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Autore: goldenfish    16/08/2013    1 recensioni
Sono tondi e inespressivi, ma puoi trovarci riflesso di tutto. Immagini capovolte, pensieri deviati e cinici, volti di persone che non conosci e che non conoscerai mai, conchiglie e magari anche una sirena, una voce lontana, un litigio, un gatto che fa le fusa. Loro stanno li ad osservare dietro uno strato di vetro che distorce la realtà e la trasformano in un mandala confusionario e psichedelico.
Sono gli occhi dei pesci che raccolgono e immortalano ogni racconto, ogni frammento di ogni vita, ogni secondo, ogni pensiero.
E io, semplicemente, li raccolgo, li traduco e li riscrivo.
Genere: Dark, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ricordi dal futuro
***


-Ma sta zitto!- mi urli in faccia. Ammutolisco. Gli occhi fissi sulla strada e lo sguardo perso tra i motivi che segnano il cemento. Quelle venature così diverse l'una dall'altra, ma che combaciano perfettamente.
-Ci stai prendendo in giro, stronzetto?- mi pungola il tuo amico. Un bestione alto due metri. La testa piccola e il ghigno sghembo.
Sento i suoi occhietti acquosi spostarsi rapidi dal mio corpo al tuo volto, in cerca di approvazione per quello che sta dicendo.
Tu annuisci e lo percepisco sorridere.
Che effetto fai alla gente, me lo spieghi?
Il naso alla francese e quella spruzzata di lentiggini che ti rendono tanto interessante. Me li presti, per favore? Almeno per un giorno?
Una calamita vivente. Attiri chiunque nel raggio di chilometri. Tutti agonizzano a rientrare nella tua stretta, fortunata e ricercata cerchia di amici.
Un élite di persone che pendono dalle tue labbra sottili, macchiate di quei puntolini marroni.

Anche io sono una calamita, in un certo senso.

Per te.

Tu che mi giri sempre attorno. Che non mi lasci mai in pace. Tu che provi piacere nell'offendermi e nel mortificarmi.

Mi hai rubato tutta la mia dignità e continui a farlo. Hai smembrato ogni parte del mio corpo, alla ricerca di ogni briciola di essa, che potresti aver dimenticato durante i toui crudeli giochi.

 Scuoti la tua testa riccioluta e bionda, prima di attaccarmi di nuovo. Mi hai spinto già due volte.
E due volte sono caduto e mi sono rialzato. Non so se ce la farò anche la terza.
Mi mordo il labbro in segno di frustrazione.
Rapido il tuo amico mi colpisce il mento. Il dolore lancinante mi percuote il corpo. Il sangue caldo mi goccia lungo il mento e il labbro pulsa inesorabile.
Lo sento bollente e gonfio. Il taglio è parecchio profondo. Tu mi guardi. La tua espressione è indecifrabile, non capisco cosa voglia trasmettermi il tuo sguardo, fermo sulla mia ferita.
Disprezzo? Derisione? Odio? O forse compassione? No, tu non sai cosa sia la compassione. Tu capisci solo il codice della paura e dell'intimidazione.
Violenza. La parola tatuata nel tuo cuore.

Mi osservi dai tuoi 185 centimetri di altezza. Sposti il peso dalla gamba sinistra a quella destra, mentre decidi cosa fare con me.
Il tuo amico ti osserva, impaziente con quella sua ridicola faccia da idiota.
Di lui non ho paura, è solo una pedina nelle tue mani che trasudano, come ogni parte di te, carisma e charme.
E' te che temo.
Te è i tuoi occhi verdi. Torbidi e impenetrabili.
E' l'oscurità che ti avvolge a spaventarmi. Le tue espressioni ambigue e le tue frasi enigmatiche.
Il tuo sadismo perverso celato dietro un viso da bambolina.
Ti batti una mano sul petto, meccanicamente. Immagino quel rumore sordo sul mio corpo, amplificato di cento volte.
Il ricordo di quel giorno si fa bruscamente spazio nella mia mente offuscata dal terrore. Non riesco a trattenere il brivido che mi percorre la pelle.
Come un segugio, avverti la mia paura.

Ora sai esattamente cosa fare.

Lanci un'occhiata complice al tuo manichino che non ci pensa due volte a farmi crollare a terra. I miei riflessi sono rallentati. Sento la faccia sbattere contro il cemento freddo. I sassolini penetrano nel labbro rotto. La ferita brucia incredibilmente.
Inizia a calciarmi il costato.
Quei colpi sordi e secchi sono proprio come me li ero immaginati. O meglio, come me li ricordavo. Il dolore lancinante mi offusca la vista. Una cortina di fumo si para davanti ai miei occhi e quelle maledette lucine abbaglianti diventano le protagoniste delle mie pupille. Il panorama si confonde e si mischia con il dolore. Mi viene la nausea. Vomito.
Mi lasciate li, agonizzante.
Ti passi una mano sul mento coperto da una leggera barbetta bionda. Ancora una volta non riesco a codificare la tua espressione. E questo è ancora più umiliante e frustrante dell'essere stati colpiti.
Mi lascerete morire qui. Ne sono sicuro.
Forse me lo merito.
Vorrei solo dirti una cosa, prima che te ne vai. Sento ancora il sapore acidulo del vomito in bocca, insieme a quello intenso del sangue.
Ho la sensazione che mi abbiate strappato anche le corde vocali. Non riesco più a muoverle e la lingua non risponde più al mio volere. Inutile cercare di muovere le labbra.

