Vorrei
dedicare questo capitolo a E, perché senza i nostri scleri
sui Minions e sui bambini-fantasma, le serate non sarebbero
più le stesse. Grazie
bro!
Salve
a tutti! ^_^
Ringrazio
chi ha messo questa ff tra:
- i
preferiti:- Beliectioner_FE_love_FE - Look_at_the_sky - RamonaLBS-
Solluxy
- i
ricordati:- Look_at_the_sky
- i
seguiti:- AliceKeepHoldingOn - Brazza - Hakkj - Look_at_the_sky - Mary Fichera - RamonaLBS
Ok,
mancano solo due giorni al video di Rock N roll. *me felice*.
Qui
c’è il terzo teaser----> http://www.youtube.com/watch?v=45qUNPkZMnM
Buona
lettura a tutti!
Muse
– Supermassive Black Hole
(aprire in un’altra scheda)
Pov Avril
Quando
una giornata iniziava
male, non poteva di certo migliorare con il passare del tempo.
Eccomi
qua, incazzata nera a
scuola, senza divisa e con gli occhi di tutti puntati addosso.
Il
motivo?
Quel
deficiente di Taubenfeld
mi aveva apertamente lanciato una sfida, che però ancora non
sapevo in cosa
cavolo consistesse.
Una sfida in cui io sarò
il vincente, e tu, mia cara,
la perdente, aveva
detto.
Che
pallone gonfiato, se
credeva che gliel'avrei data vinta così facilmente,
nonostante non sapessi
ancora cosa dovevo fare.
Dal
tono in cui l'aveva detto
però, traspariva chiaramente la sua sicurezza, e questo non
faceva altro che
aumentare la mia curiosità e incertezza allo stesso tempo.
"Parla
chiaro,
Taubenfeld. Di che sfida si tratta?" chiesi, impaziente.
Lui
stava per rispondermi, ma
fu interrotto da quella che pensavo fosse la sorella.
"Ehi
Evan, le chiavi
della moto" disse, e fece per lanciargliele, ma lui fece un gesto della
mano, come a interrompere la sorella, e riprese a parlare.
"Non
adesso, Annie. La
nuova arrivata vuole sapere cosa ho in serbo per lei.
Bene,
la tua curiosità sarà
accontentata, Lavigne" fece un sorriso maligno, e continuò
"Una sfida
a skateboard. Il parcheggio della scuola. Adesso. Io e te"
"Ma
tu sei solo
pazzo!" dissi, per niente d'accordo all'idea. Avevo già
troppi occhi
puntati su di me, per essere solo il primo giorno.
"Che
c'è..." disse,
mettendosi lo skate sotto i piedi "hai paura?"
"Paura,
ma per piacere!
Non lo voglio fare, perché non vedo il motivo per cui dovrei
sprecare le mie
energie per batterti..." Incrociai le braccia al petto."E poi, chi
decreterà il vincitore, tu?!" chiesi sarcastica.
"Sarebbe
davvero troppo
semplice, quindi no. Decideranno i nostri stessi compagni, in base al
tifo che
faranno per l'uno o per l'altra. Comunque, stavo
pensando...perché non rendere
le cose più interessanti con una piccola scommessa? Ci stai?"
Feci
un cenno e del capo,
buttai lo zaino per terra, mi misi anch'io lo skateboard sotto i piedi
e
dissi:"Se vinco io, la dovrai smettere di sfidarmi in questo modo. E,
in
più, ti darò uno schiaffo talmente forte, da
farti venire le vertigini, Taubenfeld"
"Attenta
a non scherzare
con il fuoco, Lavigne, perché se vinco io...ti
bacerò davanti a tutti in un
modo così passionale, che mi pregherai di rifarlo" disse,
con un ghigno
sul volto.
"Certo,
come no. Le mie
labbra non toccheranno mai le tue, mettitelo in testa" Lo sfidai.
Lui
si avvicinò al mio
orecchio, e con voce maliziosa mi disse:"Sbaglio, o ci siamo
già
passati?" e prima che potessi rispondergli a tono, si
allontanò da me
correndo sul suo skate.
Appena
cominciò la sua
"esibizione", fece subito un kickflip, una mossa che consisteva nel
ruotare lo skate da destra a sinistra, senza l'aiuto della mano.
Era
una buona mossa per
l'inizio, e soprattutto, credevo che fosse anche un messaggio che mi
stava
mandando, della serie "con me, non si scherza".
Poi,
prese a fare lo slalom
tra le varie auto e moto posteggiate lì nel parcheggio.
