Fanfic su artisti musicali > Avril Lavigne
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Autore: Cruel Heart    18/08/2013    2 recensioni
“Avril! Avril!”
Eccolo, lo sento.
“Sei qui…” mormoro appena.
“Sì, amore, sono qui, sono qui…”
“Ti amo…” ho solo la forza di dirgli.
Poi, finalmente, il buio cala su di me.
*********
Una ragazza con una corazza forte e menefreghista, ma con un'anima fragile e bisognosa d'amore, si trasferirà in una città che odia, con la madre di cui non ha notizie da dieci anni, e il nuovo patrigno.
Le sue giornate saranno una battaglia continua, sia a casa, ma soprattutto a scuola.
Cosa succederà, se incontrerà un antipatico testardo e strafottente?
Cosa succederà, se quel ragazzo capace di tenerle testa, sarà un biondino con uno skate?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vorrei dedicare questo capitolo a E, perché senza i nostri scleri sui Minions e sui bambini-fantasma, le serate non sarebbero più le stesse. Grazie bro!

 

Salve a tutti! ^_^

Ringrazio chi ha messo questa ff tra:

-        i preferiti: Beliectioner_FE_love_FE   Look_at_the_sky -  RamonaLBS-     Solluxy

-        i ricordati:- Look_at_the_sky

-        i seguiti:- AliceKeepHoldingOn -  Brazza - Hakkj -  Look_at_the_sky - Mary Fichera - RamonaLBS

Ok, mancano solo due giorni al video di Rock N roll. *me felice*.

Qui c’è il terzo teaser----> http://www.youtube.com/watch?v=45qUNPkZMnM

 

Buona lettura a tutti!

                    

Muse – Supermassive Black Hole (aprire in un’altra scheda)

 

Pov Avril

 

Quando una giornata iniziava male, non poteva di certo migliorare con il passare del tempo.

Eccomi qua, incazzata nera a scuola, senza divisa e con gli occhi di tutti puntati addosso.

 

Il motivo?

Quel deficiente di Taubenfeld mi aveva apertamente lanciato una sfida, che però ancora non sapevo in cosa cavolo consistesse.

Una sfida in cui io sarò il vincente, e tu, mia cara, la perdente, aveva detto.

Che pallone gonfiato, se credeva che gliel'avrei data vinta così facilmente, nonostante non sapessi ancora cosa dovevo fare.

Dal tono in cui l'aveva detto però, traspariva chiaramente la sua sicurezza, e questo non faceva altro che aumentare la mia curiosità e incertezza allo stesso tempo.

 

"Parla chiaro, Taubenfeld. Di che sfida si tratta?" chiesi, impaziente.

 

Lui stava per rispondermi, ma fu interrotto da quella che pensavo fosse la sorella.

"Ehi Evan, le chiavi della moto" disse, e fece per lanciargliele, ma lui fece un gesto della mano, come a interrompere la sorella, e riprese a parlare.

 

"Non adesso, Annie. La nuova arrivata vuole sapere cosa ho in serbo per lei.

Bene, la tua curiosità sarà accontentata, Lavigne" fece un sorriso maligno, e continuò "Una sfida a skateboard. Il parcheggio della scuola. Adesso. Io e te"

 

"Ma tu sei solo pazzo!" dissi, per niente d'accordo all'idea. Avevo già troppi occhi puntati su di me, per essere solo il primo giorno.

 

"Che c'è..." disse, mettendosi lo skate sotto i piedi "hai paura?"

 

"Paura, ma per piacere! Non lo voglio fare, perché non vedo il motivo per cui dovrei sprecare le mie energie per batterti..." Incrociai le braccia al petto."E poi, chi decreterà il vincitore, tu?!" chiesi sarcastica.

 

"Sarebbe davvero troppo semplice, quindi no. Decideranno i nostri stessi compagni, in base al tifo che faranno per l'uno o per l'altra. Comunque, stavo pensando...perché non rendere le cose più interessanti con una piccola scommessa? Ci stai?"

 

Feci un cenno e del capo, buttai lo zaino per terra, mi misi anch'io lo skateboard sotto i piedi e dissi:"Se vinco io, la dovrai smettere di sfidarmi in questo modo. E, in più, ti darò uno schiaffo talmente forte, da farti venire le vertigini, Taubenfeld"

 

"Attenta a non scherzare con il fuoco, Lavigne, perché se vinco io...ti bacerò davanti a tutti in un modo così passionale, che mi pregherai di rifarlo" disse, con un ghigno sul volto.

