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Autore: Gio_Snower    17/08/2013    5 recensioni
Rangiku si è sposata ed ha partorito un bellissimo bambino a cui ha dato il nome del suo primo amore: Gin.
Gin cresce in fretta, ed a dieci anni è un bambino intelligente, silenzioso, e con un carattere assai particolare.
Una notte, nel giardino, vede una persona...
Genere: | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Gin Ichimaru : Dopo la morte'
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GIN

 
«Spingi!» disse il medico. «Spingi, che ci sei quasi!» continuò. Rangiku spinse con tutte le sue forze e finalmente, dopo ore di travaglio, partorì. «Sei stata brava.» le disse il medico. Suo marito era al suo fianco e le sorrideva. Il medico prese il bambino e lo porse all’infermiera che lo lavò e poi glielo porse. «Congratulazioni, » disse. «è un maschietto.» l’informò. Rangiku guardò il bimbo nato dall’amore tra lei e suo marito, vide i pugni serrati, gli occhi chiusi e la bocca piccina che formava uno strano sorriso.
Il bambino non aveva nemmeno emesso il primo vagito, aveva accolto la sonora sculacciata in silenzio. Un bimbo forte? Rangiku fissò il marito che annuì e mentre teneva fra le braccia il suo bambino disse: «Il suo nome sarà Gin.»
 
Gin crebbe sano e forte, all’età di dieci anni non assomigliava né a Rangiku né a suo padre se non per i capelli biondi della madre.
Una piccola somiglianza per un bambino.
Gin teneva sempre gli occhi socchiusi, diceva che ci vedeva lo stesso, la bocca atteggiata sempre ad un sorriso misterioso. Nemmeno Rangiku riusciva a capire veramente cosa pensava il figlio.
Perché il suo bambino assomigliava tanto alla persona a di cui portava il nome?
Una sensazione di dolcezza struggente e di tristezza l’assaliva quando pensava a Gin, bensì, non al Gin suo bambino, ma al Gin che aveva conosciuto e che era morto davanti ai suoi occhi, bagnato dalle sue lacrime.
Qualche volta Gin la vedeva triste e gli chiedeva, con voce dolce e flebile di bambino : «Stai male mamma? Cosa c’è che non va? Perché piangi?» Rangiku allora gli rispondeva che andava tutto bene, che era solo la tristezza per una persona che era sparita davanti ai suoi occhi troppo in fretta, che le lacrime presto sarebbero sparite se Gin gli avesse sorriso.
Gin le sorrideva, un sorriso aperto in che rincuorava il cuore tormentato di Rangiku.
«Non mi piacciono le farfalle.» le disse un giorno Gin. «Perché?» gli aveva chiesto Rangiku.
«Sono troppo libere. Troppo pure. Sono come delle illusioni. Illusioni che danzano nell’aria.» aveva risposto Gin. Rangiku era abituata all’intelligenza del figlio e gli aveva sorriso.
«E allora, qual è il tuo animale preferito?» gli aveva chiesto.
«Il serpente.» aveva risposto Gin.
«E perché?» gli aveva chiesto. Dentro di lei il suo cuore tremava.
«Perché mi ci identifico.» aveva risposto Gin. Poi aveva ingenuamente, o forse no, spostato il discorso verso altro.
 
Una sera, mentre suo padre e sua madre dormivano, Gin uscì nel giardino e si sedette sulla veranda a guardare le lucciole.
All'improvviso vide una figura, una figura bianca di un uomo.
L’uomo era alto, aveva capelli argentati e occhi azzurri chiaro semi-chiusi. Il sorriso era misterioso. L’uomo fissava la finestra della camera da letto di sua madre e all’improvviso Gin, in quel sorriso ci vide un qualcosa di non ben definito e un qualcosa di molto simile a una tristezza dolce. Assomigliava al sorriso di sua madre quando piangeva.
L’uomo lo vide, fissò i suoi occhi chiari in quelli di lui e per un attimo, un attimo soltanto, sembrò sorpreso.
Poi sorrise e sparì.
Gin corse, ma lì, nel giardino c’era solo un serpente dalle scaglie argentate  che però sparì dietro un cespuglio.
«Chi, chi era?» mormorò alla luna senza, ovviamente, ottener risposta.
Anche più tardi, quando andò a dormire, non l’abbandonò il pensiero di quell’uomo che gli era sembrato un miraggio. E che come un miraggio era sparito.
 
I petali di ciliegio vorticavano nell’aria. Rangiku giocava con il suo bambino, quando sentì il frusciare di una veste e vide di sfuggita qualcosa di bianco. «Gin?» mormorò. Il bambino si girò sorpreso. «Mi hai chiamato mamma?» gli chiese. Rangiku fissò il figlio, poi scosse la testa con un sorriso. «No, tesoro... Ora però vieni qui, voglio mangiarti tutto.» Gin sorrise, un sorriso misterioso. Poi gli si buttò fra le braccia e strofinò i suoi capelli biondi sul viso di lei. «Mamma…» disse all’improvviso con il suo solito tono serio. «Sì?» gli chiese Rangiku. Suo figlio era di poche parole la maggior parte delle volte, agiva piuttosto di star lì a discutere o a parlare. Quindi incoraggiava il figlio quando lui cercava di interagire con lei. «Ieri in giardino ho visto un uomo.» disse. «Ah, sì?» gli chiese lei. «Era notte. E questo uomo era strano…sembrava etereo. Diverso dagli umani, diverso da noi shinigami.» disse Gin.
«E come era? Che aspetto aveva?» gli chiese Rangiku agitata.
«Aveva corti capelli argentati, gli occhi semi-chiusi chiari e un sorriso dolce. Vestiva una veste bianca.» disse Gin.
Rangiku scoppiò in lacrime silenziose e abbracciò il figlio. «Grazie, Gin, grazie.» mormorò. «Grazie per avermi protetta.» disse. Suo figlio non disse niente, gli asciugò gentilmente le lacrime con una manica e si strinse di più a lei. Forse quell’uomo era qualcuno che lui stesso conosceva.
Forse quello, era l’uomo che era svanito davanti agli occhi della madre anni prima, era l’uomo che ricordava in uno dei suoi primi ricordi dove stava gattonando verso una zona pericolosa e l’uomo aveva scosso la testa così da intimorirlo.
Forse, era davvero lui. Era quel Gin di cui portava il nome.
«Grazie.» pensò Gin dentro di sé.
 
In quel giardino, nascosto dietro uno dei tanti cespugli, si trovava un serpente dalle scaglie argentate. I suoi occhi verticali erano di un chiaro azzurro, quasi color del cielo o del ghiaccio. E con questi suoi occhi guardava la donna e il bambino con il muso atteggiato quasi ad un misterioso ed accennato sorriso. 
   
 
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