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Autore: Bubbles_    17/08/2013    4 recensioni
Lo aveva perso.
Aveva perso quel dannatissimo taccuino. Di nuovo.
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“Non merito forse una ricompensa?”
Aveva perso quel diario un milione di volte e altrettante aveva dovuto pregare perfetti sconosciuti di restituirglielo, ma mai nessuno aveva chiesto un riscatto.
Quella ragazza non gli piaceva per niente. La sua prima impressione risultava essere completamente sbagliata. Ora la vedeva come un’avida impicciona.
“Due euro e venti e sbrigati, sta arrivando il pullman”
“È seria?”
Non sapeva se si sentiva più offeso per il fatto di dover pagare per riavere indietro il suo diario o per quello di dover pagare così poco. I suoi pensieri più profondi in svendita per soli due euro.
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"Non hai mai voluto che uno sconosciuto ti stravolgesse la vita? Non sei mai stato in cerca di novità? Io sono quello sconosciuto. Carpe diem!"
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lysandro, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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« F lower in the Sun~
 
 


“Dove stiamo andando?”
“Al lavoro” rispose pragmatica la bionda senza rallentare il passo. Un bambino, mano nella mano con la madre, le passò accanto e lei gli sorrise gentile. Attraversò la strada saltellando sulle strisce pedonali, ben attenta a non uscire dalle righe bianche, senza guardare né a destra né a sinistra. Lysandre si accertò che la strada fosse libera prima di seguirla con un’espressione sempre più incredula.
Erano scesi ad una fermata a lui sconosciuta e alle sue domande, poche ad essere sinceri, lei aveva dato una risposta rapida, ma inutile. Lavoro voleva dire molte cose, troppe per i gusti del ragazzo.
Dovevano avere più o meno la stessa età e questo voleva dire che ancora studiava, questo implicava a sua volta un lavoro part-time e lui non aveva nessuna voglia di passare la mattina in un qualche bar a vederla servire drink o a fare la commessa in un qualche supermercato. O forse semplicemente non andava a scuola, forse l’aveva abbandonata come aveva fatto suo fratello. Chissà perché quella fu la spiegazione che gli risultò più plausibile.
La ragazza si fermò all’improvviso e per poco lui non le finì addosso distratto com’era dai suoi pensieri. La vide fare una mezza giravolta per fronteggiarlo e indicare soddisfatta un’insegna che raffigurava un sole sorridente.
“Maison du Soleil, il posto più allegro della costa!”.
Lysandre si voltò verso l’enorme palazzo dell’insegna e nonostante si fosse mentalmente preparato a qualsiasi evenienza ciò che vide non riuscì a lasciarlo indifferente. Quello era l’edificio più strano che avesse mai visto e non solo per la forma ondeggiante e le grandi finestre, che molto gli ricordavano una famosa casa di Barcellona. Le persiane erano tutte di un colore diverso, si andava dai neutri toni del verde a quelli accesi del rosso. Ogni parete era ricoperta da disegni, ma non graffiti frutto della mano esperta di artisti di strada, ma piuttosto di quella di bambini alle prime armi.
Lysandre pensò subito ad una scuola materna, quell’edificio non poteva essere null’altro.
La bionda gli fece l’occhiolino prima di aprire il cancelletto lasciato socchiuso ed entrare.
Lysandre considerò la possibilità di aspettarla lì, sulla strada. In fondo lui non aveva nessun diritto di entrare, come quella ragazza non avrebbe dovuto prendersi il diritto di sconvolgergli completamente la giornata. Considerare, considerò, ma la ragazza non fu dello stesso parere e senza chiedere, o aspettare, spiegazioni lo prese per la manica e lo trascinò dietro di sé.
Lysandre mise su la sua espressione infastidita migliore e restando composto scrollò di dosso quella indelicata presa e silenzioso continuò a seguirla. Era come se lo tenesse in ostaggio, dove andava lei, doveva andare lui o non avrebbe più visto il suo taccuino. In realtà era il quaderno ad essere in ostaggio, ma era più o meno la stessa cosa, pensò.
Raggiunsero la porta d’ingresso anche essa tutta colorata e piena di scritte, le più diverse tra loro, e senza incertezza la ragazza l’aprì.
La prima cosa che vide quando entrò fu il forte odore di gelsomino. No, non lo vide, lo sentì. Era così forte da essere quasi nauseante.
La seconda cosa che lo colpì fu la musica che subito riconobbe: Janis Joplin, scelta insolita per un posto del genere.
La terza furono le pareti: arancioni, dolorosamente arancioni. Piene di foto di uomini e donne con più rughe che capelli, tutti e tutte sorridenti, qui e là un dente o due mancante.
