Un luogo fuori
dal mondo
Questa
storia
comincia nella Ville Lumière,
in una notte di luna piena,
con un
impiccato.
Le stelle splendevano nel cielo notturno
quando, al numero tre di Rue Maître Albert, si udì
un urlo squarciare la fredda
aria parigina; in un attimo la calma che sino a quel momento aveva
avvolto la
via si ruppe e fu tutto un insieme di urla, di sirene, di andirivieni
finché
dopo ore tornò il silenzio assoluto. Era il silenzio della
morte.
Estelle si lasciò crollare in ginocchio
al
centro della stanza, rimase in silenzio a guardare il vuoto davanti a
se per
qualche minuto, o forse per ore, questo non lo sapeva: non
c’erano orologi in
quella stanza, ma era ancora buio.
Era notte, e se era notte andava tutto bene,
i problemi li avrebbe portati la luce del giorno; la cosa importante in
quel
momento era che tutti fossero finalmente andati via e
l’avessero lasciata da
sola senza fare troppe domande.
<< ..elle. >>
sentì una voce lontana
ma calda e familiare chiamarla << Estelle.
>> ma lei non aveva
nessuna voglia di rispondere, la gola era chiusa e la voce non voleva
uscire.
<< Estelle guardami.
>> ma lei
tenne lo sguardo basso, voleva restare da sola. In realtà
non lo voleva davvero,
ma non voleva essere di peso a nessuno.
Sentì dei passi allontanarsi; ecco, il
suo
desiderio era stato esaudito.
Si strinse le braccia attorno al petto nel
vano tentativo di farsi caldo ricordandosi di essere nella stanza
più fredda
dell’appartamento.
Sentì dei passi avvicinarsi, poi un
piacevole tepore la avvolse e si accorse che qualcuno le aveva messo
addosso una
coperta rosso porpora, sollevò lentamente lo sguardo
incontrando un volto
sorridente con due occhi verdi che brillavano allegri.
<< A-Alain? >> chiese
per
essere sicura di non avere visioni.
<< Ehi. >> le
circondò le
spalle con le braccia e la strinse a se dolcemente <<
Non pensi sia ora
di andare a dormire? >> disse con lo stesso tono che si
poteva usare con
una bambina piccola e spaventata.
<< Non ho sonno. >>
non era
vero, sentiva gli occhi chiudersi e non riusciva più a
tenerli aperti, ma non
voleva dormire per paura degli incubi che avrebbe avuto.
<< Non è vero.
>> disse
Alain accarezzandole la testa <<
Ti accompagno a letto. >>
:<< Non riesco a muovere le gambe, mi
fanno male. >> era rimasta in ginocchio per troppo tempo.
<< Allora ti prendo in braccio.
>> rispose lui sollevandola prima che lei potesse opporsi
<< Dov’è
tuo padre? Quando
torna? >> le
chiese uscendo dalla stanza.
<< Non lo so. >> come
fare a
dirgli che lui aveva abbandonato lei e sua madre?
Alain percorse il breve corridoio e si
fermò
davanti alla porta della camera di Estelle, la aprì col
piede e vi entrò.
Adagiò la ragazza sul suo letto e la coprì per
non farle prendere freddo.
<< Come sei entrato? >>
<< La porta era aperta, avresti
dovuto farci attenzione. >> rispose lui sedendosi accanto
a lei.
<< Che fai? Dovresti tornare nel tuo
appartamento. >>
<< Non ti lascio sola. Non questa
notte. >>
<< Perché? Non sono sola.
>>
chiese in un sussurro, ormai il sonno
stava cominciando a vincerla e sentì vagamente la risposta
che
ricevette<< . . .elle . . .madre. . . morta.
>>
Eh già, si era dimenticata che sua madre
si
era impiccata per la depressione. Fu con quel pensiero che cadde in un
sonno
profondo quanto tormentato.
Il giorno dopo Estelle fu svegliata dalla
luce del sole che penetrava attraverso le tende della finestra, si
sedette sul
letto accorgendosi di essere sola e per un momento pensò di
aver immaginato
tutto, poi vide un biglietto sul comodino, lo prese e lo
aprì riconoscendo la
calligrafia di Alain.
“Sono andato in facoltà, ci
vediamo questa
sera.”
