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Autore: Gio_Snower    19/08/2013    2 recensioni
Jey Copelius, giovane costruttore di bambole, crea una Copelia e le affibbia il nome di Ann.
Una Copelia è una bambola vivente, un oggetto inanimato che creano Maestri costruttori i cui infondono la vita.
Ann è una bambola, quindi pensa e ragiona ancora come un oggetto sentimenti...ma le Copelie, possono provare sentimenti? Possono essere felici? Innamorate? Tristi?
Possono piangere?
Questa è la storia di una Copelia e del suo costruttore.
"Il salice piangente con le sue fronde mosse dal vento le toccò leggermente i vestiti quasi a darle conforto. Un conforto di cui non aveva bisogno però, Ann era una bambola."
"«Felici? Cosa rende una persona “felice” oltre al sorridere?» chiese Ann.
«Tante cose, alcune grandi, altre piccole. Ad esempio, tu non sei felice per la neve?» domandò Jey.
«Sì.» disse Ann, non del tutto convinta.
«Anche la vicinanza di un’altra persona, o in questo caso, di una Copelia, può rendere felici.» spiegò Jey."
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
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Nel sud della Francia, in un boschetto d'alberi dalle foglie rosse, c'era una vecchia casetta gialla dalle finestrelle piccole e con dei fiori sui davanzali. In quella piccola casetta, viveva un ragazzo appena ventenne. Era un ragazzo di bell'aspetto, dai lunghi capelli marroni miele e dai lineamenti fini. Il suo nome era Jey Copelius.
Vicino alla casetta nel boschetto d'alberi dalle rosse foglie, c'era una paesino della Francia. Il paesino era piccolo e colorato con i colori dell'autunno. In quel paesino ci vivevano principalmente agricoltori ed allevatori che avevano fattorie o campi non molto distanti da esso.
Nonostante la fulgida bellezza del giovane Copelius, a chiunque avesse chiesto di lui agli abitanti del paese la risposta sarebbe stata la seguente: "E' un bel giovane, ma è alquanto eccentrico. Suo nonno è morto da qualche anno. L'ha cresciuto lui ed anch’esso era una persona alquanto strana. Inoltre non si sa bene il lavoro che fa, ma molta gente lo va a trovare e se ne torna tutta soddisfatta, tessendone le lodi."
Cosa nascondeva quel giovane di bell'aspetto? Questa era la domanda che la gente del paesino si poneva. Non capitava tutti i giorni di aver un personaggio simile a portata di pettegolezzi e quindi ritenevano di aver tutto il diritto di spettegolare su quel giovane solitario, sempre rinchiuso in quella strana casetta gialla. D'altronde, nessuno si era mai lamentato, no?
Il giovane, infatti, non andava spesso al paesino, se non per comprarsi il necessario, e quindi non poteva sapere quel che veniva detto sul suo conto, le bizzarre ipotesi formulate su di lui da bocche pettegole e ignoranti. E se lo sapesse e lo ignorasse? Tutto era possibile da quella strana famiglia quali erano stati i Copelius. Il sangue, in fondo, non mente.
Questa è la storia di una Copelia e del suo costruttore, una storia suonata su note tristi e dolci. Una tragica verità nascosta nel fondo del baratro delle parole e dei sentimenti.
 
