Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: Rosette_Carillon    17/08/2013    0 recensioni
"Si dice che tutti abbiano un loro posto nel mondo,
basta solo trovarlo. "
Nella Parigi dei nostri giorni una giovane donna, Estelle, cerca di trovare il suo posto nel mondo, un posto solo suo dove sentirsi sicura.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
dream

                      Un luogo fuori dal mondo

 

 

 

  Questa storia comincia nella Ville Lumière,

 in una notte di luna piena,

con un impiccato.

 

 

Le stelle splendevano nel cielo notturno quando, al numero tre di Rue Maître Albert, si udì un urlo squarciare la fredda aria parigina; in un attimo la calma che sino a quel momento aveva avvolto la via si ruppe e fu tutto un insieme di urla, di sirene, di andirivieni finché dopo ore tornò il silenzio assoluto. Era il silenzio della morte.

Estelle si lasciò crollare in ginocchio al centro della stanza, rimase in silenzio a guardare il vuoto davanti a se per qualche minuto, o forse per ore, questo non lo sapeva: non c’erano orologi in quella stanza, ma era ancora buio.

Era notte, e se era notte andava tutto bene, i problemi li avrebbe portati la luce del giorno; la cosa importante in quel momento era che tutti fossero finalmente andati via e l’avessero lasciata da sola senza fare troppe domande.

<< ..elle. >> sentì una voce lontana ma calda e familiare chiamarla << Estelle. >> ma lei non aveva nessuna voglia di rispondere, la gola era chiusa e la voce non voleva uscire.

<< Estelle guardami. >> ma lei tenne lo sguardo basso, voleva restare da sola. In realtà non lo voleva davvero, ma non voleva essere di peso a nessuno.

Sentì dei passi allontanarsi; ecco, il suo desiderio era stato esaudito.

Si strinse le braccia attorno al petto nel vano tentativo di farsi caldo ricordandosi di essere nella stanza più fredda dell’appartamento.

Sentì dei passi avvicinarsi, poi un piacevole tepore la avvolse e si accorse che qualcuno le aveva messo addosso una coperta rosso porpora, sollevò lentamente lo sguardo incontrando un volto sorridente con due occhi verdi che brillavano allegri.

<< A-Alain? >> chiese per essere sicura di non avere visioni.

<< Ehi. >> le circondò le spalle con le braccia e la strinse a se dolcemente << Non pensi sia ora di andare a dormire? >> disse con lo stesso tono che si poteva usare con una bambina piccola e spaventata.

<< Non ho sonno. >> non era vero, sentiva gli occhi chiudersi e non riusciva più a tenerli aperti, ma non voleva dormire per paura degli incubi che avrebbe avuto.

<< Non è vero. >>  disse Alain accarezzandole la testa << Ti accompagno a letto. >>

:<< Non riesco a muovere le gambe, mi fanno male. >> era rimasta in ginocchio per troppo tempo.

<< Allora ti prendo in braccio. >> rispose lui sollevandola prima che lei potesse opporsi << Dov’è tuo  padre? Quando torna? >> le chiese uscendo dalla stanza.

<< Non lo so. >> come fare a dirgli che lui aveva abbandonato lei e sua madre?

Alain percorse il breve corridoio e si fermò davanti alla porta della camera di Estelle, la aprì col piede e vi entrò. Adagiò la ragazza sul suo letto e la coprì per non farle prendere freddo.

<< Come sei entrato? >>

<< La porta era aperta, avresti dovuto farci attenzione. >> rispose lui sedendosi accanto a lei.

<< Che fai? Dovresti tornare nel tuo appartamento. >>

<< Non ti lascio sola. Non questa notte. >>

<< Perché? Non sono sola.  >> chiese in un sussurro, ormai il sonno stava cominciando a vincerla e sentì vagamente la risposta che ricevette<< . . .elle . . .madre. . . morta. >>

Eh già, si era dimenticata che sua madre si era impiccata per la depressione. Fu con quel pensiero che cadde in un sonno profondo quanto tormentato.

Il giorno dopo Estelle fu svegliata dalla luce del sole che penetrava attraverso le tende della finestra, si sedette sul letto accorgendosi di essere sola e per un momento pensò di aver immaginato tutto, poi vide un biglietto sul comodino, lo prese e lo aprì riconoscendo la calligrafia di Alain.