In
effetti, sembrava molto
sicuro di sè, e questo fece aumentare la mia preoccupazione.
Conoscevo
le mie capacità,
sapevo di poterlo battere. Ma lo potevo fare anche adesso, anche in
queste
condizioni?
Questa
notte avevo fatto di
tutto tranne che dormire - doppi sensi a parte - e le mie profonde
occhiaie ne
erano una testimonianza assicurata.
In
più, le liti in casa con
Judy e Phil, non avevano di certo contribuito a rendere il mio
carattere più
docile e gentile, anzi.
Non
avrei sopportato altre
umiliazioni, perché era quello che lui voleva fare.
Umiliarmi.
In
altre occasioni avrei
potuto batterlo, e anche facilmente, direi.
Ma
adesso? Ne ero davvero in
grado?
La
risposta mi sarebbe
arrivata durante il secondo successivo, giusto in tempo per vedere la
sua corsa
che finiva con il suo piede destro che colpiva la parte posteriore
dello skate,
facendolo roteare su sé stesso. Un classico 360 flip.
Forse
non lo avrei potuto
battere, ma io non ero una che abbandonava così, senza
neanche provarci.
Si
avvicinò a me, con il suo
skate in mano, e mi chiese ad alta voce:"Allora, che ne dici,
Mitchell?"
Che
bastardo. Gli avevo già
detto cosa ne pensassi del mio cognome.
Bene,
avrebbe avuto pane per
i suoi denti.
"Mmh...niente
male..." feci una pausa, giusto in tempo per vedere il suo viso
trasformarsi in un ghigno vittorioso e continuai "...per un
pivello!".
Non
ebbi però il tempo di
vedere la sua faccia, anche se avrei tanto voluto, che partii questa
volta per
la mia gara.
Sin
dal primo istante capii
che non si trattava più della sfida con Evan, ma con una
sfida con me stessa.
Una
sfida che dovevo vincere
a tutti i costi per ritrovare quella che ero e la fiducia che avevo
riposto in
me stessa.
Iniziai
subito con uno slalom
molto stretto per impressionare gli studenti, in modo tale che si
convincessero
che la migliore, ero io.
Alcuni
mi guardavano
impauriti, altri estremamente stupiti per quello che stavo facendo.
Feci
anch'io un kickflip e un
360 flip, perché volevo sia prenderlo un po' in giro, sia
dirgli che in questa
sfida non giocava soltanto lui, ma entrambi.
Ma
non potevo continuare
così.
Se
volevo davvero batterlo,
dovevo inventarmi qualcosa che lasciasse il segno, qualcosa che
lasciasse tutti
a bocca aperta. Soprattutto lui.
Osservai
il grande edificio,
era abbastanza grande e ampio, da poter fare qualsiasi cosa avessi
voluto.
Già...ma
cosa?
Poi,
come se il destino mi
avesse voluto dare un suggerimento, vidi un corrimano giallo in ferro
battuto,
che accompagnava l'enorme scalinata che dava l'accesso al piano
inferiore.
Non
ebbi alcuna esitazione
nel voler tentare.
Avevo
già provato quella
mossa a Napanee, e mi era sempre riuscita.
Corsi
verso la scalinata e,
proprio quando ero a meno di un centimetro di distanza, feci pressione
sulle
mie gambe e spiccai un ampio balzo, sufficiente a farmi atterrare
ancora sana e
salva sul ferro del corrimano. Poi, in perfetto equilibrio, mi lasciai
trascinare con lo skate sotto i piedi, e percorsi tutta la lunghezza
del
corrimano.
Quando
il ferro finii,
spiccai un altro salto e mi ritrovai di nuovo sullo skate, ma stavolta
sulla
terra ferma.
Intanto,
tra tutti gli occhi
che mi osservavano, ne vidi un paio non completamente sconosciuti.
La
sorella di Evan, mi pareva
che si chiamasse Annie, mi fissava completamente strabiliata, con un
sorriso a
trentadue denti sul volto.
Forse
aveva trovato qualcuno
in grado di tener testa al fratello....
Prima
di lei, c'era
parcheggiata una Ducati color rosso fiammante.
Annie,
invece, aveva ancora
in mano le chiavi della moto del fratello, quelle che aveva cercato di
restituirgli prima della sfida.
Chissà
se...
Corsi
verso la moto,
esercitando una pressione leggermente minore di quella che avevo usato
poco
prima, e superai con agilità la moto, sotto gli occhi
stupefatti di tutti.