Fu lì che le sue certezze cominciarono a vacillare. Ci mise poco a collegare tutti i pezzi del puzzle tra loro: l’infermiera dietro il bancone, le sedie a rotelle che aspettavano meticolosamente ordinate di fianco all’entrata, un gruppo di anziani che gli era appena passato davanti …
Quello non era un asilo. Allora capì l’odore di gelsomino e perché fosse così forte, capì le sedie a rotelle e capì il perché dell’infermiera. Allora capì di essersi completamente sbagliato e non solo sulla natura di quell’edificio.
Aveva talmente tante domande da fare alla sua rapitrice che cercarla con lo sguardo fu naturale e quando la vide quelle scomparvero tutte. Nel mezzo della hall, ondeggiava, ballava, a ritmo di “Flower in the sun” e, ancora, non conosceva tutte le parole, ma cantava.
Lo sguardo di Lysandre cadde per quello che non fu altro che un millesimo di secondo sul suo fondoschiena che si muoveva incurante a destra e a sinistra, per poi ritrovarsi puntato al soffitto accompagnato da due guance rosse e un sorriso che, come per il rossore, non era riuscito a trattenere.
“Ci vediamo dopo, Monique. E alza un po’ quel volume! Oh baby, oh baby don't you hear me cry?!”
Lanciò a Monique la cartella di chissà quale paziente e scomparve dietro le porte automatiche che davano accesso ad un lungo corridoio.
Sembrava essersi completamente dimenticata di lui e Lysandre si sentì improvvisamente a disagio, finché aveva potuto giocare il ruolo d’osservatore silenzioso quella scenetta gli era sembrata alquanto pittoresca, ma ora si trovava solo, ancora una volta indeciso se seguirla o aspettarla lì. Gli bastò incrociare lo sguardo curioso e divertito, così gli sembrò, dell’infermiera per alzare i tacchi e affrettarsi a raggiungere la bionda.
Mentre camminava a qualche metro di distanza, cercando di mantenere un passo non troppo veloce nonostante i saltelli della ragazza – quella ragazza non camminava, saltellava – si ritrovò a pensare a quanto assurda fosse quella situazione. Se l’avesse raccontata, non gli avrebbero mai creduto. Castiel in particolare. Forse però ne sarebbe stato contento, lo spronava ad uscire con una ragazza da secoli, probabilmente visitare un centro anziani non era quello a cui si riferiva con la parola “uscire”, ma era comunque con una ragazza … no?
“Com’è il tuo amico Lysandre?” chiese la bionda all’improvviso, come al solito senza introdurre la conversazione.
Lysandre si schiarì la voce e come faceva sempre quando era nervoso si sistemò i polsini della giacca. Quella domanda lo agitò e ci mise qualche secondo a trovare le parole adatte.
“È silenzioso” disse infine optando per una risposta corta e priva di possibili doppi sensi.
“Un po’ come te” il colpo che ricevette sulla spalla lo fece inciampare, ma subito riacquistò equilibrio, il viso più rosso che mai. Non si era nemmeno accorto di aver eliminato la distanza che li divideva. Camminavano ora uno accanto all’altra. Quel corridoio sembrava non finire più.
La bionda scomparve con la testa in una stanza per poi uscirne subito dopo.
“Il signor Midrez non ha una bella faccia oggi” commentò fra sé per poi puntare nuovamente gli occhi su di lui.
“Mi piace ciò che scrive. Il modo in cui usa le parole, in cui le mischia e le rimischia per creare qualcosa di così … vero” si tastò con una mano la tasca dove all’interno riposava quel piccolo tesoro trovato nel parco e sorrise tra sé e Lysandre rimase ancora volta senza parole a quell’esplosione di luce. Ogni volta sorrideva sentiva il cuore stringersi in una stretta. I romantici irrecuperabili avrebbero subito pensato si stesse innamorando, ma la verità è che ognuno di noi possiede una bellezza nascosta e la bellezza di quella ragazza era il sorriso. Non era perfetto, gli incisivi erano leggermente sporgenti e forse un po’ troppo grandi, non era il tipico sorriso che pubblicizza dentifrici, ma era dolce ed era quella sua dolcezza a stringergli il cuore. E non doveva necessariamente amarla per apprezzare quel piccolo gesto, bastava avere occhi e mente aperti, essere un osservatore delle piccole cose e Lysandre sicuramente lo era.
Si fermarono entrambi, davanti a loro un’alta porta a due ante. Lysandre era rimasto muto davanti a quel complimento che non era stato indirizzato a lui, ma ero suo e suo soltanto e cercò di ricordare le parole esatte per imprimerlo e custodirlo dentro di sé.
Il suo silenzio fu come al solito ignorato e la bionda spalancò con una vigorosa spinta entrambe le porte.
Il sole lo accecò e subito si portò un braccio davanti agli occhi. Si abituò veloce alla luce e l’immagine di ciò che aveva davanti prese forma.
Una decina di vecchietti li guardavano entusiasti, davanti ad ognuno di loro un cavalletto e una tela bianca, in mano pennelli e tempere, la voce della Joplin, sentita poco prima nella hall, che risuonava grintosa per l’intero giardino grazie agli altoparlanti.