 

“Sono andato in facoltà, ci vediamo questa sera.”

 

Lui studiava legge alla Sorbonne, lui aveva i soldi e poteva studiare, lei invece non aveva nemmeno potuto finire il liceo perché si era dovuta cercare un lavoro che, per sua fortuna, era riuscita a trovare nella sala da thè davanti al palazzo nel quale viveva.

Estelle si alzò e andò in bagno a cambiarsi poi, dopo aver fatto una veloce colazione, uscì di casa per andare a lavoro.

Scese lentamente le scale stringendo il manico della sua borsa mentre la gonna verde le danzava attorno alle gambe, tenne il volto basso per non incontrare gli sguardi dei suoi vicini.

 Appena uscita dal palazzo sollevò la testa verso il cielo e vide che stava nevicando.

<< Buon giorno. >> salutò entrando nella sala da thè.

<< Estelle perché non sei rimasta a casa a riposarti? >> le chiese la padrona del locale venendole incontro preoccupata mentre, con poca delicatezza, consegnava un vassoio con due tazze di caffè a una cameriera che stava passando in quel momento e che, colta di sorpresa, risciò di far cadere tutto.

:<< Non si preoccupi Madame, sto bene. >> sorrise lei andando nel retro della sala per poggiare la borsa e indossare la divisa.

La donna la seguì<< Ne sei sicura? >> chiese poco convinta dal sorriso di Estelle.

<< Certo. >> rispose la ragazza raccogliendo i capelli in una coda bassa. Se c’era una cosa che aveva imparato con un padre sempre assente e una madre depressa era che parlare dei propri problemi era una cosa inutile, non avrebbe cambiato nulla, era meglio ignorarli.

<< E va bene.  >> acconsentì Madame << Ci sono delle ordinazioni da prendere al tavolo sei. >>

<< Vado subito. >>

La giornata passò in fretta, troppo in fretta e, appena cominciata l’ora di pranzo, Estelle  già non vedeva l’ora di riprendere a lavorare in modo da avere la mente impegnata.

Quella piccola sala da thè era l’unico posto in cui si era sentita quasi a suo agio, non la considerava una casa, ma ci stava bene.

 

 

                   William Shakespeare diceva che i giorni brutti sarebbero passati,                                               
come tutti gli altri,

ed effettivamente aveva ragione . . .

solo che i giorni brutti passano più lentamente.

 

 

Estelle non si era mai sentita a casa nemmeno a casa sua, non aveva mai trovato un luogo che fosse suo, un luogo a cui appartenere e che allo stesso tempo le appartenesse, non si era mai sentita viva.

Fra vivere ed esistere c’era differenza, e lei lo sapeva, ma non poteva farci nulla se quella scarica di adrenalina che l’aveva fatta sentire viva l’aveva provato solo poche volte, alle parallele simmetriche durante le lezioni di educazione fisica a scuola.

Sospesa nel vuoto, col sangue alla testa che scorreva veloce quando si lanciava in una capriola, prima in avanti poi indietro, in quei momenti si era sentita bene.

In quei momenti in cui il mondo era sottosopra, distorto, in quei brevi momenti che erano solo suoi, lei sentiva di poter volare lontano e le sembrava di poter quasi vedere dall’alto quella vita dalla quale voleva fuggire.

Poi c’erano i pochi momenti nei quali si sentiva al sicuro quando, uscendo dalla sala da thè, il sabato sera sollevava la testa verso l’appartamento di Alain e vedeva sempre la luce accesa: il sabato lui discuteva di vari argomenti con i suoi amici che lei conosceva: Germain, lo studente di medicina; Florian, il rivoluzionario compagno di corso di Alain; il silenzioso Hugo e Jean, il filosofo del gruppo.

Le dava sicurezza saperli vicini, e fu quella sensazione che provò a rievocare quando, alla fine di una pessima giornata, si trovò davanti suo padre.

Era una notte buia, la luna e le stelle erano oscurate dalle nuvole, stava tornando a casa quando suo padre la colse di sorpresa entrando nell’appartamento dietro di lei e spingendola dentro con violenza. Estelle tentò di urlare, ma lui le chiuse la bocca con una mano facendola sbattere contro il muro.

