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Autore: The queen of darkness    15/08/2013    5 recensioni
La normalità sembra essere cementata nella vita quotidiana dei nostri amati personaggi...ma siamo sicuri che tutti siano d'accordo a queste condizioni?
--Naturalmente non possiedo nessun diritto su questa magnifica storia, creata dal genio di Miss Rumiko Takahashi--
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inuyasha, Kagome, Un po' tutti | Coppie: Inuyasha/Kagome
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sango aveva insistito per portare il riso, mentre Miroku e Inuyasha stavano tardando non poco nel procurarsi il pesce.
Shippo sbuffò spazientito per l’ennesima volta, cullando con una punta di nervosismo una Kaori che, ormai abbastanza grande, aveva cominciato ad intrecciare margherite con dita paffute. Al compimento del terzo anno d’età, pensò Kagome in quell’esatto momento, avrebbe dovuto comprarle un kimono nuovo.
-Uffa, ma quanto ci mettono? – borbottò Shippo.
O forse avrebbe potuto utilizzare della stoffa avanzata dal proprio. In fondo, ne era stata sufficiente più o meno la metà di quella che la moglie del sarto aveva insistito nel regalarle, in seguito a quel rimedio “miracoloso” contro l’artrite.
-Zio Shippo, guarda che bella collana che ho fatto! – intervenne Kaori, raggiante, portandogli l’oggetto minuscolo proprio davanti agli occhi.
Questo bastò ad intenerirlo.- È davvero splendida – disse.
E poi: -Se quello zuccone di tuo padre si sbrigasse, forse potrebbe vederla anche lui!
Sango, che stava sistemando le ciotole sulla tovaglia rudimentale stesa a terra, non poté impedirsi dal lanciare un’occhiata in tralice al ragazzino.
-Ma la vuoi piantare, una buona volta? – esordì.
Questo non fece che far peggiorare la situazione ancora di più.
–Devi ammettere che ci stanno mettendo troppo! – continuò, crucciato.
-È vero, ma adesso smettila! – rispose, innervosita.
-Se non tornano in dieci minuti, possiamo sempre cominciare a mangiare, no? – disse Kagome, conciliante.
Kaori, non appena sentì la voce della madre dopo qualche minuto di silenzio, fece una giocosa risata, all’improvviso. La cosa destò l’attenzione di tutti e, quando notarono che reggeva un dente di leone con aria trionfante, nessuno riuscì a non sorridere di tenerezza.
La bambina si mise a chiacchierare con estremo piacere di un episodio che tutti conoscevano ormai a memoria, visto che l’aveva già raccontato come minimo un centinaio di volte. Kagome, aiutando Sango a mettere le bacchette sull’orlo di ogni scodella, cosa non facile visto l’appoggio non molto solido, prestò orecchio con un certo divertimento materno per quelle sapeva che sarebbero state parole di lode.
-Zio Shippo, lo sai che questo fiore si chiama “dente di leone”? Papà Inuyasha mi ha spiegato che si chiamano così perché assomigliano alle chiome dei leoni!*
-Ah sì? – disse il ragazzino.
La bambina annuì con profonda convinzione. Poi lanciò uno sguardo a sua madre che annuì, dolcemente, e confermò le sue parole.
-Hai ragione, tesoro, si chiamano proprio così – intervenne. La bambina, a quel punto, allungò le braccia verso di lei e la madre subito la prese, tenendola stretta contro il proprio petto.
Kaori nutriva una profonda ammirazione nei confronti del padre, e passava tutto il tempo possibile nel trotterellargli appresso. Ogni minima ed insignificante faccenda fatta da lui diventava un’impresa eroica degna del feudatario più ardito, e Inuyasha gioiva di questi scoppi di gioia con malcelata soddisfazione.
Inoltre, e questo entrambi lo dicevano non senza una certa dolcezza, la prima parola detta dalla bambina era stata “papà”. Una cosa che aveva fatto commuovere più Kagome che Inuyasha, in verità, poiché era stata dell’idea che un’altra in casa a chiamarlo così oltre a lei stessa era una cosa “davvero meravigliosa”.
C’era da dire anche che Kaori era davvero una bella bambina, anche se un po’ testarda. Assomigliava molto alla madre, ma certe volte, soprattutto quando si faceva pensierosa, il suo profilo assumeva l’aspetto tipico di quello paterno, fino a creare uno strano connubio di connotati.
-Kaori-chan, mi aiuti con questa pentola? – chiese Sango, sorridendo. – È davvero pesantissima!
L’interessata non se lo fece ripetere due volte, e si sottrasse un po’ a malincuore dalle attenzioni materne per correre in aiuto della sua amata zietta. Distribuì con immensa attenzione ogni tazza sulla tovaglia, e si mise a mettere dei piccoli sassi sui bordi proprio come la sterminatrice le stava insegnando, per non far volare via il pezzo di stoffa rettangolare.
Sango si era calata perfettamente nel ruolo di zia, e sosteneva che si divertiva moltissimo ad accudire una bambina piccola come se fosse sua figlia. Dopo la nascita di Usuke, che in quel momento stava facendo delle prove di tiro con l’arco al villaggio, lei e Miroku avevano deciso di comune accordo di non fare altri figli.
Kagome non capiva bene i motivi, visto che comunque erano entrambi ancora molto giovani e la vita era lunga, ma forse poteva trovare nella situazione economica della coppia una risposta: una famiglia di cinque elementi non era facile da mantenere, e il monaco non poteva lavorare più di così se voleva contemporaneamente stare con la sua famiglia.
Inoltre Sango aveva sostenuto che, tra le faccende di casa, l’aiuto ad Asuka e la crescita dei figli aveva già il suo bel daffare, e non sarebbe stata pronta per un’altra gravidanza.