 

"Certo, come no. Le mie labbra non toccheranno mai le tue, mettitelo in testa" Lo sfidai.

 

Lui si avvicinò al mio orecchio, e con voce maliziosa mi disse:"Sbaglio, o ci siamo già passati?" e prima che potessi rispondergli a tono, si allontanò da me correndo sul suo skate.

 

Appena cominciò la sua "esibizione", fece subito un kickflip, una mossa che consisteva nel ruotare lo skate da destra a sinistra, senza l'aiuto della mano.

Era una buona mossa per l'inizio, e soprattutto, credevo che fosse anche un messaggio che mi stava mandando, della serie "con me, non si scherza".

Poi, prese a fare lo slalom tra le varie auto e moto posteggiate lì nel parcheggio.

 

In effetti, sembrava molto sicuro di sè, e questo fece aumentare la mia preoccupazione.

Conoscevo le mie capacità, sapevo di poterlo battere. Ma lo potevo fare anche adesso, anche in queste condizioni?

 

Questa notte avevo fatto di tutto tranne che dormire - doppi sensi a parte - e le mie profonde occhiaie ne erano una testimonianza assicurata.

In più, le liti in casa con Judy e Phil, non avevano di certo contribuito a rendere il mio carattere più docile e gentile, anzi.

 

Non avrei sopportato altre umiliazioni, perché era quello che lui voleva fare. Umiliarmi.

In altre occasioni avrei potuto batterlo, e anche facilmente, direi.

Ma adesso? Ne ero davvero in grado?

 

La risposta mi sarebbe arrivata durante il secondo successivo, giusto in tempo per vedere la sua corsa che finiva con il suo piede destro che colpiva la parte posteriore dello skate, facendolo roteare su sé stesso. Un classico 360 flip.

 

Forse non lo avrei potuto battere, ma io non ero una che abbandonava così, senza neanche provarci.

 

Si avvicinò a me, con il suo skate in mano, e mi chiese ad alta voce:"Allora, che ne dici, Mitchell?"

 

Che bastardo. Gli avevo già detto cosa ne pensassi del mio cognome.

Bene, avrebbe avuto pane per i suoi denti.

 

"Mmh...niente male..." feci una pausa, giusto in tempo per vedere il suo viso trasformarsi in un ghigno vittorioso e continuai "...per un pivello!".

 

Non ebbi però il tempo di vedere la sua faccia, anche se avrei tanto voluto, che partii questa volta per la mia gara.

Sin dal primo istante capii che non si trattava più della sfida con Evan, ma con una sfida con me stessa.

Una sfida che dovevo vincere a tutti i costi per ritrovare quella che ero e la fiducia che avevo riposto in me stessa.

 

Iniziai subito con uno slalom molto stretto per impressionare gli studenti, in modo tale che si convincessero che la migliore, ero io.

Alcuni mi guardavano impauriti, altri estremamente stupiti per quello che stavo facendo.

Feci anch'io un kickflip e un 360 flip, perché volevo sia prenderlo un po' in giro, sia dirgli che in questa sfida non giocava soltanto lui, ma entrambi.

 

Ma non potevo continuare così.

Se volevo davvero batterlo, dovevo inventarmi qualcosa che lasciasse il segno, qualcosa che lasciasse tutti a bocca aperta. Soprattutto lui.

 

Osservai il grande edificio, era abbastanza grande e ampio, da poter fare qualsiasi cosa avessi voluto.

Già...ma cosa?

Poi, come se il destino mi avesse voluto dare un suggerimento, vidi un corrimano giallo in ferro battuto, che accompagnava l'enorme scalinata che dava l'accesso al piano inferiore.

Non ebbi alcuna esitazione nel voler tentare.

Avevo già provato quella mossa a Napanee, e mi era sempre riuscita.

 

Corsi verso la scalinata e, proprio quando ero a meno di un centimetro di distanza, feci pressione sulle mie gambe e spiccai un ampio balzo, sufficiente a farmi atterrare ancora sana e salva sul ferro del corrimano. Poi, in perfetto equilibrio, mi lasciai trascinare con lo skate sotto i piedi, e percorsi tutta la lunghezza del corrimano.

 

Quando il ferro finii, spiccai un altro salto e mi ritrovai di nuovo sullo skate, ma stavolta sulla terra ferma.

Intanto, tra tutti gli occhi che mi osservavano, ne vidi un paio non completamente sconosciuti.

La sorella di Evan, mi pareva che si chiamasse Annie, mi fissava completamente strabiliata, con un sorriso a trentadue denti sul volto.

