Fanfic su artisti musicali > Avenged Sevenfold
Segui la storia  |       
Autore: CleaCassandra    24/02/2008    3 recensioni
*Ci sono diverse cose di cui i miei genitori non sono a conoscenza.
Ad esempio, non sanno che quando avevo quattro, o forse erano cinque, anni ho picchiato il mio amichetto del parco giochi. In realtà non ricordo nemmeno che faccia avesse, o il suo nome…boh, forse Bruce, o Billy, Bob, non so…ricordo solo che c’era una B di mezzo.
Fu una scena quasi comica: ci pestammo, da bravi discoli, per il possesso di un’altalena, manco a dirlo la più bella, quella che non emetteva il minimo cigolìo, ma soprattutto l’unica del parchetto; e nessuno a dividerci. Eravamo solo io e lui, quella mattina.
Dopo i pianti e gli strepiti di circostanza, però, accadde che il bimbo farfugliò che non avremmo dovuto dire nulla della nostra scaramuccia ai rispettivi genitori. La promessa che ci scambiammo era così solenne che non me la sentii di venirle meno, e così mantenni la parola. A quanto pare anche lui, visto che nessuno venne a reclamare alla nostra porta che “quella furia di tua figlia ha mollato un cazzotto al mio bambino!”, o comunque qualcosa di simile. Diciamo che avevamo entrambi dei vantaggi da trarre: io non sarei dovuta andare a testa a bassa a chiedere scusa, e lui non sarebbe stato tacciato già così presto di essere una specie di checca. Ovviamente, queste cose, due bambini di quattro o cinque anni non le sfiorano nemmeno col pensiero.
Quanto ai lividi, che inevitabilmente mi ero procurata… “Sono caduta dallo scivolo”.
Caso archiviato.
Ma fosse solo questo, ciò di cui i miei sono all’oscuro.*
Leslie, le sue amiche e compagne di band, e un avvenimento totalmente surreale che sconvolgerà per sempre le loro vite.
attention please: non conosco gli Avenged Sevenfold (e come al solito aggiungo 'magari li conoscessi davvero' :°D), quindi quello che ho scritto non li rispecchia davvero, insomma sono un parto della mia mente alquanto malata, e non intendo offendere nessuno in alcun modo con le mie storie, ma sempre meglio specificare, non si sa mai u_ù
Genere: Comico, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
vabbè, anche se i commenti sono sempre pochinini così, grazie lo stesso *O*

Chapter 04 - Things Behind The Sun

Beh, se non altro ho avuto la conferma di non essere la sola a nascondere le cose.
La notizia era abbastanza assurda, ma che dico, lo è ancora, solo che ieri, a mente caldissima, non ero in grado di formulare alcune domande fondamentali, quelle che i giornalisti usano quando devono redarre un articolo, quelle che vengono chiamate ‘le cinque W’.
Who? Chi?
What? Cosa?
Where? Dove?
When? Quando?
Why? Perchè?
Alla prima c’ero. Io, Leslie Michelle Root, i miei genitori, Alison e Jonathan Root, e questa Angelica Smitherson, che mi somiglia come una goccia d’acqua. Era abbastanza a posto anche la seconda: ridotto in termini semplicistici, a quasi ventiquattro anni scopro di avere una sorella gemella, che è una fotografa professionista e fa già mostre nei musei, ed è probabilmente già piuttosto affermata, nonostante la giovane età, sennò non mi spiegherei come sia riuscita a finire persino sul New York Times. La terza, sarebbe stata un po’ da interpretare. Dove cosa? Dov’è lei? A Los Angeles, presumo. Dove sono io? Fino a ieri, a New York. Dove sono i miei? Se non hanno cambiato casa ancora una volta, abitano a Stanton, contea di Orange, sì, quella piena di ricconi, appena sotto Los Angeles.
Erano il quando e il perché a sfuggirmi. O meglio, il quando, diciamo che probabilmente risale a quando ancora non avevo memoria dei miei giorni, a quando i miei ricordi erano pappa, pipì e pupù, e non erano catalogabili nelle pieghe del mio piccolo e giovane cervello.