-Aspetta!- vorrei gridarti, mentre ti vedo allontanare, con la tua andatura incerta. Da zoppo.

 L'odore dell'asfalto mi penetra nelle narici e raggiunge il cervello. Non riesco a pensare ad altro che a te. Il mio carnefice. La tua immagine riempe ogni camera della mia mente e dei miei ricordi. Potrei parlare di te  per giorni interi, senza arrivare mai ad una vera conclusione su i tuoi pensieri.

Dimmi a cosa stai pensando, adesso, mentre di giri un'ultima volta per guardare me, steso per terra con la faccia pesta e le costole rotte.
Quella smorfia, che cos'è?
Spiegami perchè non sorridi. Perchè non sei come tutti i tuoi "amici"?
Perchè sei così irraggiungibile?

Vorrei concentrarmi a fondo per trovare le risposte, ma la mente è diventata così pigra che gli occhi non vedono altro che nero. Così annoiata che le orecchie non sentono altro che silenzio. Così amareggiata che la bocca non sente altro che l'acido. Così addormentata che non sento più alcun odore, nè mi rendo conto della durezza della strada.

In verità, non mi rendo conto più di niente. Neanche del dolore.

***

Un ragazzino attaccato alla rete. La schiena perfettamente aderente ai rombi che le maglie di ferro verde formano.
Ci guarda con aria spaventata. Le sottili dita intrecciate alle maglie della rete.
Gl'immensi occhi limpidi che implorano pietà.
La sua colpa? Essere solo e troppo buono o debole per difendersi
E' una vita che lo tormentiamo. Lo priviamo della sua vita e della sua umanità. Il nostro sfogo personale.
-Vi prego, non ho fatto nulla, ho solo...- cerca di spiegarci. Non ci guarda neanche negli occhi.
-Ma sta zitto!- lo attacco, urlandogli in faccia. Il mio amico, un bestione di due metri, mi guarda soddisfatto. Avverto al sua adorazione e questo mi manda su di giri.
-Ci stai prendendo in giro?- lo provoca lui, con la sua voce profonda e rauca, più da uomo che da adolescente. Il suo odore penetrante di fumo mi solletica la pelle. Mi esalto, perchè so che sia lui che tutti i miei amici pendono dalle mie labbra. Sono come l'imperatore romano che, con un semplice gesto, decide per la vita di un altro essere umano.
Pollice su, o pollice giù. Cosa dirà l'imperatore?
Osservo quel ragazzino tremante, mentre decido sul da farsi. Lo vedo in difficoltà, mentre cerca, disperatamente, di carpire un indizio sulla mia decisione.
Sento il respiro affannato della mia pedina, accanto a me. Non ci penserebbe due volte a pestare quel ragazzetto. Sta aspettando solo il mio giudizio.
Le braccia pallide del ragazzino si stringono convulsamente contro il suo corpo, come se stesse attendendo il primo, forte pugno.
Le gambe gli tremano visibilmente. Si muovono rapide e incontrollabili.
Mi avvicino all'orecchio del mio amico e gli sussurro qualcosa.

Osserviamo il ragazzino steso a terra, il sangue gronda dal suo naso e dalla sua bocca. Ha lo sguardo vitreo e perso chissà dove. Le palpebre sbattono così raramente che pare morto.
Guardo quell'esserino steso sull'asfalto. Respira lentamente. Cerco d'immedesimarmi in lui, di provare per un attimo lo stesso dolore che gli ho provocato. Non ci riesco.
Raggiungo il bestione, che ha già iniziato ad allontanarsi. Mi giro un'ultima volta, per osservarlo.
Di tutto quel corpo martoriato, mi soffermo sul ginocchio destro.
Girato di 360°.
Non so niente di ossa o legamenti, ma sono abbastanza sicuro che rimarrà zoppo a vita. Sogghigno mentre mi confondo con l'oscurità che ci circonda.


***

-Quel coglioncello lì mi ha inculato il portafogli- dico al mio amico, puntando il dito verso un ragazzino magro e biondo. Sta giocando con un gatto. Che imbecille! Mi fa solo venire il voltastomaco, detesto la gente come lui.
Colgo nello sguardo del ragazzone di fianco a me, un lampo di sadismo. Non per nulla è considerato il criminale del quartiere. Grosso, cattivo e incredibilmente preistorico, si è lasciato facilmente manipolare da me. Mi ammira e lo so, mi seguirebbe qualunque cosa facessi. Si piega al mio volere come un filo d'erba sotto il vento.
-Lo pestiamo?- mi domanda smanioso.
Ci penso un attimo.
Dopotutto non manca un soldo dal mio portafogli. Niente.
La tentazione è forte. Si è accorto di noi, ci sta fissando con i suoi occhioni verdi, il visetto sommerso di lentiggini. Quello sguardo infantile mi manda in bestia. La collera fa ribollire il mio sangue e le mani iniziano a prudere pesantemente. Il mio amico freme quanto me, lo sento battere nervosamente le dita sulle gambe muscolose. Le sue azioni dipendono solo ed unicamente dalle mie decisioni.
Sento il peso della responsabilità sulle mie spalle. Assaporo il piacere della violenza.
-Allora?!- insiste l'armadio.
Ci penso un attimo. Respiro profondamente. Una, due, tre volte.

Ho preso la mia decisione.

Ora so cosa fare.


-No- rispondo infine.

  
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