Forse aveva trovato qualcuno in grado di tener testa al fratello....

 

Prima di lei, c'era parcheggiata una Ducati color rosso fiammante.

Annie, invece, aveva ancora in mano le chiavi della moto del fratello, quelle che aveva cercato di restituirgli prima della sfida.

Chissà se...

 

Corsi verso la moto, esercitando una pressione leggermente minore di quella che avevo usato poco prima, e superai con agilità la moto, sotto gli occhi stupefatti di tutti.

Poi, corsi verso la sorella di Evan, e senza mai fermarmi le sussurrai:"Le chiavi..."

 

Il suo sorriso si aprì ancora di più, mi diede senza alcuna esitazione le chiavi della moto, e mi diressi verso le scale, che poco prima avevo sceso in maniera non proprio ortodossa.

 

Le salii con lo skate in una mano e le chiavi nell'altra, sotto gli sguardi di ogni singola persona lì presente.

Non era una bella sensazione. Per niente.

 

Mi avvicinai piano a lui, pronta questa volta a riprendermi la mia rivincita.

 

"Queste devono essere tue..." dissi, mettendogliele nella mano destra.

 

La sua espressione parlava da sola.

Era sorpreso, arrabbiato e curioso allo stesso tempo.

Avrei voluto tanto ridergli in faccia, ma mi trattenni.

Io non ero come lui.

 

Poi, all'improvviso, tutti i ragazzi presenti si mossero.

All'inizio, credevo che si stessero avvicinando per decretare il vincitore -me, ovviamente-, ma non era così, perché invece di accalcarsi vicino a noi, la folla si diresse verso l'interno della scuola.

 

Non capii niente di quello che stava succedendo, fin quando qualcuno gridò "La Callingham! Sta arrivando la Callingham!"

 

"Merda. Questa non ci voleva" esclamò stizzito Evan.

 

Stavo per dare voce alla mia perplessità, quando una donna magra, slanciata, con i capelli biondi liscissimi e un decolté di cui non aveva nessun timore a mettere in mostra, mi precedette.

 

"Taubenfeld! Lei e la sua...amichetta nel mio ufficio! Subito!"

 

Brutta gallina vecchia e ignorante!

Come si permetteva di dirmi che ero la sua "amichetta" con quel tono cattivo e perfido?

Quanto avrei voluto spaccarle quella faccia sicuramente rifatta che si ritrovava!

E quanto avrei voluto avere un guantone sulla mia mano destra, adesso!

 

Poi, sentii la mano calda di Evan stringermi il polso, come a volermi fermare dai miei propositi omicidi.

Sgranai gli occhi e mi girai verso di lui, che capii appieno la mia incredulità, e mi spiegò:"Avril, lei è la vicepreside. Quindi ora te ne stai buona e zitta e non fai casini, chiaro?"

 

Non volevo che mi trattasse così. Non ero una bambina. "Ma..."

 

"No, niente ma. Non ti voglio fregare. Per una volta...fidati di me" finì, con una breve interruzione nella frase.

 

Appena dopo che finì di parlare, si incamminò dietro quell'oca bionda, trascinando dietro anche me, e riuscii per fortuna a raccogliere lo zaino che avevo buttato a terra.

Tra le sue mani teneva ancora il mio polso, con una stretta ferrea e salda, che faceva quasi male.

Per un istante mi sfiorò l'idea di liberarmi dalla sua presa e di andarmene per conto mio, ma, per non so quale motivo, volli fidarmi di lui e affidargli completamente la situazione.

Attraversammo veloci i corridoi ormai deserti, che venivano percorsi solo da quei pochi ritardatari che non erano ancora entrati nelle classi.

 

Evan allentò la presa sul mio polso solo quando entrammo nella segreteria, per poi dirigerci verso una porta a destra, la vicepresidenza.

Nicole Callingham, così recitava la targhetta sulla sua scrivania, ci fece accomodare nel suo ufficio, su delle eleganti poltroncine in pelle chiara.

Sicuramente non aveva arredato lei la stanza, troppo buon gusto. Giusto quello che le mancava nel vestirsi.

 

Mi rivolse occhiatacce infuocate per i primi cinque minuti che stemmo lì.

Va bene che non mi ero presentata nel migliore dei modi, ma proprio non capivo tutto quest'odio nei miei confronti.

 

Invece, lo sguardo che rivolse a Evan, era totalmente l'opposto.

Con lui aveva un'aria...adorante, come se pendesse dalle sue labbra, come se ogni suo gesto fosse dipeso da quello del ragazzo al mio fianco.