Da una anno a quella parte, inoltre, riceveva spesso delle lettere dal villaggio degli sterminatori per la consulenza speciale che solo lei poteva offrire su armi, addestramenti oppure tecniche di imbalsamazione per i cadaveri dei demoni più recidivi, mantenendo costantemente in vita il lato più battagliero della sua personalità. Era un compito che le piaceva molto, e la riempiva d’orgoglio; si sentiva ancora forte e valente come un tempo e, viste le incombenze domestiche a cui si era poi abituata, non era cosa da poco.
-A proposito, Sango – intervenne Shippo, ad un certo punto, - che fine ha fatto Kohaku?
La donna sistemò meglio una delle ciotole, pendente da un fianco, e parlò con voce calma.
-In questo momento è in montagna, dai genitori di Asuka. Dice che l’aria alpestre farà bene ad Haruki**; anche se era debole di salute, pare che adesso stia meglio. Sai com’è, assomiglia a suo padre – confessò, con senza una punta d’orgogio.
-Ha promesso di venire qui fra un paio di mesi – aggiunse, mettendosi a mescolare il riso affinchè non si attaccasse sulla pentola.
-Anch’io ho una licenza per quel periodo – disse Shippo, - magari posso venire a trovarvi.
Lei fece un sorriso materno. –Sarebbe davvero splendido.
-Sai, dovresti farti vedere più spesso, da queste parti – aggiunse Kagome, ironica. –Quant’è passato dall’ultima visita? Un mese? Forse di più? A Kaori mancavi tanto, e anche ad Inuyasha. Ma sai che lui non lo ammetterebbe mai.
-Hai ragione, Kagome-chan – ammise Shippo, ignorando l’ultima frase, - ma sono molto impegnato in questo periodo. È tempo di iscrizioni e ci sono gli esami finali.
Puntellandosi sui palmi aperti delle mani, Kagome inclinò la schiena all’indietro e si mise a guardare il cielo. Seguì il movimento delle nuvole candide, lasciando che i propri capelli venissero accarezzati dal vento.
-Anch’io non molto tempo fa ero tutta presa dagli esami, prorprio come te – osservò, nostalgica.
Era da tantissimo tempo che non pensava più ai tempi della scuola, al ritmo frenetico dei mezzi pubblici, alle levatacce e agli innocenti pettegolezzi fra amiche. Alle attenzioni impacciate di Hojo, alla cioccolata calda fatta in casa di Erin, alla camicetta rossa di Yuka, ai baffi del professor Gin, ai kimono del nonno che sapevano di naftalina, al suo zaino giallo, e a tutta una serie di cose insignificanti.
Erano le piccolezze del futuro, i lussi più semplici derivati da una vita fuori dai pericoli delle guerre oppure dal concreto rischio di morire per un’epidemia. Un mondo piccolo, magico, sicuro e anche confortevole, per una giovane studentessa di Tokyo con tutta una serie infinita di possibilità davanti agli occhi…
-Cosa sono gli esami, mamma? – chiese Kaori, con un’espressione interrogativa stampata sul volto.
La sacerdotessa si riscosse, prima di sorridere dolcemente.
-Niente, tesoro. Attenta a non rovesciare il thè.
No, quelle cose in realtà non le mancavano affatto. Aveva una figlia splendida che, se non fosse tornata nel passato, non avrebbe mai avuto, e un marito che adorava. La sua vita era meravigliosa anche se doveva usare una latrina all’aperto e non esisteva la TV, no?
-Santo cielo! – esclamò una voce proveniente dal bosco. Un fruscio di rami che venivano spostati e foglie agitate da un arrivo irruento si accompagnò ad un infastidito scapiccio.
-Oh, alla buonora! – esclamò Sango, riparandosi gli occhi con una mano. –Si può sapere cosa cavolo stavate facendo?
Con aria di scuse, Miroku fu il primo a posare una fila di pesci attaccati per il labbro ad una serie di piccoli aghi su un ceppo li affianco, grattandosi la nuca.
-Scusaci, Sango, ma c’era troppa corrente.
-Già… - commentò sarcasticamente Inuyasha, sbucando dal sottobosco in quell’esatto momento.
Kagome si mise una mano davanti alla bocca per non mettersi a ridere a crepapelle, ma non riuscì ad impedirsi almeno un singulto: il ragazzo era fradicio dalla testa ai piedi, tanto che le ciocche di capelli pendevano come tante ciocche staccate l’una dall’altra, le orecchie erano afflosciate ai lati della testa e i vestiti così zuppi da essere diventati aderenti. Il gonfiore sui polpacci dovuti alla forma dei pantaloni si appiattiva ad ogni passo, appiccicandosi alla pelle.
Il monaco fece una risatina.
-Oh cielo – commentò la sterminatrice.
-Dovevi specificare di essere un demone PESCE-cane – disse Shippo, ridacchiando.
-Taci, maledetto! – ringhiò l’altro, innervosito. E poi, rivolgendosi a Miroku: -E tu, tutta colpa delle tue lenze del cavolo! Si può sapere con cosa sono fatte? Ragnatele?
-Oh, andiamo, Inuyasha! – rispose bonariamente, - prova a prenderla con un po’ più di filosofia! Con questo caldo io sarei stato contentissimo di potermi fare un bagno!
-Ah sì? – ribattè, stizzito, - Allora perché non sei andato tu?
Un rivolo di sangue scivolò dal suo labbro inferiore e gocciolò sul mento. Con un gesto veloce, Inuyasha si ripulì con la manica, risentito.
