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Autore: LoveIsAlive    19/08/2013    0 recensioni
ALIVE-PER CHI NON HA PAURA DI SOGNARE
"i sogni sono fatti per chi non ha paura di viverli e per chi è abbastanza forte da non distruggerli"
LA TRAMA DELL'INTERA STORIA È NEL PRIMO CAPITOLO.
-"Si. Sono come circondato da un filo di ferro che non posso oltrepassare. Loro vogliono vedermi cadere a pezzi, vogliono vedermi implorare pietà ai loro piedi..." sembrava quasi schifato dalle sue stesse parole.
"Vogliono vedermi scavare la fossa da solo, perdere tutto quello che ho, vogliono vedermi perdere la dignità, vogliono potermi considerare morto, lo vogliono perchè sono invidiosi di me, di quello che ho e di quello che posso avere.
Loro hanno un odio gratuito nel cuore che non può essere domato, un odio ingiusto, sbagliato, un odio che non chiede nulla in cambio, loro hanno l'invidia nell'anima che urla loro di togliermi tutto, è qullo che io chiamo 'demone bianco' perchè tutto questo mi viene inflitto sotto gli occhi di tutti alla luce del giorno e nessuno fa qualcosa, assistono indifferenti alla mia distruzione"
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Prado Del Grandioso, Calabasas, California.

Mi ritrovai a saltellare, camminare allegramente per le vie di Calabasas, ogni centimetro di quel posto era perfetto, come se fosse stato studiato alla perfezione, 
nessun disordine, nessun rumore; destinazione?
la casa di Justin Bieber, ovviamente.
ho approfittato del fatto che justin sia in pausa dal tour, voglio consegnargli una lettera di persona, voglio essere sicura che la legga e poi... lo voglio incontare, 
abbracciare e parlagli; quindi 'perchè non andare a sunargli direttamente a casa?'
avevo pensato di farlo da un pò di tempo e dopo aver convinto mia madre ero finalmente a los angeles, la città dove i sogni diventano realtà.
mi ero vestita davvero bene per l'occasione, non sono una tipa eccentrica, quindi nel mio armadio non c'è nulla di speciale,
ma ero contenta del mio lavoro: indossavo un paio di jeans che arrivavano poco sotto al ginocchio, una tshirt bianca senza stampe
e delle vans nere e poi il mio pezzo forte, i capelli lunghi castani sciolti, che mi incorniciavano il viso (e lo rendevano almeno guardabile).

Mi avvicinai alla colossale struttura, probabilente avevo la bocca e gli occhi spalancati, essendo cresciuta in un tranquillo quartiere Chigago, posso seriamente giurare
che la sua intera casa è grande come il centro commerciale in cui passo i sabato pomeriggio con le amiche.
una villa stupenda, semplice e non troppo moderna, all'entrata, dopo il cancello c'erano dei cactus altissimi che davano un tocco country all'insieme, il tutto
tra le colline di Los Angeles; ovunque mi girassi c'era una vista che mi lasciava senza fiato. 'Ha gusto il ragazzo'.

Mi avvicino al cancello, incredula di essere davvero lì, davanti alla casa del mio idolo, 'forza Madison, o ora o mai più' suono al campanello e una voce mi risponde:
-"chi è?" 
capisco chiaramente che non è la voce di Justin, è di un altro uomo, 
-"Mi chiamo Madison Dolgary Jackson, sono una Belieber, vengo da un paese vicino a Chicago, posso vedere Justin giusto 5 minuti, perfavore?" la mia era una supplica.
dall'altra parte del citofono non mi risponde nessuno, sentii qualcuno bofonchiare e poi improvvisamente riattaccò.
'devo prenderlo per un no?'

Dopo nemmeno 2 minuti si apre la porta d'ingresso, esce Justin accompagnato da un uomo pelato e dall'aria simpatica con jeans e tshirt bianca.
Justin strizza gli occhi per colpa del sole e si mette una mano sulla fronte a mò di visiera.
Per un momento pensai che il cuore potesse fermarsi, mi sentii una strana sensazione al petto, come se fosse stato travolto da infiniti aghi.
Justin era davvero perfetto ed era carino proprio come lo ricordavo, per non parlare della sua strana camminata gongolante che lo rendeva ancora più adorabile.
si avvicina lentamente mettendosi una mano in tasca e l'altra lungo il fianco.
Gli sorrido timida e lo saluto con la mano mentre lo guardo avvicinarsi con passo lento.
probabilmente la mia faccia era tipo 'oh merda e ora che faccio, che dico?'
Ho visto Justin in concerto 6 volte, ma vederlo lì, che guarda solo te è una sensazione indescrivibile e ti blocca completamente, ti pietrifica all'istante.
-"Ciao Justin, come stai?" dissi fingendo di stare bene e gli sorrisi.
-"sto bene. ma la privacy? il rispetto?"
noto che ha le sopracciglia aggrottate e non sembra contento.
-"bhe.." farfuglio. "io...emhh..pensavo...volevo.." 'cosa diavolo sto dicendo? in che lingua sto parlando?'
-"cosa?..cosa vuoi? ok. sei mia fan, ma sei anche una perfetta sconosciuta, non pensi di esagerare presentandoti a casa mia?
perchè non potete lasciarmi tranquillo? almeno a casa mia? almeno te, voi, i miei fans?"
justin parla tutto di un fiato. più che arrabbiato sembra deluso, sembra che la voce sia incrina al pianto, ma non sta piangendo.
ha la voce roca e il suo petto sia alza e abbassa velocemente.
-"senti, io..seriamente, non volevo.." dissi velocemente, dopo averlo guardato senza parlare, non so come ma i miei occhi riuscivano a guardarlo nei suoi.
decisi comunque che continuare non fosse la cosa migliore per nessuno ed io non volevo affatto discutere con lui.

guardai l'asfalto spalancando la bocca, incredula, shockata, arrabbiata e delusa; non sapendo continuare la frase, corsi via lascianli lì in piedi.
nessuna spiegazione, nessun saluto, niente di niente.

correvo, volevo solo correre, correre via da lui, scappare da lui per la prima volta e non avrei mai pensato di poterlo fare.
arrivai ad un angolo, girai e cambiai via, era un viale alberato pittosto tranquillo, e la tranquillità era tutto ciò che volevo e che necessitavo in quel momento.
lasciai che le mie ginocchia cadessero a terra prima di sedermi. 
misi la testa sulle ginocchia e cominciai a piangere, avrei voluto anche urlare, ma non ero in una zona del mondo in cui era ottimo farlo.
piansi, stavo piangendo talmente forte che mi sembrava di piangere l'anima, di piangere tutto lo schifo che mi attribuivo per il fallimento di quell'incontro.
l'incontro che doveva essere il più bello della mia vita.

'perchè? perchè si era rivolto così a me? sarebbe bastato un saluto e basta..' 
la vocina nella mia testa lo rimproverava.
'ma no.. hahahahah' risi sonoramente. 'sono io la stupida, non posso pensare di presentarmi a casa sua e pretendere
che lui mi accolga a braccia aperte.'
questa volta rimproverai me stessa.

mi alzai in piedi lentamente e tremante, con le mani tra i capelli urlai piano, per quanto sia possibile urlare piano.
"mi dispiace, mi faccio schifo, odio tutti, e odio me stessa più di qualsiasi altra cosaaa, mi dispiace" urlai in lacrime, appoggiando la schiena ad un'auto parcheggiata, fregandomi di chi potesse vedermi o sentirmi.
-"no, non lo fare, non odiare te stessa. odia me puttosto, me lo merito"
  
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