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Autore: Dicembre    23/02/2008    0 recensioni
Risalire lungo la Via delle Redenzione, per quattrocento lunghi anni, per mettere piede sulla Terra e uccidere chi ha preso ciò che ti apparteneva. Sei un Vendicatore, è nella tua natura. Ma lui, il tuo Notturno, ormai vive da tempo fra questi insulsi mortali, non ricorda te e non ricorda voi. E' la punizione per quello che avete fatto.

"Lo vedo entrare, una, due, tre volte. E lo riconosco sempre. Nonostante il suo aspetto sia cambiato, nonostante l'aria intorno a lui trasudi ira, desolazione e sangue, io mi avvicino. Non è me che vuole, ma io lo stesso, non posso fare a meno di avvicinarmi. E noto il mio capo guardare lo straniero con occhi che non ho mai visto prima. Perchè il capo e lo straniero si conoscono? Perchè me lo porterai via?"
Genere: Dark, Sovrannaturale, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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02. Bianco

 

La donna scese lentamente le scale, lasciando che la sua veste di scena strisciasse languidamente sugli scalini. Aveva un portamento altezzoso, lo sguardo alto e il mento sollevato. La sua alterigia strideva però con il suo viso ed il suo corpo, così vecchio e raggrinzito da apparire troppo fragile per tanto orgoglio. Ma il pubblico ancora l’applaudiva e lei, l’attrice, viveva per quel suono. Nel suo camerino si permise di sospirare e lasciare cadere leggermente le spalle. Osservandosi poi allo specchio, sorrise: una vecchietta ricurva, con troppo trucco sulle guance e troppo rossetto sulle labbra. Quel vestito di raso non le stava così bene lì, nel camerino, rispetto a come le stava sul palco.

Le luci della scena le volevano bene e nascondevano tutta la sua vecchiaia.

Si tolse una forcina dai capelli, poi notò un’ombra allo specchio.

“Sei arrivato, dunque”

“Mi aspettavi?”

La vecchia annuì osservando lo sconosciuto che fece un passo avanti. I suoi capelli riccioli erano candidi come la neve. Sembravano così leggeri e morbidi che, toccati, sarebbero spariti. Erano raccolti in una coda folta e lunga, per la quale la vecchia sospirò: “Vorrei anch’io dei capelli così” disse fra sé e sé e lo sconosciuto non rispose.

La donna continuò a squadrarlo. Alto, avvolto in un cappotto dello stesso colore dei capelli, perfettamente latteo, l’uomo non sembrava appartenere a quella città.

“Sì, ti aspettavo” rispose infine la vecchia. “Sai” aggiunse “Per noi umani ottant’anni equivalgono alla vecchiaia e questa vecchiaia ti porta un po’ di saggezza. E di memoria. Io ricordo tutto”

Lo sconosciuto sorrise, sinceramente compiaciuto.

“Quindi non ci saranno non volevo o non sapevo da parte tua…”

La vecchia si guardò nello specchio.

“La tua vittima precedente ti ha detto così?” ma non aspettò una risposta che sapeva non sarebbe arrivata e prese una sigaretta dalla sua borsa “Non so perché ricordo quel che ho fatto e non so se la tua precedente vittima davvero non se lo ricordasse, toglimi una curiosità però, una sola, te ne prego…”

Lo straniero fece qualche passo in avanti verso la donna. Il soprabito non copriva bene l’elsa di una spada che sporgeva sul fianco destro dell’uomo, legata ad una catena argentea.

Si fermò di fronte a lei ma non fece niente. La vecchia interpretò quel gesto come un permesso per parlare.

“Non ti chiederò perché lo fai, quello lo so già. Ciò che vorrei sapere è se lui si ricorda ancora di te”
La vecchia guardò nelle iridi dello sconosciuto, grigie, così chiare da sembrare bianche. Ma nonostante quel colore algido, le parve di intravedere tristezza, per un istante.

Lui le aveva dato il permesso di porgergli quella domanda e probabilmente non s’era curato di nascondere la risposta, che comunque mise anche in parole.

“In tutti questi secoli non mi ha mai cercato e ora che sono qui, non è venuto da me. Lui m’ha già dimenticato. Mi ha dimenticato da subito.”

La vecchia fece un ultimo tiro della sua sigaretta annuendo.

Si guardò di nuovo nello specchio: non era importante l’origine, alcune cose capitavano sia all’Inferno che sulla Terra. E sospirò, lasciando andare il ricordo lontano di un uomo che l’aveva dimenticata.

Guardò un’ultima volta lo straniero negli occhi e annuì: era pronta.