Poi,
corsi verso la sorella
di Evan, e senza mai fermarmi le sussurrai:"Le chiavi..."
Il
suo sorriso si aprì ancora
di più, mi diede senza alcuna esitazione le chiavi della
moto, e mi diressi
verso le scale, che poco prima avevo sceso in maniera non proprio
ortodossa.
Le
salii con lo skate in una
mano e le chiavi nell'altra, sotto gli sguardi di ogni singola persona
lì
presente.
Non
era una bella sensazione.
Per niente.
Mi
avvicinai piano a lui,
pronta questa volta a riprendermi la mia rivincita.
"Queste
devono essere
tue..." dissi, mettendogliele nella mano destra.
La
sua espressione parlava da
sola.
Era
sorpreso, arrabbiato e
curioso allo stesso tempo.
Avrei
voluto tanto ridergli
in faccia, ma mi trattenni.
Io
non ero come lui.
Poi,
all'improvviso, tutti i
ragazzi presenti si mossero.
All'inizio,
credevo che si
stessero avvicinando per decretare il vincitore -me, ovviamente-, ma
non era
così, perché invece di accalcarsi vicino a noi,
la folla si diresse verso
l'interno della scuola.
Non
capii niente di quello
che stava succedendo, fin quando qualcuno gridò "La
Callingham! Sta
arrivando la Callingham!"
"Merda.
Questa non ci
voleva" esclamò stizzito Evan.
Stavo
per dare voce alla mia
perplessità, quando una donna magra, slanciata, con i
capelli biondi liscissimi
e un decolté di cui non aveva nessun timore a mettere in
mostra, mi precedette.
"Taubenfeld!
Lei e la
sua...amichetta nel mio ufficio!
Subito!"
Brutta
gallina vecchia e
ignorante!
Come
si permetteva di dirmi
che ero la sua "amichetta" con quel tono cattivo e perfido?
Quanto
avrei voluto spaccarle
quella faccia sicuramente rifatta che si ritrovava!
E
quanto avrei voluto avere
un guantone sulla mia mano destra, adesso!
Poi,
sentii la mano calda di
Evan stringermi il polso, come a volermi fermare dai miei propositi
omicidi.
Sgranai
gli occhi e mi girai
verso di lui, che capii appieno la mia incredulità, e mi
spiegò:"Avril,
lei è la vicepreside. Quindi ora te ne stai buona e zitta e
non fai casini,
chiaro?"
Non
volevo che mi trattasse
così. Non ero una bambina. "Ma..."
"No,
niente ma. Non ti
voglio fregare. Per una volta...fidati di me" finì, con una
breve
interruzione nella frase.
Appena
dopo che finì di
parlare, si incamminò dietro quell'oca bionda, trascinando
dietro anche me, e
riuscii per fortuna a raccogliere lo zaino che avevo buttato a terra.
Tra
le sue mani teneva ancora
il mio polso, con una stretta ferrea e salda, che faceva quasi male.
Per
un istante mi sfiorò
l'idea di liberarmi dalla sua presa e di andarmene per conto mio, ma,
per non
so quale motivo, volli fidarmi di lui e affidargli completamente la
situazione.
Attraversammo
veloci i
corridoi ormai deserti, che venivano percorsi solo da quei pochi
ritardatari
che non erano ancora entrati nelle classi.
Evan
allentò la presa sul mio
polso solo quando entrammo nella segreteria, per poi dirigerci verso
una porta
a destra, la vicepresidenza.
Nicole
Callingham, così
recitava la targhetta sulla sua scrivania, ci fece accomodare nel suo
ufficio,
su delle eleganti poltroncine in pelle chiara.
Sicuramente
non aveva
arredato lei la stanza, troppo buon gusto. Giusto quello che le mancava
nel
vestirsi.
Mi
rivolse occhiatacce
infuocate per i primi cinque minuti che stemmo lì.
Va
bene che non mi ero
presentata nel migliore dei modi, ma proprio non capivo tutto
quest'odio nei
miei confronti.
Invece,
lo sguardo che
rivolse a Evan, era totalmente l'opposto.
Con
lui aveva
un'aria...adorante, come se pendesse dalle sue labbra, come se ogni suo
gesto
fosse dipeso da quello del ragazzo al mio fianco.
"Lei
è?" mi chiese,
sprezzante.
Credo
che una gomma attaccata
nei suoi orrendi capelli verrebbe trattata meglio.