E il perché? Perché di cognome fa Smitherson, e non Root, come me e mio padre? E, vabbè, si, anche mia madre, una volta sposata. Perché non ne sapevo niente? Perché me l’hanno nascosto finora e, se non l’avessi scoperto per caso, probabilmente avrebbero proseguito a oltranza?
A questo punto sono riuscita a pensarci solo in serata, ormai a Stanton, mentre Dharma mi ha lasciata per tornare a Huntington, dalla madre.
Sì, me la sono portata dietro. Avevo bisogno di un sostegno amico, che mi conosca praticamente da una vita e che quindi sia abituato ai miei soliloqui, senza doversi scomporre o sconvolgere. Avevo bisogno di qualcuno che avesse condiviso la sua infanzia con la mia, e soprattutto avevo bisogno di lei per non impazzire in un mondo che non mi appartiene e a cui non appartengo.
Sono rientrata a casa prima del tempo, a mezzogiorno e mezzo.
"Che ci fai tu già qui?" è stato il saluto della mia coinquilina. Nemmeno le ho risposto, impegnata com'ero a cercare una valigia e infilarci dentro le mie cose a caso.
"Ehi, aspetta, dove vorresti andare?"
"Dharma, preparati, torniamo a casa."
"Ma ci siamo..." ha obiettato, per poi rendersi effettivamente conto di cosa intendessi, parlando di 'casa'.
"No, cazzo!" ha sbottato di colpo. L'ho fissata torva.
"Cioè, io sto bene qui, perché dovremmo tornare là? Proprio adesso che abbiamo anche una band!" ha piagnucolato.
"Non è mica definitivo! Diciamo che ho bisogno di tornare a casa qualche giorno..."
"E non sei preoccupata all'idea che tuo padre veda tutti i tatuaggi che ti sei fatta? Quel piercing al labbro? E quello al sopracciglio?"
"E chi se ne frega! Ho una sorella gemella e me l'hanno nascosto, qual è l'omissione più grave, secondo te?" ho urlato, la voce quasi sul punto di rompersi, stridula, acuta, tesa. Come una corda di violino che sta per strapparsi.
"Ma lo sai com'è tuo padre, no, che ha i suoi metri di giudizio sballati e...no, aspetta, COSA HAI DETTO?"
"Ho-una-sorella-gemella-e-i-miei-me-l'hanno-sempre-nascosto. Contenta? Se vuoi ti faccio anche lo spelling, eh"
L'ho vista schizzare nella sua stanza, e ho sentito rumori poco rassicuranti.
"Che è caduto? Ti sei fatta male?"
E invece ha solo tirato giù la valigia e la stava riempiendo di cose a casaccio, come me fino a qualche minuto prima.
"Vengo con te, ci mancherebbe altro!"
"E Zacky?"
"E Zacky...cazzo, hai ragione!" ha esclamato, concludendo, poi: "Oh beh, dici che Ronnie ce lo terrà qualche giorno?"
"Speriamo, dai...oddio, già io le ho chiesto il favore di sostituirmi in negozio..."
"Allora lo mollo a Charlie!"
"Ma è allergica!"
"Cazzo, è vero...e allora, niente, Ronnie, per forza..."
"Su, inizio a prepararla psicologicamente..." l'ho rassicurata, facendo per prendere il telefono, ma Dharma mi ha fermato.
"Ci penso io, sennò un giorno ti squarterà davvero!"
"Va beeeeeeene!" ho cantilenato, finendo per ridere, e tornare alla mia valigia.
Nel giro di un paio d'ore abbiamo trovato un volo per Los Angeles, così ci siamo precipitate da Ronnie, pregandola di accompagnarci, riportare la macchina indietro e tenerci il gatto, e abbiamo fatto una corsa a perdifiato per non perdere l'aereo, perché, nonostante Ronnie andasse come una scheggia, eravamo in ritardo mostruoso.
Ma adesso siamo a casa. E non so se la cosa mi faccia piacere o mi inquieti.
"Cosa sono tutti quei bulloni in faccia?"