 

"Lei è?" mi chiese, sprezzante.

Credo che una gomma attaccata nei suoi orrendi capelli verrebbe trattata meglio.

 

"Avril Lavigne" rispondo, allo stesso tono. Se lei non era gentile, perché avrei dovuto esserlo io?

 

"È una studente, per caso?" disse, con l'incredulità sul viso perché non conosceva uno dei suoi studenti.

 

Al mio cenno di assenso con il capo, avvicinò la sedia al computer sulla scrivania, cominciando a battere infuriata le dita su quella povera tastiera che non aveva nessuna colpa.

 

"Lavigne? Non c'è nessuna Avril Lavigne iscritta qui."

 

"Ottimo, se non sono iscritta penso proprio che toglierò il disturbo. Buongior..."

 

"Siediti" sibilò Evan, interrompendomi.

 

Mi sedetti, se possibile ancora più incazzata di prima.

 

Nessuno in diciassette anni mi aveva mai messo a tacere con una parola, e lui ci era riuscito in due secondi!

 

"Signorina Callingham" si rivolse Evan alla vicepreside, con un sorriso tanto affabile quanto falso sul volto.

 

"Oh, dimmi Evan" disse lei, completamente imbambolata.

 

"Provi con Avril Mitchell" rispose, in tono mellifluo.

Lo guardai allibita. Quanto avrei voluto gridargli contro

Lui, probabilmente capendo le mie intenzioni, mi fece un sorriso dei suoi.

Non falso come quello che aveva rivolto alla vicepreside, no, questo era da tremarella alle gambe e da brividi dietro la schiena.

Ma che cavolo andavo a pensare!

Mi rimisi composta al mio posto, sperando che nessuno avesse notato la mia breve distrazione.

 

"Hai ragione. Avril Mitchell, figlia di Judy e Phil Mitchell, dico bene?"

 

"Si" grugnii.

 

"Ecco, Avril stava giusto andando a mettersi la divisa, ma ci siamo incontrati e ho voluto darle il benvenuto. Non è vero?" disse, rivolgendosi a me con il tipico sguardo "menti e pariamoci il culo a vicenda".

 

 "Esatto, è andata proprio così." confermai. In effetti, non era proprio una bugia, avevo solo omesso il fatto che avesse un modo tutto di suo di dare il benvenuto. "Io sono arrivata con il mio skate e stavo andando a cambiarmi, quando...Evan" che fatica pronunciare il suo nome invece del cognome "mi ha fermata per salutarmi. Infatti, ci siamo conosciuti ieri sera a casa di mia madre." aggiunsi.

 

"Capisco. Ma questo non giustifica nè il suo abbigliamento, signorina, nè tantomeno quello che avete fatto nel parcheggio. Cosa credevate di fare con quella sceneggiata da quattro soldi?"

Le sue parole intrise di disprezzo mi fecero stringere forte le braccia ai fianchi, e le avrei dato per la milionesima volta un pugno, se non avesse continuato a parlare.

"Naturalmente, dovrò avvisare i suoi genitori, signorina, e le farò sapere in cosa consisterà il suo castigo." Poi, cambiò tono. "Tu non preoccuparti Evan, lo so che sei stato provocato, quindi..."

 

Eh no, cavolo!

Dove era finito il "lei" per Evan?

Era riservato soltanto a me?

E poi, io ero la vittima, non il carnefice. Per cui era lui che doveva punire, io avevo soltanto risposto.

Non funzionava così nella democratica America!

 

"Nicole..." cominciò Evan. La cosa mi urtò moltissimo, ma non perchè chiamò la vicepreside con il suo nome di battesimo, ma perché il tono che aveva usato con lei era dolce, ipnotico quasi. "...Andiamo, non vorrai che l'intera scuola venga a sapere del nostro piccolo...inconveniente? E non vorrai di certo macchiare la reputazione dell'istituto, vero?" Alzò le sopracciglia, con fare eloquente. "Per il castigo...pensaci su, prenditi tutto il tempo che ti serve, e poi, con la massima tranquillità, decidi"

 

Certo, facile dirlo per lui. Tanto alla fine il castigo avrei dovuto sorbirmelo io!

 

"Mmh...credo che tu abbia ragione, come sempre." disse, facendogli un sorrisino. "Potete andare, ragazzi. Signorina Mitchell, vada in bagno a cambiarsi, subito, e poi mi aspetti in segreteria."

 

Non risposi neanche, uscii da quella stanza infernale e mi diressi verso il primo bagno che trovai.