L’Ectelium le penetrò il cuore silenziosamente e lei, non emise un suono. Si accasciò sulla poltrona con l’aria serena.

Una piccola goccia del suo sangue macchiò il soprabito candido dello straniero.

La domanda della donna l’aveva distratto, e quella macchiolina rossa ne era la prova.

Ma come avrebbe potuto rimanere indifferente a quella domanda? Per anni, per secoli aveva aspettato. Aveva sperato. E non era accaduto nulla.

Ora aveva attraversato l’Inferno intero, risalendo lungo la Strada della Redenzione perché gli fosse permesso di mettere piede sulla Terra, e l’altro non l’aveva neanche riconosciuto.

Legandosi l’Ectelium alla vita cercò di liberarsi dalla sensazione di non essere più voluto.

Ciononostante si diresse ugualmente verso la locanda, dove avrebbe passato la seconda notte.

La luna, quella sera era piena. Enorme. E lo illuminava, nei suoi vestiti bianchi.

 

La locanda, anche quella sera, era stracolma di gente e straripante di parole e fumo. Tuttavia tutti si scostarono per far passare lo straniero che si diresse verso le scale e poi al piano di sopra, prima di prendere posto ad uno dei tavoli che qualcuno gli avrebbe nuovamente lasciato.

Voleva pulirsi la manica da quella macchiolina rossa.

Al primo piano, al contrario che al pian terreno, regnava la calma. Le voci degli avventori della locanda erano ovattate. Tutto sembrava lontano. Lo stranierò sospirò, ma non fece in tempo a fare altro perché qualcuno lo spinse contro la parete, afferrandogli la manica macchiata con forza e costringendolo ad  alzare il braccio sopra la testa.

“Che cattivo gusto!”

Lo straniero sorrise: “E’ proprio tipico di te esordire con una frase così”

Il padrone della locanda guardò il suo interlocutore.

“Non è da te macchiarsi, né per altro farsi sorprendere come ho appena fatto io”

L’altro  spinse via l’uomo che lo teneva fermo al muro: “Non è da me… è buffo che tu lo dica. Comunque” aggiunse poi scrollando le spalle “Non c’è niente che mi possa minacciare qui”

“Ti sbagli, Zero”

“Non posso permetterti di uccidermi. Non adesso comunque”

“Quindi hai intenzione di uccidere anche il terzo?”

“E’ una domanda sciocca da parte tua, Ci. Dopo che avrò ucciso il terzo, allora sarò io stesso a chiederti di uccidermi”

Ci aprì la bocca, ma esitò per un istante: “Perché sei qui, Zero?”

“Fai domande sciocche, oggi” rispose Zero voltandosi, ma non distogliendo completamente lo sguardo dal padrone della locanda.

Rimasero in silenzio per un po’. C’era un vuoto creato dagli anni trascorsi che non poteva essere colmato.

Poi Zero sospirò e diede definitivamente le spalle a Ci, allontanandosi. Avrebbero parlato dopo la sua terza vittima, un altro giorno. Quella sera non aveva più niente da dire.

 

 

 

In questi giorni non c’è davvero tregua. Gli avventori della locanda sembrano essersi moltiplicati d’improvviso. Anche questa sera, così come le precedenti, devo correre fra un tavolo e l’altro per cercare di soddisfare le loro richieste il più celermente possibile. Gli altri camerieri del locale sono indaffarati come me, sembra non ci sia un attimo per respirare.

Il capo non s’è fatto vedere per tutta la serata. E’ nel retrobottega, l’ho visto prima quando sono andata a prendere un nuovo fustone di birra, ma non s’è mosso neanche quando l’ho salutato. M’ha risposto con un mugugno, un suono breve della voce che forse doveva sostituire un normale ciao. Che strano, mi sarei aspettata chiedesse com’era la situazione al bar, se le provviste, la birra e il vino fossero sufficienti…Mi sarei aspettata qualche commento, ed invece è rimasto in silenzio.

Il capo ultimamente era molto strano. Non saprei dire da quando sia cambiato, ma sono certa che qualcosa turbi il suo animo. Io ho sempre capito il capo e ora invece non ci riesco più. E’ come se ci fosse un muro fra noi, un muro tanto invisibile quanto invalicabile. E io me ne sto qui, ad ammirare i suoi occhi a mandorla e a chiedermi che cosa hanno visto e ad ammirare le sue mani, che lentamente si portano una sigaretta alle labbra.

Anche quando sono ripassata di fronte al suo ufficio, portando il fustone di birra, ho dato un’occhiata a cosa stesse facendo, ma non s’era mosso dalla posizione in cui l’avevo visto qualche minuto prima.