-Papà, stai bene? – chiese timorosamente Kaori.
A quella vista, il mezzo-demone parve rasserenarsi. –S…sì. Sì, tutto a posto.
-Forza, sedetevi. Questo riso metterà radici in pentola se non vi sbrigate a mangiarlo. Avete idea di quanta acqua ho dovuto usare per evitare che scuocesse? Muovetevi. E tu, Inuyasha, prima asciugati – ordinò Sango, con voce marziale.
Miroku, scuotendo piano la testa con una certa soddisfazione, si sedette a gambe incrociate vicino a Shippo, giungendo le mani in preghiera. Kagome, intanto, aveva già riattizzato il fuoco per sistemarvi attorno i pesci.
-E con cosa, scusa? – domandò Inuyasha, esasperato. – Se avessi potuto l’avrei già fatto prima.
-Non importa, dai – intervenne sua moglie. –Lascia stare. Se riesci a resistere stai anche così, magari strofinati un po’ i capelli.
-Giusto! – disse, come se se ne fosse appena ricordato. –Non hai forse portato un altro dei tuoi kimono?
Lei lo fulminò con un’occhiata. –Non pensarci neppure.
Inuyasha alzò le mani in segno di resa, deglutendo. La rabbia della consorte sbollì immediatamente, però, dandogli la possibilità di sedersi e iniziare a pulire i pesci usando gli artigli.
-Papà, cosa stai facendo? – si intromise Kaori, curiosa.
-Pulisco il pranzo – rispose, laconico, ma leggermente impacciato.
-E… non gli fai male, vero? – chiese la bambina, dispiaciuta.
Miroku lanciò ad entrambi un’occhiata divertita, mentre stava arrotolando i fili da pesca con meticolosità e attenzione.
-No, no – spiegò, senza alzare la testa.
-Perché non usi Tessaiga? – domandò ancora.
Sango fece una risatina, ma non intervenì. Era sempre divertentissimo godere delle loro piccole scenette.
-Non… - farfugliò il padre, arrossendo, - … non serve Tessaiga, adesso. Sono troppo piccoli, vedi?
Detto questo, posò l’indice artigliato su una branchia e la mosse verso l’esterno, facendo avere un singulto al cadavere grigio azzurro. La figlia si ritrasse con una smorfia.
-Come puzza! – commentò.
-Cotti saranno molto meglio – intervenne Kagome, accarezzandole la testa. –Dài, vieni ad aiutarmi a sistemare questi rametti, va bene?
-E il papà ce la farà da solo? – volle assicurarsi, non del tutto convinta.
-Ma certo! – intervenne Shippo, alzando un indice con fare seccente - Altrimenti a cosa sarebbero serviti tutti i suoi anni di pratica sotto la mia guida?
-Maledetto – saettò, digrignando i denti, l’interessato, - ti fa comodo sparare le tue battute mentre ho le mani impegnate, vero?
Per tutta risposta, il ragazzino gli fece una linguaccia, pronto a sfoderare una delle sue trottole in caso di risposta manesca.
-Va bene, basta così – disse Sango, calmando i bollenti spiriti, - per oggi ne avete fatte abbastanza, voi due. Ora, Shippo, mi aiuti con questo benedetto tegame, visto che non hai niente da fare?
-Esatto: le donne non dovrebbero sforzarsi – disse Miroku, usando un tono quasi profetico.
-E allora perché non la stai aiutando tu? – chiese Shippo, a metà fra il perplesso e il rassegnato.
-Aiutami e basta – tagliò corto la sterminatrice, e per un po’ nessuno disse più nulla.
Sistemarono i pesci appena pescati attorno allo scoppiettante fuocherello e distribuirono le porzioni di riso e verdure già cotte sulle ciotole, assistendo ad un breve battibecco, per altro molto prevedibile, fra Inuyasha e Shippo. Essendo il piccolo demone volpe ad usare il mestolo, infatti, non aveva mostrato particolare generosità nei confronti del fradicio mezzo-demone.
-Rin quando ha detto che arrivava? – chiese Kagome, ad un tratto.
-Avrebbe aspettato il risveglio di Inuichi  – spiegò Miroku.
-Giusto! – esclamò la sacerdotessa, battendosi un palmo sulla fronte. –Se avessi saputo che giorno era oggi, avremmo fatto un’altra volta!
Miroku sollevò le spalle come a dire che non importava, mentre Inuyasha, premuroso, le prese la mano e gliela rimise in grembo.
-Non dovresti sforzarti così, scema – la ammonì. La sacerdotessa sbuffò.
-C’è qualcosa che dovremmo sapere? – si informò Sango, bloccandosi e drizzando le orecchie.
Lui arrossì, mentre lei scosse pazientemente la testa.
 –Niente, non preoccuparti. Aspettiamo Rin, che ne dite?  
 
///
 
Diverse ore prima, addirittura quando l’alba non era ancora sorta, Rin si mise a spazzolare pazientemente i propri capelli scuri.
Era sveglia già da un po’, e non aveva dormito molto. Ciò nonostante, si sentiva allegra e leggera, e cominciò a canticchiare a voce bassa per non svegliare il figlio, placidamente addormentato ad una sola stanza di distanza.
Lo specchio non le serviva a gran che, visto che la candela  non riusciva ad illuminarlo completamente, tuttavia teneva lo sguardo puntato lì, e faceva scivolare con attenzione il pettine lungo ogni singola ciocca.
-Stai andando avanti da ore – commentò all’improvviso Sesshomaru, dietro di lei.
Senza smettere di canticchiare, la ragazza sorrise.
-Non è vero, ho appena iniziato! – si difese, ridacchiando.
