimo ai servizi, informando i due tributi che si sarebbe presentata poi. La Mentore incrociò le dita delle mani e chinandosi in avanti appoggiò i gomiti sulle ginocchia, li osservava con discreta curiosità e uno scintillio negli occhi, fece schioccare la lingua contro il palato e si alzò a prendere un bicchiere di cristallo, riempiendolo con una strana bibita azzurrina dai riflessi lilla, «d’accordo, questo è il piano:» rimase ferma in piedi mentre ingurgitava il contenuto del suo bicchiere, «dovete capire i segreti dell’Arena, ci sono sempre dei segreti nell’Arena. E per quanto sia allettante l’idea di armarsi e tagliare le gole degli altri tributi, le cose veramente utili sono negli zaini, solitamente ti danno abbastanza cose per sopravvivere almeno il primo giorno. Cecelia vi dirà le stesse cose in modo più carino».

Un sorriso felino comparse sul volto di Lloyd, Lyosha si chiese sinceramente come avesse fatto a vincere, e soprattutto a quale edizione avesse vinto, considerando che non dimostrava più di trenta, trentacinque anni, «andiamo a mangiare? Muoio di fame».

In silenzio, si alzarono tutti e si diressero verso il vagone allestito per l’occasione, a guidare vi era la donna che rappresentava il loro tributo – che non aveva detto una parola, sul treno, non sembrava una persona molto spensierata – dai lunghi capelli arcobaleno e acconciati il mille treccine a loro volte raccolte in una coda di cavallo fatta… a sfere? Lyosha non sapeva spiegare. A seguire Lloyd in un silenzio religioso, si limitava a far dondolare il resto del liquido dentro il bicchiere con movimenti del polso, Ariel andava subito dopo la Mentore con un braccio teso all’indietro, ed infine Lyosha che le avvolgeva il piccolo palmo con le sue lunghe dita ossute.

Erano le dita che le avevano cucito l’abito che indossava alla Mietitura, pensò, le dita del suo fratellone.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



«Dobbiamo imparare a non perdere tempo a piangere sulle nostre ferite,

come un bambino appena caduto, ma abituarci a scacciare il dolore

curandoci le ferite ed emendando i nostri errori il prima possibile.»

[PLATONE; “Repubblica”]

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTE D’AUTRICE«viviamo e respiriamo parole»

 

Ebbene, si va avanti.

Ho pensato molte volte a come mandare avanti questo capitolo, che in tutti i casi sarebbe stato drammatico, certamente, ma c’era da aspettarselo da una come me.

E chi mi conosce, lo sa.

Non mi sento di aggiungere altro su questo capitolo, perché sostanzialmente parla da solo, e non vedo cosa dovrei spiegarvi ancora. Oh sì, è chiaro che non sono una cima in medicina e quello che scrivo non ha fondamenta solide, sono solo frutto di qualche ricerca su internet o, nel peggiore dei casi di “sentito dire”, tuttavia non arriverò a dirvi che il cielo è viola e fatto di porcospini, a meno che non si trattino di aghi inseguitori. Ma questa è un’altra storia.

Vorrei proporvi ancora una volta una canzone, stavolta prettamente strumentale, ve la linko qui di seguito: Circadian Eyes ~ Finding Silence.

Mi scuso per eventuali errori di grammatica e/o digitazione, a volte, dopo la terza volta che si rilegge lo stesso scritto anche a distanza di tempo, non si riesce a vedere l’errore. E questo posso confermarvelo con fondamenta solide

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto come il precedente, quindi

 

Alla prossima!

radioactive,

 

 

 

EDITs; ricordate che un commento, anche dopo tanto, fa sempre piacere!

03/11 – cambio grafica e revisionato il testo non betato, aggiunta presenza di Cecelia nella scena iniziale e finale, modificato corposamente l’ultimo paragrafo e cambiato stile di scrittura dei distretti, ora segue quello del libro (non più Distretto uno/due/tre ecc., ma Distretto 1/2/3 ecc.).

   
 
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