«Benvenuta, mia cara.» Disse una voce maschile che suonò rassicurante e profonda.
Sopra al tavolo, seduta con le mani raccolte in grembo, c’era una bambola. La bambola, di estrema bellezza, aprì gli occhi e guardò l’uomo davanti a sé. «Padrone?»  domandò. La voce fu musicale, intrisa di dolcezza, sebbene quella di un oggetto un tempo inanimato. «Non chiamarmi padrone.» Disse l’uomo. «Il mio nome è Jey Copelius e desidero che tu mi chiami così, Ann.» «Ann?»  chiese la bambola. Sebbene nella sua voce ci fosse una nota d’incertezza sul suo volto non si presentò alcuna emozione. D’altronde, una bambola, benché animata, non avrà mai anima, no? Quindi provar emozioni è al di fuori delle loro possibilità.
«Sarà il tuo nome.» disse Jey. La bambola annuì e i suoi biondi e lunghi capelli si spostarono con il movimento della sua testa mentre con i suoi occhi violacei guardava fissa il suo padrone.
Jey Copelius era un uomo-ragazzo. Aveva dei soffici capelli castano miele che coprivano occhi neri dalle lunghe ciglia velati di profonda intelligenza, era slanciato e il suo viso era cesellato. La bocca era sottile, ma carnosa. Nell’insieme era un ragazzo, appena uomo, di bell’aspetto. Jey era il discendente dei Copelius, erede dell’Antica Famiglia costruttrice di Bambole.
I Copelius erano, fra i tanti costruttori di bambole, una delle famiglie più rinomate per la bellezza delle loro bambole. Non c’era un costruttore che non avesse sentito il loro nome. Purtroppo, però, con l’andare del tempo, la famiglia si era ridotta a un numero esiguo e alla fine, della grande famiglia Copelius, rimaneva solo Jey.
Il lavoro di Jey era di costruire bambole su misura per i clienti, ma Ann era la sua Copelia.
La Copelia era una bambola animata grazie un’antica arte che Jey aveva imparato da suo nonno.
Di norma, un Copelius, non creava per sé una Copelia a meno che non ne avesse estremo bisogno, ma Jey aveva voluto creare Ann. Il motivo però era sconosciuto ad Ann, solo il suo maestro poteva sapere perché l’aveva costruita.
Così nacque Ann la Copelia.
 
 
Ann e Jey vivevano nella loro casetta gialla nel Sud della Francia, non troppo lontano, oltre il boschetto di alberi dalle foglie rosse dov’era situata la casetta, c’era un villaggio.
Jey aveva severamente proibito ad Ann di recarsi lì da sola o di parlare con gli abitanti di essa che raramente si recavano nel bosco. Ann poteva andare sulla collina vicino casa, sotto il grande salice. Poteva esplorare, a patto che, lo facesse solo dopo aver pulito la casa ed aver finito tutti i lavori a lei affidati.
Jey, specialmente, la mandava via quando venivano dei clienti. Forse il suo padrone non voleva che la vedessero e la richiedessero. Ann era bellissima, troppo bella per un’umana. Era senza difetto alcuno.
 