Non si aspettava di certo che suo padre sarebbe tornato, tantomeno in quel momento. Cosa poteva volere da lei? Quei pochi soldi che guadagnava? Oppure fargliela pagare per non essere riuscita a salvare sua madre? E come era entrato? Possibile che nessuno lo avesse notato?                 

Lo guardò negli occhi e vi vide una stana luce, solo in quel momento sentì l’odore di alcool che impregnava i vestiti dell’uomo, e capì che probabilmente doveva essere ubriaco.

Era stato l’alcool a guidarlo lì, nient’altro.

<< Povera piccola, ora sei rimasta sola. >> biascicò lui barcollando << Perché non vieni con me? >> chiese

Prendendo, da un mobile vicino, un affilato tagliacarte appartenuto a sua madre.

Estelle cominciò a tremare e il primo istinto fu di scappare, come faceva sempre davanti a qualsiasi cosa la spaventasse. Spinse violentemente suo padre che barcollò stordito lontano da lei, corse in camera sua, si chiuse la porta alle spalle e andò verso la finestra che aprì per fuggire sul tetto.

Le sembrava di essere la protagonista di un film horror che veniva inseguita dall’assassino che solitamente riusciva nel suo intento.

Afferrò le tegole ma quando tentò di issarsi sul tetto scivolò a causa della neve che aveva continuato a scendere tutta la giornata,  si sentì afferrare la caviglia e tirare verso il basso << Vieni giù mocciosa! >>

Non riuscì a trattenere un urlo di terrore puro che allertò coloro che passavano in strada in quel momento.

<< Oh mio Dio! >> sentì urlare.

<< C’è una ragazza sul tetto. >>

<< Qualcuno chiami la polizia! >>

Quelle urla distrassero l’uomo ed Estelle riuscì a scappare sul tetto, gettando uno sguardo distratto verso la finestra dell’appartamento di Alain vide che la luce era spenta: sentì il mondo crollarle sotto i piedi. Perché non c’era nessuno? Alain e i suoi amici dovevano essere lì, dovevano esserci come ogni sera. Perché non c’erano?

Il cuore batteva forte e la sua mente era completamente annebbiata dalle tante emozioni che stava provando, eppure non poteva fare a meno di pensare ad Alain. Quello sarebbe dovuto essere l’ultimo dei suoi pensieri, eppure in quel momento aveva bisogno di sapere che lui e i suoi amici erano lì, vicino a lei.

Il terrore e la tristezza la invasero ed ebbe la consapevolezza di essere persa, completamente persa e sola; non aveva nulla perciò tanto valeva lasciarsi scivolare dal tetto e provare per l’ultima volta la sensazione di restare sospesa nel vuoto per qualche secondo.

Nuovamente si sentì afferrare il piede e trascinare giù, ma questa volta non si oppose, non cercò di liberarsi dalla stretta. Chiuse gli occhi e si lasciò cadere nel vuoto godendosi il vento fra i capelli, il cuore che batteva

forte e la sensazione di libertà, in attesa di arrivare al suolo freddo e duro.

Era pronta sentire dolore, lo aspettava quasi con impazienza, per questo si stupì quando sotto di se sentì qualcosa di morbido e caldo che odorava di alcool, un macabro rumore di qualcosa che si spezzava, poi attorno a lei ci furono solo urla di terrore.

 Si sentì afferrare per le spalle e trascinare in piedi, aprì gli occhi di scatto rendendosi conto di aver trattenuto il respiro sino a quel momento.

<< Estelle! Mi riconosci?  >> chiese un ragazzo, ci mise qualche secondo a ricordarsi che quello era Florian.

<< F-Florian. Sei Florian. >> rispose lei tremante: improvvisamente sentiva freddo.

<< Ok. >> annuì lui << Forza, vieni con me. >> poi si voltò verso la folla << Alain! Alain! >> chiamò

trascinando la ragazza con sé.

Estelle si guardava attorno spaesata, che cosa era successo? Non sarebbe dovuta morire? E perché c’erano tutte quelle persone che urlavano? Che cosa era successo?

Provò a voltarsi, ma Florian la bloccò << No, non voltarti. Vieni con me. >> disse prendendola per mano.

In quel momento vide Alain farsi largo fra la folla che si era accalcata attorno a loro.