Appena entrai un vago senso di nausea che mi prese allo stomaco. Cosa diavolo mi stava succedendo?

Poi, presa del tutto alla sprovvista, una lacrima scese piano sulla mia guancia. L’asciugai con rabbia, non potevo cedere! Io ero Avril Lavigne, una ragazza forte e combattiva, che non si arrendeva di fronte a niente.

Tu sei forte, tu sei forte mi ripetevo come un mantra, per auto convincermi che fosse così.

Io sola dovevo sapere la realtà, che in fondo ero come tutte le ragazze di questo mondo, un semplice e stupida ragazzina che credeva di essere grande.

 

Allacciai lentamente la camicia, bottone dopo bottone, io ero forte.

Lisciai con cura le pieghe della gonna, io ero forte . Mi chinai ad infilare le scarpe, io ero forte. Riposi l’I-pod e gli occhiali da sole nello zaino con i vestiti e le Converse, io ero forte. Mi guardai allo specchio e sfoggiai il mio migliore sorriso.

Nessuno avrebbe potuto, ma soprattutto dovuto mai intuire questo mio momento di debolezza.

 

Ecco, finalmente mi riconoscevo nell’immagine riflessa allo specchio. L’io che volevo essere.

Feci un respiro profondo e uscii dal bagno più serena di come ero entrata.

Stavo bene, dovevo stare bene e gli altri avrebbero visto quello che io volevo che vedessero.

 

Mi diressi spedita verso la segreteria, con i tacchi che rimbombavano sul pavimento lucido. Ma in che schifo di posto ero finita? Sembrava di essere dentro a quei telefilm dove i protagonisti erano tutti ricchi figli di papà.

Sorrisi della mia sbadataggine. Ogni tanto me ne dimenticavo, ma in questa merda io ora ci dovevo vivere, e questa adesso era anche la mia realtà.

 

Arrivai in segreteria e mi accomodai su una piccola poltroncina rossa, in attesa della vecchia gallina.

Mi stravaccai su di essa in cerca di una posizione comoda, del tutto introvabile. Forse erano fatte apposta per far sentire a disagio il povero mal capitato…

 

Quando sentii la porta scattare, mi diedi rapidamente un contegno e mi rimisi a sedere, composta.

Ma non era la persona che mi aspettavo. Infatti, entrò una donna alta, con un tailleur scuro elegante, e i capelli corti.

Tutta la sua persona emanò un’aurea di forte personalità. Nella mia mente si formò un solo pensiero: la preside.

Mi sentii in imbarazzo sotto il suo sguardo scrutatore, così abbassai il viso.

 

“Lei deve essere Avril Lavigne.” affermò sicura.

 

Alzai di scatto il viso e mi alzai in piedi, le dovevo rispetto anche solo perché mi aveva chiamato con il mio cognome.

Mi chiesi come facesse a conoscerlo, visto che mia madre mi aveva iscritta con il cognome del cetriolone.


“Sì, sono io.”


“Io sono la preside Alicia Kellington. Posso sapere che ci fa già il primo giorno in presidenza?”


“Ehm…la vicepreside mi ha chiesto di aspettarla qui per definire alcuni particolari.” risposi.

“Mmh, capisco...” assottigliò lo sguardo. “Ma adesso non dovrebbe essere a lezione?”

“Non ho ancora ricevuto l’orario.” Già, il mio orario, chissà che materie avrei dovuto frequentare.

“La signorina Callingham non gliel’ha dato? Al lunedì la segreteria apre alle 10, doveva venire venerdì.”


“Peccato che mi sia trasferita sabato.” dissi, più acida di quanto fosse consigliabile. Era la preside dopotutto, ma se Judy e la sua perfetta organizzazione non funzionavano, non era colpa mia.

 

La preside sorrise per la mia risposta , si spostò dietro il bancone della segreteria e armeggiò con il computer. Pochi minuti dopo la stampante era in funzione, e mi porse una serie di fogli...l’orario e una sfilza di moduli per le attività extrascolastiche.

Ne avevo due obbligatorie, ma almeno le potevo scegliere.

 

“È inutile che vada in classe, adesso. Aspetti qui fino alle 10.” disse, avviandosi verso il suo ufficio. “Ah, signorina Lavigne, gli insegnanti useranno il cognome di sua madre. Per favore, non risponda acidamente, non la voglio più vedere in questa stanza se non per iscriversi alle attività extrascolastiche. Arrivederci.”

“Arrivederci.” sussurrai, prima che la porta si chiudesse alle sue spalle e si aprisse quella della vicepresidenza.

 

   
 
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