Fanfic su attori > Ben Barnes
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Autore: Nadie    17/08/2013    2 recensioni
'E tu? Hai già fatto tutto quello che volevi fare prima di morire?'
'Assolutamente no'

[Ben e Prudence]
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Temporale '
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II
 

Nonostante l’orario, le strade di Dublino non erano affatto deserte, i pub ai lati della strada grondavano di gente, e la puzza di alcol si faceva strada violenta nelle narici.
Sistemai la sciarpa sopra al naso e salii sul marciapiede, un ragazzo riccioluto con un grosso bicchiere in mano ammiccò nella mia direzione. Voltai lo sguardo.
Alcune macchine sfrecciavano sulla strada, ben oltre il limite di velocità consentito.
Svoltai a destra ed andai dritto e poco dopo mi ritrovai di fronte ad un enorme palazzo con i muri tinteggiati di un bianco ormai ammuffito.
Tirai fuori le chiavi dalla tracolla ed aprii il portone.
L’ascensore verdognolo era guasto da anni e nessuno si era mai dato la pena di rimetterlo in funzione, così, ogni volta, ero costretta a farmi la bellezza di settantacinque scalini per arrivare al quinto piano.
Le gambe mi facevano davvero male, ogni scalino era un supplizio.
Ad un tratto sentii qualcosa muoversi sulla mia scarpa, aveva una consistenza morbida e si stava strusciando convulsamente emettendo uno strano suono.
Le luci, come l'ascensore, non funzionavano più, così presi l'accendino dalla borsa e illuminai gli scalini.
Un gatto tutto grigio stava comodamente appollaiato sulla mia scarpa.
«Dorothea! Ma che diamine ci fai qui, aspetta che la signora Dubois lo scopra!»
Dorothea miagolò e stirò le zampe.
Sospirai.
Mi abbassai e la spostai, lasciandole una lieve carezza sul muso.
Ripresi a salire gli scalini, finché non sentii il solito odore di vecchio e marcio che ristagnava nell'aria del quinto piano.
Girai piano la chiave nella serratura della porta ammaccata e sgusciai dentro casa, la luce in cucina era accesa.
Mi avvicinai all’uscio.
Mia madre era china su vecchie foto di famiglia e piangeva. Sul tavolo c’era una bottiglia di Whisky aperta.
«Mamma, ma che fai?»
«Va’ via» grugnì con voce stanca e girò un’altra pagina di un album ingiallito.
Aveva una mano sulla fronte e continuava a tirar su con il naso, girò un’alta pagina ancora. C’era la foto di un uomo di bell’aspetto, biondo, con due grandi occhi celesti, indossava uno smoking scuro e sorrideva allegro all’obbiettivo.
Mia madre scoppiò a piangere.
Mi avvicinai.
«Dai mamma, vieni a dormire… » tentai di prendere l’album ma mi schiaffeggiò il braccio.
«Vattene via!» strillò.
Sospirai e andai in camera mia.
Il mio fratellino di sette anni era seduto a gambe incrociate sul mio letto e tormentava con le dita i lacci del pantalone del pigiama.
«Jude! Non dovresti essere a letto già da un pezzo?!»
Posò i grandi occhi blu su di me.
«La mamma piange. Perché la mamma piange?»
Gli sorrisi debolmente e mi sedetti di fianco a lui.
Gli spettinai i capelli chiari e gli diedi un bacio sulla fronte.
«La mamma piange perché è stanca.»
«Stanca di cosa?» domandò stropicciandosi gli occhi.
«Stanca della vita.»
«E quando uno è stanco della vita piange?»
«Non sempre. Può anche arrabbiarsi, oppure far finta di nulla, dipende» si grattò il mento e mi fissò confuso.
«Ma perché alcuni si stancano della vita?»
«Perché a volte capitano brutte cose che non si riescono a dimenticare e se ci si sente soli e non si ha nessuno con cui condividerle o con cui parlarne be’, a quel punto va a finire che bisogna tenersele dentro e andare avanti, ma è difficile, ci vuole tantissima forza, e dopo un po’ ci si stanca.»
Fece una piccola smorfia.
«A te sono successe brutte cose?» annuii.
«E sei stanca della vita anche tu?»
«No, per niente» sorrisi.
Fissò per qualche istante il pavimento della stanza, poi i suoi occhi ritornarono sul mio viso.
«Prudence, possiamo aiutare la mamma?» non risposi subito, restai per un momento a guardarlo, a studiare quel volto delicato, quelle labbra lucide e purpuree e quegli enormi occhi blu.
«Forse, forse possiamo. Ma adesso fila a letto, è tardissimo!»
Si sistemò sotto le coperte del mio letto.
Indossai in fretta il pigiama e mi stesi accanto a lui.
«Prudence, ti voglio bene.»
«Ti voglio bene anche io, Jude. Dormi.»
Chiuse gli occhi e si addormentò subito.




Okay, sono in ritardo, lo so, chiedo venia :c
Capitolo corto e senza Ben, ma utile per capire un po' in che situazione vive la mia Prudence.
Ringrazio tutti i lettori, silenziosi e non :)

 
  
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