<< Estelle. >> le prese il volto fra le mani, erano così calde a contatto con la sua pelle fredda.

<< Che succede? >>

<< Vieni, andiamo via. >> le disse lui trascinandola con sé.

<< Ma . . . >> la ragazza tentò di opporsi.

<< Andiamo. >>

In quel momento si sentì una voce più alta delle altre << Chiamate un’ambulanza, è morto! >>

 

                                  La morte di una persona, specialmente di una vicina,

                                                       è come una triste sorpresa:

                                coglie impreparati e rende mediocre tutto ciò che ci circonda.

 

Estelle ebbe un tuffo al cuore e, i due ragazzi non riuscirono a impedirglielo, si voltò per capire chi fosse morto.

Sentì le gambe tremare, la testa divenne improvvisamente molto pensante, la vista si offuscò e i contorni delle figure attorno a lei sparirono. Il cuore prese a battere più veloce, l’aria nei polmoni non era abbastanza. Perse l’equilibrio e le gambe cedettero.

Sentì vagamente qualcuno urlare il su nome, poi voci confuse. Il suo corpo cadde nel vuoto e lei si

diede mentalmente della sciocca per essere così debole da svenire per il semplice fatto di aver visto il cadavere di suo padre.                                      

Poco dopo sentì una mano tiepida che le accarezzava gentilmente il volto e qualcuno molto preoccupato che la chiamava.

<< Estelle. Estelle mi senti? >>

<< Ehi, calmati. Vedrai che fra poco si sveglia. >>

<< Sono già passati tre minuti. >>

Quella era l’inconfondibile voce di Alain che era preoccupato per lei, per riconoscere l’altra voce impiegò alcuni secondi, ma poi capì che si trattava di Germain che tentava di tranquillizzare l’amico.

Aprì lentamente gli occhi << Alain? >> chiamò in un sussurro.

<< Te l’avevo detto che si sarebbe svegliata presto. >> quello era Germain.

<< Ehi, sei sveglia finalmente. >> disse Alain sedendosi nel letto accanto ad Estelle e accarezzandole la fronte << Come ti senti? >>

<< Mi fa male la testa. >> si lamentò lei raggomitolandosi e stringendosi le coperte del letto.

<< Forse dovresti andare in ospedale, se vuoi ti accompagno. >> propose lui accarezzandole lentamente i capelli.

<< NO! >> disse lei scattando a sedere spaventata << No. >> un giramento di testa la fece cadere in avanti, fra le braccia di Alain.

<< Ehi, ehi calmati. >> il ragazzo la strinse a se e le fece poggiare la tesa sulla sua spalla << Restiamo qui, restiamo qui va bene? >>

Estelle annuì stringendosi nell’abbraccio di Alain che rivolse uno sguardo interrogativo all’amico.

 Germain annuì<< Ha solo bisogno di riposo, non è il caso di portarla in ospedale. >> sorrise a Estelle << Per qualsiasi cosa sapete dove trovarmi ora, se non vi dispiace, andrei a casa mia a dormire. >> si avvicinò alla porta << Buonanotte. >> salutò uscendo dalla stanza.

<< ‘Notte. >> rispose Alain.

Estelle si guardò attorno non riconoscendo la stanza in cui si trovava.

<< Sei nella mia camera. >> le disse Alain, quasi le avesse letto nella mente << Non potevo lasciarti sola questa notte. >>

<< Cosa è successo? >> chiese la ragazza con voce infantile, ricordava vagamente che fosse accaduto qualcosa, ma non riusciva a ricordare cosa. Il suo subconscio le rimandò l’immagine di un cadavere steso in strada, davanti al ristorante; ma lei cercò di allontanare quel macabro pensiero.

:<< Non ti ricordi? >>

Lei scosse la testa; forse in fondo ricordava, ma voleva fingere di aver dimenticato, voleva illudersi che andasse tutto bene almeno per una volta.

<< Tuo padre, Estelle, lui . . . è morto. Florian ti ha trascinata lontana dalla folla, poi sei svenuta e ho chiamato Germain. >>

La ragazza rimase ferma con lo sguardo perso nel vuoto cercando di dare un significato a quelle parole che aveva appena sentito; le ci volle qualche secondo per capire di aver completamente perso l’unica cosa che si avvicinava vagamente all’idea di “famiglia”, ma anche in quel momento non riusciva a provare alcun

 dolore, non riusciva a essere minimamente triste.