Lui studiava legge alla Sorbonne, lui aveva
i soldi e poteva studiare, lei invece non aveva nemmeno potuto finire
il liceo
perché si era dovuta cercare un lavoro che, per sua fortuna,
era riuscita a
trovare nella sala da thè davanti al palazzo nel quale
viveva.
Estelle si alzò e andò in
bagno a cambiarsi
poi, dopo aver fatto una veloce colazione, uscì di casa per
andare a lavoro.
Scese lentamente le scale stringendo il
manico della sua borsa mentre la gonna verde le danzava attorno alle
gambe,
tenne il volto basso per non incontrare gli sguardi dei suoi vicini.
Appena
uscita dal palazzo sollevò la testa
verso il cielo e vide che stava nevicando.
<< Buon giorno. >>
salutò entrando
nella sala da thè.
<< Estelle perché non sei
rimasta a
casa a riposarti? >> le chiese la padrona del locale
venendole incontro
preoccupata mentre, con poca delicatezza, consegnava un vassoio con due
tazze
di caffè a una cameriera che stava passando in quel momento
e che, colta di
sorpresa, risciò di far cadere tutto.
:<< Non si preoccupi Madame, sto
bene.
>> sorrise lei andando nel retro della sala per poggiare
la borsa e
indossare la divisa.
La donna la seguì<< Ne
sei sicura?
>> chiese poco convinta dal sorriso di Estelle.
<< Certo. >> rispose
la ragazza
raccogliendo i capelli in una coda bassa. Se c’era una cosa
che aveva imparato
con un padre sempre assente e una madre depressa era che parlare dei
propri
problemi era una cosa inutile, non avrebbe cambiato nulla, era meglio
ignorarli.
<< E va bene.
>> acconsentì Madame
<< Ci sono
delle ordinazioni da prendere al tavolo sei. >>
<< Vado subito. >>
La giornata passò in fretta, troppo in
fretta e, appena cominciata l’ora di pranzo, Estelle già non vedeva
l’ora di riprendere a lavorare
in modo da avere la mente impegnata.
Quella piccola sala da thè era
l’unico posto
in cui si era sentita quasi a suo agio, non la considerava una casa, ma
ci
stava bene.
William Shakespeare diceva
che
i giorni brutti sarebbero passati,
come tutti
gli altri,
ed
effettivamente aveva ragione
. . .
solo che i
giorni brutti
passano più lentamente.
Estelle non si era mai sentita a casa
nemmeno a casa sua, non aveva mai trovato un luogo che fosse suo, un
luogo a
cui appartenere e che allo stesso tempo le appartenesse, non si era mai
sentita
viva.
Fra vivere ed esistere c’era differenza, e lei lo sapeva, ma
non
poteva farci nulla se quella scarica di adrenalina che
l’aveva fatta sentire
viva l’aveva provato solo poche volte, alle parallele
simmetriche durante le
lezioni di educazione fisica a scuola.
Sospesa nel vuoto, col sangue alla testa che
scorreva veloce quando si lanciava in una capriola, prima in avanti poi
indietro,
in quei momenti si era sentita bene.
In quei momenti in cui il mondo era
sottosopra, distorto, in quei brevi momenti che erano solo suoi, lei
sentiva di
poter volare lontano e le sembrava di poter quasi vedere
dall’alto quella vita
dalla quale voleva fuggire.
Poi c’erano i pochi momenti nei quali si
sentiva al sicuro quando, uscendo dalla sala da thè, il
sabato sera sollevava
la testa verso l’appartamento di Alain e vedeva sempre la
luce accesa: il
sabato lui discuteva di vari argomenti con i suoi amici che lei
conosceva:
Germain, lo studente di medicina; Florian, il rivoluzionario compagno
di corso
di Alain; il silenzioso Hugo e Jean, il filosofo del gruppo.
Le dava sicurezza saperli vicini, e fu
quella sensazione che provò a rievocare quando, alla fine di
una pessima
giornata, si trovò davanti suo padre.
Era una notte buia, la luna e le stelle
erano oscurate dalle nuvole, stava tornando a casa quando suo padre la
colse di
sorpresa entrando nell’appartamento dietro di lei e
spingendola dentro con
violenza. Estelle tentò di urlare, ma lui le chiuse la bocca
con una mano
facendola sbattere contro il muro.
Non si aspettava di certo che suo padre
sarebbe tornato, tantomeno in quel momento. Cosa poteva volere da lei?