Sbirciò da sopra la spalla la sagoma del suo principe, ancora mezzo-svestito: indugiava sempre un po’, al mattino, prima di rivestirsi, e stava placidamente appoggiato con la schiena la muro tenendo le lenzuola sulle proprie gambe, scomposte, laddove scivolavano durante la loro danza d’amore.
La levatrice era felice quando arrivavano quei dolci momenti. Sesshomaru, nelle sue visite, era estremamente puntuale e, da quando Inuichi aveva compiuto un anno, si tratteneva anche più di una notte. Una volta era rimasto nella capanna persino una settimana. Una settimana! Le era parso di volare.
Alcune volte gli appuntamenti erano programmati, e lui avvertiva quando sarebbe tornato. Delle altre erano visite a sorpresa, brevi e fugaci, dove incontrava il bambino e passavano del tempo insieme.
Ogni momento passato insieme, infatti, era un momento per Rin di sentirsi amata e desiderata, colmata di ogni premura. Per il demone era davvero difficile stare all’abitazione della donna come un marito perché, benchè fosse abbastanza lontana dal centro del villaggio vero e proprio, l’odore e la presenza degli altri esseri umani stuzzicava in modo mortalmente pericoloso il suo appetito e, assieme ad esso, anche il proprio disprezzo.
Inutile dire che Inuichi pendeva dalle sue labbra: era entusiasta quanto la madre della presenza di Sesshomaru, e lo venerava come un dio. Sapeva essere incredibilmente rispettoso ma al tempo stesso anche innocente come ogni bambino, ed era forse per questo che il padre ascoltava, rapito, ogni singola parola che usciva dalla sua bocca minuscola.
-Sai, Sesshomaru, sono tanto felice che tu ti sia fermato, oggi – ammise, dopo qualche attimo di silenzio.
Era ancora intorpidita per le dolci fatiche di poco prima (Sesshomaru era un amante instancabile), e l’ebbrezza mischiata all’emozione amorosa la stava facendo sentire leggera come una nuvola.
Lui non disse nulla. Rin prese un ciuffo di capelli e lo scosse con più energia, fino a quando il piccolo nodo non scomparve del tutto.
-Quando tornerai? – chiese.
-Fra tre giorni – replicò.
-Oh – esclamò, sorpresa, interrompendosi un attimo, - come mai così presto?
Se fosse stato umano, avrebbe alzato le spalle con noncuranza ma, ovviamente, non fece nulla del genere. Da sopra la spalla, Rin lo guardava estasiata, cercando di dissimulare la propria contentezza.
-È una questione veloce – spiegò, asciutto. Non c’era fastidio, nella sua voce, ma solo un certo rilassamento che la rendeva più calma e profonda.
-Beh, devo dire che a me fa comodo – ammise Rin, ripendendo il proprio minuzioso lavorìo. –Così posso averti tutto per me.
Questa frase non passò inascoltata, infatti Sesshomaru sospirò impercettibilmente, rassegnato all’idea delle tenere torture a cui la compagna l’avrebbe sottoposto al proprio ritorno. Persino in quel momento, scaramigliata, con le guance arrossate, gli occhi cerchiati dalla mancanza di sonno e le linee sinuose del corpo ricoperte da una stoffa semplice e grezza indossata per pudicizia, riusciva ad essere bellissima.
Si chiese quale sortilegio avesse usato per averlo fatto innamorare così tanto di lei, e come mai il pensiero di doverle stare lontano per tre soli notti fosse così insopportabile.
-Sei pensieroso – constatò lei, - qualcosa ti assilla?
-Mi domandavo se Inuichi dormisse – commentò solo, rivolgendo lo sguardo al pallore lunare visibile dalla finestra aperta.
Rin fece un sorriso dolce: amava quando lo chiamava per nome.
-Sì, sicuramente è nel mondo dei sogni. Se non senti che si rigira, allora vuol dire che non è sveglio; ha il sonno pesante, sai? Però se vuoi salutarlo prima di andare via lo chiamo. Sarà contentissimo, vedrai.
Come al solito, anche senza dir niente, lei aveva già inteso tutto. Capiva l’attaccamento inaspettato del padre verso suo figlio e lo rispettava con entusiasmo, senza neppure bisogno che il demone esprimesse le proprie richieste a parole.
 La osservò per qualche minuto, in silenzio. La cantilena riprese, con lentezza.
-Ti stai ancora pettinando?
La ragazza fece una risatina. –Colpa tua che mi aggrovigli di continuo i capelli! In circostanze normali ci metto un minuto.
Non le avrebbe creduto nemmeno sotto tortura, ma non lo disse. Si avvicinò di soppiatto e le cinse la vita da dietro, baciandole il collo: sapeva che avrebbe gradito.
Infatti, com’era prevedibile, qualcosa di molto simile ad un miagolio uscì dalle labbra della sua donna.
-Si può sapere perché ti stai preparando così attentamente? – chiese. Affondò il viso nella sua spalla.
-Kagome-chan mi ha invitato ad un pranzo all’aperto con tutto il gruppo – spiegò. – Vorrei essere presentabile, sai com’è.
Un rauco brontolio proruppe da dietro alle zanne, per il momento sbarrate dalle labbra, di Sesshomaru al pensiero che sua moglie sarebbe stata vicina al fratellastro.
Rin interpretò quel verso nel modo giusto, dal momento che si mise a parlare con voce paziente.
-Avanti, Sesshomaru! Non fare così… Inuichi è molto legato a Kaori, e lo stesso vale per Inuyasha! Sono sempre stati molto gentili con me, e guai a dire che mi mancava qualcosa che già me la portavano il giorno stesso.