Si strinse le braccia attorno al petto << Forse dovrei tornare a casa. >>

In quel momento si sentì completamente fuori posto a casa di Alain, assieme a lui, la sera in cui solitamente s’incontrava con i suoi amici.

<< Io non ti lascio da sola. >> il tono del ragazzo era gentile ma sicuro e non ammetteva repliche.

<< Alain, io . . . qui sono di troppo. >> provò ad alzarsi, ma lui la bloccò.

<< Non pensare mai più una simile assurdità. >> le ripose sollevandole il mento con la mano per obbligarla a guardarlo.

Lei non seppe cosa rispondere perciò, dopo aver aperto la bocca, la richiuse guardando il ragazzo e cercando le parole più adatte da dire << Davvero non ti disturbo? Non dovevi uscire con i tuoi amici, da solo o fare altro? >>

<< No. >> ridacchiò lui sommessamente << Tu non disturbi mai, sappi che non amo particolarmente uscire da solo e che questa sera io e gli altri non avevamo nulla in programma, ho incontrato Florian e Germain per caso. >>

<< Davvero? >> chiese lei poco convinta.

<< Si, comunque ora è tardi e tu hai bisogno di dormire. >> rispose Alain facendola sdraiare sotto le coperte e sistemandosi accanto a lei avvolgendole la vita con un braccio.

 

                                  

                                            Tutti hanno un loro posto nel mondo,

                                                                     basta solo trovarlo.

 

 

 Estelle trovò quel posto proprio in quella sera che era cominciata in maniera tanto brutta.

Al sicuro da quel mondo che aveva sempre temuto, fra le braccia di Alain, sentiva di aver trovato un posto che era solo suo e che le sarebbe sempre appartenuto.

<< Dormi. >> sussurrò dolcemente Alain.

<< Non penso che ci riuscirò. >> mormorò lei in risposta.

Alain le fece poggiare la testa sul suo petto, proprio sopra il cuore, e cominciò ad accarezzarle la schiena con movimenti lenti.

<< Domani non lavori, vero? >>

<< Vero. >>

<< Allora usciamo. >>

<< Usciamo? >>

<< Sì, hai mai visto Parigi? Intendo vista davvero, soffermandoti a osservare le vie dell’ Île de la Cité o gli eleganti palazzi dei Boulevard. >> prese ad accarezzare una mano di Estelle.

<< No, non mi ha mai attirata e . . . non ho mai avuto il tempo. >>

Parigi era la città dove era sempre vissuta, l’aveva vista tante volte e ormai la conosceva, non aveva bisogno di uscire per vedere un particolare quartiere.

<< Dovresti provare a vedere la città, vederla davvero, e conoscerla. Hugo pensava che per ritrovare se stessi bisogna perdersi nella storia, in quella nostra e dei nostri antenati, ed io penso che perdendosi per le vie della città e vivendo in un’altra epoca, anche se per pochi secondi, si possa veramente essere in pace con se stessi e con tutto il resto trovando un posto che ci appartiene e in cui stiamo bene. >>

Lentamente Estelle, cullata dalle parole di Alain e dal suono della sua voce, cominciò a cadere nel piacevole torpore del dormiveglia che precedeva il tanto agognato sonno << Anche io voglio perdermi per le vie di Parigi e vivere fuori dal tempo. >> mormorò prima di addormentarsi.

Le cose scontate sono spesso quelle più sminuite proprio perché sono scontate ma, se ci si ferma a pensare e si smette di vedere per osservare, si può notare quanto le cose più piccole siano le più importanti, come capì Estelle la sera in cui, stretta fra le braccia di Alain, seduta nella panchina di una piazza del Quartier Latin, capì di aver avuto il suo “posto nel mondo” sempre davanti e decise che, adesso che aveva finalmente trovato la forza di allungare la mano per afferrarlo, non avrebbe permesso a niente e a nessuno di portarglielo via.
Una volta che si tocca il fondo, si può solo risalire, non è possibile scendere più in basso, e così fu anche Estelle durante quel freddo inverno.

 

 

 

 

 

Image and video hosting by TinyPic
  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Rosette_Carillon