Quei
pochi soldi che guadagnava? Oppure fargliela pagare per non essere
riuscita a
salvare sua madre? E come era entrato? Possibile che nessuno lo avesse
notato?
Lo guardò negli occhi e vi vide una
stana
luce, solo in quel momento sentì l’odore di alcool
che impregnava i vestiti
dell’uomo, e capì che probabilmente doveva essere
ubriaco.
Era stato l’alcool a guidarlo
lì,
nient’altro.
<< Povera piccola, ora sei rimasta
sola. >> biascicò lui barcollando
<< Perché non vieni con me?
>> chiese
Prendendo, da un mobile vicino, un affilato
tagliacarte appartenuto a sua madre.
Estelle cominciò a tremare e il primo
istinto fu di scappare, come faceva sempre davanti a qualsiasi cosa la
spaventasse. Spinse violentemente suo padre che barcollò
stordito lontano da
lei, corse in camera sua, si chiuse la porta alle spalle e
andò verso la
finestra che aprì per fuggire sul tetto.
Le sembrava di essere la protagonista di un
film horror che veniva inseguita dall’assassino che
solitamente riusciva nel
suo intento.
Afferrò le tegole ma quando
tentò di issarsi
sul tetto scivolò a causa della neve che aveva continuato a
scendere tutta la
giornata, si
sentì afferrare la caviglia
e tirare verso il basso << Vieni giù
mocciosa! >>
Non riuscì a trattenere un urlo di
terrore
puro che allertò coloro che passavano in strada in quel
momento.
<< Oh mio Dio! >>
sentì urlare.
<< C’è una
ragazza sul tetto.
>>
<< Qualcuno chiami la polizia!
>>
Quelle urla distrassero l’uomo ed Estelle
riuscì
a scappare sul tetto, gettando uno sguardo distratto verso la finestra
dell’appartamento di Alain vide che la luce era spenta:
sentì il mondo
crollarle sotto i piedi. Perché non c’era nessuno?
Alain e i suoi amici
dovevano essere lì, dovevano esserci come ogni sera.
Perché non c’erano?
Il cuore batteva forte e la sua mente era
completamente annebbiata dalle tante emozioni che stava provando,
eppure non
poteva fare a meno di pensare ad Alain. Quello sarebbe dovuto essere
l’ultimo
dei suoi pensieri, eppure in quel momento aveva bisogno di sapere che
lui e i
suoi amici erano lì, vicino a lei.
Il terrore e la tristezza la invasero ed
ebbe la consapevolezza di essere persa, completamente persa e sola; non
aveva
nulla perciò tanto valeva lasciarsi scivolare dal tetto e
provare per l’ultima
volta la sensazione di restare sospesa nel vuoto per qualche secondo.
Nuovamente si sentì afferrare il piede e
trascinare giù, ma questa volta non si oppose, non
cercò di liberarsi dalla
stretta. Chiuse gli occhi e si lasciò cadere nel vuoto
godendosi il vento fra i
capelli, il cuore che batteva
forte e la sensazione di libertà, in
attesa
di arrivare al suolo freddo e duro.
Era pronta sentire dolore, lo aspettava
quasi con impazienza, per questo si stupì quando sotto di se
sentì qualcosa di
morbido e caldo che odorava di alcool, un macabro rumore di qualcosa
che si
spezzava, poi attorno a lei ci furono solo urla di terrore.
Si
sentì afferrare per le spalle e trascinare in piedi,
aprì gli occhi di scatto
rendendosi conto di aver trattenuto il respiro sino a quel momento.
<< Estelle! Mi riconosci? >> chiese un
ragazzo, ci mise qualche
secondo a ricordarsi che quello era Florian.
<< F-Florian. Sei Florian.
>>
rispose lei tremante: improvvisamente sentiva freddo.
<< Ok. >>
annuì lui << Forza,
vieni con me. >> poi si voltò verso la folla
<< Alain! Alain!
>> chiamò
trascinando la ragazza con sé.
Estelle si guardava attorno spaesata, che
cosa era successo? Non sarebbe dovuta morire? E perché
c’erano tutte quelle
persone che urlavano? Che cosa era successo?
Provò a voltarsi, ma Florian la
bloccò
<< No, non voltarti. Vieni con me. >>
disse prendendola per mano.
In quel momento vide Alain farsi largo fra
la folla che si era accalcata attorno a loro.
<< Estelle. >> le
prese il
volto fra le mani, erano così calde a contatto con la sua
pelle fredda.