E’ successo qualcosa, qualcosa che mi sfugge. Sospiro, augurandomi sia solo qualcosa di passeggero.

Sono distratta dal grido di un forestiero che mi chiede più birra e comincio a spinargliela. Qualcun altro mi chiede qualcosa, ma ci sono troppe voci e troppo fumo nella locanda quella sera: non riesco bene a distinguere cosa dica.

La nebbia creata dai sigari e dalle pipe si dissolve in un attimo e io ho una chiara sensazione di deja-vu. Istintivamente, alzo lo sguardo per vedere chi sia entrato nel locale.

Un uomo, uno straniero sicuramente, è in piedi alla porta. I suoi riccioli candidi cadono sul viso coprendogli leggermente gli occhi. Il resto dei capelli è racconto in una coda lunghissima. Anche i suoi vestiti sono bianchi come la neve. E ancora una volta, noto un’elsa spuntare dal lato destro del suo fianco.

Nonostante i lineamenti siano diversi, nonostante i capelli siano l’opposto, nonostante quest’uomo non rassomigli per niente allo Zero che è venuto durante l’ultima luna nuova, ho la certezza che si tratti della stessa persona. Non sono in grado di dire come possa cambiare le sue fattezze così tanto, né perché sia così sicura si tratti di Zero. Eppure qualcosa in me ne ha la certezza.

Mi chiedo come mai sia di nuovo venuto alla nostra locanda.

La sera di luna nuova, la prima volta in cui Zero era entrato da quella porta, quel giorno hanno dato notizia della morte del figlio del console. Ne ho letto dettagliatamente i giorni dopo, di come l’assassino non abbia lasciato nessuna traccia di sé, di come nessuno nella casa si fosse accorto dell’intruso, di come il ragazzino non avesse neanche gridato o cercato di difendersi. I giornali hanno scritto che il suo cuore era stato trafitto da una lama molto affilata e da una mano molto precisa che non aveva lottato, né cercato di colpire il bambino più volte. Era andata subito a segno, formando il cuore della sua vittima. Non ho pensato che ci fosse alcuna relazione fra l’assassinio e Zero, anche se uno straniero dalle fattezze così insolite ed un omicidio così efferato avrebbero dovuto forse farmi sospettare.

Del resto la criminalità in città s’è così abbassata ultimamente che nessun cittadino avrebbe mai compiuto un atto talmente crudele.

Per la seconda volta vedo Zero, sotto vesti diverse, ma pur sempre lui. E proprio in quel momento il telegiornale dà la notizia della morte di una delle più famose attrici di teatro dello stato.

Anche lei è morta trafitta al cuore da una lama affilatissima, anche in questo caso nessuno l’ha sentita gridare.

La polizia non dà notizie sulle eventuali tracce che l’assassino ha lasciato…e se anche in questo caso non fossero in grado di scoprire il colpevole?

Trovo che sia una strana coincidenza il fatto che i due omicidi siano capitati entrambi nelle sere in cui Zero ha varcato la soglia della nostra locanda.

Il capo mi ha detto di non fare domande e di non parlare, di lasciare l’arma allo straniero e di prendere solo le ordinazioni. Me l’ha detto con un tono talmente serio che per me è impossibile disobbedirgli. Mi guardo bene quindi dall’indagare se davvero sia Zero l’assassino che la polizia cerca.

C’è un sottile filo d’ansia e di terrore che mi pervade, tenermi lontana da quell’uomo sembra l’unica cura per non gridare di paura.

Zero non si siede, come mi sarei aspettata, ma sale le scale per raggiungere il piano di sopra. Lo guardo scomparire oltre la porta, e non mi accorgo che anche il capo è uscito dal retrobottega e guarda lo straniero sulle scale.

Lo vedo però corrergli dietro, fare gli scalini velocemente per raggiungerlo.

Il mio capo non rincorre mai nessuno: è pacato e sempre calmo. Non alza la voce, non si arrabbia, non s’infervora mai. E’ sempre in perfetto controllo del mondo che lo circondava: il mio capo non ha mai salito gli scalini così velocemente.

Mi chiedo il perché e mi chiedo come Zero e Ci si conoscano.

E mi chiedo se la stranezza del capo in questi ultimi giorni sia in qualche modo legata allo straniero.

Qualcuno mi chiama e io devo ritornare ai miei doveri.

Sospiro. Forse si tratta solo di un momento passeggero.

Dopo un po’ Zero scende le scale, da solo. Del capo non c’è traccia. Che mi sia sbagliata? Che Ci non sia corso dietro a Zero, ma semplicemente abbia avuto fretta per un altro motivo?