-Stai dicendo che non ho forse sempre fatto lo stesso? – disse lui, strofinando piano il naso contro il suo collo. Non c’era aria d’accusa nella sua voce, né voglia di litigare.
-Sai benissimo che non è così – gli disse, con una punta di severità. –Mi riferisco ai primi tempi, quando stavi via anche per mesi e io e il piccolo eravano qua, da soli. Non ti ho mai rinfacciato niente, ho semplicemente detto che sono sempre stati gentili con me.
Solo lei poteva permettersi di fargli la ramanzina e di poter rimanere ancora in vita.
-E ci porterai anche Inuichi? – volle sapere.
La ragazza ci pensò un po’sopra, fingendo di ponderare seriamente la cosa.
-Mah, in realtà avevo pensato di appenderlo ad un albero qui fuori fino al mio ritorno.
L’occhiata penetrante del demone la raggiunse anche attraverso lo specchio, e lei la fissò senza interrompere il proprio lavoro. Sospirò.
-Ne abbiamo già parlato, Sesshomaru – disse, con una certa dolcezza di sottofondo.
Era vero, ne avevano discusso. La vincitrice, com’era prevedibile, era stata lei: aveva asserito che non avrebbe mai impedito al bambino di frequentare la cuginetta poco più grande né tantomeno gli zii che si erano sempre presi cura di lui perché, al di là delle avversioni personali di Sesshomaru, Inuyasha e sua moglie erano delle bravissime persone.
Se l’avesse isolato, lasciandolo solo, avrebbe solo ottenuto una brutta copia di un carattere scontroso, irascibile e freddo, e lei voleva solo il meglio per il proprio bambino.
“E poi”, aveva detto, “ero seria quando ti dissi che, appena sarà cresciuto, andremmo via da qui. Quel giorno di tanti anni fa – ricordi? – mi avevi detto che alla fine del mio apprendistato avrei avuto due scelte. Non l’ho dimenticato, e nemmeno tu”.
-Non riesco proprio a capire questa tua testardaggine. Per non parlare dell’odio verso Inuyasha – commentò poi.
-Ne abbiamo già parlato – ripetè lui, gelidamente.
La ragazza sospirò, rassegnata. Posò le dita sottili contro la guancia gelida dell’amato e vi posò una carezza leggera, esistante. Lui non la repinse: non lo faceva mai. Anche se non prendeva l’iniziativa, lei aveva sempre saputo che le tenerezze che gli riservava erano gradite, perché le accettava con un appagato silenzio. Delle volte si chiese persino come doveva essere vivere con un uomo che ricambiava le dolcezze della vita di casa con baci a fior di labbra oppure mazzi di margherite il giorno del proprio compleanno, ma si rese conto che era un pensiero stupido. La silenziosa dedizione di Sesshomaru, il suo regalarle qualsiasi cosa anche se non era assolutamente necessario e il suo amare, senza una sola parola, sia lei che il figlio era la cosa migliore che qualcuno avrebbe mai potuto ricevere.
-Scusami, ho parlato troppo. Come mio solito; lo sai come sono fatta, no? Anche quand’ero bambina dicevo sempre qualche parola fuori luogo, mi spingevo troppo oltre, ma proprio non riuscivo a trattenermi. Non voglio farti andare via irritato, Sesshomaru – mormorò.
Una nocca così fredda da sembrare bollente descrisse la curva del suo zigomo con insospettabile dolcezza. Si fermò, meditabonda, sulla linea del mento, prima che due polpastrelli più lisci del dorso delle mani di Rin ne prendessero la punta con fermezza e la costringessero, sempre delicatamente, ad interrompersi e a guardarlo.
-Non devi scusarti – le disse. Poi la baciò.
Rin non gli permise di andare troppo oltre, anche perché si sentiva stanca. Si disse fra sé e sé che avrebbe completato ciò che aveva interrotto nella prossima visita, prima di allontanarsi con garbo dalla stretta sempre più passionale del demone.
Lui la lasciò andare, poiché mai l’aveva forzata a fare qualcosa contro la sua volontà. Lei continuò a pettinarsi e lui rimase appoggiato alla sua schiena.
-La notte è ancora lunga… - canticchiò la ragazza, con una punta di malinconia, -… e la mia vita sembra così breve, di fronte a queste belle stelle…
Quelle parole misero nel cuore di Sesshomaru una certa tristezza, ma si disse che, almeno per diversi anni, non avrebbe dovuto preoccuparsi: a Rin non l’aveva mai confessato, ma Tenseiga le aveva allungato la vita.
Le aveva sempre mentito per non svelarsi più del dovuto, tuttavia se l’aveva sempre curata con la propria spada era solo per elemosinare decenni, piccoli frammenti di vita che avrebbero potuto passare insieme. Non sapeva di preciso quanto tempo le avesse regalato con le proprie mistiche cure, ma gli parve un numero di anni sufficientemente ragionevole per farle godere appieno la sua futura esistenza da imperatrice al fianco del marito e del figlio.
Cominciando ad intrecciare una ciocca di capelli appena pettinati, si permise di confessare ai propri pensieri il vero significato di quel gesto.
“Questo è il mio regalo per te, mia bella principessa…”
Un lieve sospiro mosse le spalle di Rin.
-Questa canzone è così triste… la cantano i soldati nei campi di battaglia. Li sento, ogni tanto, mentre marciano in prossimità delle vallate: la cantano perché sanno che non riusciranno mai a tornare a casa. È così terribile…
-Perché la canti, se ti incupisce? – domandò Sesshomaru.
Lei fece una risatina malinconica. –Non lo so… forse non c’è un vero motivo. Ha delle belle parole.