Qualcuno bussò alla porta. Ann andò ad aprire. Un uomo e una donna la fissarono, l’uno sbalordito, l’altra sorpresa. Sembravano aver intorno ai quarant’anni. «Posso esservi utile?» domandò Ann con la sua voce musicale. «Sì, vive qui Jey Copelius?» disse la donna con voce nasale. I capelli biondi cenere raccolti in una crocchia severa. «Sì, questa è la casa di Jey Copelius. Prego, accomodatevi mentre io vado a chiamare il padrone.» disse Ann, spostandosi per far passare la coppia. Dopo che i due si furono seduti, chiuse la porta ed andò a chiamare Jey. Bussò alla porta del suo studio. Un rumore sordo fu l’effetto delle nocche di porcellana rivestite di finta pelle che bussarono alla porta di vecchia noce.  «Jey?» chiamò Ann. «Sì, Ann?» chiese una voce maschile che proveniva dall’interno della porta. Sembrava infastidito. «Ci sono dei clienti. Li ho fatti accomodare come mi hai insegnato.» rispose Ann. «Bravissima.» disse l’uomo, ma Ann non provò niente. Era una bambola. Cosa poteva provare una bambola? Eppure la sua espressione dopo aver sentito il complimento ricevuto dal padrone sembrò un qualcosa di non bene identificato. «Grazie, Jey.» disse. Jey non notò niente. «Ora arrivo Ann, tu prepara del tè intanto.» disse ed Ann si recò nella cucina. Si voltò verso gli ospiti e disse «Il padrone arriverà subito.» poi si voltò e iniziò a preparare il tè. L’uomo la stava fissando a bocca aperta, rapito dalla sua bellezza. La donna fissava il marito con malcelata rabbia e indignazione. Come osava squadrar la servetta sotto i suoi occhi? E sulle labbra si disegnò il disappunto e la gelosia per la bellezza di codesta. Qualcuno tossì, facendo distogliere ai due l’attenzione da Ann. I due misero a fuoco un ragazzo appena uomo anch’esso di bell’aspetto. Possibile che in quella casa fossero tutti belli? Pensò la donna irritata che era tutt’alto che bella. «Lei è l’assistente di Copelius?» chiese l’uomo al giovane. Poteva supporre solo quello visto che il famoso costruttore di bambole, Jey Copelius, non poteva essere così giovane! L’uomo-ragazzo ridacchiò. «No, signore. Sono Jey Copelius in persona.» rispose lasciando l’uomo sbalordito. «M-ma è giovanissimo! Non avrà neanche vent’anni!» disse. «In realtà ne ho già venti e vado per i ventuno.» rispose ridacchiando Jey. «Inoltre lavoro da quando ne avevo appena sedici, di anni.» continuò. L’uomo lo squadrò, guardò la moglie e quando lei gli rispose con lo  sguardo, tornò all’uomo. «Signor Copelius, vorremo affidargli un lavoro.» disse. «L’avevo intuito.» rispose sarcastico Jey. «Oh, non si prenda gioco di noi per favore.» disse l’uomo. «Vorremmo che ci costruisse una Copelia.» si intromise la donna. Jey annuì. «Ann, porta il tè e poi lascia la stanza.» disse. Ann portò il tè e poi si accomiatò silenziosamente. «Ditemi, che aspetto dovrebbe avere la vostra Copelia?» domandò Jey con tono pratico mentre Ann chiudeva la porta alle sue spalle.
 
Ann salì sulla collina mentre Jey parlava con i clienti. Dalla collina poteva vedere tutto il boschetto e la stradina che c’era ai suoi margini, la stradina che portava alla casetta gialla e partiva dal villaggio. Era anch’essa gialla, ma di un giallo scuro e fatta di ciottoli. I cavalli ci passavano con tranquillità, ma le carrozze e quelle strane macchine piccole avevano delle difficoltà a percorrerla. Il salice piangente con le sue fronde mosse dal vento le toccò leggermente i vestiti quasi a darle conforto. Un conforto di cui non aveva bisogno però, Ann era una bambola.
Ann guardò con strana espressione la casetta. Da un po’ di tempo ‘provava’. Provava qualcosa ed era preoccupata. Una bambola che prova? E prova cosa, poi? Una bambola come lei non poteva avere sentimenti. Scosse la testa e tornò lentamente verso la casetta gialla, a quest’ora i clienti avrebbero dovuto essersene già andati.
 
Un venticello fresco entrava dalla finestra portando con sé, dentro la casa, il profumo dei fiori al di fuori della casetta e di quelli sul davanzale. Al centro della stanza, una bambola dalle sembianze di una splendida fanciulla, spazzava. Il suo padrone, Jey Copelius, era nel suo studio a lavorare per due dei suoi tanti clienti. Quando venivano a ritirare le loro Copelie, o le loro semplici bambole, lo ringraziavano di cuore, a volte,  piangevano pure. Ann pensò che quel suo lavoro piacesse tanto a Jey.
Ad un tratto, un miagolio interruppe il rumore dello spazzare prodotto da Ann.
Ann girò la testa e vide sulla finestra un gattino bianco che con un balzò entrò. Due occhi azzurri la fissavano aspettando qualcosa che Ann non sapeva identificare. «Accarezzalo.» disse Jey che aveva aperto la porta del suo studio-laboratorio ed ora era appoggiato allo stipite di essa, guardando Ann. «Perché?» chiese Ann. «Perché vuole affetto.» rispose Jey sorridendo. Jey sorrideva spesso. «Perché vuole “affetto”?» Chiese Ann. Sapeva il significato della parole, ma non cosa comportasse realmente. «Tutti gli esseri viventi lo vogliono. Anche chi non ha un’anima.» rispose Jey. Ann si chiese se con “Anche chi non ha un’anima” si riferisse a lei o a lui stesso.  Ann sporse la mano verso il gattino che la fissava con i suoi occhietti curiosi color del cielo d’estate.  Ann mosse la mano su e giù sul pelo bianco di esso, accarezzandolo, e il gattino miagolò. «Gli piace.» disse Jey sorridendo ad Ann. «Che gatto strano.»  aggiunse fra sé e sé a bassa voce.
Il gattino inclina la testa e lecca la mano di Ann, come a ringraziarla. I vertici delle sue labbra si inclinano verso l’altro. «Stai sorridendo.» disse Jey. «Sorridendo?» chiese Ann. Di nuovo sapeva il significato della parola, ma non ne aveva la reale comprensione.
«Sì, la gente sorride quando è felice.» disse Jey sorridendo. «Felice…» mormora Ann.
Il gattino si allontana e si appallottola sul divano. «Sembra che avremo un gatto.» disse Jey. Ann non rispose e si rimise a spazzare. Jey tornò a lavorare e si chiuse di nuovo nel suo studio-laboratorio.
 