Zero si siede ad un tavolo che altri avventori lasciano immediatamente libero.

Faccio un respiro profondo: per quanto non voglia, devo andare da lui e prendere l’ordinazione.

“Buonasera, vuole ordinare?” Mi guarda con quelle iridi quasi bianche. Ricordo che nelle sue vesti blu quegli stessi occhi avevano raggelato l’aria. Ora, vestiti di bianco, avevano uno sguardo più pacato, forse malinconico.

Guardandoli e aspettando una risposta, ho una sensazione d’abbandono.

“Da quanto tempo lavori qui?”

Non m’aspetto quella domanda, perciò devo pensare alla risposta.

“Circa quattro anni…” dico infine.

“E ti ha assunto Ci?”

Mi stupisco della confidenza con cui lo straniero pronuncia il nome del mio capo. Annuisco.

“Sì, anche se non credo abbia neanche letto il mio curriculum…”

“Questo perché capisce sempre se chi gli è davanti è intelligente…” dice fra sé e sé.

Lo prendo come un complimento nei miei riguardi, senza per altro capire dove voglia andare a parare.

“Questo posto è suo?”

“Sì. Lo gestisce lui, ma penso anche gli appartenga”

Zero sorride, come se questo gli dicesse qualcosa che a me sfugge. Difatti subito dopo aggiunge:

“Tipico comportamento di un Notturno, volersi confondere fra la folla…”

E questa frase mi confonde ancora di più.

Un Notturno? Non ho idea di che cosa parli e lui lo sa benissimo, perché mi guarda e ride.

“Non pensare troppo. Non c’è una risposta alle tue domande fra le mie parole”.

Corrugo la fronte: si sta prendendo gioco di me?

Lui scuote la testa: “Volevo solo sapere da quanto tempo Ci era qui… Tu lo sai?”

“Da quando la locanda è stata aperta, credo” gli rispondo incerta e a disagio. Avevo paura di quell’uomo, ma ancora di più avevo paura della sua capacità di avere da me notizie che non capivo e che, apparentemente, per lui avevano invece senso. Che cosa voleva?

“Un birra e la chiave della stanza dodici” dice infine.

La stessa stanza della volta precedente. Non è libera, questa sera, ma non glielo dico: farò in modo di liberarla. Zero non può essere contraddetto.

Mi allontano velocemente per preparargli la birra, ma non posso fare a meno di guardarlo.

E’ diverso dalla prima sera in cui l’ho visto. E non mi riferisco solo alle vesti e ai lineamenti. L’aria che lo circonda non è intrisa di sangue come l’altra volta e la sua pelle non trasuda cattiveria. Come invece faceva l’altra volta.

Se mi fosse possibile un azzardo, pare quasi che sia avvolto da un senso di abbandono. In quel candido manto bianco, sembra inavvicinabile e lontano da tutto.

Sembra una condizione che gli è stata imposta…

Non mi soffermo troppo a pensare perché mi do della sciocca. Il terrore che genera in me l’idea di tornare da lui e portargli la birra mi ricorda immediatamente la prima sera che l’ho incontrato.

Alla fine, forse, non è vero che è così diverso.

 

***

Dolceamara: Grazie *_* Davvero. In effetti, la fase del "piacerà/non piacerà" è una fase che temo sempre mi colpisca e che, in qualche modo, mi depisti XD. Ovviamente, pubblicando un lavoro, tengo molto a vedere cosa ne pensano gli altri, ma cerco sempre di non compiacere nessuno. A volte la linea di distinzione però, è sottile
Amore passionale per i capelli lungi ... Nella realtà direi che non fa grossa differenza la capigliatura di qualcuno. Però, quando scrivo, mi ritrovo spesso con personaggi capelloni. Forse è un messaggio subliminare del mio subconscio
. eh eh eh  
Ti ringrazio tanto per le tue parole e il tuo sostegno, spero di risentirti. Baci anche a te.

BarbaraG: Wow, non dire ed incuriosire... E' esattamente quello che volevo fare ^_^ Raggiungere lo scopo dà un certa soddisfazione (/me tronfia ahah). A dire il vero, Ling è appoggiato su un substrato molto complesso e lungo (maturato da me nel corso di anni), che penso dia un'aura molto ampia al racconto. Ling di per sè è uno scorcio, ma forse, proprio perchè è ambientato in un mondo in cui io so che è successo "quello, quello e quell'altro (in tante altre storie che ho scritto), mi riesce di dare una certa tridimensionalità agli eventi, anche in soli 3 capitoli. Baci baci

 

 

 

  
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