Per l’ennesima volta Lysandre ebbe la sensazione di non aver capito nulla.
“Lucy! Finalmente!”
Solo allora realizzò di aver ignorato il nome della ragazza per tutto quel tempo. Si diede mentalmente del maleducato, come si era potuto dimenticare di qualcosa di così importante?
Forse perché il nome in fondo non è poi così fondamentale per conoscere una persona. Strano, pensò. Allora perché era la prima cosa che ci si diceva? Che cosa sapevi di una persona una volta che ne conoscevi il nome? Nulla. Non avrebbe dovuto essere così. Ci si sarebbe dovuti stringere la mano e poi subito chiedere quale fosse il gruppo preferito, o se si preferiva la carne al sangue o ben cotta, o se se si fosse addirittura vegetariani. Insomma qualsiasi cosa sarebbe stata più utile di uno stupido nome.
“Chi è il tuo amico Lucy? Ma che bel giovanotto!”
Si sentì spinto in tutte le direzioni. Mani a lui sconosciute gli lisciarono la giacca, una signora gli pizzicò la guancia prima di mostrare le gengive sdentate in quello che avrebbe dovuto somigliare ad un sorriso.
“Ragazzi, vi presento Castiel! Oggi ci farà compagnia”.
Un uomo accennò un inchino e una signora ridacchiò civettuola.
“È il tuo ragazzo?” chiese quella avvicinandosi a lui. Gli arrivava a malapena al petto, nonostante i capelli argentei raccolti in una grossa crocchia la alzavano di parecchi centimetri.
“Forse” Lucy si voltò e gli fece l’ennesimo occhiolino … ma che razza di risposta era? Lysandre si ritrovò a deglutire a fatica quando gli occhi di tutti gli anziani gli si puntarono addosso. Alcuni lo guardavano inteneriti, altri cercarono di inviargli degli avvertimenti corrucciando la fronte e indurendo lo sguardo.
Lucy riprese le redini della situazione, roteò il pennello come una majorette e poi rise di gusto.
“Mano ai pennelli! E sfogo all’immaginazione!” gli anziani risero a loro volta e raggiunsero lenti le loro postazioni iniziando a pitturare.
La ragazza sistemò un cavalletto munito di tela accanto ad un altro e piazzò un pennello in mano a Lysandre. Lui la guardò confuso, ma lei semplicemente lo ignorò iniziando a pitturare la sua tela intonsa con pennellate sicure.
“Sai dipingere?” chiese, segretamente invidioso di quella sicurezza nel rompere il biancore della tela.
“Io non so dipingere, io dipingo”
“È la stessa cosa” disse con un velo di irritazione e subito sentì lo sguardo della ragazza su di lui. Guardò insistentemente il telo davanti a sé cercando di ignorare quei due occhi scuri che però sembravano non avere nessuna intenzione di lasciarlo in pace.
“Sono due cose completamente diverse”
Con la coda dell’occhio la vide abbandonare la sua postazione e avvicinarsi.
“Forza, fai una pennellata”
Lysandre rimase immobile, il pennello alto nell’aria e il braccio che si era fatto di marmo.
“Ho paura di sbagliare” disse sorprendendo anche se stesso.
Lucy sorrise gentile e chiuse la mano sopra la sua, stranamente non gli provocò nessun fastidio, anzi i suoi muscoli si rilassarono sotto il tocco delicato della ragazza.
“Vuoi sapere un segreto?” sussurrò con voce divertita e lui si ritrovò ad annuire curioso “Non si può sbagliare” e con un colpo secco spinse in avanti la mano e la punta del pennello incontrò la tela immacolata e un netto segno rosso fece la sua comparsa proprio al centro.
“Ecco fatto!” lasciò la presa e cominciò a girare in tondo per osservare il lavoro dei suoi “allievi” lanciando qualche sguardo nella sua direzione per poi sorridergli dolce. Lysandre rimase a fissare quella macchia scarlatta su quel letto candido per secondi che parvero un’eternità, ricambiò il sorriso che la bionda gli stava rivolgendo da lontano e con un colpo deciso tracciò una nuova linea accanto alla precedente. Lucy aveva ragione, quando non ci sono limiti, non si può sbagliare. E l’immaginazione di certo non ne ha.


 
Once in a green time a flower
Oh, fell in love with the sun.
The passion lasted for an hour
And then she wilted from her loved one.






 
 
Euphoria__'s corner:
Hola. Eccomi ad una settimana (circa) dall'ultimo aggiornamento. Ho poche cose da dire sul capitolo. Ultimamente ho riscoperto una mia vecchia fiamma, Janis Joplin.
Da una sua canzone il titolo del capitolo:
Poi. L'immagine iniziale è la foto di una porta molto particolare che ho fotografato a Parigi :) Mi piaceva l'idea di inserirla nella storia (qui è la porta del centro anziani.
Ed ecco a voi Lucy... non affezionatevi troppo a questo nome ;)
 
Detto tutto? No. Volevo ringraziare le due ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo: Ayukiko_Watarai, Lady_Light_Angel. (E anche Tsuki che l'ha commentata in altra sede ;P) Grazie di cuore! E grazie anche a chi ha inserito la fic nelle preferite <3
Un bacione!
 
ps. ecco una foto "integrale" della porta.
  
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