Il demone ne dubitava, ma non disse nulla. Si limitò ad ascoltare la sua voce fino a quando, fuori dalla finestra, una timida luce cominciò ad affiorare, illuminando parzialmente lo spiraglio che si gettava sulla camera in penombra.
Con un soffio, spense la candela al fianco della fanciulla.
-Devo andare – disse.
-D’accordo. Un attimo solo: vado a chiamare Inuichi – disse Rin, in un cinguettio improvvisamente entusiasta, e lui la guardò camminare verso l’altra stanza con il tipico passo di una donna che, incosapevole della propria bellezza, sarebbe in grado di far innamorare un insensibile demone centenario.
Proprio come lui.
 
///
 
 Persino Inuyasha, dopo il racconto dell’ennesima barzelletta spinta, si permise un sorriso.
Non sapeva dire perché, ma quel giorno si sentiva felice. Al sole i suoi vestiti si stavano asciugando, così aveva potuto abbracciare la vita sottile di Kagome e sentire la sua figura minuta contro il proprio fianco.
Nonostante stesse ascoltando la conversazione, il suo sguardo vagava su Kaori, tutta presa dallo giocare con Inuichi. Non avrebbe mai smesso di meravigliarsi di essere stato capace di contribuire alla nascita di una creatura tanto splendida.
E, anche se non l’avrebbe mai immaginato, si sentiva molto legato a quello strano bambino con il viso di Sesshomaru e l’espressione di Rin, di cui lui e Kagome si erano più volte presi cura ammirando il suo carattere mite e tranquillo.
Kagome gli lanciò un’occhiata divertita, come per assicurarsi che quel tiepido pomeriggio di fine estate fosse reale, e riprese ad accoccolarsi contro di lui, quasi fosse una bambina. Quante volte, prima della sconfitta di Naraku, si erano ritrovati su quella stessa collinetta per pranzare e godersi la momentanea quiete?
Quasi non poteva credere che ora la pace avrebbe potuto essere permanente. Certo, gli scontri umani c’erano ancora, ma Miroku era speranzoso in una risoluzione breve dei vari problemi politici, e questo avrebbe garantito una serenità a trecentosessanta gradi a tutta la popolazione giapponese.
-A proposito – intervenì Kagome, dopo qualche istante di silenzio, - il padre di Kunieko è venuto a mancare, qualche giorno fa. Lo sapevate?
Rin abbassò tristemente il capo. –Sì, l’ho saputo. Era davvero un brav’uomo!
-Non credevo vivesse ancora al villaggio – commentò Miroku, vagamente rattristato.
-In effetti, ce l’hanno riportato solo per seppellire le ceneri. Da quando Kunieko si è sposata, aveva portato il padre a vivere con lei, e si dice che lui e il Generale andassero molto d’accordo. Giocavano a go in veranda fino a tarda sera – disse Kagome.
-Non erano uno molto più vecchio dell’altro, in effetti – riflettè Shippo, ad alta voce, prima di arrossire.
-Credo che il Generale fosse più vecchio di lui – continuò Sango.
Tutti annuirono, anche se non avrebbero mai potuto sapere che l’uomo in questione aveva una decina d’anni in meno del suocero, nonostante dimostrasse un fascino molto più maturo.
-Chitose mi ha detto di averla vista, l’altro giorno – confidò Sango, - ma non ne era sicura. Era accompagnata da altre due dame, probabilmente le sorelle.
-È da quasi sei anni che la famiglia non tornava tutta al villaggio, dopo la morte della madre – disse Miroku, congiungendo le mani.
-Speriamo che i Kami abbiano pietà delle povere anime di entrambi – aggiunse poi, pronunciando una breve preghiera a mezza voce.
-Sai, è facile dimenticarsi del fatto che tu sia un monaco – commentò Inuyasha, con gli occhi a fessura.
L’interessato rispose con la stessa espressione. –Che cosa vorresti dire?
-Niente, non voleva dire assolutamente niente – intervenne Kagome, lanciando un’occhiata severa al marito.
-Inuyasha, sei sempre il solito zuccone – commentò Shippo, scuotendo il capo con rassegnazione.
-Hey, tu… - ringhiò l’altro, stringendo subito le dita a pugno, pronto a colpirlo.
Il bambino, rendendosi conto di averla detta grossa, si nascose dietro alla schiena del monaco, dove trovò subito protezione. Ci fu un veloce scambio di battute che culminò con la minaccia dell’”a cuccia” di Kagome, da molto tempo dimenticato.
In quell’esatto momento, la sagoma di Mirei si unì ai due bambini sul prato, seguito dal passo più lento e cadenzato della sorella gemella, Chitose. Entrambe si unirono ai giochi e, essendo le più grandi, cominciarono a gestire la situazione ponendosi al comando.
-Oh, eccole qui – sospirò Sango, - ci stavano mettendo davvero troppo! Avevo paura che Kaede si fosse sentita male!
-Sarebbe stato orribile – disse Rin. –Mi sarei sentita estremamente in colpa. È da un sacco che non la vedo.
 -Non angustiarti, la vecchia ha la pellaccia dura – disse Inuyasha, nascondendo le mani sotto alle maniche.
-Inuyasha… - lo riprese Kagome, costernata.
-Beh? Che ho detto?
Cominciò la solita cantilena del “dovresti portarle rispetto”, intervallato dagli sbuffi spazientiti di Inuyasha, ma si interruppe presto. Ormai entrambi avrebbero saputo citare le parole del sermone a memoria, e ad entrambi era venuta voglia di godersi la calura del pomeriggio.
I bambini, intanto, avevano cominciato a giocare “ai guerrieri”, con somma gioia di Mirei.
