Disclaimer: i
personaggi sono proprietà di Isayama Hajime.
Note: l’idea si basa su un headcanon (sospetto visto su tumblr)
“Per caso Eren chiama Petra e Levi “mamma e papà” durante una cena con tutta la
squadra”, ma poi si è sviluppata per cavoli suoi – e quando mai no? –
scostandosi un pochino dall’originale, a causa del fatto che per me Eren
potrebbe chiamare Rivaille “papà” solo se regredisse all’età di quattro anni (e
non escludo che un giorno potrei scrivere anche questo XD).
Poiché scrivo per Davide e non sapevo se voleva un Eren moccioso, ho lasciato
così e adattato un po’ y_y
Implicito LeviPetra (credo?) e tanta stupidità – ma
scrivendo io era implicito anche questo.
La sala in cui la squadra di Rivaille mangiava di
solito era attraversata da un chiacchiericcio sommesso che ad Eren sapeva
stranamente di quotidianità, quella che fino a qualche anno prima gli era stato
possibile respirare in casa sua. Ritrovare quella stessa atmosfera lì era
strano e inaspettato, ma non spiacevole: gesti semplici come il posare i piatti
e le stoviglie in tavola facevano sembrare tutto pregno di una normalità che
gli era altrimenti estranea.
Non erano ancora rientrati tutti: al momento ad occuparsi dei preparativi erano
lui – Eren –, Auruo, Mike e Petra: il Caporale aveva accompagnato il Comandante
Smith, uscendo quella mattina di buon’ora, mentre Hanji
era chiusa nel suo “laboratorio” dal giorno prima e si sperava uscisse da lì
almeno per l’ora di cena, tanto che avevano mandato qualcuno a chiamarla.
«Va tutto bene, Eren?» domandò Petra, affiancandolo nei pressi del tavolo su
cui poggiò la brocca in ceramica piena d’acqua. Il più giovane stava per
risponderle ma dovette interrompersi sul nascere, vedendola allungare una mano
e schiaffeggiare quella di Auruo, mossasi pericolosamente verso il formaggio.
«Era solo un assaggio!»
«Aspettare che siano tutti a tavola non ti farà certo morire di fame.» lo
riprese lei con cipiglio severo, mettendo poi entrambe le mani sui fianchi in
un modo che fece sorridere Eren: Petra, sebbene non fosse la maggiore come età
né di molto più grande di lui, gli aveva sempre ricordato un po’ la figura
materna o di una sorella; tuttavia, avendo sempre avuto come riferimento Mikasa per quest’ultimo ruolo ed essendo le due
profondamente diverse, aveva istintivamente attribuito alla ragazza più il
primo.
Non sempre, ma in alcuni modi di fare – come quel rimproverare Auruo – ad Eren
ricordava le volte in cui sua madre gli aveva rivolto le stesse ramanzine o le
stesse premure; e, in quei momenti in cui si sentiva anche abbastanza infantile
nel formulare quel pensiero, credeva che alla fine di quella guerra Petra
sarebbe di certo diventata un giorno una brava madre. Oltretutto, per quanto
riguardava la squadra di Rivaille nello specifico, lei gli era sempre sembrata
quella con l’atteggiamento più premuroso – beh, Hanji
di certo non era proprio adattissima al ruolo, a meno che i bambini non fossero
dei giganti… – ed era forse anche quella che
conferiva una maggiore atmosfera “famigliare”, lì.
Sebbene Eren non mettesse in dubbio che ad unirli non ci fosse soltanto la
fiducia, ma di per sé ci fossero fra loro legami che già calcavano quelli di
una famiglia; di certo, però, sforzarsi di trovare una figura paterna era molto
più difficile. Specie considerando il modello di padre che c’era nella sua
testa, estremamente diverso da qualsiasi individuo presente nella Legione che
ricopriva un ruolo importante ma ben lontano da quello della guida di una
famiglia.
«Ah, Caporale!» sentì esclamare a Petra, seguendone lo sguardo rivolto alla
porta ed individuando l’uomo che l’aveva appena varcata: «Eren, puoi prendere
tu il pane?»
«Sì, mamma.» rispose distrattamente prima di gelarsi sul posto.
Di momenti imbarazzanti nella sua vita ce ne erano stati molti, specie da
bambino – quando sua madre aveva deciso di lavare insieme le sue mutande e
quelle di Mikasa, oppure quando lo aveva sgridato di
fronte ad Armin minando alla sua figura autoritaria agli
occhi dell’amico, o ancora quando Mikasa lo aveva
tirato fuori dai guai dimostrando di prenderne molte meno e di menarne molte di
più (addio orgoglio maschile).
Eppure, era abbastanza certo di aver appena raggiunto livelli inesplorati: mai aveva chiamato qualcuno “mamma” per
errore, non importava quanto i suoi pensieri lo rendessero plausibile.
Sentì distintamente uno sbuffo divertito piuttosto mal celato – o che nemmeno
si era provato a nascondere – alle proprie spalle e con la coda dell’occhio
individuò Auruo (e sperò che la prossima volta a cavallo se la staccasse
direttamente, la lingua); qualcosa gli diceva, però, che fosse stato
semplicemente il più rumoroso, ma non l’unico.
«Grazie.» pronunciò semplicemente Petra, un imbarazzo leggero nella propria
espressione ma il sorriso sulle labbra, in un evidente tentativo di non badare
troppo a quell’uscita mettendolo ulteriormente a disagio.
Eren portò lo sguardo su di lei, e poi su Rivaille che le era subito accanto e
che lo fissava senza particolare interesse, almeno all’apparenza. Tacquero
entrambi; quando Eren aprì bocca con l’intento di rivolgersi a Petra, non fece
che peggiorare esponenzialmente la propria situazione.
«Il pa—»
«Non pensarci neanche, moccioso.» sbottò quasi anticipandolo Rivaille, con l’espressione
eloquente di chi avrebbe potuto ucciderti per molto meno.
Solo in quel momento Eren comprese il malinteso – lui voleva chiedere del pane,
pane, non di improbabili padri! – e scosse
energicamente la testa: «Non stavo per chiamarla “papà”, Caporale!» chiarì
immediatamente e la sensazione di gelo che lo aveva pervaso sembrò spandersi
per la stanza a macchia d’olio.
Specie mentre Hanji, varcando la soglia dopo un
intero giorno di auto reclusione a fare chissà quali congetture nei suoi
incontri del terzo tipo con i giganti, esclamò gioviale: «Papà Rivaille, è
stata una giornata dura?» con il chiaro intento di una presa in giro.
Eren ricordava di essersi messo nei guai molte volte per aver parlato troppo o aver
commesso involontariamente errori fatali, ma era più che certo che mai la situazione era stata così letale.
Nemmeno quando, una volta asciutte, per errore le mutande di Mikasa le aveva prese lui.
E sì che aveva fatto male. Fisicamente.