"Papà, sono solo due, e sono dei semplicissimi piercing..." spiego, paziente.
"Te li sei fatti senza il mio permesso" incalza, la voce bassa e piatta.
"Papà, ho ventitre anni, e lavoro, posso spendere i miei soldi come meglio credo..." ribadisco, cercando di non innervosirmi.
"E quei tatuaggi? Guardati, fai schifo! Chissà cos'avranno pensato i vicini appena hanno visto che razza di figlia mi ritrovo!"
Qui, mi dispiace, ma la calma non riesco più a mantenerla. Detesto quando si appella al senso comune di decoro, detesto quando pensa a cosa potrebbero elucubrare degli estranei vedendomi. Detesto pensare che basti nasconderle, le nefandezze, per mantenere delle apparenze rispettabili. Magari il vicino ha messo delle corna così grosse alla moglie che la poveretta nemmeno riesce più a passare sotto la porta, e si punta il dito contro di me, che ho solo avuto lo sghiribizzo di colorarmi un po' la pelle.
Che schifo.
"Ti rode perché non ti ho reso partecipe della mia vita da quattro anni a questa parte, vero? Perché non sei riuscito ad allungare i tuoi tentacoli sulla mia vita? Perché ti ho nascosto due piercing e cinque tatuaggi? Tu mi hai nascosto una sorella, papà, chi ha nascosto la cosa più grossa, eh? Avanti, dimmelo, vediamo se hai ancora la faccia tosta di ripararti dietro a queste stronzate!" scoppio.
E lo ammutolisco. Mia madre mi fissa, animata da non riesco a capire quale sentimento nei miei confronti.
"Leslie, come ti salta in mente di accusarci così? Abbiamo avuto le nostre ragioni, per farlo..." mormora, con calma.
"E allora spiegatemele" intimo, la voce ferma.
Ero piccola. Troppo per capire in che casini eravamo impelagati. Adesso i miei genitori sono pieni di soldi, non so in virtù di cosa, e nemmeno voglio saperlo. Probabilmente un investimento azzeccato, o una vincita alla lotteria, o forse, perché no, una rapina in banca, perché non mi ricordavo tutto questo sfarzo, mi ricordavo solo che abitavamo a Huntington, e che eravamo una famiglia normale in mezzo ai ricconi, e a me stava bene così.
Normali, appunto. Non ci si può rendere conto di una crisi a poco meno di un anno di vita, e a quanto pare è precipitato tutto dopo la mia nascita. Cioè, la nostra.
Per me era tutto a posto, in quanto bambina, ma anche dopo vivevamo in una situazione di quasi indigenza, in un posto dove non puoi permetterti di essere un poveraccio.
Non riuscivano, Alison e Jonathan, a poter mantenere due figlie, e così hanno dato in adozione Angelica. Non capisco perché lei, e non me, ma credo sia una domanda stupida da fare. Così come, me ne sto rendendo conto solo adesso, era stupido chiedere una chitarra, quando i soldi bastavano appena per arrivare alla fine del mese.
Sto capendo solo adesso molte cose. Forse perché, guadagnandomi da vivere, ho compreso quanto i soldi escano da ogni buco delle tasche.
Adesso non posso fare altro che fissarli, costernata. Non so cosa dire.
"E lei?"
"Lei cosa?" chiede mio padre.
"Sì, voglio dire...lo sa?"
"...sì."
Ecco. Perché lei deve saperlo e io no?
Rabbia, delusione, tristezza, non so cosa mi animi adesso. So solo che ho fatto il pieno di assurdità, e che ho bisogno di respirare, lontano da questa casa.
Esco, sbattendo la porta, afferro il telefonino nella borsa e compongo il numero dell'unica persona che mi possa distrarre, ora.
"Pronto?"
"Dharma, disturbo?"
"No, dimmi..."
"Posso venire da te? A...a dormire, dico."
Lei non fa domande, non chiede indiscrezioni, non commenta.
"Va bene, lo dico a mia madre, intanto. Tu monta in macchina, l'indirizzo è quello di sempre."
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Avenged Sevenfold / Vai alla pagina dell'autore: CleaCassandra