-Eccola lì, il mio maschiaccio – disse Sango, con voce dolce, causando un sorriso in Miroku.
-Sempre la solita – disse, orgoglioso.
Nessuno dei due avrebbe potuto sapere che, compiuti i sedici anni, Mirei sarebbe partita con il faticosamente ottenuto permesso per il villaggio degli Sterminatori, sotto la protezione dello zio, seguita dal fratello di tre anni più giovane.
Lì avrebbe fatto velocemente carriera, fino a trasferirsi nel villaggio una volta diventata una splendida guerriera ventenne. Per molti anni a venire, la figura slanciata della giovane sarebbe stata associata, per la somiglianza incredibile, con quella della madre.
Chitose, invece, rimase per tutta la vita al villaggio Musashi, diventando la sacerdotessa più potente di ben quattro regioni. Il suo nome prestigioso avrebbe causato moltissimo orgoglio nella famiglia che, composta ormai dai genitori ancora in perfetta salute, si godeva il suo successo dietro alle quinte.
Usuke, alla fine, capì di non essere tagliato per la battaglia, ma rimase accanto alla sorella Mirei. Si dedicò anima e corpo nell’erboristeria, diventando il guaritore ufficiale del villaggio degli Sterminatori e passando gli ultimi anni della sua vita insegnando la delicata disciplina a schiere di reclute più giovani.
-Cos’è quella strana collana che ha Inuichi addosso? – chiese Kagome, aguzzando la vista.
-Non è un rosario, vero? – si informò Inuyasha, allarmato.
Rin scosse la testa, sorridendo. –È un regalo di Miyasama.
Tutti si voltarono verso di lei, dicendo all’unisono: -Miyasama?!
La ragazza annuì, enigmatica. Poi, preso un profondo respiro, decise che raccontare loro l’intera vicenda non sarebbe stato affatto male.
 
///
 
Il principe posò annoiatamente il mento sul palmo della mano, mentre le grida sgraziate di uno shamisen non usato nel modo giusto continuavano a risuonare per la lussuosa stanza.
Sua moglie, una giovane principessa con un’incredibile massa di capelli in testa, era tutta intenta nel pizzicare corde in ordine casuale, provocando un suono più stridulo addirittura della sua stessa voce. Chi avrebbe mai pensato che una donna tanto bella sarebbe potuta essere invece tanto grezza?
La cosa peggiore, era che Miyasama era costretto ad assistere a quella scena pietosa ogni pomeriggio per una buona mezz’ora, a parte quando si trovava in missione militare. Solo che, a differenza dei propri servitori, aveva da tempo smesso di fingere di trovare quei momenti piacevoli.
-Basta così – sussurrò al suo braccio destro, - fai sellare il mio cavallo e inventati una scusa qualunque.
L’uomo si limitò ad annuire ed uscì con discrezione dalla stanza, anche se la principessa era così assorta che non se ne accorse nemmeno.
Tossicchiando educatamente, Miyasama fece un sorriso pacato alla moglie come incoraggiamento, prima di farle un cenno col capo. Indossò il proprio mantello da generale e, con l’elmo sottobraccio, fuggì dalla sala, pronto a rinchiudersi in una tenda e a discutere di strategie militari con gli altri caporali.
Aveva da poco intrapreso la carriera di stratega e già veniva ammirato dai suoi superiori. Pur di fuggire dall’infelicità domestica, il campo di battaglià diventò per lui come una via di scampo.
E sarà proprio su una piana di terra brulla che troverà la morte, in un freddo pomeriggio di marzo: la spada nemica superò le giunture della corazza e raggiunse un cuore che, nonostante stesse per morire quasi dieci anni dopo l’accaduto, fu in grado di sussurrare solo un nome:
Rin…
 
///
 
-Santo cielo… - sussurrò Kagome, estasiata.
Inuyasha conosceva quello sguardo fin troppo bene: aveva la faccia inebetita dell’agguerrita ammiratrice delle storie d’amore impossibili. Quand’era nel futuro, aveva visto in camera sua scaffali e scaffali di titoli di libri conturbanti incentrati su passioni insensate, e la vista gli aveva fatto accapponare la pelle.
-Quell’uomo vi è proprio fedele, eh? – commentò Miroku. Non sarebbe mai riuscito a capire una monogamia così forzata in un uomo celibe, attraente e nel fiore degli anni.
-A parte tutto, si può dire che abbia fatto un bel gesto – si limitò a dire Sango.
Rin guardò assorta la figura del figlio. –Non riuscirò mai a capire perché, ma quell’uomo vuole bene anche ad Inuichi. E, in un certo senso, ne sono felice.
-Bah – sbottò Inuyasha, stizzito – e allora si può sapere perché stai ancora con Sesshomaru?
Kagome stava già aprendo la bocca per fargli una lavata di capo, ma la risata di Rin la interruppe.
-Non hai proprio peli sulla lingua, Inuyasha-kun, lasciatelo dire! – esclamò, con le lacrime agli occhi.
Il ragazzo arrossì lievemente, beccandosi pure una veloce sgridata dalla moglie.
-Eh sì – sospirò Miroku, - si può dire che la delicatezza non è proprio il suo forte.
Questa volta il mezzo-demone non replicò, anzi, lasciò che parlassero. Si perse ad osservare la figlia giocare assieme agli altri bambini sul prato, ascoltando le risate che solo lui poteva cogliere in tutta la loro innocenza.
-Ci sono così tante persone che abbiamo perso di vista – disse Sango, nostalgica, all’improvviso. – Ad esempio, che mi dite di Koga?
-È vero! – esclamò Kagome, entusiasta, - Non l’abbiamo più nominato! Chissà come sta, poverino!