Il tempo passava veloce nella casetta gialla. Senza accorgersene, quasi, Jey compì ventidue anni.
Due anni erano passati dalla creazione di Ann. Due anni in cui i due avevano vissuto insieme, in cui Ann era a poco a poco cambiata. Jey a volte la fissava, la scrutava, ma Ann non sapeva cosa gli passasse per la testa. Jey era imperscrutabile. L’unica cosa che Ann aveva capito era che Jey sorrideva spesso, ma non sempre era felice. E allora perché sorrideva? Si ripromise di chiederglielo.
Blanc, il gattino bianco, era ormai diventato un gatto grande e grosso di un anno. Riposava sempre sul divano sul quale di era appallottolato da piccino.
Il giorno del suo ventiduesimo compleanno Jey lo festeggiò con Ann come quando ne aveva compiuto ventuno. Ann preparò una torta sul ordine, Jey andò a comprare del vino (solitamente non beveva alcolici). E mentre Blanc e Jey mangiavano, Ann cantava.
Jey aveva costruito Ann, ma la sua voce era stata una sorpresa pure per lui. Non aveva costruito Ann in modo che avesse l’abilità di cantare, ma Ann l’aveva ed era bravissima a farlo.  Tant’è che un giorno, mentre era in un negozio al villaggio, il commesso gli aveva chiesto chi era la fanciulla che cantava a casa sua con quella splendida voce. Lui aveva risposto che era la sua cameriera e che vivevano insieme. Il commesso l’aveva fissato con aria di sorpresa, ma non aveva osato commentare. Bè, non aveva osato commentare in sua presenza, ma poi aveva osato spettegolare in taverna con tutti. Jey sapeva benissimo che molti pettegolezzi giravano sul suo conto, ma non gli importava. Non voleva aver a che fare più del necessario con quelle persone ignoranti.
Quella sera, quando Blanc si era addormentato sul divano, e Jey e Ann sedevano in veranda guardando le stelle, Ann gli chiese «Perché sorridi anche se non sei felice?» Jey rise. «Un sorriso porta la felicità. Un sorriso è contagioso. Non importa quanto sia vero. Più sorridi e più gli altri sorrideranno.» rispose. Ann ci rifletté su mentre Jey la guardava in silenzio con la coda dell’occhio. Qualche minuto dopo Ann lo fissò e gli sorrise. Un sorriso incantevole regalato sotto la luna. «Interessante.» disse Ann. Jey la fissò ipnotizzato finché lei non si alzò. Jey scosse la testa. Cosa gli prendeva? Ann era una bambola.
Non poteva provare niente…giusto?
 