<< Che succede? >>
<< Vieni, andiamo via.
>> le
disse lui trascinandola con sé.
<< Ma . . . >> la
ragazza tentò
di opporsi.
<< Andiamo. >>
In quel momento si sentì una voce
più alta
delle altre << Chiamate un’ambulanza,
è morto! >>
La
morte di una persona, specialmente di una vicina,
è
come una triste
sorpresa:
coglie
impreparati e rende mediocre
tutto ciò che ci circonda.
Estelle ebbe un tuffo al cuore e, i due
ragazzi non riuscirono a impedirglielo, si voltò per capire
chi fosse morto.
Sentì le gambe tremare, la testa divenne
improvvisamente molto pensante, la vista si offuscò e i
contorni delle figure
attorno a lei sparirono. Il cuore prese a battere più
veloce, l’aria nei
polmoni non era abbastanza. Perse l’equilibrio e le gambe
cedettero.
Sentì vagamente qualcuno urlare il su
nome,
poi voci confuse. Il suo corpo cadde nel vuoto e lei si
diede mentalmente della sciocca per essere
così debole da svenire per il semplice fatto di aver visto
il cadavere di suo
padre.
Poco dopo sentì una mano tiepida che le
accarezzava
gentilmente il volto e qualcuno molto preoccupato che la chiamava.
<< Estelle. Estelle mi senti?
>>
<< Ehi, calmati. Vedrai che fra poco
si sveglia. >>
<< Sono già passati tre
minuti.
>>
Quella era l’inconfondibile voce di Alain
che era preoccupato per lei, per riconoscere l’altra voce
impiegò alcuni
secondi, ma poi capì che si trattava di Germain che tentava
di tranquillizzare
l’amico.
Aprì lentamente gli occhi
<< Alain? >>
chiamò in un sussurro.
<< Te l’avevo detto che si
sarebbe
svegliata presto. >> quello era Germain.
<< Ehi, sei sveglia finalmente.
>> disse Alain sedendosi nel letto accanto ad Estelle e
accarezzandole la
fronte << Come ti senti? >>
<< Mi fa male la testa.
>> si
lamentò lei raggomitolandosi e stringendosi le coperte del
letto.
<< Forse dovresti andare in
ospedale,
se vuoi ti accompagno. >> propose lui accarezzandole
lentamente i capelli.
<< NO! >> disse lei
scattando a
sedere spaventata << No. >> un giramento
di testa la fece cadere
in avanti, fra le braccia di Alain.
<< Ehi, ehi calmati.
>> il
ragazzo la strinse a se e le fece poggiare la tesa sulla sua spalla
<<
Restiamo qui, restiamo qui va bene? >>
Estelle annuì stringendosi
nell’abbraccio di
Alain che rivolse uno sguardo interrogativo all’amico.
Germain
annuì<< Ha solo bisogno di
riposo, non è il caso di portarla in ospedale.
>> sorrise a Estelle
<< Per qualsiasi cosa sapete dove trovarmi ora, se non
vi dispiace, andrei
a casa mia a dormire. >> si avvicinò alla
porta << Buonanotte.
>> salutò uscendo dalla stanza.
<< ‘Notte.
>> rispose Alain.
Estelle si guardò attorno non
riconoscendo
la stanza in cui si trovava.
<< Sei nella mia camera.
>> le
disse Alain, quasi le avesse letto nella mente << Non
potevo lasciarti
sola questa notte. >>
<< Cosa è successo?
>> chiese
la ragazza con voce infantile, ricordava vagamente che fosse accaduto
qualcosa,
ma non riusciva a ricordare cosa.
Il
suo subconscio le rimandò l’immagine di un
cadavere steso in strada, davanti al
ristorante; ma lei cercò di allontanare quel macabro
pensiero.
:<< Non ti ricordi? >>
Lei scosse la testa; forse in fondo
ricordava, ma voleva fingere di aver dimenticato, voleva illudersi che
andasse
tutto bene almeno per una volta.
<< Tuo padre, Estelle, lui . . .
è
morto. Florian ti ha trascinata lontana dalla folla, poi sei svenuta e
ho
chiamato Germain. >>
La ragazza rimase ferma con lo sguardo perso
nel vuoto cercando di dare un significato a quelle parole che aveva
appena sentito;
le ci volle qualche secondo per capire di aver completamente perso
l’unica cosa
che si avvicinava vagamente all’idea di
“famiglia”, ma anche in quel momento
non riusciva a provare alcun
dolore,
non riusciva a essere minimamente
triste.