"Avril
Lavigne"
rispondo, allo stesso tono. Se lei non era gentile, perché
avrei dovuto esserlo
io?
"È
una studente, per
caso?" disse, con l'incredulità sul viso perché
non conosceva uno dei suoi
studenti.
Al
mio cenno di assenso con
il capo, avvicinò la sedia al computer sulla scrivania,
cominciando a battere
infuriata le dita su quella povera tastiera che non aveva nessuna colpa.
"Lavigne?
Non c'è
nessuna Avril Lavigne iscritta qui."
"Ottimo,
se non sono
iscritta penso proprio che toglierò il disturbo. Buongior..."
"Siediti"
sibilò
Evan, interrompendomi.
Mi
sedetti, se possibile
ancora più incazzata di prima.
Nessuno
in diciassette anni
mi aveva mai messo a tacere con una parola, e lui ci era riuscito in
due
secondi!
"Signorina
Callingham"
si rivolse Evan alla vicepreside, con un sorriso tanto affabile quanto
falso
sul volto.
"Oh,
dimmi Evan"
disse lei, completamente imbambolata.
"Provi
con Avril
Mitchell" rispose, in tono mellifluo.
Lo
guardai allibita. Quanto
avrei voluto gridargli contro
Lui,
probabilmente capendo le
mie intenzioni, mi fece un sorriso dei suoi.
Non
falso come quello che
aveva rivolto alla vicepreside, no, questo era da tremarella alle gambe
e da
brividi dietro la schiena.
Ma
che cavolo andavo a
pensare!
Mi
rimisi composta al mio
posto, sperando che nessuno avesse notato la mia breve distrazione.
"Hai
ragione. Avril
Mitchell, figlia di Judy e Phil Mitchell, dico bene?"
"Si"
grugnii.
"Ecco,
Avril stava
giusto andando a mettersi la divisa, ma ci siamo incontrati e ho voluto
darle
il benvenuto. Non è vero?" disse, rivolgendosi a me con il
tipico sguardo
"menti e pariamoci il culo a
vicenda".
"Esatto, è andata
proprio così."
confermai. In effetti, non era proprio una bugia, avevo solo omesso il
fatto
che avesse un modo tutto di suo di dare il benvenuto.
"Io sono arrivata con il mio skate e stavo andando a
cambiarmi,
quando...Evan" che fatica pronunciare il suo nome invece del cognome
"mi ha fermata per salutarmi. Infatti, ci siamo conosciuti ieri sera a
casa di mia madre." aggiunsi.
"Capisco.
Ma questo non
giustifica nè il suo abbigliamento, signorina, nè
tantomeno quello che avete
fatto nel parcheggio. Cosa credevate di fare con quella sceneggiata da
quattro
soldi?"
Le
sue parole intrise di
disprezzo mi fecero stringere forte le braccia ai fianchi, e le avrei
dato per
la milionesima volta un pugno, se non avesse continuato a parlare.
"Naturalmente,
dovrò
avvisare i suoi genitori, signorina, e le farò sapere in
cosa consisterà il suo
castigo." Poi, cambiò tono. "Tu non preoccuparti Evan, lo so
che sei
stato provocato, quindi..."
Eh
no, cavolo!
Dove
era finito il
"lei" per Evan?
Era
riservato soltanto a me?
E
poi, io ero la vittima, non
il carnefice. Per cui era lui che doveva punire, io avevo soltanto
risposto.
Non
funzionava così nella democratica America!
"Nicole..."
cominciò Evan. La cosa mi urtò moltissimo, ma non
perchè chiamò la vicepreside
con il suo nome di battesimo, ma perché il tono che aveva
usato con lei era
dolce, ipnotico quasi. "...Andiamo, non vorrai che l'intera scuola
venga a
sapere del nostro piccolo...inconveniente?
E non vorrai di certo macchiare la reputazione dell'istituto, vero?"
Alzò
le sopracciglia, con fare eloquente. "Per il castigo...pensaci su,
prenditi tutto il tempo che ti serve, e poi, con la massima
tranquillità,
decidi"
Certo,
facile dirlo per lui.
Tanto alla fine il castigo avrei dovuto sorbirmelo io!
"Mmh...credo
che tu
abbia ragione, come sempre."
disse, facendogli un sorrisino. "Potete andare, ragazzi. Signorina
Mitchell, vada in bagno a cambiarsi, subito, e poi mi aspetti in
segreteria."
Non
risposi neanche, uscii da
quella stanza infernale e mi diressi verso il primo bagno che trovai.