Una fredda mattina di Dicembre salutò la casetta gialla posando il suo manto bianco sul tetto di essa.
Jey era seduto a tavola e stava bevendo una cioccolata calda, Blanc era spaparanzato sul divano ed Ann faceva tranquillamente gli ultimi lavoretti di casa canticchiando una nenia che tranquillizzava gli altri due.
«E così la neve è arrivata anche quest’anno.» disse Jey. «Sì, non è stupendo?» rispose Ann. «Stupendo?» chiese Jey incerto. «Sì! Mi ricorda quel dolce che mi fai sempre preparare…La torta paradiso! E’ come se il nostro tetto fosse ricoperto di zucchero a velo.» disse Ann sorridendo. Da quando aveva “imparato” a sorridere  non si lasciava mai sfuggire  un’occasione per farlo.
Jey sorride divertito. «Sì, come la torta paradiso…» mormorò.
«Jey…» disse Ann, fermandosi un attimo dal suo lavoro.
«Sì, Ann?» Jey l’osservò. «Perché crei le Copelie?» chiese Ann.
«Per far felici le persone.» rispose Jey con uno strano sorriso, un sorriso diverso dal solito.
«Felici? Cosa rende una persona “felice” oltre al sorridere?» chiese Ann.
«Tante cose, alcune grandi, altre piccole. Ad esempio, tu non sei felice per la neve?» domandò Jey.
«Sì.» disse Ann, non del tutto convinta.
«Anche la vicinanza di un’altra persona, o in questo caso, di una Copelia, può rendere felici.» spiegò Jey.
Ann sembrò rifletterci su. Poi alzò la testa con il modo che Jey aveva riconosciuto come il suo personale metodo e lo fissò. Sembrava…incerta? «Il mio essere con te ti rende felice, Jey?» chiese. Jey sorrise. «Sì, tu mi rendi molto felice, Ann.»
Ann non disse niente, si rimise a lavorare canticchiando un’allegra melodia che fece spuntare sul volto di Jey un sorriso più largo e un miagolio di esasperazione al povero micio bianco.
 
E’ sera, la neve è sparita da qualche giorno. Un dolce venticello fresco entra dalla finestra aperta. Ann è seduta davanti ad essa e canta una canzone d’amore sentita da una ragazza che cantava ai margini del bosco.
Una canzone triste e bellissima. Jey guarda Ann con uno sguardo profondo, alla ricerca di un qualcosa che forse c’è, o forse no.
E’ una questione filosofica? Gli oggetti, anche dopo esser diventati “viventi” come le Copelie, possono avere un’anima?
Possono provare sentimenti?
Ann smette di cantare e il silenzio cala nella casetta gialla mentre le stelle iniziano a diventare sempre più splendenti sul manto scuro della notte che avanza. «Ann, tu “provi”?» Jey dà voce ai suoi pensieri. «Sì.» risponde Ann. Non lo guarda. Jey non chiede nient’altro.
Blanc le salta in grembo in cerca d’affetto.
 
E’ pomeriggio e il sole riscalda la casetta gialla abbracciandolo con i suoi raggi. Una donna cammina sulla strada affiancata da una bambina, probabilmente la figlia, e da un uomo, probabilmente suo marito.
I due chiacchierano tranquillamente, mentre la figlia avanzava e canticchiava giocando tra sé. La donna sorrise all’uomo. Poi gli si avvicinò e lo baciò.
Ann vide alla scena dalla finestra.
«Perché una donna dovrebbe baciare un uomo?» chiese a Jey. «Per amore.» risponde Jey.
«Amore?» chiese Ann. «L’amore è un sentimento profondo che nasce tra gli uomini. Principalmente è il bisogno, sia fisico che mentale, di star vicino ad una persona. Di renderla felice.» disse Jey.
«Come si ama una persona?» chiese Ann.
«Si ama e basta. Non c’è un modo.» disse Jey.
«Allora…Io ti amo.» disse Ann sorridendo.
Jey ricambiò il sorriso. «Anch’io t’amo, mia Ann.» disse.
Ann si avvicinò e appoggiò le sue fredde labbra su quella morbide di Jey.
Jey le sussurrò molte cose, le disse che era nata per renderlo felice, che era nata per cantare e vivere insieme a lui. Ann gli sorrise tutto il tempo. Ora sapeva cosa era la felicità.
 