Si strinse le braccia attorno al petto
<< Forse dovrei tornare a casa. >>
In quel momento si sentì completamente
fuori
posto a casa di Alain, assieme a lui, la sera in cui solitamente
s’incontrava
con i suoi amici.
<< Io non ti lascio da sola.
>>
il tono del ragazzo era gentile ma sicuro e non ammetteva repliche.
<< Alain, io . . . qui sono di
troppo. >> provò ad alzarsi, ma lui la
bloccò.
<< Non pensare mai più
una simile
assurdità. >> le ripose sollevandole il mento
con la mano per obbligarla
a guardarlo.
Lei non seppe cosa rispondere perciò,
dopo
aver aperto la bocca, la richiuse guardando il ragazzo e cercando le
parole più
adatte da dire << Davvero non ti disturbo? Non dovevi
uscire con i tuoi
amici, da solo o fare altro? >>
<< No. >>
ridacchiò lui
sommessamente << Tu non disturbi mai, sappi che non amo
particolarmente
uscire da solo e che questa sera io e gli altri non avevamo nulla in
programma,
ho incontrato Florian e Germain per caso. >>
<< Davvero? >> chiese
lei poco
convinta.
<< Si, comunque ora è
tardi e tu hai
bisogno di dormire. >> rispose Alain facendola sdraiare
sotto le coperte
e sistemandosi accanto a lei avvolgendole la vita con un braccio.
Tutti hanno un loro posto nel mondo,
basta
solo trovarlo.
Estelle
trovò quel posto proprio in quella
sera che era cominciata in maniera tanto brutta.
Al sicuro da quel mondo che aveva sempre
temuto, fra le braccia di Alain, sentiva di aver trovato un posto che
era solo
suo e che le sarebbe sempre appartenuto.
<< Dormi. >>
sussurrò
dolcemente Alain.
<< Non penso che ci
riuscirò.
>> mormorò lei in risposta.
Alain le fece poggiare la testa sul suo
petto, proprio sopra il cuore, e cominciò ad accarezzarle la
schiena con
movimenti lenti.
<< Domani non lavori, vero?
>>
<< Vero. >>
<< Allora usciamo. >>
<< Usciamo? >>
<< Sì, hai mai visto
Parigi? Intendo
vista davvero, soffermandoti a osservare le vie dell’
Île de la Cité o gli eleganti
palazzi dei Boulevard. >> prese ad accarezzare una mano
di Estelle.
<< No, non mi ha mai attirata e . .
.
non ho mai avuto il tempo. >>
Parigi era la città dove era sempre
vissuta,
l’aveva vista tante volte e ormai la conosceva, non aveva
bisogno di uscire per
vedere un particolare quartiere.
<< Dovresti provare a vedere la
città, vederla davvero, e conoscerla. Hugo pensava che per
ritrovare se stessi
bisogna perdersi nella storia, in quella nostra e dei nostri antenati,
ed io penso
che perdendosi per le vie della città e vivendo in
un’altra epoca, anche se per
pochi secondi, si possa veramente essere in pace con se stessi e con
tutto il
resto trovando un posto che ci appartiene e in cui stiamo bene.
>>
Lentamente Estelle, cullata dalle parole di
Alain e dal suono della sua voce, cominciò a cadere nel
piacevole torpore del
dormiveglia che precedeva il tanto agognato sonno <<
Anche io voglio
perdermi per le vie di Parigi e vivere fuori dal tempo.
>> mormorò prima
di addormentarsi.
Le cose scontate sono spesso quelle più
sminuite proprio perché sono scontate ma, se ci si ferma a
pensare e si smette
di vedere per osservare, si può notare quanto le cose
più piccole siano le più
importanti, come capì Estelle la sera in cui, stretta fra le
braccia di Alain, seduta
nella panchina di una piazza del Quartier Latin, capì di
aver avuto il suo
“posto nel mondo” sempre davanti e decise che,
adesso che aveva finalmente
trovato la forza di allungare la mano per afferrarlo, non avrebbe
permesso a
niente e a nessuno di portarglielo via.
Una volta che si tocca il fondo, si può solo
risalire, non è possibile scendere più in basso,
e così fu anche Estelle
durante quel freddo inverno.