Appena
entrai
un vago senso di nausea che mi prese allo
stomaco. Cosa diavolo mi stava succedendo?
Poi,
presa del tutto alla sprovvista, una lacrima scese piano sulla mia
guancia.
L’asciugai con rabbia, non potevo cedere! Io ero Avril
Lavigne, una ragazza
forte e combattiva, che non si arrendeva di fronte a niente.
Tu
sei forte, tu
sei
forte mi ripetevo come un mantra, per
auto convincermi che
fosse così.
Io
sola dovevo sapere la realtà, che in fondo ero come tutte le
ragazze di questo
mondo, un semplice e stupida ragazzina che credeva di essere grande.
Allacciai
lentamente la camicia, bottone dopo bottone, io
ero forte.
Lisciai
con cura le pieghe della gonna, io ero forte . Mi
chinai ad infilare le scarpe, io
ero forte. Riposi
l’I-pod e gli occhiali da sole nello zaino con i vestiti e le
Converse, io
ero forte. Mi guardai allo
specchio e sfoggiai il mio migliore sorriso.
Nessuno
avrebbe potuto, ma soprattutto dovuto mai intuire questo mio momento di
debolezza.
Ecco,
finalmente mi riconoscevo nell’immagine riflessa allo
specchio. L’io che volevo
essere.
Feci
un respiro profondo e uscii dal bagno più serena di come ero
entrata.
Stavo
bene, dovevo stare bene e gli altri avrebbero visto quello che io
volevo che
vedessero.
Mi
diressi spedita verso la segreteria, con i tacchi che rimbombavano sul
pavimento lucido. Ma in che schifo di posto ero finita? Sembrava di
essere
dentro a quei telefilm dove i protagonisti erano tutti ricchi figli di
papà.
Sorrisi
della mia sbadataggine. Ogni tanto me ne dimenticavo, ma in questa
merda io ora
ci dovevo vivere,
e questa adesso era anche la
mia realtà.
Arrivai
in segreteria e mi accomodai su una piccola poltroncina rossa, in
attesa della
vecchia gallina.
Mi
stravaccai su di essa in cerca di una posizione comoda, del tutto
introvabile.
Forse erano fatte apposta per far sentire a disagio il povero mal
capitato…
Quando
sentii la porta scattare, mi diedi rapidamente un contegno e mi rimisi
a
sedere, composta.
Ma
non era la persona che mi aspettavo. Infatti, entrò una
donna alta, con un
tailleur scuro elegante, e i capelli corti.
Tutta
la sua persona emanò un’aurea di forte
personalità. Nella mia mente si formò un
solo pensiero: la
preside.
Mi
sentii in imbarazzo sotto il suo sguardo scrutatore, così
abbassai il viso.
“Lei
deve essere Avril Lavigne.” affermò sicura.
Alzai
di scatto il viso e mi alzai in piedi, le dovevo rispetto anche solo
perché mi
aveva chiamato con il mio cognome.
Mi
chiesi come facesse a conoscerlo, visto che mia madre mi aveva iscritta
con il cognome
del cetriolone.
“Sì,
sono io.”
“Io
sono la preside Alicia Kellington. Posso
sapere che ci fa già il primo giorno in
presidenza?”
“Ehm…la
vicepreside mi ha chiesto di aspettarla
qui per definire alcuni particolari.” risposi.
“Mmh,
capisco...” assottigliò lo sguardo. “Ma
adesso non dovrebbe essere a lezione?”
“Non
ho ancora ricevuto l’orario.” Già, il
mio orario, chissà che materie avrei
dovuto frequentare.
“La
signorina Callingham non gliel’ha dato? Al lunedì
la segreteria apre alle 10,
doveva venire venerdì.”
“Peccato
che mi sia trasferita sabato.” dissi, più
acida di quanto fosse consigliabile. Era la preside dopotutto, ma se
Judy e la
sua perfetta organizzazione non
funzionavano, non era colpa mia.
La
preside sorrise per la mia risposta , si spostò dietro il
bancone della
segreteria e armeggiò con il computer. Pochi minuti dopo la
stampante era in
funzione, e mi porse una serie di fogli...l’orario e una
sfilza di moduli per
le attività extrascolastiche.
Ne
avevo due obbligatorie, ma almeno le potevo scegliere.
“È
inutile che vada in classe, adesso. Aspetti qui fino alle
“Arrivederci.”
sussurrai, prima che la porta si chiudesse alle sue spalle e si aprisse
quella
della vicepresidenza.