I giorni passarono felici e spensierati nella casetta gialla. Le stagioni si susseguirono per un ciclo di quattro volte.
Poi, un giorno di metà Ottobre, un bussare spezzò la tranquillità della casa. «Aprite!» ordinò una voce. Ann si chiese chi fosse. Erano dei clienti? La porta venne buttata giù con un forte rumore. Uomini vestiti di blu entrarono nella casetta gialla. Jey aprì la porta per chiedere ad Ann cosa fosse stato quel rumore. Gli uomini si diressero verso Jey e lo fecero inginocchiare con la forza mentre un uomo alto e con una divisa blu scuro su cui c’era appuntata una medaglia a forma di stella entrava. «Lei è Jey Copelius?» chiese con voce autoritaria. Jey rispose di sì. «E quella, allora, dev’essere la Copelia.» disse con disprezzo l’uomo guardando Ann che era ferma al centro della stanza, perplessa.
«Per Dio…Non sembra una bambola.» disse uno degli uomini in divisa blu.
«E’ per questo che le Copelie, queste opere del demonio, sono famoso. Perché sembrano umane e invece non lo sono! Su ordine del loro padrone possono uccidere.
E per questo sono vietate dalla legge e chi le crea viene giustiziato.» disse l’uomo con la voce autoritaria e la medaglia a stella.
«Bene, portateli via.» ordinò poi.
 
Ann fu portata in un laboratorio da tre uomini in divisa. Però lei riuscì a scappare. Non aveva nessuna intenzione di essere rotta. Non dalle mani di un uomo qualunque.
Ann sentì le voci riguardo alla cattura di Jey.
Copelius, il costruttore di Copelie, era stato portato a Parigi per essere giustiziato.
Ann arrivò a Parigi quello stesso giorno e vide Jey sul ceppo. Jey la vide e le sorrise. Un sorriso triste, un sorriso di scuse e promesse infrante dal destino.
Il boia alzò l’ascia. Ann urlò. Il boia calò l’ascia e Jey perse la testa. Tutti esultarono. Il Costruttore di Copelie, il traditore della legge, era morto. Il sangue dei Copelius, il sangue di Jey, aveva imbrattato le piastrelle della piazza di Parigi.
Ann prese il corpo, tra la confusione generale, e scappò.
Ann tornò alla collina e sotto il salice sotterrò il corpo di Jey. Lì avrebbe potuto vedere per sempre il suo bosco dagli alberi dalle foglie rosse e la sua casetta gialla.
Ann, al crepuscolo, cantò. Cantò il suo Requiem. Cantò il Requiem di Jey. Cantò il Requiem del loro amore.
 
Le Copelie sono bellissime bambole. Esse vengono create da Maestri artigiani che le animano. Le Copelie però possono uccidere su ordine del loro Padrone e quindi furono vietate dalla legge. Chiunque le avesse costruite sarebbe stato poi giustiziato.
Il crimine di Jey fu quello di costruire Ann e altre Copelie, il suo crimine fu quello di amare una Copelia.
        
Così, alla luce della luna sorgente e sotto un mare di stelle splendenti, Ann la Copelia canta la sua ultima canzone.
L’ultima canzone per lei e il suo amore.
Quando la canzone finì, Ann smise di funzionare. E si ruppe per sempre.
 
All’ombra di un salice piangente, su una collina nel Sud della Francia, vicino a un boschetto di alberi dalle foglie rosso sangue e ad un villaggio, ci sono  due tombe.
La leggenda narra che una appartiene al leggendario costrutto di Copelie, il cui nome fu perduto negli anni, ma il cui crimine fu ricordato per sempre; E che l’altra appartenga alla sua Copelia, ad Ann, che amava con tutto il cuore.
Ci sono voci, testimonianze, che di notte, quando la luna e le stelle risplendono, quando la madama notte avanza a passo di danza, un bellissimo e struggente Requiem risuoni nell’aria augurando un futuro di felicità agli amati odiati dal destino come il Costruttore e la sua adorata Copelia. 
   
 
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