-Poverino? – disse Inuyasha, con una smorfia. –Cos’è tutta questa confidenza?
Sango lo guardò, incredula: -Andiamo, Inuyasha, non dirmi che tu sei ancora geloso nonostante ti abbia sposato e abbiate fatto una figlia insieme!
-I…io non sono affatto geloso! – balbettò, imbarazzato.
-A proposito – intervenì Kagome, ignorandolo e poggiando una mano sul suo avambraccio, - noi due avremmo un annuncio da fare.
Non servì dire altro per catturare la loro attenzione.
 
///
 
Nonostante due esplosioni violente di epidemie mortali, la tribù Yoro sopravvisse ottimamente e continuò la propria esistenza. Anche quando la presenza dei demoni nel mondo conosciuto crollò drasticamente, gli esseri più longevi fra i demoni lupo furono fra gli ultimi a cadere, fieramente e con onore.
Koga, dal canto suo, aveva per sempre abbandonato la via della guerra. Da quando Ayame era rimasta incinta per la prima volta rischiando la vita, aveva finalmente deciso di starsene con la sua famiglia senza mettere inutilmente a repentaglio la propria salute con demoni minori, poiché “se un nemico non è al mio livello, non ha senso nemmeno sconfiggerlo”.
Con sei figli al seguito, aveva minuziosamente sparito il proprio regno in parti uguali, contando anche le femmine, insegnando loro a combattere e a difendere il branco. I suoi fedeli assistenti si occuparono di lui anche dopo il matrimonio: erano loro ad assecondare Ayame in ogni capriccio di donna incinta oppure a giocare con i piccoli se il padre era immerso in difficili problemi territoriali oppure incontri con altri capo tribù.
Durante la sua vita gli capitò spesso di domandarsi che fine avessero fatto Kagome e “quel botolo ringhioso”, ed immaginò che si fossero sposati senza metterlo in dubbio nemmeno un attimo. Tuttavia non trovò mai né il tempo né la scusa di scendere al villaggio, quindi, quando quella bellissima sconosciuta stranamente familiare di nome Kaori asserì di amare suo figlio maggiore, Akio***, lui non sospettò assolutamente nulla e benedì personalmente l’unione.
Quando però riconobbe l’odore sottile di demone cane sulla fanciulla, durante una delle numerose visite che seguirono il matrimonio fra i due giovani, l’unica cosa che disse fu: “Che mi venga un colpo”.
E così fu: la sua tomba fu scavata con tutti gli onori poco dopo la sua prima, e ultima, visita ufficiale al villaggio Musashi, con sommo stupore di entrambe le famiglie.
 
///
 
Inuyasha le prese la mano, titubante, senza spostare il braccio dai suoi fianchi morbidi. Poteva quasi fiutare l’imbarazzo di Kagome nelle parole che stava per pronunciare, ma si fece coraggio e non si intromise, dal momento che la sera prima lei aveva espresso il desiderio di dirlo personalmente.
La fanciulla deglutì, arrossendo esattamente come il marito.
-Ecco, io… io ho sempre desiderato avere tre figli. Da quando io e Inuyasha abbiamo cominciato a vivere insieme, mi sono sempre detta che siamo come una famiglia, per cui… il mio obbiettivo non è ancora mutato.
Sorrise, stringendo con più forza la mano del marito.
Sango e Miroku la fissavano attenti, trattenendo il respiro, mentre Rin, che sembrava aver capito tutto, stava sorridendo con aria complice. I bambini, ignari, stavano ancora giocando alla loro innocente guerra.
Shippo, invece, aveva gli occhi spalancati e fissava la coppia senza capire. Era felice, però: felice che finalmente anche Kagome e Inuyasha lo fossero insieme. Avevano faticato tanto ma, alla fine, l’amore aveva trionfato e, guardando le loro espressioni imbarazzate e innamorate, gli parve di scorgere anche l’ombra dei suoi genitori, morti ormai molti anni prima.
Forse, guardando il suo visetto paffuto che si stava assottigliando in una posa molto più adulta, Kagome potè quasi scorgere un barlume della dorata carriera che il demone avrebbe avuto, ma in quell’istante vi vide sempre e solo il bambino coraggioso che tante volte aveva coccolato e vezzeggiato come fosse suo figlio.
Probabilmente Inuyasha non immaginava nemmeno che, dopo non molto tempo, Shippo sarebbe diventato l’insegnante più famoso dell’ostello delle volpi, dopo essersi diplomato con il massimo dei voti alla scuola  per demoni e averla presa in gestione in seguito alla morte del vecchio proprietario. In seguito, i membri del gruppo tornarono ad essere ospiti della struttura, pernottando nella massima comodità e, ovviamente, lontani dalle esercitazioni delle giovani reclute.
-Dài, dillo! – esplose Rin, al limite della curiosità. Questo fece ridere la sacerdotessa.
Guardò dritto negli occhi di Inuyasha. Fissò l’iride amata e conosciuta, agognata per molto tempo, e la fissò con la stessa gratitudine del primo giorno. Vi scorse amore, e una profonda dedizione, e capì per l’ennesima volta che solo con lui sarebbe potuta essere veramente felice.
-Io…io aspetto un bambino.
Subito dopo, si corresse: -Io e Inuyasha aspettiamo un bambino.
Sorrise: la vita a volte poteva essere davvero meravigliosa.
 
*Dubito che in Giappone, all’epoca, conoscessero i leoni ;) si può dire che li abbia introdotti Kagome :D
** “Lo splendore della vita”
*** “Eroe” (cosa ci si poteva aspettare dal primogenito di Koga, sennò? xD) 
  
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